Andrea Arnaldi, Cristianità n. 406 (2020)
1. La bellezza di una vita cristiana
Questo articolo non intende fornire una scheda biografica di Enzo Peserico (1959-2008) né «anticiparne» irritualmente la canonizzazione liturgica, ma ha soltanto lo scopo di proporre qualche spunto di riflessione che la sua vita potrebbe offrire a ciascuno di noi (1).
Nel Signore degli Anelli leggiamo un dialogo molto bello: Sam e Frodo parlano delle grandi avventure che personaggi del passato hanno dovuto affrontare e che hanno superato con la perseveranza. Sam a un certo punto, riflettendo su queste vicende, ha una intuizione ed esclama: «“Pensandoci bene, apparteniamo anche noi alla medesima storia, che continua attraverso i secoli! Non hanno dunque una fine i grandi racconti?”.
«“No, non terminano mai i racconti, disse Frodo”. “Sono i personaggi che vengono e se ne vanno, quando è terminata la loro parte. La nostra finirà più tardi…o fra breve”» (2).
La vita terrena di Enzo Peserico è racchiusa in questa considerazione, letteraria ma profondamente vera: egli è stato parte consapevole di una grande storia che affonda le proprie radici nel passato e guarda al futuro, svolgendo con perseveranza la propria parte, fino a quando è giunta a conclusione.
E la storia di cui Enzo era parte è la storia di ciascuno di noi, è lo scenario su cui si dipana l’intera vicenda umana, sul quale ciascuno è chiamato a lasciare una traccia in grado di incidere anche sul tratto di strada che deve ancora essere percorso.
Per esprimere questo alto e consolante concetto, lo storico e pensatore svizzero Gonzague de Reynold (1880-1970) usa l’efficace metafora del fiume: «Infatti la storia non coincide solamente con il passato. Il passato è solo una parte della storia: quella che seguiamo con lo sguardo quando ci sforziamo di risalire la corrente verso la sorgente. Ma la storia è tutto il fiume, con tutti gli affluenti e tutti i subaffluenti, dalla sorgente alla foce» (3).
Come ha testimoniato il suo direttore spirituale, don Giambattista Lanfranchi (1922-2010), parroco nell’Oltrepò piacentino, «in Enzo non c’erano antagonismi fra la vita pratica e la fede». Questo mi sembra l’insegnamento principale su cui riflettere. Enzo come testimone di una «armonia interiore» che genera una bellezza percepibile.
Il Pontificio Consiglio per la Cultura, con un importante documento del 2006, ha riproposto agli uomini del nostro tempo la via pulchritudinis come percorso privilegiato per l’evangelizzazione del nostro tempo (4).
In questo documento si sottolinea come in un’epoca di crisi la via del bello — che non è, ovviamente, l’unica via che porta a Dio — può riuscire meno difficile rispetto alla via del vero o a quella del buono, anche se i tre elementi alla fine non potranno che convergere. Nelle parole del teologo svizzero card. Hans Urs von Balthasar (1905-1988), ricordate dal documento, forse nel mondo moderno «gli argomenti in favore della verità hanno esaurito la loro forza di conclusione logica» e il bene «[…] ha perduto la sua forza di attrazione» (5), così che non resta che partire dal bello.
Il bello si manifesta fondamentalmente attraverso tre sentieri che ci fanno esplorare, rispettivamente, la bellezza della creazione — cioè, il mondo minerale, vegetale e animale —, la bellezza delle opere create dall’uomo e la bellezza delle vite esemplari di uomini e donne che hanno corrisposto alla grazia di Dio.
Il terzo sentiero della via pulchritudinis si spinge ben più in alto rispetto a quelli della natura e dell’arte: la contemplazione della santità e della bellezza delle azioni umane ispirate dalla grazia, nella vita e nelle cerimonie della Chiesa e nell’opera dei santi, fino alle vette sublimi e irraggiungibili della montagna del Bello rappresentate dalla bellezza della Vergine Maria e del Signore Gesù.
La più grande bellezza è dunque la santità, che non va confusa con la semplice filantropia naturale. Il documento del Pontificio Consiglio della Cultura lo ricorda con le parole del sacerdote ortodosso e filosofo russo Pavel Florenskij (1882-1937) che, commentando un passo del Vangelo di san Matteo (5, 16) scrive: «I vostri “atti buoni” non vuole affatto dire “atti buoni” in senso filantropico e moralistico: tà kalà erga vuol dire “atti belli”, rivelazioni luminose e armoniose della personalità spirituale — soprattutto, un volto luminoso, bello, di una bellezza per cui si espande all’esterno “l’interna luce” dell’uomo, e allora vinti dall’irresistibilità di questa luce, gli uomini lodano il Padre celeste, la cui immagine sulla terra così sfolgora» (6).
Dando sostanza all’idea a lui molto cara della necessità di essere «contemplativo in azione» (7), Enzo ha costruito la casa della sua vita sulla roccia di una spiritualità profonda, che è cresciuta in modo percepibile con il trascorrere del tempo.
