di Marco Invernizzi
L’11 luglio l’agenzia stampa ANSA ha pubblicato una nota che inizia così: «In Italia c’è una bomba demografica che sta per scoppiare, con il rischio di far diventare la penisola un “ospizio disorganizzato”».
Ho subito letto il resto della nota, nonostante fosse passata la mezzanotte. Il testo non è generico, ma il frutto di uno studio su proiezioni sociodemografiche e sanitario-assistenziali al 2030 e al 2050 elaborate dall’Istat per Italia Longeva-Rete nazionale sull’invecchiamento e la longevità attiva. L’elaborazione dei dati sostiene che nel «[…] 2050 […] ci saranno due milioni e mezzo di italiani in meno e gli over 65, oggi un quarto della popolazione, diventeranno più di un terzo (20 milioni di persone, di cui oltre 4 milioni avranno più di 85 anni)». I dati raccolti sono stati presentati al ministero della Salute nel corso della terza edizione degli Stati generali dell’assistenza a lungo termine. Per il presidente di Istat, Giorgio Alleva, ci si trova davanti a «una questione di sostenibilità strutturale per l’intero Paese». Lo stesso Alleva aveva messo in guardia istituzioni e uomini di governo presentando la 26ma edizione del Rapporto annuale Istat sulla situazione del Paese in maggio scorso.
La mattina successiva, ieri, non ho letto reazioni particolari né sui media né da parte di uomini politici. Non posso dire di avere letto tutti i giornali, ma certamente, se c’è stata, la reazione non è finita in prima pagina.
C’è poco da commentare, purtroppo. In Italia si parla di molte cose, alcune delle quali certamente importanti, dal problema dell’immigrazione ai voucher, dai vitalizi d’oro da sospendere ai parlamentari ad altri temi che forse non rappresentano veramente delle priorità, ma del suicidio demografico in corso nel nostro Paese, uno dei peggio messi nella stessa sterile Europa, si dice poco o nulla. E neppure si è fatto nulla a livello governativo negli anni passati, posto che il declino demografico, secondo gli studiosi, comincia nel 1964, cioè oltre mezzo secolo fa. Speriamo che il nuovo governo intervenga e al più presto. Tutti infatti sappiamo che l’inversione di un trend demografico comporta decenni prima che si apprezzino dei risultati.
Va da sé che il problema non è soltanto politico, ma anzitutto culturale, ovvero che necessiti della decisione di chi è in età feconda di fare famiglia e di mettere al mondo dei figli, possibilmente più di uno per coppia. Tuttavia il problema è anche politico, nel senso che, dove le coppie giovani vengono aiutate, la natalità cresce, come dimostrano le nazioni e le regioni che hanno provveduto in questo senso.
Prima di auspicare che siano gli immigrati a colmare questo vuoto, forse sarebbe auspicabile che ci provassero gli italiani. Qualcosa, come la pubblicità della Chicco, si sta muovendo in questa direzione. Certamente vi sarà dietro anche un interesse economico, dato che dal 1946 la produzione della famosa azienda è tutta indirizzata ai bambini, ma lo spot pubblicitario «Fate bambini per l’Italia!» va nella direzione giusta.
Venerdì, 13 luglio 2018