Daniele Fazio, Cristianità n. 408 (2021)
1. Il processo culturale e legislativo
Il 22 maggio 1978 il Parlamento italiano varava la legge n. 194, recante come titolo «Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza». Così l’aborto veniva legalizzato in un Paese di antica tradizione cristiana: ciò costituiva il secondo vistoso strappo all’etica sociale cristiana dopo la legge n. 898 del 1° dicembre 1970 sulla «Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio», che appunto permetteva il divorzio (1). L’approvazione delle due leggi fu seguita dalla celebrazione di due distinti referendum abrogativi, che videro le sconfitte del fronte antidivorzista e di quello antiabortista. Il referendum sul divorzio si tenne il 12-13 maggio del 1974 e quello sull’aborto il 17 maggio 1981, pochi giorni dopo l’attentato in piazza San Pietro a Papa san Giovanni Paolo II (1978-2005). La legge sul divorzio fu confermata con la maggioranza del 59,3% dei votanti e quella sull’aborto con una risposta al doppio quesito dei Radicali e del Movimento per la Vita che si attestò rispettivamente su questi risultati: per il quesito dei radicali il «no» ricevette l’88,5% dei voti, mentre per l’altro il 67,9% dei voti. Per la verità entrambe le proposte erano a favore della permanenza di una legge pro-aborto: quella radicale confermava la sostanza della legge, mentre quella del Movimento per la Vita, in senso minimalista (2), chiedeva l’abolizione di alcune parti della medesima legge.
Non vanno dimenticate, in proposito, le responsabilità della Democrazia Cristiana, che si segnalò per ambiguità, mancanza di strategia unitaria, remissività, scelta di neutralità rispetto a tali tematiche da parte del governo e alcuni atteggiamenti di chiaro tradimento (3). Non si dimentichi che proprio la legge 194 è l’unica al mondo in materia che reca le firme di due politici democristiani: l’on. Giulio Andreotti (1919-2013) in qualità di presidente del Consiglio e l’on. Giovanni Leone (1908-2001) come presidente della Repubblica. A ciò si affiancò il rifiuto, per vari motivi dottrinali e strategici, di una fetta importante del mondo cattolico — vescovi, intellettuali, associazioni — a impegnarsi negli sforzi referendari. In questo senso, può fungere come emblema l’atteggiamento dell’associazione cattolica più importante del tessuto italiano, l’Azione Cattolica, che proprio negli anni 1960 compiva la cosiddetta «scelta religiosa», ossia la rinuncia all’intervento su questioni socio-politiche, demandando ogni presa di posizione alla Democrazia Cristiana. Molto più profondamente, inoltre, questa atmosfera socio-culturale segnalava che, almeno in una sua componente maggioritaria, già negli anni 1970 il tessuto italiano non era più orientato né dalla religione cristiana, né tantomeno da quella morale naturale di cui la legge morale cristiana funge da perfezionamento e coronamento. A dominare era ormai una visione laicista, peraltro già analizzata anni prima in un importante, quanto poco conosciuto, documento dei vescovi italiani (4). L’approvazione della legge sull’aborto fu certamente uno spartiacque storico e la constatazione definitiva che ormai la secolarizzazione e il laicismo in Italia a partire dagli anni 1960 avevano superato l’orientamento tradizionale cristiano.
La legalizzazione del divorzio e dell’aborto possono anche essere visti come prodotti della Rivoluzione culturale del Sessantotto che, quale epilogo di un processo plurisecolare di abbattimento della società cristiana occidentale, ora veniva a intaccare i micro-legami, quelli dell’uomo con la propria famiglia e dell’uomo con sé stesso. In altri termini, si inverava la rivoluzione antropologica che, fra i suoi molteplici aspetti, destabilizza l’uomo dal suo interno, aprendo una frattura insanabile tra i membri di una famiglia, sia nel rapporto fra i coniugi, sia nel rapporto dei coniugi con il nascituro o concepito. Le tendenze disordinate non adeguatamente contrastate e la controcultura della morte che non trovò confutazioni significative — il riferimento, qui, non è alla bontà dottrinale delle tesi, ma agli strumenti in possesso del fronte pro family e pro-life —, realizzavano strutture legislative che proteggevano atti contrari alla morale naturale e cristiana. La Rivoluzione sessuale, aspetto predominante del Sessantotto, conquistava sempre più spazi: con l’aborto, ma anche con la depenalizzazione della propaganda degli anticoncezionali, riusciva a minare l’unitarietà, nei rapporti fra uomo e donna, tra la dimensione affettiva e quella procreativa.
Il processo che ha portato alla promulgazione della legge 194 presenta quindi aspetti culturali e filosofici che lo ricollegano alla ideologia relativista del «vietato vietare» e alle spinte del femminismo radicale verso la «liberazione» e l’autodeterminazione della donna, soprattutto per quanto riguarda la gestione dei processi procreativi. È in quest’ottica che vanno lette, per esempio, le diverse sentenze della Corte Costituzionale — la n. 9 del 19 febbraio 1965 e la n. 49 del 16 marzo 1971 — che avevano reso lecito la produzione, il commercio e la pubblicizzazione degli anticoncezionali.
