Giovanni Cantoni, Cristianità n. 1 (1973)
La pubblicazione in Italia del manifesto della TFP cilena L’autodemolizione della Chiesa, fattore della demolizione del Cile (1), ha suscitato reazioni diverse, che vanno dalla condivisione piena dello spirito che lo anima o dal semplice interesse documentario fino alla opposizione e al dispetto. Purtroppo hanno manifestato opposizione e dispetto, o almeno contrarietà, non solo – com’era prevedibile – i nemici del nome cristiano e quanti sono disposti a barattare una primogenitura per un piatto di lenticchie – anzi, per la “promessa di un piatto di lenticchie”! -, ma anche coloro che amano a dismisura il quieto vivere e vorrebbero che venissero tenute nascoste… cose che tutti possono apertamente vedere, lo vogliano o non lo vogliano.
La tecnica di costoro è spesso consistita nel sollevare dubbi sulla autenticità della documentazione, naturalmente senza portare prove della falsità dei fatti addotti, ma semplicemente spargendo frasi del tipo: “Il Cile è lontano. Si possono dire e far dire tante cose…”. A loro confusione, però, e rieccheggiando una frase entrata nell’uso, si può dire che “il Cile è vicino”. Infatti molte notizie giungono anche attraverso fonti che, secondo il modo corrente di giudicare le cose, non sono sospettabili di pregiudizio o di avversione preconcetta. Così, ad esempio, pochi giorni prima del golpe che ha riempito le cronache, l’inviato di un quotidiano italiano ha intervistato mons. Raúl Silva Henríquez, arcivescovo di Santiago e primate del Cile (2).
Nel corso dell’intervista il porporato ha sostenuto alcune tesi a dir poco scandalose, che sottoponiamo alla benevola attenzione dei contraddittori che hanno il culto della “obiettività”.
Inviato: “Eminenza, due anni fa lei ha detto che nel socialismo ci sono più valori evangelici che nel capitalismo. Oggi il clima di Santiago è acceso; il grande scontro frontale è nell’aria. Di fronte a questa drammatica situazione che potrebbe trasformarsi da un momento all’altro in tragedia, lei ripeterebbe quella frase che ha destato tanto scalpore?“.
Card. Silva Henriquez: “Credo che vi siano molti valori in entrambi i sistemi sociali. Così come credo che in entrambi vi siano disvalori. E tuttavia il valore che più mi sembra evangelico nel socialismo, sempre che questo socialismo non sia di tipo marxista. Credo, cioè, in un socialismo che vuole una società basata sull’altruismo, rompendo gli schemi dell’egoismo su cui poggia il capitalismo”.
Interrompo la citazione e mi soffermo ad analizzare l’affermazione. Dunque, né socialismo né capitalismo sono sistemi ideali. Un giudizio cristiano su questi sistemi economici comporta la scoperta di valori e di disvalori in entrambi; ma una scelta cristiana implica la valutazione e il confronto della presenza qualitativa e quantitativa di questi valori e di questi disvalori in entrambi. Il giudizio in proposito, dal punto di vista cattolico, è stato formulato reiteratamente e le citazioni sono troppe per essere riportate tutte. Mi limito perciò al giudizio e alla scelta implicita contenuti in affermazioni di Pio XI, il pontefice della Non abbiamo bisogno, della Mit brennender Sorge, della Divini Redemptoris e della Quadragesimo anno.
Nella Quadragesimo anno Pio XI ricorda la definizione di capitalismo data da Leone XIII nella Rerum novarum – “ordinamento economico in cui generalmente si contribuisce all’attività economica dagli uni col capitale, dagli altri con il lavoro […] che [Leone XIII] definiva con felice espressione: “Non può esservi capitale senza lavoro, né lavoro senza capitale”” (3) – e prosegue con sentenza spesso dimenticata: “Orbene, Leone XIII si sforzò a tutto potere di disciplinare questo ordinamento economico, secondo le norme della rettitudine; sicché è evidente che esso non è da condannarsi. E infatti non è di sua natura vizioso […]. (4).
Il pontefice passa quindi a distinguere tra “un partito […] del socialismo”, il comunismo, “il quale insegna e persegue due punti, né già per vie occulte o per rigiri, ma alla luce aperta e con tutti i mezzi, anche più violenti: una lotta di classe la più accanita e l’abolizione assoluta della proprietà privata“; e “l’altro partito che ha conservato il nome di socialismo“, ma che è più moderato perché “non solo professa di rigettare il ricorso alla violenza, ma se non ripudia la lotta di classe e l’abolizione della proprietà privata, la mitiga almeno con attenuazioni e temperamenti” (5).
