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Famiglia, unioni di fatto e legge dello Stato

23 Febbraio 1990 - Autore: Alleanza Cattolica

Giovanni Paolo II, Discorso ai membri dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani in occasione di un Convegno Nazionale di studio, del 16-12-1989, nn. 2-4, in L’Osservatore Romano, 17-12-1989. Titolo redazionale.

Cristianità n. 178 (1990)

 

[…] la famiglia è, innanzitutto, una realtà terrena, un bene proprio della città degli uomini, un bene iscritto nella stessa creazione dell’uomo. Perciò la prima parola che la Chiesa ha da dire su di essa è che Iddio l’ha fondata creando l’uomo persona, essere sociale. […]

Quando si oscura la dimensione profonda della persona umana e il suo senso trascendente, quando la persona non può ritrovare pienamente se stessa perché non sa fare dono sincero di sé (cf. Lettera Apostolica Mulieris Dignitatem, n. 7; GS, n. 24), non fa meraviglia che appaiano forme succedanee di famiglia, le quali cercano di riempire il posto naturale che c’è nel cuore umano per quella che è costituita sulla base del dono sincero e vicendevole di sé.

 

3. Come cultori del diritto e come cattolici voi, illustri Signori, vi trovate oggi davanti a una sfida. Non potete restare in passiva contemplazione dei cambiamenti della società, limitandovi a prender atto degli adeguamenti delle leggi civili ai mutamenti del costume. Ciò significherebbe essere insensibili a quel bene delle persone che dà valore ad ogni rapporto di giustizia tra gli uomini. Occorre, invece, impegnarsi perché la società dei nostri giorni sappia darsi delle leggi che, pur tenendo conto delle diverse situazioni reali, garantiscano il bene delle persone singole e delle comunità umane, promuovendo e tutelando l’istituto naturale della famiglia fondata sul matrimonio.

Il bene “della comunità umana è strettamente legato alla sanità dell’istituzione familiare. Quando, nella sua legislazione, il potere civile disconosce il valore specifico che la famiglia rettamente costituita porta al bene della società; quando esso si comporta come spettatore indifferente di fronte ai valori etici della vita sessuale e di quella matrimoniale, allora, lungi dal promuovere il bene e la permanenza dei valori umani, favorisce con tale comportamento la dissoluzione dei costumi” (Giovanni Paolo II, Insegnamenti, Vol. IX/1, 1986, p. 1140).

Non si contribuirebbe, perciò, al bene personale e sociale ipotizzando leggi, che pretendessero di riconoscere come legittime, equiparandole alla famiglia naturale fondata sul matrimonio, unioni di fatto, che non comportano alcuna assunzione di responsabilità ed alcuna garanzia di stabilità, elementi essenziali dell’unione tra l’uomo e la donna, come fu intesa da Dio creatore e confermata da Cristo redentore. Una cosa è garantire i diritti delle persone ed un’altra indurre nell’equivoco di presentare il disordine come situazione in sé buona e retta.

 

4. L’ordinamento giuridico non può non riconoscere e sostenere la famiglia come luogo privilegiato per lo sviluppo personale dei suoi membri, specialmente dei più deboli. Oltrepassando impostazioni superate da questi ultimi decenni, occorre privilegiare e promuovere giuridicamente la famiglia come “il luogo nativo e lo strumento più efficace di umanizzazione e di personalizzazione della società” (Familiaris consortio, 43). Senza dare per scontato che ogni famiglia realizzi perfettamente questo bene sociale, occorre tuttavia non partire dalla diffidenza nei suoi confronti, ma piuttosto aiutarla con quei mezzi opportuni e quei sussidi, che integrano il suo compito formativo e assistenziale a servizio dei più deboli. Significativamente, alcune piaghe che hanno colpito specialmente i Paesi occidentali, come la disoccupazione, la droga, e persino l’AIDS, hanno portato a riscoprire la famiglia come la prima e principale alleata per diminuire l’incidenza negativa di quei fattori sulla società. Essa infatti “possiede e sprigiona ancora oggi energie formidabili capaci di strappare l’uomo all’anonimato, di mantenerlo cosciente della sua dignità personale, di arricchirlo di profonda umanità e di inserirlo attivamente con la sua unicità e irripetibilità nel tessuto della società” (Ibid.).

Si rivela, perciò, compito della massima importanza quello di trasmettere alle generazioni future i valori della dignità della persona e della stabilità del matrimonio e della famiglia mediante un corpo di leggi che li protegga e li promuova. Dare carta di cittadinanza legale a forme di convivenza diverse dalla famiglia legittima fondata sul matrimonio, oltre alla confusione sul piano dei principi, comporterebbe pedagogicamente e culturalmente un diretto contributo alla formazione di una mentalità e di un costume privi di riferimento ai valori basilari e fondanti della famiglia.

Giovanni Paolo II

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