Mons. Salvatore Joseph Cordileone, Cristianità n. 388 (2017)
Omelia tenuta il 7-10-2017 da S. E. mons. Salvatore Joseph Cordileone, arcivescovo metropolita di san Francisco (California), nella cattedrale di St. Mary of the Assumption, in occasione della Messa di consacrazione dell’arcidiocesi al Cuore Immacolato di Maria. Sono redazionali le note, il testo fra parentesi quadre e la traduzione, condotta sul testo reperibile sul sito web <https://www.catholicculture.org/culture/library/view.cfm?recnum=11683>. Tutti i siti web citati nelle note al testo sono stati consultati il 10-12-2017.
Fatima: una chiamata alle armi spirituali per la salvezza e la pace del mondo
Introduzione
In questo momento così significativo della storia del mondo, nell’anno che segna il centesimo anniversario delle apparizioni di Fatima, si è prestata, comprensibilmente, molta attenzione a questo fenomeno soprannaturale. Credo, tuttavia, che si corra facilmente il rischio di lasciarsi distrarre dagli elementi straordinari e strabilianti di quest’apparizione: predizione di guerre e disastri, un sole danzante nel cielo, la visione dell’inferno. Questa parte della storia facilmente ci intriga, forse a tal punto da farci perdere l’elemento fondamentale che, ovviamente, consiste nel messaggio in sé.
Una visione dell’inferno e gli ultimi cento anni
Un elemento ben noto della storia delle apparizioni di Fatima è la visione dell’inferno: i tre pastorelli videro le anime tormentate in un’agonia che va al di là di qualsiasi descrizione, una visione talmente raccapricciante e orrenda da farli urlare per la paura. Immediatamente dopo questa visione, Nostra Signora chiese la diffusione della devozione al Suo Cuore Immacolato. Ora, ne sono certo, c’è chi vorrebbe etichettare tutto ciò come frutto di fantasia; ci sono persino alcuni che negano l’esistenza stessa dell’inferno. Ma se pensiamo a ciò che è emerso — oltre alla nostra mancata attenzione — in questi cento anni dalla rivelazione del messaggio, non è forse vero che il secolo per il quale siamo appena passati non è stato altro che un’esperienza di inferno?
Di certo, gli ultimi cento anni sono stati un periodo di grande progresso: vengono subito in mente le innovazioni tecnologiche che hanno reso le comunicazioni, il commercio e i viaggi più facili e veloci; i progressi nel combattere e alleviare le malattie fisiche e psichiche; i progressi nel campo dei diritti civili. Allo stesso tempo, tuttavia, perfino nelle stesse aree segnate dal progresso, vi sono anche state tremende sconfitte e battute di arresto. Ripensando ai cento anni che abbiamo appena congedato, non sembra forse che siano stati, da molti punti di vista, quasi un riflesso vivente dell’inferno, anni in cui, su così tanti fronti, ci si è voluti prendere pesantemente gioco di Dio?
Gli esempi sono troppo numerosi per essere tutti elencati in questa sede, ma molti vengono immediatamente alla mente, cominciando dalle due grandi guerre che hanno attanagliato il mondo intero nella violenza e nel sangue. Ci sono stati campi di sterminio e genocidi — non genocidio, ma genocidi, al plurale —, il più famigerato dei quali quello perpetrato contro il popolo che Dio scelse per primo come suo. Chi oserebbe dire che una tale barbarie non sia un farsi beffe di Dio? Questi cento anni hanno visto affermarsi i regimi più brutali nella storia dell’uomo e su tutta la faccia della terra. Non vi è stato luogo o decennio in cui la Chiesa non abbia subìto persecuzioni e oggi, in Medio Oriente e altrove, continuano l’oppressione e lo sterminio di cristiani e di altre minoranze religiose; le loro suppliche di giustizia e di protezione non incontrano altro che orecchi sordi da parte della comunità internazionale. Non è, tuttavia, necessario guardare così lontano nel tempo e nello spazio. Sono ancora fresche nella memoria — e un peso sul cuore — le vittime dell’atrocità avvenuta a Las Vegas qualche giorno fa (1). Tragicamente, è solo la più recente e devastante sparatoria di massa nel continuo susseguirsi, nel nostro Paese, di una violenza insensata che va ormai avanti da troppi anni.
