Manfred Hauke, Cristianità n. 404 (2020)
Recensione di Manfred Hauke, docente di Teologia Dogmatica presso la Facoltà di Teologia di Lugano, in Svizzera, pubblicata sulla Rivista di Teologia di Lugano, organo della medesima Facoltà, con il titolo Celebrare Lutero? Riflessioni sulla Riforma negli scritti giovanili di Lutero (anno XXV, n. 1, 2020, pp. 111-116). Le inserzioni fra parentesi quadre sono redazionali.
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Ermanno Pavesi, psichiatra con esperienza professionale nella Svizzera tedesca, è docente emerito di Psicologia dell’Accademia Teologica di Coira. Per decenni ha insegnato anche alla Gustav-Siewerth-Akademie (Baden-Würtemberg), istituto di forte impronta interdisciplinare, vari temi che coniugano aspetti psicologici, filosofici e teologici. Il presente volume offre un’analisi sistematica dei primi scritti di Lutero [1483-1546], in parte mai tradotti in italiano. L’occasione è stata il cinquecentesimo anniversario della Riforma luterana nel 2017. L’opera è dedicata a due specialisti rinomati della Riforma protestante: Remigius Bäumer (1918-1998), professore ordinario di Storia ecclesiastica medievale e moderna all’Università di Freiburg im Breisgau, e Theobald Beer (1902-2000), autore di uno studio importante sulla teologia di Lutero pubblicato dalla casa editrice di Hans Urs von Balthasar [1905-1988] (Johannes-Verlag) e dottore honoris causa all’Università di Ratisbona.
Dopo la premessa di Oscar Sanguinetti (pp. 11-15), una nota editoriale rende conto del modo in cui si è proceduto a citare con precisione le opere di Lutero dalle fonti originali in tedesco e in latino (p. 17). Roberto Spataro, della Pontificia Università Salesiana di Roma, offre Una panoramica storiografica che spiega l’importanza dello studio di Pavesi nella ricerca contemporanea e rispetto al dialogo tra cattolici e protestanti (pp. 19-28). Spataro mette in guardia da una lettura di Lutero che dimentica i gravi problemi intrinseci alla «svolta riformatrice» luterana e la sua opposizione alla fede cattolica.
Lo studio di Pavesi è strutturato in sedici capitoli. Il primo è intitolato: 1517: vera data di nascita della Riforma? (pp. 31-33). La data del 31 ottobre 1517 riguarda l’invio di una lettera ad alcuni teologi che raggiunse presto, come una bufera, l’opinione pubblica. Non è storicamente confermata, invece, la tradizione secondo cui Lutero avrebbe affisso le 95 tesi al portone della chiesa del castello di Wittenberg. Troviamo poi varie opinioni sull’inizio della svolta riformatrice, che è collocato dai diversi autori entro un periodo che va dal 1505 al 1519.
Il secondo capitolo, altrettanto breve, pone la domanda: Le indulgenze, vera causa della riforma? (pp. 35-37). La questione delle indulgenze diede a Lutero l’occasione per opporsi al Papa, ma di per sé «[…] avrà solo un ruolo marginale nel pensiero del Riformatore tedesco» (p. 35). Tra le quarantuno tesi censurate da papa Leone X [1513-1521] nella bolla Exsurge Domine soltanto sei riguardano le indulgenze. Per Lutero stesso la cosa più importante fu la negazione del libero arbitrio. Il riformatore tedesco sottolinea: «Dopo il peccato originale il libero arbitrio è tale solo di nome e pecca mortalmente finché agisce contando sulle proprie forze» (p. 36). Lutero definisce la negazione del libero arbitrio la migliore tesi tra quelle condannate dal Papa e la summa della causa riformatrice, estremamente rilevante per la dottrina sulla giustificazione (cfr. pp. 36-37).
