Da Il Foglio del 12/06/2020. Foto da articolo
Warner Bros e Universal Parks, le due grandi major dietro alla fortunatissima trasposizione cinematografica di Harry Potter, hanno preso posizione sul caso J.K. Rowling: “Noi lavoreremo per un ambiente inclusivo”. Tradotto: l’autrice di Harry Potter ha escluso, stigmatizzato, negato diritti, dopo aver preso su Twitter posizione contro la cultura trans e l’ideologia gender: “Il sesso è reale”, aveva scritto Rowling, ribadendo le proprie idee sul suo blog (e che qui ripubblichiamo).
Il gender ha sconfitto il vecchio femminismo. A marzo, il Guardian pubblica una column della femminista Suzanne Moore su come quelle come lei vengono aggredite, disinvitate e messe a tacere dai “trans-estremisti” e dai loro alleati. Pochi giorni dopo, 338 giornalisti dello staff del Guardian firmano una lettera all’editore, a condizione che i loro nomi non siano resi pubblici, denunciando la “transfobia” di Moore. Era già successo, quando sull’Observer un’altra femminista della prima ora, Julie Burchill, aveva difeso la Moore. Donne come lei e la Moore non si sarebbero prese insulti da “cazzoni in abiti da gnocche” e da “un branco di piscialetto con parrucche da quattro soldi”. La sottosegretaria al ministero dell’Interno con delega alle Pari opportunità, Lynne Featherstone, dichiarò che “l’invettiva contro la comunità transgender” scagliata dalla Burchill non era semplicemente “disgustosa” e un “vomito intollerante”, ma qualcosa “per cui l’Observer dovrebbe licenziarla”. La sottosegretaria chiese anche la destituzione del direttore. Così, l’Observer pubblicò le sue scuse per l’articolo e lo rimosse prontamente dal sito web.
Due mesi fa, Selina Todd, accademica e nota storica delle donne, è stata cacciata da un evento femminista a Oxford in quanto “transofoba”. Germaine Greer avrebbe dovuto tenere una conferenza all’Università di Cardiff dal titolo “Donne e potere. Le lezioni del Novecento”. Ma studenti e attivisti trans non volevano che una delle femministe più famose e importanti al mondo parlasse contro il gender. “A quanto pare hanno deciso che, siccome non penso che gli uomini transgender una volta fatta l’operazione siano donne, non mi è consentito parlare. Non sto dicendo che non si debba consentire a chicchessia di affrontare quell’intervento. Quel che dico è che non li rende delle donne. E’ ̀ solo un’opinione, non una proibizione”.
Dopo una conferenza all’Università di Edimburgo, Julie Bindel è stata aggredita da una attivista “trans Taliban”, come l’ha definita. La giornalista Bindel è una delle più agguerrite femministe in Gran Bretagna, fondatrice di “Justice for Women”, l’organizzazione che dal 1991 si batte per le donne finite in carcere per aver ucciso il proprio compagno o marito violento. Bindel scrisse sul Guardian di non credere “che una vagina costruita chirurgicamente e un seno cresciuto a forza di ormoni facciano di te una donna. Almeno per ora, la legge dice che per subire discriminazione in quanto donna devi essere almeno una donna”. Da allora, Bindel non ha potuto parlare in pubblico senza contestazioni ed è stata costretta persino a cancellare la partecipazione a un convegno all’Università di Manchester, dopo che erano state denunciate alla polizia dozzine di minacce di stupro e morte contro di lei.
Una battaglia che impazza anche in Nord America. “Sono una cattiva femminista?”, si domanda sul Globe and mail Margaret Atwood, scrittrice femminista cult, autrice di “The Handmaid’s Tale”. Camille Paglia, che del vecchio femminismo libertario è una madrina irriverente, fa non poca fatica oggi a parlare e c’è persino chi ne ha chiesto la cacciata dal suo college a suon di petizioni.
Aggressioni che dimostrano quanto abbia vinto il nuovo femminismo di Judith Butler dell’Università di Berkeley, per la quale il femminismo old style ha compiuto l’errore di pensare che esistessero il maschio e la femmina, mentre sono “presupposti culturali” da cambiare come un abito. Basta quote rosa, battaglie sui salari, congedi di maternità… E’ l’ora di fare e disfare l’essere umano. E’ la grande guerra fra i nuovi diritti figli dell’ideologia gender e la libertà che si vuole contrarre in nome dei primi. La libertà accademica e giornalistica minacciata da coloro che credono che l’ideologia politica prevarichi sulla biologia e la ragione.
Giulio Meotti