Vi è poi l’attacco contro la vita umana innocente: questa nostra terra è stata macchiata dal sangue di bambini innocenti in quella che è divenuta un’epidemia mortale paragonabile a un genocidio nel grembo materno; e adesso assistiamo sempre più anche all’abbandono di quei nostri fratelli e sorelle sofferenti che si trovano all’altro estremo del viaggio della vita. Anche nella nostra città di San Francisco vediamo nelle strade persone che patiscono gli effetti della dipendenza e dei disturbi psichici, così come la celebrazione e l’esaltazione del volgare e del blasfemo, che sbeffeggia il bel piano di Dio su come ci ha creati, sui nostri stessi corpi, per la comunione gli uni con gli altri e con Lui stesso. Dio viene esplicitamente deriso proprio nelle nostre strade, e ciò, nella nostra comunità, trova il plauso e l’approvazione. E noi, nondimeno, rimaniamo silenti.
Che cosa sta succedendo nel nostro mondo? Da molti punti di vista, ciò che una volta era impensabile adesso è diventato routine. Il secolo iniziato con le apparizioni di Fatima e or ora concluso si è preso gioco di Dio.
Dio, però, non si lascia prendere in giro: non che Egli si diletti nel vendicarsi su di noi, ma l’aver girato le spalle a Dio è un qualcosa che ci si ritorce contro, portandoci alla distruzione.
Si potrebbe contestare che tutto ciò è accaduto non perché la gente, ai nostri tempi, sia moralmente più depravata rispetto al passato, ma piuttosto perché i moderni mezzi di perpetrazione di violenza, distruzione e depravazione sono oggi più sofisticati e imponenti che in passato. Il che potrebbe essere vero. In questo caso, avremmo un motivo in più per cercare di capire meglio il messaggio di Fatima e per implorare la misericordia di Dio.
La nostra avvocata
Perciò, volgiamoci verso Nostra Signora, poiché alla radice di tutte queste sofferenze e devastazioni vi è una malattia spirituale. Contrariamente a quelle fisiche o psichiche, tale malattia, rimasta per lo più ignorata, è andata nel nostro tempo peggiorando. È la malattia che detronizza Dio e lo sostituisce con l’«io autonomo», facendo sì che il mio io diventi dio e crei in prima persona la sua realtà. È una malattia che rifiuta di riconoscere il Figlio di Dio, Gesù Cristo, come verità ultima e icona perfetta di amore.
Sì: volgiamoci verso Nostra Signora. Non che sia necessaria Maria per individuare la strada che ci porta a Cristo. Noi sappiamo dove si trova: Egli è nel Tabernacolo, nel Sacramento, nella sua Parola; Egli è presente nella Chiesa. Ciò di cui abbiamo piuttosto bisogno è qualcuno che ci prenda e ci porti verso di Lui, poiché siamo troppo deboli per andarci da soli. Così come Maria ebbe un ruolo speciale come madre di Dio, così Ella ha un ruolo speciale come madre nostra, per farci nascere alla vita nel Suo Figlio. Tale duplice ministero della maternità di Maria — nella vita di suo Figlio e in quella dei credenti — è stata spiegata con grande acume da Papa san Giovanni Paolo II [1978-2005] nella sua enciclica Redemptoris Mater: «C’è una singolare corrispondenza tra il momento dell’incarnazione del Verbo e quello della nascita della Chiesa. La persona che unisce questi due momenti è Maria: Maria a Nazareth e Maria nel cenacolo di Gerusalemme. In entrambi i casi la sua presenza discreta, ma essenziale, indica la via della “nascita dallo Spirito”. Così colei che è presente nel mistero di Cristo come madre, diventa — per volontà del Figlio e per opera dello Spirito Santo — presente nel mistero della Chiesa. Anche nella Chiesa continua ad essere una presenza materna, come indicano le parole pronunciate sulla Croce: “Donna, ecco il tuo figlio”; “Ecco la tua madre”» (2).