Dotato di una non comune forza di volontà e della capacità di governare responsabilmente le proprie scelte, Enzo aveva capito molto presto che nessuna azione, di qualunque genere, può essere fruttuosa se non è scrupolosamente pensata, organizzata e posta in atto e, meglio, che nessuna azione può prescindere da una capacità di discernimento che va oltre l’azione in sé stessa e affonda le proprie radici nella dimensione della vita spirituale e quindi nella capacità di valutarne anzitutto le implicazioni di ordine morale e soprannaturale.
Enzo era dotato di grande capacità organizzativa, visione d’insieme, chiarezza di obiettivi, ed era infaticabile nelle sue finalità apostoliche abbinate a senso dell’umorismo, autoironia e un sano desiderio di divertimento. Aveva ben compreso la necessità di un’opera instancabile di evangelizzazione di tutti gli ambiti del vivere umano, senza eccezione alcuna. E si è impegnato molto in tutte le circostanze nelle quali ha avuto la possibilità di agire: l’Università, la vita associativa in Alleanza Cattolica, i rapporti di amicizia, la famiglia, l’ambiente di lavoro.
Questa azione di riconquista degli uomini e delle società alla Chiesa, una nuova evangelizzazione capace di trasformare la fede in una cultura viva e vissuta, è un’esigenza ineludibile ripetutamente sottolineata dal Magistero pontificio. Enzo l’ha fatta propria con la consapevolezza di chi non solo si pone in atteggiamento di ascolto delle indicazioni magisteriali, ma ha anche studiato con attenzione le malattie morali e ideologiche che affliggono il tempo presente e impongono adeguate terapie.
Enzo muove i primi passi nel campo dell’impegno culturale e politico alla fine degli anni 1970, in una fase delicata dell’Italia caratterizzata dall’apparente trionfo dell’ideologia marxista — anche se non lontana dalla clamorosa implosione dell’impero social-comunista — e, al tempo stesso, dall’affermarsi sempre più diffuso della mentalità relativistica e nichilista che prepara il terreno al «pensiero debole», destinato a prendere il posto delle ideologie.
È una fase complessa, che prelude a un’epoca di crisi morale, sociale, politica, un «periodo vuoto» (8) per dirla con Gonzague de Reynold. E così, fra l’imminente tramonto del dominio comunista e l’avanzare incessante del relativismo assoluto, Enzo capiva che il corpo sociale stava facendo propri assetti culturali, sociali e politici incompatibili con la visione naturale e cristiana dell’uomo, maturando una particolare avversione alla famiglia e all’educazione, in difesa delle quali egli dedicherà un impegno crescente e incisivo.
La famiglia naturale e le relazioni familiari rappresentavano allora, e continuano a rappresentare oggi, una sorta di «prima linea» della lotta per la definitiva destabilizzazione di un ordine sociale ancora troppo legato a una concezione dell’uomo che la Rivoluzione non può tollerare (9).
Come Enzo ha osservato nei suoi studi sul Sessantotto (10), il fronte del combattimento è essenzialmente quello culturale e spirituale, e la battaglia è fondamentalmente di tipo antropologico, diretta a contrastare la dissoluzione dell’ordine nell’uomo ottenuta attraverso l’attacco alla famiglia e alle sue prerogative naturali, all’identità sessuale, alla capacità e alla vocazione relazionale della persona che si esplica nelle relazioni fondamentali: con sé stesso, con gli altri, con Dio e con il creato.
Enzo, nel suo lucido discorso tenuto la mattina di Capodanno del 2008 a chiusura dell’incontro da lui stesso organizzato sul tema della famiglia, poche ore prima di morire, aveva parlato della «fine della famiglia». Riprendendo l’analisi dello statistico Roberto Volpi, in quella circostanza si era soffermato sulle cause di questa crisi, che definì culturale e non economica, individuandone i cardini: «I giovani non si sposano per scelta, perché il matrimonio e la famiglia non rappresentano un ideale di vita, perché è andata perduta la consapevolezza di vivere per qualcosa e qualcuno che vada oltre l’esistenza terrena, perché preferiscono stare nella famiglia di origine il più possibile, avendo in questa condizione molti vantaggi e nessun costo. Ma in questa situazione non costruiscono nulla.
«I figli non nascono perché sono giudicati inessenziali nella vita di coppia. Questa è una grande rivoluzione, sostiene Volpi, che ha cambiato completamente il quadro culturale negli ultimi trent’anni. La coppia ha sempre più altre priorità rispetto al mettere al mondo dei figli, meno costose, meno drammatiche, meno impegnative.
«La maternità è stata occupata dalla medicina. L’autore porta il caso della regione Toscana e descrive come la quasi totalità dei parti avvenuti nel corso di un anno (2002) sono accompagnati da un numero incredibile di visite mediche, specialistiche e non, da interventi della medicina in prossimità e post-partum, tanto da far diventare il figlio un’“impresa” così faticosa da scoraggiarne una seconda. Questo spiega anche l’alto numero di figli unici».