Un momento importante della battaglia sull’inizio-vita, messo a segno qualche anno fa stavolta dal fronte opposto, riguarda la legislazione in materia di procreazione medicalmente assistita. Il Parlamento italiano — dopo un lungo iter e anni di dibattiti — licenziò la legge n. 40 del 19 febbraio 2004 recante «Norme in materia di procreazione medicalmente assistita» (5). La legge consentiva l’accesso alle pratiche omologhe di fecondazione artificiale solamente alle coppie in cui la sterilità fosse accertata e vietava del tutto la fecondazione eterologa. Un punto importante di tale dispositivo legislativo era comunque il riconoscimento del concepito come soggetto giuridico (art. 2), vietando la sperimentazione a scopo di ricerca scientifica, la clonazione e le pratiche eugenetiche. Non si trattò — come alcuni detrattori sostenevano — di una legge «cattolica», bensì di un tentativo di regolare la materia della fecondazione artificiale nel cui ambito, in assenza di dispositivi di legge, vigeva una sorta di far west, cioè di anarchia. Il Partito Radicale — protagonista fin dagli anni 1960 di queste battaglie di decostruzione della visione naturale e cristiana — propose quindi il referendum abrogativo della legge n. 40. La Corte Costituzionale ammise solo quattro proposte di modifica parziale del dispositivo legislativo e non quella dell’abrogazione integrale. Il 12 e il 13 giugno 2005, recandosi alle urne solo il 25,9% dei votanti, il quorum non fu raggiunto e la legge restò invariata. A modificarne però la sostanza sono intervenuti diversi pronunciamenti, circa quaranta fino a oggi, sia della Corte Costituzionale sia della Corte dei Diritti Europea, che negli anni successivi ne hanno decostruito gli aspetti sostanziali, allargando le maglie restrittive, che certamente non soddisfacevano del tutto il diritto naturale e l’etica cristiana, ma che in quel frangente ponevano dei paletti importanti (6).
In anni recenti, all’aborto chirurgico si è affiancato quello farmaceutico con l’introduzione della pillola abortiva RU486, la cui somministrazione era inizialmente consentita solo in ambiente ospedaliero, e con l’introduzione della cosiddetta «pillola del giorno dopo», commercializzata con il nome Norlevo, un farmaco che ha un doppio impiego: contraccettivo, quando viene somministrato nella fase preovulatoria, e abortivo quando viene somministrato a fecondazione avvenuta della cellula ovarica, impedendo a quest’ultima di impiantarsi nell’utero della donna. Sul fronte del fine-vita, invece, si registrano nell’ordinamento italiano una legge, la n. 219 del 22 dicembre 2017, recante «Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento» (7), e il pronunciamento della Corte Costituzionale circa la sentenza passata alle cronache con il nome di «caso Cappato» — il riferimento è all’omonimo attivista radicale —, che mitiga a determinate condizioni l’articolo 580 del Codice penale relativo all’assistenza al suicidio e che dà un indirizzo al legislatore in senso pro-eutanasia (8).
2. La voce del Magistero in difesa della vita
Se il Sessantotto ha incarnato la rivoluzione antropologica, fin da quell’anno non si fece attendere la risposta del Magistero pontificio, che cercò di illuminare e affrontare le sfide poste dalla cultura dominante all’imperituro edificio dottrinale cristiano. Da questo punto di vista, infatti, l’enciclica Humanae vitae di Papa san Paolo VI (1963-1978) è espressione di un magistero sempre più orientato alla trattazione specifica di problemi antropologici, legati in questo caso particolare anche all’esercizio della sessualità. Certamente l’enciclica conferma l’illiceità dei metodi contraccettivi artificiali, ma tale condanna è adeguatamente spiegata. Essa trova fondamento nella bellezza dell’incontro fra l’uomo e la donna, che con la Rivoluzione culturale — e il conseguente socializzarsi di pratiche anticoncezionali — viene scisso, impoverito, deturpato, con effetti morali, spirituali e fisici. La protesta fu feroce, non solo da parte di fronti apertamente avversi alla legge naturale e all’etica cristiana, ma anche di Conferenze episcopali, come quelle austriaca e tedesca, e di teologi e intellettuali sedicenti cattolici. Tale clima mostrò come la mentalità laicista si fosse impossessata anche di quelle che avrebbero dovuto essere le guide del popolo cattolico nel fronteggiare la sempre più attuale questione antropologica e che invece si stavano trasformando in quinte colonne del ribaltamento dell’ordine naturale e cristiano.
L’ottica dell’indagine antropologica adottata da san Paolo VI ha caratterizzato anche il magistero di san Giovanni Paolo II, che a buon diritto può essere considerato un grande e infaticabile difensore della famiglia e della vita. Già prima di essere eletto pontefice, del resto, Karol Wojtyła aveva rilanciato molto bene la prospettiva antropologica cristiana in due opere importanti: Amore e responsabilità (9) e Persona ed atto (10). Inoltre, fra le prime tematiche trattate il Pontefice mise a tema nel suo insegnamento ordinario la teologia del corpo e il senso dell’amore fra l’uomo e la donna, sforzandosi di ricostruire e di proporre soprattutto ai giovani la bellezza della prospettiva naturale e cristiana di fronte alle banalizzazioni e alle mistificazioni diffuse dalla propaganda rivoluzionaria (11).
Il suo non fu solo uno sforzo di approfondimento dottrinale, ma anche un chiaro appello al mondo cattolico, in particolare al laicato, perché sulla scia del Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965) tornasse a gettarsi nella mischia, superando posizioni di subalternità e affrontando battaglie di natura etica. Questa chiara sconfessione dell’atteggiamento rinunciatario o accomodante, che caratterizzava dagli anni 1960 gran parte del mondo cattolico italiano, ebbe due momenti emblematici nel Convegno della Chiesa Cattolica in Italia, tenutosi a Loreto nel 1985 (12), e in quello successivo, svoltosi a Palermo nel 1995, con i quali si provò a reagire, trovando l’opposizione dei cosiddetti «cattolici democratici» (13).