Con la sua presenza materna Maria è lì per farci da avvocata. Lo si può rilevare guardando attentamente l’immagine di Nostra Signora di Fatima. Sulla sua veste, posta in basso, vi è una stella. Tale stella può essere interpretata come un riferimento a Ester, personaggio dell’Antico Testamento il cui nome significa appunto «stella». Ester è colei che implora il re dei persiani di risparmiare la vita del suo popolo, mettendo a serio repentaglio la sua stessa vita. Il re, che l’aveva presa come regina, era stato indotto a decretare il massacro del popolo ebraico, ed ella, chiedendo al re di risparmiare la vita del suo popolo, si era vista costretta a rivelare la propria identità di ebrea. L’implorazione di Ester presso il re salverà la sua gente. Analogamente, Nostra Signora, Stella della Nuova Evangelizzazione, non cessa mai di intercedere per noi presso il nostro Re, proprio come fece per gli sposi a Cana. Non è che, se ci rivolgessimo direttamente al Figlio, saremmo trattati troppo duramente. No. Diciamo piuttosto che saremmo trattati da Dio secondo criteri di stretta giustizia, se non ci appellassimo alla sua misericordia. Dio vuole che chiediamo misericordia, così come desidera che chiediamo alla Madre del Suo Figlio di aiutare noi, proprio come fece con la coppia di sposi a Cana.
Accogliere le richieste e i cento anni che verranno
Per cento anni abbiamo ignorato il messaggio di Fatima. Per la precisione, più che il messaggio — giacché degli avvertimenti e della storia che ne è risultata siamo ben consapevoli — a essere state veramente ignorate sono state le richieste. Non possiamo più permetterci il lusso di farlo ancora. Dobbiamo prestarvi attenzione e fare ciò che a Cana Ella chiese ai servitori: «Fate quello che Egli vi dirà». E cosa ci chiede Cristo di fare? Egli lo rivela nelle richieste che Nostra Signora fece a Fatima. Forse non abbiamo il potere di cambiare la storia del mondo, ma possiamo certamente cambiare ciò che accade nelle nostre famiglie e nelle nostre comunità se presteremo orecchio al messaggio. I prossimi cento anni potrebbero essere radicalmente diversi da quelli appena trascorsi, a patto di accogliere seriamente il messaggio e di esaudire le richieste.
Perciò, le celebrazioni odierne non possono essere meramente vissute come un evento commovente nella storia della nostra arcidiocesi destinato a diventare un bel ricordo. Lungi dall’essere una voce in meno nella lista delle cose da fare, ciò che oggi ci vede impegnati non è niente meno che una chiamata alle armi, e ad armi spirituali. Viviamo in un tempo e in uno spazio d’intensa battaglia spirituale, e solamente imbracciando armi spirituali saremo in grado si alleviare la malattia spirituale che è la radice di tanta sofferenza fisica e psichica nel mondo odierno. È tempo di mettere da parte l’aspetto sensazionale e di rispondere alle richieste di Nostra Signora di Fatima.
Che cosa ci ha chiesto di fare? Non dovrebbe essere una sorpresa, poiché costituisce la parte centrale dei suoi messaggi ovunque e in qualunque tempo Ella appaia: preghiera, penitenza e adorazione. A Fatima, la Madonna è stata molto chiara circa il duplice scopo di tale richiesta: salvare le anime dall’inferno e stabilire la pace sulla terra. Il messaggio di Fatima non riguarda solamente l’ordine temporale, ma anche e soprattutto quello eterno. In entrambi gli ambiti, la posta in gioco non può essere più alta: la pace nel mondo e la salvezza eterna! Per questo motivo mi rivolgo a tutti i fedeli dell’arcidiocesi di San Francisco, affinché prendano a cuore questa triplice ricetta per ottenere la pace e la salvezza, proprio come Nostra Signora ci ha chiesto di fare.
Un programma di azione
Prima di tutto la preghiera: Nostra Signora ci ha chiesto specificamente di pregare il Rosario tutti i giorni. A ogni cattolico dell’arcidiocesi di San Francisco io chiedo, se non lo sta già facendo, di pregare il rosario tutti i giorni. E chiedo a tutte le famiglie di pregare il rosario insieme almeno una volta alla settimana. Molto opportunamente, stiamo celebrando questa Messa di consacrazione della nostra arcidiocesi al Cuore Immacolato di Maria nel giorno in cui si fa memoria della Madonna del Rosario. Ciò deve essere per noi un toccante promemoria del potere che ha il Rosario di portare la pace, nonché di cambiare il corso della storia del mondo. Figuratevi, allora, se non sia anche in suo potere cambiare la storia delle nostre famiglie e delle nostre comunità.