Nello stesso discorso, aveva messo in guardia contro le finalità dell’ideologia relativistica in tema di assetti sociali e di famiglia: «[…] liberarsi della religione non con la violenza, come tentarono di fare i repubblicani e gli anarchici nella Spagna del 1936, ma svuotarla di significato pubblico, sostituirla con una nuova morale di Stato: quella del desiderio individuale che diventa diritto, della sostituzione della realtà dell’essere umano, uomo e donna, con il capriccio identitario, la famiglia senza padre o senza madre».
Dunque, la società frammentata e disarticolata che è stata efficacemente definita dalle analisi sociologiche come «coriandolare» (11), e, successivamente, «liquida» (12), impone una reazione consapevole e organizzata, capace di rianimare e proporre un «pensiero forte» (13), un corpo di valori identitari in grado di fungere da punto di riferimento.
Sul piano operativo, Enzo appoggia questa reazione su alcuni capisaldi ai quali dedica preghiera, intelligenza, passione ed energia: la creazione di ambienti e il rilancio della dimensione della vera amicizia, la risposta alla sfida educativa, la riproposizione delle verità naturali in tema di famiglia e di difesa della vita umana innocente. Ancora, in quel suo significativo e ultimo intervento pubblico, aveva descritto lucidamente qual è il campo di battaglia del nostro tempo e le sue ultime parole davanti alla platea di amici che avevano preso parte all’iniziativa erano state: «[…] ricordiamoci: ci sono sostanzialmente due modelli culturali che si affrontano in Europa, e sono irriducibili l’uno all’altro: il primo è laicista, detesta le radici cristiane dell’Europa e vuole imporre per legge la nuova morale relativista, che è il modello di un nuovo tipo umano, quello sognato nel ’68 europeo, svincolato da ogni rapporto con Dio e con la propria realtà umana: è il socialismo libertario di [José Luis Rodríguez] Zapatero, è l’Unione che tenta di governare questo Paese, con una sintesi tra veterocomunismo, postcomunismo libertario e utili idioti cattolici; il secondo modello culturale è laico, ha la sua forza nel recupero dell’identità europea, guarda ad Atene e a Roma, poggia sul Sinai e sul Golgota: in Italia ha conosciuto il 12 giugno 2006 una alleanza trainata con coraggio dal card. [Camillo] Ruini, un’alleanza non clericale, ma di sana laicità, tra cattolici, laici non laicisti e sentimento profondo del popolo italiano.
«[…] Si è formata un’atmosfera di idee e di sentimenti che è diversa da quella del passato: il Sessantotto ha suicidato il desiderio ed è entrato nelle istituzioni portando le strutture di peccato a fare la Rivoluzione che non è riuscita nelle piazze. Ma la sorpresa è che esiste un popolo che vuole uscire da questo suicidio della speranza.
«[…] Chi vincerà? Non perdiamoci d’animo. Ricordiamoci che sono le minoranze convinte a tracciare la storia, e si aprono grandi sfide: a ragion veduta, si tratta qui della possibilità di futuro del nostro Paese, di diffondere una cultura che deve dare sostanza alla comunità italiana e alla politica.
«Fuggire l’utopia del presente così come quella del futuro: le cose stanno come sono, non come vorremmo che fossero.
«Sapendo che il cristiano ha già vinto, perché la vittoria sta nel combattimento. Buon 2008 a tutti».
2. Spunti di riflessione
Alla luce di quanto detto finora, mi sembra di poter proporre questi spunti di riflessione:
a) Priorità alla vita spirituale
Ho già ricordato l’espressione di don Giambattista Lanfranchi: «In Enzo non c’erano antagonismi fra la vita pratica e la fede». A questo risultato egli è giunto, aiutato da Alleanza Cattolica, attraverso un percorso serio e consapevole finalizzato alla comprensione della dimensione spirituale dell’esistenza e, soprattutto, alla sua messa in pratica.
Enzo si interroga ben presto sulla necessità di un discernimento vocazionale: vuol capire che cosa prevede il progetto di Dio sulla sua vita. Nel 1982 organizza un viaggio-pellegrinaggio sui luoghi francescani con tre amici e inizia il percorso per diventare terziario francescano. Scrive in quell’anno all’amico fra Mario Rusconi, eremita di Minucciano, in Garfagnana: «Sono contento di avere fatto la vestizione dell’abitino da Terziario e spero l’anno prossimo di fare la professione, confido in s. Francesco perché mi faccia crescere alla sua scuola, che è quella di Cristo, nella quale sto iniziando i primi passi».
Nel 1985, scrivendo ancora a fra Mario, si chiede come rispondere alla vocazione cristiana: «l’unica risposta alle tue reiterate — ma mai uguali — immagini di uno stile di vita da guerriero cristiano, eroico e umile, forte e non ambizioso, generoso e dimentico di sé, unica risposta non potrebbe essere che un assenso stupito e raggiante: “Proprio me hai scelto, Signore”» e così prosegue, con un umile realismo che nasconde una notevole capacità di analisi: «Non è così per me. O non mi ha scelto, o ha trovato la resistenza del pusillanime, che si autoconvince con cento pretesti che non deve partire, che non tocca a lui.