Dopo aver presentato questo punto decisamente scomodo e poco presente in certe correnti dell’ecumenismo attuale, l’autore delinea, nel terzo capitolo, la dottrina della giustificazione o (meglio) ciò che su questa tema afferma la Dichiarazione congiunta del 1999 tra la Chiesa cattolica e la Federazione Luterana Mondiale (pp. 39-42). Pavesi è d’accordo con il pastore valdese Paolo Ricca, quando afferma che il Concilio di Trento [1545-1563] non ha «[…] condannato la Riforma perché l’ha fraintesa. Al contrario, si deve dire che l’ha condannata perché l’ha capita» (p. 41).
Poi Pavesi descrive lo scopo della sua ricerca: «Il mio lavoro si propone di contribuire alla conoscenza delle origini della Riforma protestante analizzando testi del giovane Lutero nel periodo della rottura con la Chiesa cattolica. L’attenzione è rivolta, quindi, alle tesi filosofiche e teologiche controverse, senza prendere in considerazione quanto Lutero ha scritto ancora in sintonia con la dottrina cattolica» (p. 42).
Il cap. IV riguarda gli anni 1516-1520: Lutero, dalla crisi spirituale alla Riforma (pp. 43-56). Lutero stesso afferma di «[…] esserci stato costretto in qualche modo» a entrare in convento (p. 43). Pavesi riferisce l’ipotesi di Dietrich Emme secondo cui Lutero, dopo aver ucciso in duello un altro studente, poté sottrarsi alla giustizia civile chiedendo asilo al monastero (pp. 44-45). Sperimentando le tentazioni della carne, Lutero si vede nell’impossibilità di obbedire ai comandamenti divini senza la grazia. Egli «[…] nega pure che l’uomo sia dotato di libero arbitrio» (p. 52). Si potrebbe dire, con una terminologia moderna, che per il riformatore tedesco l’atto umano «sarebbe soltanto il prodotto finale di un processo o un’attitudine che lo condizionerebbero. […] l’uomo accondiscende consapevolmente a una pulsione inconscia» (p. 53). Secondo l’autore, che cita a tal proposito un articolo di Leo Scheffczyk [1920-2005] sulla dottrina della Grazia in Lutero, la contrapposizione radicale natura-grazia è intesa dal riformatore nel senso della contrapposizione peccato-grazia (cfr. p. 54). Siccome Lutero identifica la concupiscenza con il peccato, la descrive come un albero cattivo che mai potrebbe essere sanato (cfr. p. 55).
Il cap. V espone La dottrina della giustificazione di Lutero nel commento alla lettera ai Romani di san Paolo. 1515-1516 (pp. 57-69). In questo scritto è già evidente l’identificazione tra concupiscenza e peccato (cfr. p. 67).
Il cap. VI fa intravvedere un tema che in seguito sarebbe stato sottolineato ancora più fortemente dal protestantesimo liberale dei secoli XIX e XX, specialmente da Adolf von Harnack [1851-1930] (e dai suoi seguaci cattolici): Postulati della Riforma e de-ellenizzazione del cristianesimo (pp. 71-81). «Nelle lezioni sulla Lettera ai Romani di san Paolo si possono riconoscere gli inizi dello sviluppo del pensiero di Lutero: la crisi personale lo ha portato alla convinzione che le opere non potrebbero contribuire alla giustificazione e a mettere in dubbio il valore della confessione sacramentale» (p. 71). Il riformatore contrappone il pensiero filosofico (metafisico e morale), presentato come sapienza mondana, alla «sapienza spirituale che avrebbe la sua unica fonte nella sacra Scrittura» (ibidem).
Le 97 tesi della Disputa contro la teologia scolastica del 4 settembre 1517 iniziano con la negazione del libero arbitrio (cfr. p. 72). In questa disputa Lutero sostiene «[…] che l’amore per sé, anche per le creature, sarebbe incompatibile con l’amore di Dio» perché completamente condizionato dalla concupiscenza (p. 75). Legge e amore sono contrapposti (cfr. p. 76). Lutero critica specialmente Aristotele [384/383-322 a.C.]: «Tutto Aristotele si comporta nei confronti della teologia come la tenebra verso la luce» (p. 77). Pavesi ricorda il discorso di Benedetto XVI [2005-2013] all’Università di Ratisbona, quando il Papa osservò: «La de-ellenizzazione emerge dapprima con i postulati della Riforma del XVI secolo» (p. 81).