Da tali eventi, e grazie all’interpretazione strategica del card. Camillo Ruini, allora presidente della Conferenza Episcopale Italiana, scaturì il cosiddetto «progetto culturale» che, di fronte alla dissoluzione della Democrazia Cristiana e alle nuove sfide che riguardavano altre leggi di aggressione alla vita e alla famiglia, rilanciava una presenza dei cattolici da protagonisti nella società italiana.
Se tale è il contesto –– evocato a grandissime linee — del tessuto sociale e cattolico, non deve sfuggire uno dei momenti più significativi del pontificato di san Giovanni Paolo II: la pubblicazione dell’enciclica Evangelium vitae, firmata il 25 marzo del 1995, solennità dell’Annunciazione del Signore. Papa Francesco ha voluto commemorare il documento del suo predecessore sottolineandone la straordinaria attualità e validità: «Oggi, ci troviamo a rilanciare questo insegnamento nel contesto di una pandemia che minaccia la vita umana e l’economia mondiale. Una situazione che fa sentire ancora più impegnative le parole con cui inizia l’Enciclica. Eccole: “Il Vangelo della vita sta al cuore del messaggio di Gesù. Accolto dalla Chiesa ogni giorno con amore, esso va annunciato con coraggiosa fedeltà come buona novella agli uomini di ogni epoca e cultura” […]. Gli attentati alla dignità e alla vita delle persone continuano purtroppo anche in questa nostra epoca, che è l’epoca dei diritti umani universali; anzi, ci troviamo di fronte a nuove minacce e a nuove schiavitù, e non sempre le legislazioni sono a tutela della vita umana più debole e vulnerabile. Il messaggio dell’Enciclica Evangelium vitae è dunque più che mai attuale […]. Con San Giovanni Paolo II, che ha fatto questa enciclica, con lui ribadisco con rinnovata convinzione l’appello che egli ha rivolto a tutti venticinque anni fa: “Rispetta, difendi, ama e servi la vita, ogni vita, ogni vita umana! Solo su questa strada troverai giustizia, sviluppo, libertà, pace e felicità!”» (14).
Vale la pena, dunque, tornare sulla struttura e sui passaggi più significativi di tale enciclica — che evidentemente implica una rinnovata considerazione e un continuo studio — non solo per ciò che riguarda l’etica personale, ma anche per ciò che prospetta in merito all’azione di quelle che possiamo definire associazioni pro-life, innanzitutto cattoliche, in relazione alla limitazione ma anche al cambiamento delle legislazioni, ormai durevolmente contrarie alla vita, con particolare attenzione alla tematica dell’aborto. L’enciclica Evangelium vitae, inoltre, come è stato fatto notare dal fondatore di Alleanza Cattolica, Giovanni Cantoni (1938-2020), ha anche caratteristiche di documento sociale, e in particolar modo non può non emergere la considerazione esplicita che san Giovanni Paolo II svolge — peraltro in continuità con l’enciclica Centesimus annus, del1991 — circa il rapporto fra la difesa della vita, le varie legislazioni permissive su aborto ed eutanasia e la loro ricaduta morale, e i moderni sistemi democratici (15).
L’insegnamento di Evangelium Vitae approfondisce, allarga e rilancia quanto chiaramente si legge proprio sull’aborto nella Costituzione pastorale del Concilio Vaticano II Gaudium et spes: «Dio, padrone della vita, ha affidato agli uomini l’altissima missione di proteggere la vita: missione che deve essere adempiuta in modo degno dell’uomo. Perciò la vita, una volta concepita, deve essere protetta con la massima cura; l’aborto e l’infanticidio sono delitti abominevoli» (16). La posizione sull’aborto si fonda su argomenti non confessionali ma di morale naturale, ragion per cui la Chiesa in questo ambito, pur partendo da riferimenti biblici e teologici, non fa altro che ricordare il giusto ordine morale che ogni uomo di buona volontà può rintracciare con la forza della propria ragione e del buon senso.
San Giovanni Paolo II rievoca il racconto biblico dell’uccisione di Abele da parte di Caino (cfr. Gn. 4), sottolineando il fatto che Dio chiede conto a quest’ultimo della vita del proprio fratello. La vita dell’uomo, infatti, è sacra e inviolabile ma, come mai nella storia, al giorno d’oggi viene minacciata non solo da rapporti interpersonali guasti post peccatum, ma soprattutto da istituti legislativi che sempre di più promuovono norme contrarie alla vita, come l’aborto e l’eutanasia. Gli attentati alla vita possono scaturire da situazioni di ignoranza, miseria e sfruttamento, ma molto più spesso vanno ricondotti a una mentalità soggettivistica e libertaria che ha declinato i diritti umani come soddisfacimento dei desideri; tale cultura si invera dal punto di vista del diritto positivo in una serie di leggi che rendono la vita disponibile e non più intangibile (17). In definitiva, ciò che entra in cortocircuito nella modernità è lo stretto legame fra libertà e verità, ossia fra l’esercizio delle scelte dell’uomo e il corredo morale oggettivo su cui la sua vita deve fondarsi, pena la sua stessa negazione. A livello sociale, ciò si traduce nell’oblio di ciò che lo Stato deve promuovere, ossia il bene comune, di cui il diritto alla vita è il primo e fondamentale momento. Da questo punto di vista, è significativo che l’enciclica che precede l’Evangelium vitae, la Veritatis splendor, punti principalmente a dimostrare l’oggettività della morale, a fronte del soggettivismo e del libertinismo moderno e contemporaneo, e quindi la necessità di considerare la legge morale naturale non solo quale importante tavola del rapporto interumano, ma anche come ermeneutica e orizzonte di ispirazione del diritto positivo.