«Nei momenti di tristezza mi verrebbe da pensare alla seconda ipotesi: la mia grande pigrizia, la scarsa fedeltà alla preghiera, l’insufficiente e distratto amore per l’Eucarestia, la vanità e la grettezza d’animo; e tutto questo malgrado le molte grazie ricevute. Una chiamata senza risposta».
Le fonti principali cui Enzo attinge in questa ricerca, oltre all’esempio mirabile di san Francesco d’Assisi (1182-1226), sono gli Esercizi Spirituali di sant’Ignazio di Loyola (1491-1556) e la Regola di san Benedetto da Norcia (480-547).
Soprattutto grazie alla frequentazione di don Lanfranchi e degli esercizi che questi propone, con prevalenza della preghiera notturna e della meditazione sulla Sacra Scrittura, sviluppa un’attenzione peculiare alla virtù dell’umiltà, ampiamente trattata nel capitolo VII della Regola benedettina.
I «dodici gradi dell’umiltà» trattati dal santo abate di Norcia «[…] sono entrati nel suo stile di vita», spiega don Pietro Cantoni, un altro dei suoi consiglieri spirituali: «era di un’umiltà incredibile: non l’ho mai visto vantarsi una volta o mettersi in mostra. Anche se sapeva fare le cose molto bene». Nella vita professionale, più tardi, dovrà affrontare diverse questioni delicate, nel trattare le quali i toni accesi sono la normalità: se in esse avrà successo, sarà anche grazie a quella Regola.
Eppure, continua don Piero, «se poteva stare dietro le quinte, vi stava bene. Era contento del risultato raggiunto. Faceva come i benedettini che, cercando Dio, hanno civilizzato l’Europa. San Benedetto è un patrizio romano. La sua era una mentalità molto pratica. Non un esempio lontano da imitare, semmai un modello quasi naturale per Enzo. In fondo anche lui era così. Badava al sodo. Eppure, era tutt’altro che superficiale».
b) Nuove modalità di apostolato in tempi di Rivoluzione Culturale
Un insegnamento di Enzo è la sua capacità di comprendere che il processo rivoluzionario ha cambiato connotati, passando dal paludamento ideologico dello scontro tra impero comunista e mondo occidentale all’infido e scivoloso piano inclinato della Quarta fase della Rivoluzione (14).
Questa ha un carattere sfuggente, subdolo, difficilmente definibile e, a differenza delle prime tre fasi del processo rivoluzionario, non ha obiettivi chiari, definiti ed oggettivamente riconoscibili perché il suo obiettivo è l’uomo nel suo complesso: lo stile di vita, gli atteggiamenti, i pensieri, i gusti, la visione del mondo, la sua cultura in senso ampio. Quindi ciascuno di noi è obiettivo specifico della Rivoluzione e ne è in qualche misura inevitabilmente influenzato.
La quarta fase della Rivoluzione si prefigge la separazione tra fede e cultura, tra etica e vita, attraverso l’attacco ai legami che consentono di preservare l’ordine della nostra esistenza: famiglia, gerarchie naturali, amicizia, diritto naturale, vita spirituale. Da questo disordine derivano droga, aborto, eutanasia, manipolazioni genetiche, fecondazione artificiale, ideologia omosessualistica, relativismo filosofico e pratico e così via. Questo è l’esito dell’evoluzione del pensiero che caratterizza la modernità. La Quarta Rivoluzione trionfante spalanca le porte al delirio di onnipotenza e subito dopo alla solitudine, alla disperazione, al nichilismo.
Scrive Plinio Corrêa de Oliveira: «Il laicismo è sempre più diffuso ed invadente. Si impossessa delle mentalità, della cultura, dell’arte, delle relazioni sociali, insomma della vita. Orbene, in questa materia, laicizzazione significa propriamente paganizzazione.
«Si vuole abolire la libertà di coscienza, la difesa della famiglia e il diritto di educare i figli secondo la morale cristiana: Si esclude la morale cristiana dal panorama di una nazione, nel tentativo di cancellare la distinzione tra il bene e il male. Man mano che si ricaccia l’Uomo-Dio nell’ombra, il posto vuoto si riempie di “valori” molto concreti e palpabili che tuttavia, a volte, vengono glorificati come se fossero fastose astrazioni: l’Economia, la Salute, il Sesso, la Macchina e tanti altri.
«All’opposto di quello che accadeva nel mondo classico, questi “valori” non sono personificati in divinità né concretizzati in statue. Il che non impedisce che siano i veri idoli pagani del nostro infelice mondo laicizzato» (15).
Enzo era consapevole del fatto che ciascuno di noi non è un mero spettatore esterno, che analizza in modo asettico la quarta fase della Rivoluzione come un tecnico di laboratorio analizza il virus isolato in una provetta. Per quante precauzioni possiamo usare, siamo immersi nel medesimo brodo di coltura in cui prolifera questo virus e siamo inevitabilmente esposti alla sua influenza, cioè alla possibilità più o meno grave di un contagio.