Il cap. VI tratta lo sviluppo dalle 95 tesi alla scomunica (pp. 83-100). Secondo Lutero, alla radice dell’interpretazione erronea delle indulgenze ci sarebbe la filosofia di Aristotele che valorizza la pratica delle virtù per acquisire dei meriti. Ciò sarebbe una «teologia della gloria» che dimenticherebbe la teologia della croce (p. 89; cfr. p. 92). Nelle 95 tesi e nel suo commento delle stesse nelle Resolutiones del 1518 Lutero non nega ancora completamente il valore delle indulgenze (cfr. p. 90 e ss.). Dopo la bolla Exsurge Domine, il riformatore tedesco insiste soprattutto sulla negazione del libero arbitrio (cfr. p. 98 e ss.).
Il cap. VII presenta I motivi della scomunica: non solo le indulgenze e la loro efficacia (pp. 101-103). Pavesi ricorda che, già nel 1518, Lutero si chiede se il Papa sia l’Anticristo; nel 1520 lo afferma ed esorta i suoi lettori a lavarsi le mani nel sangue dei prelati romani guidati dal Vescovo di Roma (cfr. p. 102 e ss.).
Il cap. IX è dedicato a due scritti determinanti della Riforma protestante del 1520: La libertà del cristiano e la cattività babilonese della Chiesa (pp. 105-128). Lutero proclama la libertà dall’osservanza delle norme ecclesiastiche. Vi è un attacco frontale alla Santa Messa per tre motivi: la comunione sotto una sola specie, la dottrina della transustanziazione e il sacrificio che include la cooperazione umana (cfr. p. 108 e ss.). La Messa è sostanzialmente la promessa della redenzione avvenuta sulla Croce (cfr. p. 111). Qui non ha rilevanza la differenza tra sacerdoti e laici (cfr. p. 112). Dei sette sacramenti Lutero mantiene solo la Cena del Signore (spiegata nel senso accennato) e il Battesimo.
Segue il cap. X: Gli esordi della Riforma protestante nel primo pamphlet di Martin Lutero (pp. 129-148). È qui trattato l’appello Alla nobiltà cristiana della nazione tedesca, del 1520. Il riformatore coinvolge i principi tedeschi nella ribellione al papato. Nei Discorsi conviviali (Tischreden)del 1537 Lutero sottolinea, in una visione retrospettiva, che non gli interessa la vita del Papa (buona o cattiva), ma la sua dottrina che gli merita di essere proclamato pubblicamente come l’Anticristo (cfr. p. 131). Nel criticare la Chiesa di Roma assume toni nazionalistici (cfr. p. 133 e ss.), chiede l’abolizione delle confraternite (cfr. p. 134) e degli ordini religiosi (cfr. pp. 141-143), polemizza di nuovo contro la filosofia aristotelica (attaccando specialmente la valorizzazione delle virtù nell’Etica) (cfr. pp. 135-139) e contro il diritto canonico che sarebbe opera del diavolo (cfr. p. 141), e così via. Già nei tre libri del 1520, ancora prima della scomunica, Lutero scatena quindi «un attacco frontale alla Chiesa» (p. 148).