La radice dell’avversione alla vita risiede nel totale oblio di Dio nell’orizzonte esistenziale e sociale dell’uomo contemporaneo. Causa di tale eclissi è il processo di secolarizzazione, che ha strappato dal cuore dell’uomo il senso ultimo di creatura dipendente da un Creatore, che dona un progetto per realizzare la stessa sua umanità. Perdere Dio significa perdere il valore, la dignità e l’intangibilità della persona umana, che è Sua immagine e somiglianza. Bisogna dunque ripartire da Dio e dall’ordine della creazione.
San Giovanni Paolo II ricorda poi il primato dell’uomo all’interno della creazione di Dio, chiamato a condividere con lo stesso Creatore la regalità sul creato. L’irruzione del peccato ferisce sia i rapporti dell’uomo con Dio, sia quelli con il suo prossimo sia, infine, quelli con il creato. Rifiutando Dio, l’uomo finisce per smarrire sé stesso. L’umanità viene tuttavia riscattata dal Figlio di Dio che, donando la propria vita, riconcilia gli uomini con il Padre e ripropone l’ordine morale della creazione donando anche la grazia per poterlo rispettare, invitando a promuoverlo nella vita dei singoli e nelle società. In questo senso, l’appello alla difesa della vita richiama in prima battuta i cristiani che, in coerenza con la propria fede, devono annunciare l’intangibile valore della vita umana; ma riguarda anche i non credenti o gli appartenenti ad altre religioni, in quanto tale impegno corrisponde a una legge che ogni uomo ha inscritta nel proprio cuore e può riconoscere con la propria ragione. La Chiesa ha il dovere di condannare ogni attentato alla vita umana innocente, come atto moralmente grave. Ragion per cui, nel contesto contemporaneo, deve levare forte la sua voce per ribadire la sacralità della vita dal concepimento alla morte naturale.
Nell’enciclica il Pontefice rammenta che, nonostante il linguaggio edulcorato delle varie legislazioni, l’aborto è l’omicidio di un innocente, la cui responsabilità, nel contesto attuale, ricade su diversi soggetti: dai politici promotori dell’aborto e incapaci di sostenere politiche nataliste e di aiuto concreto alla famiglia, ai promulgatori di una mentalità di permissivismo sessuale e di denigrazione del dono della maternità, fino alle istituzioni internazionali che lavorano per la diffusione nel mondo dell’aborto e anche di pratiche gravemente lesive dell’inizio della vita umana, quali le sperimentazioni sugli embrioni. Un discorso analogo è esposto pure sull’eutanasia, che sotto l’apparenza di una falsa pietà rivela una mentalità efficientista, che elimina gli anziani e i malati e genera quello che l’attuale Pontefice con termine brillante ha definito più volte «cultura dello scarto» (18).
La diffusione di leggi contrarie alla vita deve essere affrontata alla radice. Come già detto, san Giovanni Paolo II la individua nel predominio del relativismo morale contemporaneo che, fra le altre cose, trasforma la democrazia — il cui valore è riconosciuto dal Magistero della Chiesa ma che tuttavia rimane un mezzo — in un fine. Ciò induce i regimi democratici a ritenere assoluto il principio della maggioranza e dunque a consacrare ogni scelta in questo senso come moralmente valida. Una democrazia sana, tuttavia, poggia su princìpi morali oggettivi. Anche la storia del Novecento e del sostegno conferito dalle masse alle ideologie avalla il ragionamento del Pontefice, che scopre qui un nervo fondamentale. La democrazia ha dunque un senso e acquista il suo vero valore se incarna e promuove valori intangibili, quali la dignità inalienabile della persona umana e il bene comune come fine e criterio principale di orientamento della vita politica.
L’intero testo dell’enciclica è fortemente segnato dalla descrizione di un dramma epocale che mette l’una innanzi all’altra la cultura della vita e la cultura della morte, in una condizione notevolmente critica in cui a prevalere e dominare sempre più è la cultura della morte: «questo orizzonte di luci ed ombre deve renderci tutti pienamente consapevoli che ci troviamo di fronte ad uno scontro immane e drammatico tra il male e il bene, la morte e la vita, la “cultura della morte” e la “cultura della vita”. Ci troviamo non solo “di fronte”, ma necessariamente “in mezzo” a tale conflitto: tutti siamo coinvolti e partecipi, con l’ineludibile responsabilità di scegliereincondizionatamente a favore della vita» (19). In questo senso, gli insegnamenti del magistero della Chiesa offrono anche un orientamento concreto perché ogni cristiano e ogni uomo di buona volontà promuova la dignità e l’intangibilità della vita e perché si possa costituire un popolo della vita, dottrinalmente saldo e operativamente convincente. Tale popolo viene evocato dal Pontefice all’interno del documento stesso. Le tematiche affrontate in Evangelium vitae sono presenti in molti altri documenti promulgati dai Pontefici o dai vari organismi della Curia romana prima e dopo quella enciclica. In tale vasta produzione va certamente citata l’Istruzione circa il rispetto della vita umana nascente e la dignità della procreazione «Donum vitae», del 22 febbraio 1987, della Congregazione per la Dottrina della Fede e la Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica, promulgata dalla stessa Congregazione il 24 novembre 2002. Alla luce di quanto prospettato in tali documenti e in Evangelium vitae che cosa possono e devono fare i cristiani nel contesto politico?