Ciò è evidente quando osserviamo il nostro ambiente e rileviamo sciatteria e disordine nel nostro modo di comportarci e di vestirci così come nella cura del luogo in cui ci troviamo, mancanza di puntualità alle riunioni, partecipazione agli impegni associativi solo se non abbiamo altro da fare, insufficiente cura della nostra vita spirituale e della formazione spirituale delle persone che frequentano i nostri ambienti, approccio sovente di tipo «ideologico» e meramente «politico-culturale» alla dottrina contro-rivoluzionaria senza una adeguata attenzione al livello delle tendenze e alla cura degli «ambienti».
Per Enzo non era così: la sua militanza in Alleanza Cattolica non era un surrogato elitario del movimentismo politico di fine Novecento, una modalità un po’ strana di «fare politica» e sentirsi impegnato, così come la dimensione contemplativa non era un habitus identitario senza fondamento interiore.
Attenzione: sto parlando di rischi enormi, che molti hanno affrontato senza riuscire a superarli e che anche oggi rappresentano una costante tentazione verso l’ideologizzazione della fede, piegata a logiche di schieramento politico-culturale e agitata come logoro vessillo puramente intellettuale, ma incapace di trasformare veramente la persona in senso autenticamente cristiano.
c) Creazione di ambienti e di amicizia
Il cardinale san John Henry Newman (1801-1890) era solito dire che ci sono due modi per far capire che il pane è buono e nutriente: fare una conferenza spiegandone le componenti biologiche e chimiche e i valori nutrizionali oppure assaggiarlo e farlo assaggiare a chi ci sta vicino. La stessa cosa è per la bellezza, la virtù, la verità, la carità: devono essere vissute, non raccontate (16). E talvolta è persino sufficiente che siano vissute senza essere raccontate.
Se bastasse parlarne, la perfezione sarebbe riservata ai retori, ai filosofi, agli intellettuali. Il cristianesimo non si testimonia esclusivamente organizzando convegni, conferenze e corsi di formazione. Se si trascurano la dimensione relazionale e il valore esemplare di una vita vissuta incarnando i valori cristiani, ogni azione sarà destinata a fallire.
Chiunque abbia avuto l’occasione di frequentare Enzo, anche solo occasionalmente, è rimasto colpito dall’attenzione che mostrava per le persone che incontrava, la capacità di ascolto, la facilità di entrare in empatia con gli altri, la disponibilità a un consiglio e a farsi carico dei problemi che gli venivano presentati. Per lui la dimensione amicale è sempre stata la più importante, poiché costituisce la risposta concreta alle istanze della carità, cioè dell’amore cristiano, e al tempo stesso permette di determinare una relazione autentica e profonda con gli altri, premessa indispensabile per qualunque forma di testimonianza e di trasmissione della fede. L’amicizia si pone come il vero antidoto ai veleni rivoluzionari: «Guai al solo» (Qo. 4, 10), ammonisce la Scrittura, «guai ai soli» a maggior ragione in una società sfilacciata e incapace di legami veri, sinceri e stabili.
Enzo colse perfettamente l’urgenza di lavorare per creare ambienti, cioè situazioni esistenziali e rapporti interpersonali, idonei alla trasmissione efficace dei contenuti della nuova evangelizzazione.
Scrive Corrêa de Oliveira: «[…] spesso le anime vengono modellate molto più dai principi vivi che pervadono e impregnano gli ambienti, i costumi e le civiltà, che dalle teorie a volte stereotipate e addirittura mummificate, prodotte a scapito della realtà in qualche isolato gabinetto di lavoro o poste in letargo in qualche polverosa biblioteca» (17).
E, ancora: «[…] gli uomini plasmano per sé stessi ambienti a loro immagine e somiglianza, ambienti che riflettono i loro costumi e la loro civiltà. Tuttavia, in larga misura, è anche vero l’inverso: gli ambienti modellano a loro immagine e somiglianza gli uomini, i costumi e le civiltà» (18).
Se questi punti fermi erano così chiaramente espressi negli anni Cinquanta del secolo XX dal pensatore e uomo d’azione brasiliano, ancora maggiore e decisiva importanza rivestono oggi in tempo di società liquida, fatta di relazioni fluide, di smarrimento diffuso di ogni punto di riferimento etico e valoriale.
In un testo del 1994 rivolto ai militanti della croce di Alleanza Cattolica dedicata a San Sebastiano, da lui guidata, Enzo scrisse: «mi sembra necessario innanzitutto vivere personalmente e comunitariamente la straordinaria ricchezza di mezzi — spirituali ed intellettuali — a nostra disposizione. […] l’aspetto della vita comunitaria non è affatto secondario, né dal punto di vista teologico, perché la comunione è un aspetto essenziale della vita cristiana, né dal punto di vista dell’azione, perché nel mondo contemporaneo urge anche la risposta concreta alla tendenza all’omologazione e all’isolamento (l’omologazione rivoluzionaria dei modi di vivere è infatti funzionale all’assenza di rapporti vitali, cioè veri, tra le persone)».