A proposito del primo, il comunismo, il Sommo Pontefice nella Divini Redemptoris dice che “è intrinsecamente perverso e non si può ammettere in nessun campo la collaborazione con lui”. (6); del secondo, sempre nella Quadragesimo anno dichiara: “Né perciò si dovrà credere che quei partiti o gruppi di socialisti, che non sono comunisti, siansi ricreduti tutti a tal segno, o di fatto o nel loro programma. No, perché essi per lo più non rigettano né la lotta di classe né l’abolizione della proprietà, ma solo la vogliono in qualche modo mitigata. […] Ma che dire – si chiede Pio XI – nel caso che, rispetto alla lotta di classe e alla proprietà privata, il socialismo sia realmente così mitigato e corretto da non aver più nulla che gli si possa rimproverare su questi punti? Ha con ciò forse rinunziato ai suoi principii, alla sua natura contraria alla religione cristiana?” (7). La risposta del Papa è perentoria e inequivocabile: “[…] proclamiamo che il socialismo, sia considerato come dottrina, sia considerato come fatto storico, sia come “azione”, se resta veramente socialismo, anche dopo aver ceduto alla verità e alla giustizia su quei punti che abbiamo detto, non può conciliarsi con gli insegnamenti della Chiesa cattolica. Giacché il suo concetto della società è quanto può dirsi opposto alla verità cristiana. […] [Infatti] la società […], quale è immaginata dal socialismo, non può esistere né concepirsi disgiunta da una costrizione veramente eccessiva […] Socialismo religioso e socialismo cristiano sono dunque termini contradditorii: nessuno può essere buon cattolico ad un tempo e vero socialista” (8).
Ritorno alla dichiarazione del cardinale di Santiago e chiedo: che ne è di tutto questo nella sua affermazione? Dov’è finita la distinzione tra una realtà “intrinsecamente perversa” e quella sua forma più moderata, ma che è ancora “quanto può dirsi opposto alla verità cristiana” ed è inconcepibile disgiunta dal totalitarismo; e un ordinamento economico che “non è da condannarsi”, dal momento che non è “di sua natura vizioso“? In buon latino, “[haec oeconomiae ratio] suapte natura vitiosa non est”? È possibile che un “valore […] evangelico” sia maggiormente presente in una dottrina opposta alla verità cristiana e che “immagina” una società che “non può esistere né concepirsi disgiunta da una costrizione veramente eccessiva“, piuttosto che in una realtà economica non condannabile in sé, ma anzi “disciplinabile” in quanto non intrinsecamente perversa, “di sua natura non viziosa“?
Per un attimo mi lascio sedurre dall’ipotesi che la posizione del presule cileno sia dettata da ingenuità o da disinformazione – l’eufemismo con cui il rispetto umano della nostra società, che si vanta demolitrice di tabù, indica la ignoranza -, ma devo lasciar cadere entrambe le possibilità dal momento che in Cile hanno “parlato” anche le pietre: tre anni di “regime” socialista non possono non avergli insegnato niente.
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Una grande volontà di comprendere – che a questo punto qualcuno giudicherà forse degna di miglior causa – mi spinge a ritornare sui testi citati, quello di mons. Silva Henríquez e quelli di Papa Pio XI. Il pontefice sembra introdurre delle cautele nei giudizi di fatto; dice che “non si dovrà credere che quei partiti o gruppi di socialisti […] siansi ricreduti tutti”, lasciando forse la possibilità di pensare che questo partito o quel gruppo di socialisti si sia ricreduto; parlando di essi, dice “per lo più “, permettendo forse di immaginare minoranze diverse, ecc. È vero che, nonostante la possibilità che qualcuno di essi si “sia realmente […] mitigato e corretto“, emette un giudizio drastico e al di sopra di ogni fraintendimento, ma… e se il cardinale cileno si fosse proprio imbattuto in uno di questi partiti o gruppi, fatto salvo il giudizio di valore, non si potrebbe immaginare che la sua dichiarazione contenga soltanto un giudizio di fatto, opinabile e certo ambiguamente espresso, ma comprensibile?