Il cap. XI tratta il tema Potere civile e guerra dei contadini (pp. 149-161). Poiché l’uomo, a causa del peccato originale, «[…] sarebbe mosso solo da egoismo, cupidigia e concupiscenza», Lutero afferma la necessità di «un intervento forte del potere civile» (p. 150). E nemmeno è permesso opporsi ai tiranni, un parere in forte tensione con lo scritto sulla libertà cristiana del 1520 (cfr. p. 151). La ribellione dei contadini, che si sentivano incoraggiati dagli slogan di Lutero sulla libertà cristiana, sfociò in una guerra soppressa poi con grande crudeltà dai principi. Il riformatore tedesco esortò il potere civile (almeno quello protestante) a massacrare i rivoltosi e difese la servitù della gleba. Lutero giustificò addirittura alcune esecuzioni «preventive» (p. 159).
Il cap. XII descrive Il conflitto tra Erasmo da Rotterdam e Lutero riguardo al libero arbitrio (pp. 163-184). Il dotto umanista Erasmo [1467-1536] ebbe per anni contatti epistolari con Lutero e apprezzò all’inizio la sua opera riformatrice. Nel 1524, però, pubblicò una difesa del libero arbitrio a cui Lutero rispose con un’opera ampia e polemica intitolata De servo arbitrio (1525). L’intervento di Erasmo fu preparato dall’umanesimo che si oppone al determinismo astrologico (cfr. pp. 164-171). Erasmo riconosce che il peccato originale ha danneggiato le facoltà naturali dell’uomo, senza però averle compromesse interamente. La Sacra Scrittura, per esempio, nell’appello a scegliere tra vita e morte, presuppone chiaramente la permanenza del libero arbitrio nell’uomo. Lutero, invece, sostiene che il «[…] peccato originale non concede al libero arbitrio nessun’altra possibilità se non quella di peccare e di essere condannato» (p. 176, De servo arbitrio). Per lui l’onnipotenza e la predestinazione di Dio sono incompatibili con il libero arbitrio. Lutero cita abbondantemente Agostino [534-430], ma tace tutti i testi con cui il Padre della Chiesa difende il libero arbitrio (non soltanto negli scritti giovanili contro i manichei, ma anche nelle opere della maturità come il De civitate Dei) (cfr. p. 178). Secondo il riformatore tedesco, «qualsiasi cosa venga da noi compiuta, non è opera del libero arbitrio ma della pura necessità» (p. 179, De servo arbitrio). Nel 1537, di fronte alla proposta di pubblicare la raccolta completa delle sue opere o almeno una selezione, Lutero dichiarò «[…] di riconoscerne solamente due: il De servo arbitrio e il Catechismo, mentre avrebbe voluto distruggere tutte le altre, facendo come il dio Saturno che […] avrebbe divorato i suoi figli» (p. 181). Secondo Lutero la questione del libero arbitrio è «il punto cruciale» della controversia, mentre altri problemi (papato, purgatorio, indulgenze) sarebbero, rispetto a quel punto principale, «sciocchezze più che vere questioni» (p. 182).
Il cap. XIII si pone la domanda Sola Scriptura? (pp. 185-188). Il principio luterano sola Scriptura non è molto evidente nell’uso pratico della Bibbia da parte di Lutero. «Non di rado i curatori delle sue opere segnalano che i passi citati differiscono dall’originale» (p. 185). Oltre alle note critiche riservate dal riformatore tedesco a scritti del Nuovo Testamento, come la Lettera di Giacomo e l’Apocalisse, troviamo anche alcune osservazioni in cui Lutero pretende di correggere l’apostolo Paolo (cfr. p. 186 e ss.).
Il cap. XIV analizza Il commento alla Lettera ai Galati di san Paolo: la giustificazione per sola fede (pp. 189-207). Si tratta di lezioni tenute in latino nel 1531 e pubblicate poi nel 1535 (cfr. p. 193). Per Lutero la giustizia divina e la coscienza non possono orientarsi né alla Legge né al diritto naturale (cfr. p. 202). Perciò la voce della coscienza porterebbe alla disperazione e al desiderio di suicidarsi (cfr. p. 203). Per essere giustificati basta la fede con la convinzione che Dio ci perdona. La tesi secondo cui la coscienza morale porterebbe a numerosi disturbi psichici «[…] anticipa di secoli alcune teorie formulate dal fondatore della psicanalisi […] Sigmund Freud» (p. 207).