In un documento organizzativo da lui scritto nel 1998 allo scopo di ripensare alcune modalità della vita associativa, rafforza il medesimo concetto: «Le caratteristiche della vita moderna nelle grandi metropoli premiano le iniziative nelle quali è possibile socializzare all’interno di micro-comunità caratterizzate da qualche affinità. Da ciò deriva che le iniziative cui dare corso, ferma restando la specificità della vocazione associativa, dovrebbero avere uno stile favorente la socializzazione, non impegnativo, sereno, aperto ai familiari e una forma che comprenda numerosi momenti liberi e di animazione». Questa attenzione alle persone, alle relazioni, alla testimonianza discreta di un cristianesimo oramai pienamente interiorizzato e vissuto, si renderà evidente anche in campo professionale.
Come ha affermato un dirigente d’azienda che lo ha frequentato per ragioni professionali per dieci anni, «chi entra in contatto con lui per ragioni professionali, non tarda ad accorgersi che Enzo vive cristianamente la dimensione del lavoro. Aveva un occhio di riguardo per le persone. Si chiedeva come poteva scuotersi, come poteva fare di più. La persona andava sempre salvata e incoraggiata verso un miglioramento, anche davanti all’evidenza dei fatti, di un operato ben fatto o mal fatto. Non ha mai perso la pazienza, aveva sempre il suo sorriso e la sua semplicità dietro le quali c’erano la disinvoltura, la capacità e la conoscenza della sua materia. Verificava se quanto faceva professionalmente era conforme a Dio. Si chiedeva sempre se quello che stava facendo, licenziamenti, ristrutturazioni, influisse, e in che modo, sulla vita delle persone».
d) La famiglia
In queste idee troviamo già il senso delle molte iniziative che Enzo ha ideato e realizzato per il coinvolgimento diretto delle persone e delle famiglie, allo scopo di creare un ambiente basato sull’amicizia e in grado di veicolare una cultura sana.
Nel discorso di Capodanno del 2008 già menzionato, volle insistere con forza sulla necessità di una battaglia culturale finalizzata a recuperare l’identità politica della famiglia, il suo ruolo pubblico, i suoi diritti correlati alla propria struttura naturale.
Enzo soprattutto ha lavorato alla creazione di una modalità di apostolato per far sì che Alleanza Cattolica coinvolgesse le famiglie e i bambini, aprendo nuovi orizzonti all’apostolato spirituale e culturale che l’associazione aveva sempre svolto. Come ha scritto l’attuale reggente nazionale di Alleanza Cattolica, Marco Invernizzi, l’associazione nasce come gruppo di giovani impegnati nella battaglia delle idee, giovani che poi diventano uomini e donne, spesso padri e madri di numerosi bambini, facendo sorgere nuove esigenze e nuove opportunità di amicizia, incontro, apostolato (19).
Dai numerosi incontri da lui promossi nascono nuovi e profondi rapporti con persone esterne all’associazione e si formano anche nuovi gruppi di Alleanza Cattolica. Al tempo stesso, i bambini cominciano a conoscere la realtà associativa e le sue proposte, sviluppate soprattutto attraverso i ritrovi estivi, per poi passare agli incontri di Capodanno e di Pasqua per i liceali.
e) I giovani e l’educazione
Accanto ai ritiri di primavera per famiglie e agli incontri di Capodanno da lui meticolosamente organizzati senza risparmio di energie fisiche e mentali, una delle priorità irrinunciabili per Enzo sono sempre stati i ragazzi, i primi e più esposti bersagli della deriva relativista e della crescente perdita di valori.
Per poter seguire al meglio il nascente e già numeroso gruppo di liceali che volle riunire a casa sua per incontri informali di formazione e di amicizia, decise addirittura di ridurre il suo impegno in altri ambiti associativi, fino a chiedere di rinunciare al ruolo di responsabile di croce.
Nacque così la Comunità di Destino, come la volle chiamare riprendendo il concetto caro al filosofo e scrittore francese Gustave Thibon (1903-2001) a proposito delle realtà sociali aggregate attorno a valori fondanti e finalità condivise (20), radunando un gruppo di ragazzi destinato a divenire sempre più numeroso: a essi Enzo dedicava tempo, intelligenza, attenzione, amicizia.
Raccontando la giovinezza di Karol Wojtyła (1920-2005), il suo biografo George Weigel descrive gli incontri di formazione organizzati presso la propria abitazione — una sorta di Comunità di Destino ante litteram —da un laico, il venerabile Jan Leopold Tyranowski (1901-1947), e osserva che questi, definito il «sarto mistico», «[…] riusciva in qualche modo a comunicare che i temi dottrinali di cui discutevano non erano per lui astrazioni, bensì oggetto di esperienza quotidiana. E questa era una qualità potente, quasi irresistibile» (21).