Proseguo nella lettura dell’intervista e passo alla risposta al quesito: “Oggi qual’è la posizione della Chiesa cilena di fronte al governo marxista di Allende?“: “Il governo attuale non è marxista“, afferma il cardinale. Ecco, si trattava di un giudizio di fatto, a mio avviso errato, ma di fatto! Esulto, ma la mia gioia è breve, perché il seguito suona così: “È propriamente un governo formato da diversi partiti che ha per obiettivo la preparazione del Paese al marxismo”. Ogni dubbio crolla e sulle rovine si diffonde questa macabra e scandalosa affermazione: “Compito della Chiesa è di servire la comunità, cercando di influenzarla in ogni momento perché i cambiamenti strutturali che stanno avvenendo si realizzino pacificamente evitando uno scontro che sarebbe disastroso“.
Dunque, mons. Silva Henríquez sa che il governo socialista di Unidad Popular mira alla instaurazione del marxismo, ne è la preparazione prossima – così come il governo democristiano di Frei ne è stata quella remota -, e nonostante questo attribuisce alla Chiesa la funzione di aiutare i cambiamenti strutturali, quelli che portano al comunismo, e di evitare che si manifestino reazioni a questa empia manovra! In questa luce ormai tragicamente chiara non ha peso il poco di positivo contenuto nella risposta al quesito: “Qual’è la sua opinione sui sacerdoti che professano apertamente la loro simpatia nei confronti di un governo marxista?“: “Comprendo la loro generosità, ma non condivido la loro idea di scegliere il marxismo come l’unica soluzione ai problemi dell’America Latina. Sono mossi dal grande desiderio di liberare i nostri popoli dalla schiavitù, ma hanno scelto una strada che non è la migliore e li fa rinunciare di fatto al cristianesimo. Sebbene sia certo che nell’azione per liberare i nostri popoli possono esserci molti punti di contatto con i marxisti, credo che sia indispensabile che i cristiani non rinuncino al loro cristianesimo“. Bontà sua, ma come? Diventando “socialisti cristiani”? Favorendo un governo che ha “per obiettivo la preparazione del Paese al marxismo“? Pare. “La Chiesa – dice infatti mons. Silva Henríquez – accoglie il giudizio della storia, assume le proprie responsabilità e crede nella liberazione totale dell’uomo“. “Una liberazione che passa attraverso il socialismo?“, incalza l’intervistatore. Ecco la risposta: “[…] io non credo in un socialismo di tipo marxista, ma credo che in un socialismo di tipo umanista vi siano maggiori valori evangelici che in un sistema capitalistico”. Il circolo è chiuso, e non si tratta semplicemente del solito circolo vizioso, ma di un circolo empio.
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A questo punto qualcuno penserà ancora che le accuse lanciate dalla TFP cilena contro il cardinale di Santiago siano esagerate?
Cadrebbero opportune, piuttosto, considerazioni di carattere generale ispirate all’evangelico “È necessario […] che vi siano degli scandali; ma guai a quell’uomo per cui avviene lo scandalo!” (9). Però me ne astengo, perché ho citato a lungo Pio XI e mi è venuto in mente il galero del cardinal Billot…
GIOVANNI CANTONI
Note:
(1) Cfr. Cristianità, Piacenza, luglio-agosto 1973, anno I, n. 0. Il testo del manifesto è ora raccolto in PLINIO CORRÊA DE OLIVEIRA E TFP CILENA, Il crepuscolo artificiale del Cile cattolico, Cristianità, Piacenza 1973, pp. 151-180.
(2) Cfr. Il Gazzettino, 15-9-1973.
(3) PIO XI, Enciclica Quadragesimo anno, in Grandi Encicliche Sociali, a cura di Reginaldo Iannarone O.P., Edizioni Domenicane Italiane, Napoli 1972, 6ª ed. ampliata rifatta e aggiornata, p. 164.
(4) IDEM, doc. cit., in op. cit., p. 165. La sottolineatura è nostra.
(5) IDEM, doc. cit., in op. cit., pp. 168-169.
(6) IDEM, Enciclica Divini Redemptoris, in Quello che i Papi dicono del comunismo, a cura di p. Salvatore Manna O.P. e di p. Reginaldo Iannarone O.P., Edizioni Domenicane Italiane, Napoli 1967, p. 60.
(7) IDEM, Enciclica Quadragesimo anno, in Grandi Encicliche Sociali, cit., pp. 170-171.
(8) IDEM, doc. cit., in op. cit., pp., 171-172.
(9) Mt. 18, 7.