3. La galassia pro-life italiana: criticità e prospettive
Non vi è ombra di dubbio che la storia del movimento pro-life in Italia sia segnata dallo scacco subito in occasione della vittoria delle posizioni abortiste in sede referendaria; ma, già prima di allora, ne aveva subito un altro: al popolo italiano fu concesso di esprimersi solo a favore di un’abrogazione parziale del ricorso all’aborto procurato. Anche se avesse vinto l’opzione presentata dal Movimento per la Vita, infatti, ci si sarebbe trovati in presenza di una legge più restrittiva rispetto a quella in vigore, ma comunque possibilista nei confronti della pratica abortiva. Alleanza Cattolica, protagonista anch’essa della battaglia contro l’aborto con l’istituzione del comitato Alleanza per la Vita (20), fu naturalmente contraria a tale scelta di compromesso, criticando la scelta del Movimento per la Vita e di altre sigle del laicato cattolico che furono — a dire il meno — fredde nel collaborare alla chiara azione messa in atto dall’associazione. Infatti, Alleanza Cattolica già dal 1979 aveva prodotto una proposta referendaria nettamente antiabortista — presentata prima all’episcopato italiano, poi resa pubblica (21) e depositata presso la Corte Costituzionale (22) — contro cui furono sollevate varie obiezioni. Oltre a dimostrare l’infondatezza di tali obiezioni (23), Alleanza per la Vita dovette anche spiegare i motivi che la spingevano a non accettare la strategia e le proposte referendarie del Movimento per la Vita, che si configuravano come una falsa difesa della vita (24).
Tuttavia, nel momento in cui la Corte Costituzionale ratificò soltanto la proposta referendaria «minimale» del Movimento per la Vita, Alleanza Cattolica s’impegnò realisticamente a diminuire il danno dell’aborto in difesa di una proposta che rappresentava il piccolo bene possibile. Si trattò di un momento doloroso nella storia dell’associazione, con lacerazioni interne e la rinuncia all’impegno referendario da parte di uomini chiaramente antiabortisti (25).
San Giovanni Paolo II, infatti, si rendeva ben conto della complessità del mondo contemporaneo e dei sistemi politici e pertanto, pur illustrando tutti gli sforzi che un movimento pro-life dovrebbe compiere, contemplò fin dall’inizio anche la legittimità morale di un appoggio a iniziative parzialmente restrittive, che certamente non sono in pieno soddisfacenti, ma che riducono gradualmente l’ampio spettro di morte prospettato da legislazioni a dominante rivoluzionaria: «Un particolare problema di coscienza potrebbe porsi in quei casi in cui un voto parlamentare risultasse determinante per favorire una legge più restrittiva, volta cioè a restringere il numero degli aborti autorizzati, in alternativa ad una legge più permissiva già in vigore o messa al voto. Simili casi non sono rari. Si registra infatti il dato che mentre in alcune parti del mondo continuano le campagne per l’introduzione di leggi a favore dell’aborto, sostenute non poche volte da potenti organismi internazionali, in altre Nazioni invece — in particolare in quelle che hanno già fatto l’amara esperienza di simili legislazioni permissive — si vanno manifestando segni di ripensamento. Nel caso ipotizzato, quando non fosse possibile scongiurare o abrogare completamente una legge abortista, un parlamentare, la cui personale assoluta opposizione all’aborto fosse chiara e a tutti nota, potrebbe lecitamente offrire il proprio sostegno a proposte mirate a limitare i danni di una tale legge e a diminuirne gli effetti negativi sul piano della cultura e della moralità pubblica. Così facendo, infatti, non si attua una collaborazione illecita a una legge ingiusta; piuttosto si compie un legittimo e doveroso tentativo di limitarne gli aspetti iniqui» (26).
Ma se ciò rappresenta un’eccezione operativa, l’enciclica esorta i cattolici a difendere la vita a molteplici livelli. Pur riconoscendo il piano morale naturale e, dunque, che il valore della vita possa essere compreso da ogni uomo di buona volontà, questa ha comunque un legame con la fede. Non solo la chiarezza dottrinale, ma anche la preghiera permette di percepire in profondità che cosa è la vita dell’uomo, la sua dimensione di dono e gratuità, nonché la sua bellezza metafisica, connotando di conseguenza anche un’accoglienza della realtà e scacciando tentazioni gnostiche di un suo ribaltamento, fin nei suoi aspetti biologici. La ricchezza del «Vangelo della vita» (27) deve rendersi concreta attraverso eventi ben visibili e chiaramente contrari all’aborto e all’eutanasia e in questo senso è stata proposta in ogni chiesa la celebrazione della «Giornata per la Vita». A questi fondamenti si lega l’impegno dei politici di buona volontà e soprattutto di quelli che si dicono cristiani affinché non si facciano in alcun modo promotori di leggi inique contrarie alla vita: non solo sono dannose in sé, in quanto istituzionalizzano strutture di peccato sociale, ma hanno anche un significativo valore pedagogico e morale incidendo sulla cultura e sui costumi dei popoli. La gravità dell’aborto nel nostro tempo — dopo decenni dalla sua legalizzazione — è percepita molto poco, dal momento che, sia pure inconsciamente, passa l’assunto secondo cui ciò che è legale è anche moralmente accettabile.
La tematica della vita è strettamente legata a quella della famiglia, che va sostenuta nell’accogliere la vita nascente e indirizzata a favorire la vicinanza agli anziani e un «patto tra le generazioni», entrambi necessari per sostenere la persona pure nei suoi stadi conclusivi. Se è importante l’impegno personale, e ancor di più l’attenzione alle proposte legislative, evidentemente su tutto svetta la necessità della formazione orientata alla diffusione di una cultura della vita che possa surclassare il dominio della cultura della morte. Una tale mentalità deve essere favorita a partire dalla comunità cristiana e deve innervarsi nei normali percorsi di catechesi. Si tratta di un aspetto fondamentale della nuova evangelizzazione: la bellezza del dono di sé e della castità prematrimoniale vanno presentate senza superficialità e senza complessi, così come ogni discorso sulla sessualità va impostato con serietà e senza banalizzazioni. L’impegno politico, pedagogico e culturale trova un suo coronamento nella battaglia spirituale, e quindi nella dimensione soprannaturale, in cui preghiera e sacrificio sono armi in definitiva foriere di una nuova mentalità; quella che, nei tempi lunghi, permetterà il fiorire di una civiltà rispettosa della vita innocente fin dal suo concepimento.