L’emergenza educativa ha fatto sì che Enzo diventasse anche ideatore, fondatore e quindi presidente di una scuola materna parrocchiale, l’Asilo San Gioachimo, presso la sua parrocchia di appartenenza. Enzo si è buttato in questa ennesima avventura innanzitutto perché desideroso di avere una buona struttura in cui mandare i propri figli, ma principalmente per la consapevolezza del fatto che una scuola materna ben organizzata e fondata su valori autentici rappresenta un piccolo mattone dell’edificio della riconquista culturale a cui aveva votato l’esistenza.
3. Conclusioni: la santità dell’ordinario
Spero di essere riuscito a trasmettere qualcosa delle molte cose buone che Enzo ha testimoniato e ci ha lasciato come preziosa eredità da proseguire. Una vita attenta al «reale», contro ogni tentazione utopistica rivoluzionaria, fondata sulla roccia del buon senso e del diritto naturale, alimentata dalla grazia sacramentale e dalla devozione mariana. La sua generosa impulsività talvolta poteva essere letta come spigolosità di carattere, ma di certo ha ricevuto tanti talenti ai quali ha saputo corrispondere con fedele perseveranza.
Resto profondamente convinto che ci troviamo di fronte alla figura di un uomo che ha posto la santità quale traguardo dell’esistenza, cioè ha deciso di affrontare l’avventura della vita in tutti i suoi aspetti — familiare, professionale, associativo — avendo il desiderio di guardare in alto, di aspirare ai beni più grandi, secondo l’insegnamento di san Paolo. La chiamata universale alla santità, affermata dal Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965) e ribadita con forza dall’esortazione apostolica post-sinodale di san Giovanni Paolo II (1978-2005) Christifideles laici, del 30 dicembre 1988, a lui molto cara, è sempre stata una prospettiva concreta e reale, una mèta ambita, un desiderio, non un’utopia.
Uno dei temi che Enzo ha affrontato nel proprio apostolato culturale in tema di famiglia è stata la necessità di riabilitare il ruolo e la figura paterna in una società indebolita dalla perdita del senso dell’autorità, dei valori, dell’educazione. Scrivendo proprio su questo tema, con parole che richiamano immediatamente l’esemplarità di Enzo, lo psicologo Roberto Marchesini afferma: «la madre dà la vita, il padre ha il compito sgradevole ma necessario di ripetere “memento mori”, ricordati che devi morire. La madre insegna a vivere; il padre insegna a morire, dopo avere dato uno scopo alla propria vita e quindi essere vissuti con onore. Se non c’è nulla per cui valga la pena di spendere la vita, questo è ciò che vale la vita: nulla» (22).
L’11 febbraio 2004, subito dopo aver ricevuto la notizia della morte dell’amico pisano Marco Tangheroni (1946-2004), socio fondatore di Alleanza Cattolica, Enzo scrisse: «La mia mente lo vede sorridere in partenza sulle navi per la Divina Dimora, il mio cuore è ancora duro per riconoscere che ogni perdita umana di un giusto è sguardo amorevole e premuroso sul nostro povero operare nel tempo.
«Quando morirò vorrei che la nostra amicizia fosse ancora più grande e matura di quella presente».
Sono profondamente convinto che la vita di Enzo sia una conferma di quanto scrive il pensatore colombiano Nicolás Gómez Dávila (1913-1994): «naturale e soprannaturale non sono piani sovrapposti ma fili intrecciati» (23).
Il libro della Sapienza (3, 9) dice a proposito dei fedeli del Signore: «Coloro che confidano in lui comprenderanno la verità; i fedeli nell’amore rimarranno presso di lui, perché grazia e misericordia sono per i suoi eletti».
Se la nostra vita si fonderà su questi punti fermi, la tempesta non ci potrà inghiottire: «I giusti vivono per sempre, la loro ricompensa è presso il Signore e di essi ha cura l’Altissimo. Per questo riceveranno una magnifica corona regale, un bel diadema dalle mani del Signore, perché li proteggerà con la destra, con il braccio farà loro da scudo» (Sap. 5, 15-16).
Il pensiero di Enzo e della sua caparbia tenacia nel perseguire gli obiettivi più alti rimanda alla vibrante esortazione di Corrêa de Oliveira: «La grazia, che Dio non rifiuta mai, può quanto le forze semplicemente naturali non potrebbero. Dio vuole essere servito fino all’ultimo respiro, fino al venir meno dell’ultima energia, e moltiplica le nostre capacità di soffrire e di agire, perché la nostra dedizione giunga ai limiti dell’imprevedibile, dell’inverosimile, del miracoloso. La misura di amare Dio consiste nell’amarlo senza misure, ha detto san Francesco di Sales [1567-1622]. Noi diremmo che la misura di lottare per Dio consiste nel lottare senza misure.
«Ma io, come mi stanco presto! Nelle mie opere di apostolato il più piccolo sacrificio mi ferma, il più piccolo sforzo mi fa paura, la più piccola lotta mi mette in fuga. Sì, l’apostolato mi piace. Un apostolato completamente conforme alle mie preferenze e alle mie fantasie, al quale mi dedico quando voglio, come voglio, perché voglio. E poi credo di aver fatto un’enorme elemosina a Dio.