Penitenza: in un modo tutto speciale dobbiamo imbracciare l’arma spirituale della penitenza, poiché si tratta di un’arma potente che, nell’arsenale spirituale, abbiamo tristemente ignorato per troppo tempo. La riforma della disciplina delle pratiche penitenziali nella Chiesa, lungi dal negare la loro importanza, è stata pensata per instillare nella vita di ogni credente uno spirito più maturo di appropriazione di questo tratto caratteristico della vita cristiana. In particolare, i venerdì sono ancora giorni di penitenza, come lo sono sempre stati nella Chiesa, andando indietro fino ai tempi apostolici. Ciò che ai nostri giorni è cambiato è che il fedele può scegliere una forma diversa di digiuno in sostituzione della tradizionale astensione dalle carni, se tale rinuncia risulta per lui un sacrificio maggiore. Chiedo a ogni cattolico dell’arcidiocesi di San Francisco di vivere ogni venerdì come una giornata penitenziale, onorando così il giorno in cui Nostro Signore è morto per noi, selezionando una forma concreta di digiuno corporale da osservare in questo giorno — che si tratti dell’astensione dalle carni oppure di un altro tipo di cibo o di bevanda che, normalmente, risulta di particolare gradimento —, oppure la rinuncia a un intero pasto. Le nostre pratiche penitenziali, inoltre, devono spingerci a ricorrere in maniera più seria e frequente al sacramento della Penitenza. Non ci potrà essere alcuna rinascita spirituale, né in particolare una rinascita della devozione eucaristica, senza un rinnovamento nella nostra pratica del sacramento della Riconciliazione. Faccio appello a tutti i fedeli dell’arcidiocesi di San Francisco affinché aumentino la sincerità e la frequenza con la quale si avvalgono di questo sacramento e, come minimo, di confessare i propri peccati almeno una volta al mese.
Adorazione: Nostra Signora intercede per noi, ci solleva per portarci al suo Figlio. Tutte le nostre devozioni, così come le nostre pratiche penitenziali, devono condurre all’adorazione di Dio. L’adorazione richiesta da Nostra Signora mira a purificarci dalle nostre inclinazioni ad adorare i falsi dèi della società contemporanea e a donarci con tutto noi stessi al culto leale dell’unico vero Dio. Come disse suor Lucia [dos Santos (1907-2005)], riflettendo sull’esperienza della sua infanzia, quando ricevette le rivelazioni a Fatima: «La nostra adorazione deve essere un inno perfetto di lode, perché prima ancora che esistessimo, Dio già ci amava, e tale amore lo spinse a crearci» (3). La nostra consacrazione, quindi, deve portare a un rinnovamento nel nostro amore e nella nostra devozione al Santissimo Sacramento. Chiedo a ogni cattolico dell’arcidiocesi di San Francisco di dedicare un po’ di tempo tutte le settimane alla preghiera di fronte al Santissimo Sacramento. Se non è possibile durante la settimana, prendetevi qualche momento prima o dopo la Messa domenicale per pregare inginocchiati davanti a nostro Signore presente nel tabernacolo. Un po’ di tempo, tutte le settimane, passato in preghiera davanti a nostro Signore nel Santissimo Sacramento — Corpo, Sangue, Anima e Divinità — colmerà il suo desiderio di richieste di misericordia. E, naturalmente, Nostra Signora ci ha anche chiesto di praticare la devozione dei primi Cinque Sabati, esprimendo il suo desiderio di stabilire nel mondo la devozione al Suo Cuore immacolato subito dopo aver mostrato ai pastorelli l’inferno. La devozione consiste nell’assistere alla Messa e nel ricevere la Comunione in riparazione dei peccati per cinque primi sabati del mese consecutivi; nel confessarsi in prossimità dei primi sabati; nel recitare cinque decine di Rosario e meditare i misteri per quindici minuti. Ancora una volta ravvisiamo la sollecitudine di Nostra Signora ad assisterci in vista della nostra salvezza eterna: il senso della devozione è moltiplicare gli atti di riparazione per i peccati, in particolare quelli di blasfemia. Chiedo a tutti i nostri fedeli di fare della devozione dei Primi Cinque Sabati una priorità della loro vita devozionale e di praticarla una volta l’anno.