Tenuto conto di questo quadro, occorre tracciare un breve bilancio dell’impegno pro-life italiano, soprattutto valutandolo alla luce delle indicazioni operative dell’enciclica di san Giovanni Paolo II, che auspicava azioni di contrasto alle leggi contrarie alla vita, in vista di una loro abrogazione.
All’indomani della sconfitta referendaria certamente non venne meno l’impegno a favore della vita: soprattutto il Movimento per la Vita, con la promozione dei Centri di Aiuto alla Vita, si è impegnato in questi anni a salvare tante vite innocenti dalla minaccia dell’aborto, con diverse iniziative creative. È un risultato da non sottovalutare, un significativo obiettivo a medio termine e una strategia di contenimento degli effetti totalmente negativi della legge 194. Tuttavia, fin quando una legge pro-aborto sarà presente nell’ordinamento giuridico, la coscienza non potrà essere tacitata dall’impegno di volontariato in difesa della vita, che pure san Giovanni Paolo II riconosceva come meritorio nelle pagine della sua enciclica.
A più di quarant’anni dalla sua promulgazione, la legge n. 194 è percepita come irremovibile. Eppure, il fronte cattolico non deve rinunciare a rimetterla in discussione. A livello legislativo, non ci si può limitare, in prospettiva, ad appelli volti alla «giusta» applicazione della legge in tutte le sue parti, preoccupandosi solo del buon funzionamento dei consultori o di difendere l’opzione dell’obiezione di coscienza, che oggi è effettivamente minacciata nella sua legittimità etica e giuridica. La meta, spesso obliata, deve rimanere l’abolizione di qualsiasi tipo di legge permissiva nei confronti dell’aborto (28). Certamente il cammino è lungo e faticoso. Tale itinerario ha al centro il momento di formazione culturale. Le sigle pro-life –– un mondo, per la verità, troppo frammentato –– devono sforzarsi di comunicare con il medesimo linguaggio privo di ambiguità, in modo da incidere sulla mentalità degli italiani, contrastare con più efficacia la cultura della morte e promuovere l’ideale della bellezza della vita. In tutto si deve bene compenetrare la verità con la carità, cercando di considerare che l’aborto, soprattutto per la donna, è un dramma psicologico oltreché morale. Come si è spiegato, la legge sull’aborto in Italia è la conseguenza di un processo di secolarizzazione di una nazione con radici cristiane; la presenza della Chiesa e di organizzazioni cattoliche, , per quanto in minoranza, non è venuta mai meno.
Negli anni successivi alla pubblicazione di Evangelium Vitae un certo mondo culturale ha prodotto varie iniziative culturali e politiche meritorie. Sotto il profilo dell’impegno politico non può essere sottaciuta la strategia di astensione attiva e consapevole al referendum sulla legge 40 n. 2004 messa in campo nel 2005 dal nascente Comitato Scienza&Vita, su ispirazione del card. Ruini, di cui abbiamo già detto sopra. Scienza&Vitarappresentò certamente un momento unitario delle varie sigle pro-life italiane e riuscì in quel frangente a rappresentare un’esperienza importante e una rivincita — seppur con tutti i distinguo di cui si è detto e successivamente mutilata — rispetto allo scacco referendario del 22 maggio 1981. Tuttavia, per svariati motivi, quel Comitato, tramutatosi in Fondazione, pur esistendo tutt’ora, ha perso l’attrattiva e lo slancio del 2005.
Sempre in ambito politico vi è da segnalare l’iniziativa quanto mai problematica –– soprattutto sotto un profilo strategico –– dell’allora direttore de Il Foglio Giuliano Ferrara che, in occasione delle elezioni politiche del 2008, promosse il partito Aborto? No grazie registrando una percentuale di votanti — lo 0,371% — di molto inferiore della porzione di società italiana dotata di una sensibilità pro-life. Infatti, raccolse molti più consensi la moratoria sull’aborto promossa sempre da Ferrara dalle colonne del quotidiano che dirigeva.
Dal punto di vista della testimonianza politica e dell’animazione culturale si deve segnalare l’iniziativa One of us, lanciata da un gruppo di cittadini dei Paesi dell’Unione europea per chiedere alle istituzioni comunitarie di garantire la protezione degli esseri umani fin dal concepimento nei settori di competenza dell’Unione europea e in Italia promossa dal Movimento per la Vita diretto da Carlo Casini (1935-2020) e dalla galassia delle associazioni pro-life. È stato un momento che ha visto riunitequasi tutte le organizzazioni pro-vita e pro-famiglia in Europa con la raccolta di due milioni di firme in difesa del concepito. Su tale spinta il movimento One of Us ha deciso di fondare la prima organizzazione pro-life con una propria personalità giuridica, One of Us Federation, il 4 settembre 2013. Non sono neanche da sottacere le varie marce locali, regionali e nazionali a cadenza annuale, organizzate in anni recenti: per esempio, quella di Palermo a cura del Forum Vita, Famiglia, Educazione e la più recente romana. Inoltre, all’universo pro-life afferisce senza ombra di dubbio anche il Comitato Difendiamo i Nostri Figli, oggi Associazione Family Day, di cui è portavoce il neurochirurgo Massimo Gandolfini, che riunisce diverse sigle impegnate direttamente nella difesa della vita nascente, e che nei punti dello statuto fa esplicito riferimento alla sacralità della vita dal concepimento alla morte naturale.