«Ma Dio non si accontenta di questo. Per la Chiesa vuole tutta la mia vita, vuole organizzazione, vuole sagacia, vuole intrepidezza, vuole l’innocenza della colomba ma anche l’astuzia del serpente, la mitezza dell’agnello ma anche l’impeto irresistibile e terribile del leone» (24).
Dio non si accontenta, Dio vuole tutta la vita, vuole organizzazione, sagacia, intrepidezza.
Enzo, rispondendo come ha potuto alla propria vocazione cristiana, umana ed anche associativa, ha assolto a questo incarico e ha indicato a tutti noi la direzione da seguire.
Note:
(1) Cfr. «In memoriam» di Enzo Peserico, in Cristianità, anno XXXVI, n. 346, marzo-aprile 2008, pp. 12-13.
(2) John Ronald Reuel Tolkien (1892-1973), Il Signore degli Anelli, trad. it., 3 voll., Rusconi, Milano 1993, vol. II. Le due Torri, p. 355.
(3) Gonzague de Reynold, La Casa Europa, trad. it., D’Ettoris Editori, Crotone 2015, p. 36.
(4) Cfr. Pontificio Consiglio della Cultura, La «Via pulchritudinis». Cammino privilegiato di evangelizzazione e di dialogo, del 27/28-3-2006.
(5) Ibid., par. II.3.
(6) Ibid., par. III.3, lett. B.
(7) Cfr. Jerónimo Nadal [S.J., 1507-1580], In examen annotationes, in Epistolae, 4 voll., Lopez del Horno, Madrid 1898-1905, vol. IV (Selecta natalis monumenta in ejus epistolis commemorata), ep. 66, pp. 649-653 (p. 651).
(8) Cfr. G. de Reynold, op. cit., p. 39.
(9) Per la nozione di Rivoluzione, cfr. soprattutto Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995), Rivoluzione e Contro-Rivoluzione. Edizione del cinquantenario (1959-2009); con materiali della «fabbrica» del testo e documenti integrativi, trad. it., a cura e con Presentazione di Giovanni Cantoni (1938-2020), Sugarco, Milano 2009.
(10) Cfr. Enzo Peserico, Capire o dimenticare il Sessantotto?, in Cristianità, anno 13, n. 126, ottobre 1985, pp. 13-14; Gli anni del desiderio e del piombo. Dal Sessantotto al terrorismo, in Quaderni di «Cristianità», anno II, n. 5, estate-inverno 1986, pp. 3-34; e Gli anni del desiderio e del piombo. Sessantotto, terrorismo e rivoluzione, con Presentazione di Marco Invernizzie Prefazione di Mauro Ronco, Sugarco, Milano 2008.
(11) CENSIS. Centro Studi Investimenti Sociali, 41° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese 2007. Considerazioni generali, FrancoAngeli, Milano 2007, p. 7.
(12) Cfr. Zygmunt Bauman (1925-2017), Modernità liquida, trad. it., Laterza, Roma-Bari 2011.
(13) Cfr. G. Cantoni, Un «Dizionario del Pensiero Forte», in Istituto per la Dottrina e l’Informazione Sociale, Voci per un «Dizionario del Pensiero Forte», a cura di Idem, presentazione di Gennaro Malgieri, Cristianità, Piacenza 1997, pp. 11-13.
(14) Cfr. P. Corrêa de Oliveira, op. cit., p. 177.
(15) Idem, Innocenza primordiale e contemplazione sacrale dell’universo, trad. it., Cantagalli, Siena 2013, p. 88.
(16) «Gli uomini del nostro tempo, magari non sempre consapevolmente, chiedono ai credenti di oggi non solo di “parlare” di Cristo, ma in certo senso di farlo loro “vedere”» (Giovanni Paolo II, Lettera apostolica «Novo millennio ineunte» al termine del Grande Giubileo dell’Anno Duemila, del 6-1-2001, n. 16).
(17) P. Corrêa de Oliveira, Innocenza primordiale e contemplazione sacrale dell’universo, cit., p. 105.
(18) Ibid., p. 106.
(19) Cfr. Marco Invernizzi, Alleanza Cattolica dal Sessantotto alla «nuova evangelizzazione», Piemme, Casale Monferrato (Alessandria) 2004, p. 149.
(20) Cfr. Gustave Thibon, Diagnosi, trad. it., Volpe, Roma 1973, pp. 149 e ss.
(21) George Weigel, Testimone della speranza, trad. it., Mondadori, Milano 1999, p. 75.
(22) Roberto Marchesini, Quello che gli uomini non dicono, Sugarco, Milano 2011, p. 17.
(23) Nicolás Gómez Dávila, In margine a un testo implicito, trad. it., Adelphi, Milano 2001, p. 112.
(24) P. Corrêa de Oliveira, Via Crucis, Due meditazioni, trad. it., Cristianità, Piacenza 1991, pp. 77-78.