di Luca Finatti
Discussioni infinite sui social media, centinaia di siti Internet tematici, saggi accademici pensosi sulle nuove forme del soft power, come per esempio La geopolitica delle serie TV. Il trionfo della paura del politologo e scrittore francese Dominique Moïsi. Il fenomeno e il successo delle serie televisive, secondo molti studiosi analogo per popolarità e influenza culturale alla nascita e alla diffusione del romanzo d’appendice ottocentesco, ha accelerato negli ultimi vent’anni, con l’avvento di piattaforme di produzione e distribuzione in streaming, e la netta affermazione della fiction come mai era successo prima, raggiungendo un picco di 495 titoli prodotti solo negli Stati Uniti d’America Usa nel 2018.
La svolta avviene nel 1996, quando la televisione via cavo statunitense HBO inizia la trasmissione di produzioni che innovavano radicalmente a livello di contenuti e di forma rispetto ai network generalisti. Non avendo bisogno di pubblicità, che comporta vincoli di edulcorazione dei contenuti, senza preoccupazioni educative da televisione di Stato e senza dover sottostare ai ritmi della programmazione stagionale, la nuova televisione può infatti osare laddove altri avevano soltanto sporadicamente tentato.
«It’s not TV. It’s HBO» era lo slogan.
Una guida nell’oceano del relativismo
In generale, le caratteristiche sono: il linguaggio esplicito, spesso volgare e osceno come mai prima; mafiosi, psicopatici e antieroi di ogni genere protagonisti assoluti di alcune delle serie più famose (per esempio I Soprano, molto celebrata dalla critica); sistematica ambiguità e rovesciamento dei valori; esaltazione della ferocia come risoluzione dei conflitti politici (Il trono di spade); onnipresenza euforica della libertà sessuale (Sex and the City; Girls). Il tutto viene peraltro rappresentato con uno stile di scrittura raffinato, fatto di rallentamenti narrativi e descrizioni d’ambienti ricche di particolari, tipiche di un certo cinema d’autore, nonché di attenzione alla forma della narrazione con soluzioni registiche originali, spesso più importanti dello stesso racconto, come osservano i critici Aldo Grasso e Cecilia Penati in La nuova fabbrica dei sogni. Miti e riti delle serie tv americane.
La quantità crescente di investimenti e la sinergia con il mondo del cinema conferiscono poi alla confezione dei serial una qualità tecnica altissima, di fascino innegabile. Del resto il critico Gianluigi Rossi, in Le serie TV, paragona HBO al mecenatismo dei Medici nel Rinascimento.
Dal 2008, quindi, questa stessa strategia viene riproposta da Netflix, che comunque si rivolge a un mercato nel frattempo già arricchitosi di proposte diverse per un pubblico sempre più vasto, composto soprattutto da adolescenti e da giovani.
Di fronte a tutto questo diventa allora fondamentale saper discernere. Allo scopo, sono utili almeno due siti web, curati professionalmente da docenti e da studenti dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, attenti alle tematiche familiari: Orienta serie e Family Cinema TV
In un ventaglio di proposte narrative dove spesso trionfano l’emotività a cui tutto è concesso e lo scandaglio psicanalitico di protagonisti votati al male, si staglia in controtendenza la miniserie di cinque puntate Chernobyl, che mette al centro la ricerca della verità storica con un piglio divulgativo ben documentato. Prodotta da Sky Atlantic in collaborazione con HBO, è disponibile a pagamento dal 2019, ma ultimamente viene trasmessa da una televisione nazionale italiana in chiaro.
Il debito con la verità
Perché replicare proprio adesso questo programma? Per un’evidente scelta politica, che invita l’opinione pubblica a cercare le possibili analogie tra le menzogne che hanno tentato di coprire il disastro sovietico e l’atteggiamento del regime comunista cinese dinanzi alla pandemia di CoViD-19.