Quali sono al giorno d’oggi le maggiori criticità del movimento pro-life italiano? Certamente presente, non sembra ancora adeguatamente in grado di incidere sulla politica e sulla mentalità, ossia sulla cultura della maggioranza degli italiani, come per esempio il vasto movimento pro-life negli Stati Uniti d’America. Senza nulla togliere all’impegno delle varie denominazioni e alla loro legittima esistenza, ancora si patisce l’incapacità di creare una piattaforma comune per parlare con uno stesso linguaggio e con medesime iniziative sia agli italiani sia ai politici. Da questo punto di vista non solo si manifesta una dispersione di forze, ma si dà l’impressione che quella pur esistente minoranza di attivisti pro–life sia ancora più sparuta. Occorrerebbe un coordinamento comune — una sorta di nuova Opera nazionale dei Congressi della vita — che ponga in essere attività formative e proposte politiche realizzabili. Le sigle pro-life dovrebbero vaccinarsi da due patologie (29) già emerse in tutta la loro problematicità al tempo del referendum sull’aborto: moderatismo e irrealismo. Il primo comporta la disponibilità al compromesso dottrinale e morale in nome della mediazione. Chi si muove in tale ottica oggi sembra che sconti in qualche modo una sorta di rassegnazione psicologica al fatto che uno Stato che si vuole laico debba per forza contemplare leggi contrarie. Dall’altro lato, bisogna rifuggire l’irrealismo, ossia la pretesa di volere tutto e subito non comprendendo che, se l’obiettivo finale — ossia l’eliminazione di ogni legge contraria alla vita — deve essere chiaro, tale risultato si potrà raggiungere solo gradualmente.
Come la Rivoluzione morale e culturale è un processo, lo deve essere anche il suo contrario, richiedendo pazienza, abnegazione e conquiste temporaneamente parziali rispetto al risultato finale: ciò perché non si spenga, ma si rinfocoli, «il lucignolo fumigante» (Is. 12, 20-21). Pur tenendo sempre di vista l’agone politico e l’impegno a contrastare ogni iniziativa di legge che peggiori il quadro, gli sforzi dovranno concentrarsi sulla battaglia culturale, con argomentazioni biologiche, morali, filosofiche, giuridiche e religiose, per convincere la maggioranza degli italiani che il concepito è una vita umana innocente e non può rimanere vittima di omicidio, spiegando inoltre che l’aborto rappresenta una ferita umana, familiare, sociale e anche economica, visto il trend demografico. Papa Francesco — commemorando l’Evangelium vitae — non ha mancato di far notare ciò che oggi emerge come l’aspetto operativo fondamentale della stessa enciclica: «al di là delle emergenze, come quella che stiamo vivendo, si tratta di agire sul piano culturale ed educativo per trasmettere alle generazioni future l’attitudine alla solidarietà, alla cura, all’accoglienza, ben sapendo che la cultura della vita non è patrimonio esclusivo dei cristiani, ma appartiene a tutti coloro che, adoperandosi per la costruzione di relazioni fraterne, riconoscono il valore proprio di ogni persona, anche quando è fragile e sofferente» (30).
Il processo rivoluzionario dipanatosi nei secoli, demolendo i pilastri fondamentali della società cristiana e arrivando a cancellarla quasi totalmente, può essere invertito solo da un contro-processo che operi per una nuova presenza di Dio nelle società. Le cristianità sono frutto di un atteggiamento coerente da parte dei cristiani che, nella storia, riuscirono a informare leggi e istituzioni della loro mentalità. La nuova evangelizzazione gioca un ruolo importante, che non esclude quanti sul piano naturale sentono viva la difesa della vita, ma dà a ogni sforzo la giusta dimensione di rigenerazione dello spirito e della cultura. I cristiani sanno benissimo che i veri diritti dell’uomo si affermano solo ed esclusivamente se si riconoscono i diritti di Dio.
Note:
1) Sull’aggressione rivoluzionaria all’istituto naturale della famiglia, che non è argomento del presente articolo, cfr. Giancarlo Cerrelli e Marco Invernizzi, La famiglia in Italia. Dal divorzio al gender, con prefazione di Massimo Gandolfini, Sugarco, Milano 2017. Nello specifico, sulla battaglia referendaria contro il divorzio cfr. Alleanza Cattolica, Il referendum per la famiglia, in Cristianità, anno II, n. 3, gennaio-febbraio 1974, p. 1.
2) Cfr. Alleanza Cattolica, Contro l’aborto: referendum e dopo-referendum, in Cristianità, anno IX, n. 72, aprile 1981, p. 2.
3) Cfr. Alfredo Mantovano, La Democrazia Cristiana e l’aborto: perché fu «vero tradimento», ibid., anno XXII, n. 232-233, agosto-settembre 1994, pp. 13-15.
4) Cfr. Il laicismo. Lettera dell’Episcopato italiano al clero, del 25-3-1960, in Enchiridion della Conferenza Episcopale Italiana. Decreti, dichiarazioni, documenti pastorali per la Chiesa italiana, vol. I, 1954-1972, EDB. Edizioni Dehoniane Bologna, Bologna 1985, pp. 76-95; cfr. anche Francesco Pappalardo, «Il laicismo. Lettera dell’Episcopato italiano al clero» del 25 marzo 1960, in Cristianità, anno XXXV, n. 340, marzo-aprile 2007, pp. 13-18.
5) Cfr. Chiara Mantovani, La Procreazione Medicalmente Assistita: alcune considerazioni dopo l’approvazione della legge n. 40 del 19 febbraio 2004, in Cristianità, anno XXXII, n. 323, maggio-giugno 2004, pp. 5-12 e p. 30.