Il cap. XV si occupa di Riforma e rivoluzione (pp. 209-227) e parte dall’osservazione di un pensatore contemporaneo che riconduce gli sviluppi negativi dell’epoca moderna alla Riforma protestante, alla Rivoluzione francese e a quella comunista (p. 210). Pavesi, che accoglie le riflessioni della docente di filosofia sociale Gabriella Cotta, mette in luce il legame tra le idee di Thomas Hobbes [1588-1679] e le teorie antropologiche e politiche di Lutero, specialmente per quanto riguarda la negazione del libero arbitrio e la dottrina classica delle virtù (cfr. pp. 214-219). Hobbes, come il riformatore tedesco, difende l’obbligo di obbedire all’autorità statale anche se ingiusta (cfr. p. 217). Il sovrano politico è anche l’autorità suprema per la religione (p. 218). Pavesi presenta la figura di Friedrich Schleiermacher [1768-1834] (cfr. pp. 219-222) e quella di Sigmund Freud [1856-1939] (cfr. pp. 222-226). Lo psicologo viennese scrive: «Il rapporto dell’Io con l’Es potrebbe essere paragonato a quello del cavaliere con il suo cavallo» (p. 224). L’Es è la realtà impersonale del subcosciente (Eros e Thanatos) che «cavalca» l’Io privo del libero arbitrio. Freud usa la medesima metafora utilizzata da Lutero per descrivere il rapporto tra il diavolo e l’uomo nel peccato (cfr. p. 224 e ss.).
Il cap. XVI, l’ultimo, si pone la domanda: Quo vadis, La Civiltà Cattolica? (pp. 229-237). Pavesi riferisce le tesi di un articolo pubblicato nel 2017 su La Civiltà Cattolica, che lasciano perplesso chiunque abbia potuto attingere ai testi autentici di Lutero, riportati abbondantemente nello studio di Pavesi e messi a disposizione anche di quei teologi che ritengono la scomunica di Lutero un provvedimento sbagliato.
L’appendice comprende una nuova traduzione, più fedele all’originale tedesco, di un articolo del cardinale Ratzinger apparso nel 1983 (e per la prima volta in italiano nel 1987): Lutero e l’unità delle Chiese. Domande al Cardinale Joseph Ratzinger (pp. 239-259). Quest’articolo, tuttora molto attuale, smentisce molte fantasticherie pseudo-ecumeniche sulla figura di Lutero.
Nelle ultime pagine l’opera offre una biografia essenziale di Martin Lutero (pp. 261-263), una bibliografia delle sue opere, anche in traduzione italiana (pp. 265-268), e degli studi sul riformatore tedesco (pp. 268-270), sulla Riforma (pp. 270 e ss.) e altro (pp. 271-274). Non manca l’indice dei nomi delle persone menzionate nel testo (pp. 275-278).
Lo studio di Pavesi va contro la tendenza ideologica a glorificare la figura di Lutero, senza conoscerlo bene, e convince grazie a un metodo molto preciso: l’autore cita puntualmente le fonti, specialmente le opere del riformatore, e permette ai lettori italofoni di conoscere anche testi non raggiungibili nella lingua di Dante [1265-1321]. Ricordiamo, comunque, che l’autore non ha la pretesa di presentare tutte le sfumature di Lutero (che trasmette anche molte idee condivisibili nella tradizione cattolica), ma intende concentrarsi sugli aspetti che hanno causato una controversia (p. 42; cfr. sopra). Per arrivare all’unità di tutti i cristiani nella verità e nella carità, bisogna affrontare con precisione le controversie. Ermanno Pavesi ha reso un servizio prezioso, soprattutto a proposito dell’importanza del libero arbitrio che è decisiva non soltanto per la teologia, ma anche per la filosofia e per tutta la vita sociale.
Manfred Hauke