Dalle tenebre alla luce
Nella prima lettura della Messa di oggi (4) il profeta Isaia racconta della gente che camminava nelle tenebre e che vide una grande luce; tale luce è la gioia della salvezza di Dio. Dio venne in aiuto al suo popolo per abbattere l’oppressione degli assiri, mandando loro un re che li avrebbe liberati. Recita quotidiana del rosario, digiuno corporale e adorazione di nostro Signore nel Santissimo Sacramento: queste sono le armi spirituali di Dio che distruggeranno l’oppressione spirituale che ha deturpato gli ultimi cento anni della storia mondiale, le armi che ci otterranno la misericordia di Dio; misericordia che si traduce in pace per il mondo e salvezza eterna.
Vi è un’altra cosa molto importante che Nostra Signora disse ai bambini dopo la visione dell’inferno. Non era una richiesta, ma una promessa: «Infine il mio Cuore Immacolato trionferà». Accogliamo il suo messaggio, ottemperiamo alle sue richieste, così da affrettare quel trionfo. È lo stesso trionfo che suo Figlio ha ottenuto sulla morte. Ella, infatti, è inseparabilmente legata a quel suo Figlio che è venuto a guadagnare per noi la salvezza eterna. Il suo Cuore Immacolato è la porta che si apre per lasciarci entrare in quel trionfo. Attraverso questa, possiamo camminare dalle tenebre del peccato e della morte alla luce della verità e della misericordia di Cristo. Proprio lì, di là della porta, vi è il Cielo, cioè un paradiso glorioso, vasto e pieno di luce. Il suo Cuore è l’ingresso per il Cielo.
Conclusione
E così, del tutto opportunamente, termineremo oggi la nostra preghiera, dopo la Messa, la processione e l’atto di consacrazione, con l’adorazione e la benedizione del Santissimo Sacramento. Maria è sempre lì a prenderci e a sollevarci verso suo Figlio; vuole portarci attraverso il suo cuore materno dall’oscurità nella quale camminiamo alla luce del suo Figlio, e suo Figlio vuole che glielo permettiamo. Mettiamola in condizione di farlo, obbedendo alla sua richiesta di fare tutto ciò che Egli ci dirà. In altre parole, accogliamo le sue richieste così da poter sempre tenere i nostri occhi fissi su di Lui, suo Figlio, il Figlio di Dio e Salvatore del mondo. Concludiamo quindi questa riflessione facendo nostre le parole di san Tommaso d’Aquino [1225-1274], citate da Papa san Giovanni Paolo II a conclusione della sua enciclica sull’Eucaristia, lasciando, come ci esorta il Papa santo, «[…] che anche il nostro animo si apra nella speranza alla contemplazione della meta, verso la quale il cuore aspira, assetato com’è di gioia e di pace.
«Buon Pastore, vero pane, o Gesù, pietà di noi;
nutrici e difendici, portaci ai beni eterni
nella terra dei viventi. Tu che tutto sai e puoi,
che ci nutri sulla terra, conduci i tuoi fratelli
alla tavola del cielo, nella gioia dei tuoi santi.
Amen. Alleluia» (5).
Note:
(1) Il 1°-10-2017, Stephen Paddock, un uomo di sessantaquattro anni, ha sparato da due finestre poste al 32º piano del Mandalay Bay Hotel nel comune di Paradise, adiacente a Las Vegas, nello Stato del Nevada, sulla folla convenuta per un concerto. 58 persone hanno perso la vita e altre 489 sono rimaste ferite.
(2) Giovanni Paolo II, Lettera enciclica «Redemptoris Mater», del 25-3-1987, n. 24.
(3) Lucias Dos Santos, Calls from the Message of Fatima, Ravengate Press, Still River (Massachusetts) 2005. Il testo completo è disponibile alla pagina web <http://www.walkingwithourjesus.com/fatima3.htm>.
(4) Si tratta di Is. 9,1-5.
(5) San Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica «Ecclesia de Eucharistia», del 17-4-2003, n. 62.