6) Cfr. G. Cerrelli, Nuovi tentativi di modificare la legge sulla fecondazione artificiale e di aggirare la volontà popolare, ibid., anno XL, n. 365, luglio-settembre 2012, pp. 51-59, e Idem, La fecondazione artificiale. Un’altra tappa verso la disgregazione della famiglia naturale, ibid., anno XLIII, n. 378, ottobre-dicembre 2015, pp. 31-36.
7) Cfr. gli articoli nella pagina web <https://www.centrostudilivatino.it/?s=consenso+informato> (gl’indirizzi Internet dell’intero articolo sono stati consultati il 30-4-2021)
8) Cfr. gli articoli nella pagina web <https://www.centrostudilivatino.it/?s=sentenza+cappato>.
9) Karol Wojtyła, Amore e responsabilità. Studio di morale sessuale, 1960, trad. it., in Idem, Metafisica della Persona. Tutte le opere filosofiche e saggi integrativi, a cura di Giovanni Reale (1931-2014) e Tadeusz Sticzeń (1931-2010), Bompiani, Milano 2003, pp. 461-778.
10) Idem, Persona e Atto, 1969, trad. it., ibid., pp. 779-1216.
11) Cfr. Giovanni Paolo II, Compendio di Teologia del corpo, a cura di Yves Semen, Ares, Roma 2017.
12) Cfr. Idem, Per iscrivere la verità cristiana sull’uomo nella realtà della nazione italiana, Discorso, «Regina coeli», omelia e saluto pronunciati a Loreto l’11 aprile 1985 in occasione del secondo Convegno della Chiesa italiana su Riconciliazione cristiana e comunità degli uomini (9-13 aprile 1985), Cristianità, Piacenza 1985.
13) Sulla storia di tale corrente cfr. M. Invernizzi, Appunti sulla storia e sul «progetto» dei «cattolici democratici», in Cristianità, anno XVI, n. 156-157, aprile-maggio 1988, pp. 5-9.
14) Francesco, Udienza generale, del 25-3-2020.
15) Cfr. Giovanni Cantoni, La democrazia nell’enciclica «sociale» «Evangelium vitae», in Cristianità, anno XXIII, n. 241-242, maggio-giugno 1995, pp. 3-8.
16) Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo «Gaudium et spes», del 7-12-1965, n. 52.
17) «Tuttavia oggi il problema va ben al di là del pur doveroso riconoscimento di queste situazioni personali. Esso si pone anche sul piano culturale, sociale e politico, dove presenta il suo aspetto più sovversivo e conturbante nella tendenza, sempre più largamente condivisa, a interpretare i menzionati delitti contro la vita come legittime espressioni della libertà individuale, da riconoscere e proteggere come veri e propri diritti» (Giovanni Paolo II, Enciclica sul valore e l’inviolabilità della vita umana «Evangelium vitae», del 25-3-1995, n. 18).
18) Cfr., per esempio, Francesco, Incontro con i Membri dell’Assemblea Generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, del 25-9-2015.
19) Giovanni Paolo II, Enciclica sul valore e l’inviolabilità della vita umana «Evangelium vitae», cit., n. 28.
20) Cfr. Alleanza Cattolica, Da Alleanza Cattolica ad Alleanza per la Vita, in Cristianità, anno VII, n. 56, dicembre 1979, pp. 4-6; e Idem, I principi programmatici di Alleanza per la Vita, ibid., p. 6.
21) Cfr. Idem, Appello ai vescovi d’Italia. Per il «referendum» antiabortista, ibid., anno VII, n. 49, maggio 1979, p. 3
22) Cfr. Idem, Il quesito di «referendum», ibid., p. 8.
23) Cfr. Mauro Ronco, Le ragioni del «referendum» richiesto da Alleanza Per la Vita, ibid., anno VIII, n. 58, febbraio 1980, pp. 6-9.
24) Cfr. Alleanza per la Vita, Due iniziative moralmente inaccettabili, comunicato stampa dell’1-9-1980, ibid., anno VIII, n. 64-65, agosto-settembre 1980, p. 2; La questione del «referendum» antiabortista, cit., pp. 8-18; e Vera e falsa difesa della vita, ibid., anno VIII, n. 66, ottobre 1980, pp. 3-4.
25) Cfr. M. Invernizzi, Alleanza Cattolica dal Sessantotto alla «nuova evangelizzazione». Una «piccola» storia per «grandi» desideri, presentazione di Luigi Negri, Piemme, Casale Monferrato 2004.
26) Giovanni Paolo II, Enciclica sul valore e l’inviolabilità della vita umana «Evangelium vitae», cit., n. 73.
27) «Il Vangelo della vita è una realtà concreta e personale, perché consiste nell’annuncio della persona stessa di Gesù. […] È allora dalla parola, dall’azione, dalla persona stessa di Gesù che all’uomo è data la possibilità di “conoscere” la verità intera circa il valore della vita umana; è da quella “fonte” che gli viene, in particolare, la capacità di “fare” perfettamente tale verità (cf. Gv 3, 21), ossia di assumere e realizzare in pienezza la responsabilità di amare e servire, di difendere e promuovere la vita umana» (ibid., n. 29).
28) Cfr. M. Invernizzi, Aborto e politica, del 18-2-2020, nel sito web <https://alleanzacattolica.org/aborto-e-politica>.
29) Cfr. Idem, Il movimento «pro-life» in Italia, in Cristianità, anno XLVIII, n. 398, luglio-agosto 2019, pp. 3-15.
30) Francesco, Udienza generale, del 25-3-2020.