«Quando la verità ci offende, noi mentiamo e mentiamo finché neanche ricordiamo più che ci fosse una verità. Ma c’è, è ancora là. Ogni menzogna che diciamo, contraiamo un debito con la verità, presto o tardi quel debito va pagato. Ecco cosa fa esplodere il nocciolo di un reattore RBMK: le bugie!». Così testimonia Valerij Alekseevič Legasov (1936-1988), lo scienziato protagonista della serie. Fu tra i primi ad arrivare a Černobyl’ e a rendersi conto della tragedia, cercando quindi di collaborare con Boris Evdokimovič Ščerbina (1919-1990), vicepresidente del Consiglio dei ministri, per contenere i danni.
Pur dedicando ampio spazio a questi due personaggi, all’affiatamento e alla stima reciproca che aumenta di giorno in giorno nella consapevolezza della morte certa entro cinque anni, come dice lo scienziato stesso, il serial concede molto al racconto delle vicende della cittadina ucraina di Pryp’jat’, investita per prima dalle radiazioni.
Emerge così una commovente narrazione corale, basata sulle testimonianze raccolte dal premio Nobel 2015 per la letteratura Svetlana Aleksievič, scrittrice che ha intervistato alcuni tra i 336.00 evacuati, venti anni dopo l’incidente del 26 aprile 1986 in Preghiera per Černobyl’. Cronaca del futuro.
La vicenda di Ludmylla Ignatienko, moglie del pompiere Vasilij Ivanovič Ignatenko (1961-1986), una tra le prime vittime delle radiazioni, è particolarmente intensa ed esemplare. Attraversa tutte le puntate ed è la prima testimonianza accolta nel libro, colma di sofferenza, ma anche di speranza. L’autore della serie o, come si dice in gergo, lo showrunner, Craig Mazin, ha infatti voluto rendere onore al sacrificio dei tanti fra operai, contadini, infermieri e vigili del fuoco morti per arginare la catastrofe, ma trattati dal regime come carne da cannone.
Menzogne di regime e morte
L’altra fonte della serie è Chernobyl 01:23:40. La vera storia del disastro nucleare ce ha sconvolto il mondo
di Andrew Leatherbarrow, un grafico che ha indagato sulla vicenda mosso da pura curiosità intellettuale e che dapprima ha pubblicato l’inchiesta in proprio su Internet. La serie è debitrice al libro per la ricostruzione dettagliata degli eventi, la spiegazione chiara delle debolezze tecnologiche e delle menzogne del regime, ma anche per la memoria dell’eroismo e della competenza che molti fra tecnici e scienziati hanno dimostrato sul campo, sprezzanti del rischio, fino a dare la vita per la salvezza della comunità.
Una delle maggiori libertà narrative che si è preso l’autore della serie televisiva è stata quella di rappresentare tutte queste persone in un unico personaggio, quello di Ulana Khomyuk, la responsabile della centrale di Kiev, che per prima si mette alla ricerca della verità, più volte contrastata dal KGB.
In gran parte girata in una centrale nucleare lituana dismessa, l’opera televisiva colpisce per il realismo, le immagini livide, sporche, da documentario d’altri tempi, ma anche per uno sguardo prolungato, silenzioso e contemplativo sulle rovine industriali e naturali che a poco a poco ricoprono tutta l’area attorno a Černobyl’, impregnando anche le anime: suggestioni visive che ricordano il film Stalker (1979), capolavoro del regista russo Andrej Arsen’evič Tarkovskij (1932-1986).
Se in Russia questa serie è stata duramente criticata, tanto che ne è stata realizzata un’altra dove si induce a sospettare che nell’incidente abbia potuto svolgere un ruolo la CIA, significa allora che le serie televisive vanno prese sul serio e che possono fornire un contributo, pur parziale e limitato, ma sempre persuasivo, alle esigenze di bellezza e di verità del cuore dell’uomo.
Sabato, 11 luglio 2020