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Essere (ancora) missionari dopo Abu Dhabi?

28 Aprile 2019 - Autore: Domenico Airoma

Domenico Airoma, Cristianità n. 396 (2019)

 

Essere (ancora) missionari dopo Abu Dhabi?

 

Confesso subito, e chiedo la clemenza del lettore: soprattutto di chi non ha domande da porsi dopo il Documento sulla fratellanza umana per la mondiale e la convivenza comune», firmato il 4 febbraio 2019 ad Abu Dhabi, capitale degli Emirati Arabi Uniti, da Papa Francesco e dal Grande imam di Al-Azhar, in Egitto, Muhammad Ahmad Al-Tayyeb, al termine del viaggio apostolico compiuto dal Pontefice nella Penisola arabica, occasione di importanti riflessioni.

Per un momento ho pensato che potessi finalmente dedicarmi a qualche hobby, così da avere a che fare con il problema di tanti miei contemporanei, il «tempo libero», giacché mi sono detto: se «il pluralismo e la diversità di religione sono […] una sapiente volontà divina», perché impegnarsi per la «nuova evangelizzazione», ovvero «[…] nella costruzione di una società a misura d’uomo e secondo il piano di Dio» (1), se il piano di Dio è che ci siano diverse religioni? Insomma, continuo a ringraziare ogni mattina Iddio perché mi ha fatto cattolico, ma posso (devo?) astenermi dal cercare di convertire a Cristo anche il mio prossimo?

Stavo già per comprare un set nuovo di racchette da tennis quando, per scrupolo, ho preso in mano il Catechismo della Chiesa Cattolica e ho dovuto disdire l’ordine. Al numero 178, infatti, trovo scritto: «Non dobbia­mo credere in nessun altro se non in Dio, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo». E allora mi sono posto alcune semplici domande che, proprio per la loro grossolanità — come le definirebbe il fondatore e reggente emerito di Alleanza Cattolica, Giovanni Cantoni —, richiedono semplicemente un «sì» o un «no».

Può succedere che si creda in un altro dio? Sì. E ciò può accadere anche senza che vi sia colpa.

Ciò esime dal dovere di credere nell’unico vero Dio? Certamente no.

Dio ha voluto che si credesse in falsi dèi? No.

Dio ha voluto che l’uomo fosse libero e che portasse scritto dentro il proprio cuore l’inclinazione alla ricerca di Dio. E in ciò sta la sapienza del Creatore. Sicché, come afferma la Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa Cattolica con le religioni non cristiane «Nostra aetate», promulgata nel 1965 dal Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965), «[…] anche le altre religioni che si trovano nel mondo intero si sforzano di superare, in vari modi, l’inquietudine del cuore umano proponendo delle vie, cioè dottrine, precetti di vita e riti sacri. La Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni. […] Tuttavia essa annuncia, ed è tenuta ad annunciare, il Cristo che è “via, verità e vita” (Gv 14,6), in cui gli uomini devono trovare la pienezza della vita religiosa» (n. 2).

 Qual è, allora, il piano di Dio rispetto al fatto costituito dalle diverse attuazioni di quella inclinazione naturale? Che chi professa altre religioni giunga alla pienezza della verità, cioè a Cristo. Come è accaduto per il rabbino Israel — e poi, dopo il 1933, divenuto cittadino italiano, Italo — Zolli (1881-1956), che nel 1944 decise di chiedere alla Chiesa Cattolica il battesimo — prendendo il nome di Eugenio Pio in onore del venerabile Papa Pio XII (1939-1958) — perché era «arrivato» all’in­contro decisivo con il Messia delle Sacre Scritture.

Se questo è il piano, la vera fratellanza umana non può allora che stare nello spendere la propria vita per mostrare e per condividere la bellezza della fede nell’unico vero Dio, cioè nell’evangelizzare. E nel creare le condizioni perché tutti possano conoscere e praticare la vera fede, cioè costruire una società che rispetti il piano di Dio sull’uomo.

E se così stanno le cose, alla domanda se essere ancora missionari dopo Abu Dhabi, non vi è altra risposta. Soprattutto per chi, facendo parte della Chiesa, è chiamato alla «[…] diffusione del regno di Cristo su tutta la terra a gloria di Dio Padre, [e a] rendere partecipi tutti gli uomini della salvezza operata dalla redenzione, e per mezzo di essi ordinare effettivamente il mondo intero a Cristo», come afferma al n. 2 il Decreto sul­l’a­po­stolato dei laici «Apostolicam Actuositatem», promulgato nel 1965 dal Concilio Ecumenico Vaticano II.

Essere missionari si può ancora, dunque. Anzi, si deve.

Domenico Airoma

 

Note:
(1)  Giovanni Paolo II (1978-2005), Discorso ai partecipanti al convegno ecclesiale delle C.E.I., del 13-10-1981.

 

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