Ignazio Cantoni, Cristianità n. 418 (2022)
Introduzione
Philip Jenkins, nato nel 1952 in Galles, nel Regno Unito, già professore di storia e studi religiosi alla Penn State University, in Pennsylvania, è attualmente distinguished professor di storia alla Baylor University, in Texas, e ivi codirettore del Program on Historical Studies of Religion (1).
È autore di diversi studi sul cristianesimo e sulla sua diffusione a livello globale, le cui traduzioni ammontano a sedici lingue.
Fra i diversi titoli che è possibile leggere in italiano vi sono La terza Chiesa. Il cristianesimo nel XXI secolo (2), Il Dio dell’Europa. Il Cristianesimo e l’Islam in un continente che cambia (3), I nuovi volti del cristianesimo (4), La storia perduta del cristianesimo (5) e Chiesa globale. La nuova mappa (6).
Nel 2020 è uscito Fertility and Faith. The demographic Revolution and the Transformation of World Religions (7).
Fertilità e fede
L’asserto di Jenkins in questo studio è che la fertilità di gruppi sociali, quali sono per esempio gli Stati e le nazioni o parti di essi, è profondamente legata all’intensità della pratica e della convinzione religiose, sicché è possibile identificare una correlazione fra i due fenomeni, certamente qualitativa ma non per questo debole.
Ciò significa che il Tasso di Fecondità Totale (TFT) — ossia il numero medio di figli per donna, in ottica sia descrittiva sia previsionale — permette di conoscere o prevedere l’andamento della pratica e della convinzione religiosa, e viceversa: «Se osserviamo il tasso di fertilità di qualsiasi società negli ultimi decenni, possiamo formulare alcune ipotesi plausibili su quella società e fare previsioni su come si svilupperà nel prossimo futuro. Possiamo fare affermazioni plausibili sulle condizioni sociali nel loro complesso — sulla condizione delle donne o sugli atteggiamenti verso la famiglia e su questioni specifiche come l’omosessualità — ma possiamo anche discutere delle condizioni religiose, con riferimento allo stato della religione organizzata in quella società, o lo status del clero e dei professionisti religiosi. Le nostre deduzioni non saranno infallibili, e alcune società, eccezionalmente, richiederanno analisi e discussioni dettagliate, ma nella grande maggioranza dei casi le nostre affermazioni si dimostreranno ampiamente corrette» (p. 4).
Il TFT è l’indice che descrive quanti figli, in media, ha ogni donna nel corso della sua vita fertile; quando l’indice è pari a 2,1 figli per donna, alla popolazione presa in esame viene garantita la sostituzione: le persone che muoiono sono sostituite in pari numero dalle persone che nascono; quando tale indice è superiore o inferiore a tale soglia si hanno quindi situazioni di espansione oppure di contrazione demografica.
Non è facile identificare quale fra i due fenomeni — l’intensità religiosa e la fertilità — influenzi l’altro, in quanto essi sono intimamente connessi e probabilmente interdipendenti: «[…] come pare più probabile, […] i due trend marciano fianco a fianco» (p. 57).
Per esempio — ipotizza Jenkins — la qualità della vita propria delle società moderne sviluppate tende a garantire un benessere di natura economica e sociale che mette in secondo piano gli aspetti di debolezza e di precarietà della vita, e fa sentire meno il bisogno di rivolgersi al sacro. Contemporaneamente, i modelli sociali della modernità portano a una trasformazione del ruolo della donna, vista sempre più come professionista esattamente come l’uomo; ciò crea normalmente un conflitto con la priorità — o l’esclusività, in alcuni casi — data alla vocazione alla maternità propria di gran parte delle religioni mondiali.
Peraltro, questo influsso dei modelli sociali di stampo moderno favorisce l’allontanamento dalla vita religiosa delle coppie perché la minore presenza di figli li mette meno in contatto con i riti di iniziazione, i momenti forti che hanno solitamente nei ragazzi i protagonisti.
Anche l’aumento dell’aspettativa di vita allontana l’esigenza di compiere scelte genitoriali in età giovane; lo stesso dicasi anche per le scelte religiose, perché l’esperienza frequente della morte favorisce, pure se non determina, il pensiero e le domande sulle cose ultime.
Come dirà con specifico riferimento agli Stati Uniti d’America (cfr. p. 114), laddove una comunità ha un solido sistema assistenziale ed educativo garantito dallo Stato, sarà più facile che i legami con famiglie e comunità religiose si sciolgano, e invece si consolidino in condizioni opposte — qual è appunto il caso statunitense almeno fino agli anni 2010.
La Rivoluzione europea
Con l’espressione La Rivoluzione europea l’autore descrive il progressivo abbassamento della fertilità del continente, a partire dai decenni 1960 e 1970.
La secolarizzazione porta con sé una sempre minore rilevanza delle norme etiche proprie delle Chiese cristiane, soprattutto per quanto concerne aspetti della morale sessuale. Da ciò sono conseguiti vari fenomeni tutti legati alla sfera sessuale, affettiva e familiare: la rivoluzione sessuale; l’uso dei contraccettivi; la legalizzazione dell’aborto; il matrimonio civile e la convivenza come alternative al matrimonio religioso; il divorzio e il riconoscimento legale di forme di unione omosessuale.
Con riferimento soprattutto alla legalizzazione delle unioni same-sex, Jenkins rimarca come fatto incontestabile che le nazioni dove si assiste al crollo della fertilità siano proprio quelle dove tali riconoscimenti hanno avuto luogo.
La diffusione a livello sociologicamente rilevante di comportamenti improntati a modelli sociali dove la famiglia non è più centrale viene di pari passo con un crollo del TFT: Jenkins cita a tal proposito il dato emblematico dell’Italia, che ha visto il TFT scendere sotto il livello di sostituzione proprio intorno all’evento della legalizzazione dell’aborto, avvenuto nel 1978: «Si tratti o no di coincidenza, quella cronologia segue fedelmente il declino della fertilità del Paese: il 1976, infatti, segnò il primo anno in cui il Paese raggiunse il livello di sostituzione, a 2,1, cifra che nel 1981 era caduta a 1,6. Questo è un cambiamento radicale nel giro di pochissimi anni. Il 20 per cento delle donne italiane nate nel 1968 — e che sono cresciute in questi anni tumultuosi — non avrebbero dato mai alla luce figli» (p. 43).
Tale coincidenza trova nella Spagna la possibile conferma di un pattern: «Un altro Paese a lungo considerato una roccaforte cattolica è stata la Spagna, che ha fatto riforme in senso libertario in tempi molto rapidi dopo il ripristino della democrazia politica nel 1976. I contraccettivi sono stati legalizzati nel 1978, l’omosessualità è stata depenalizzata l’anno seguente e il divorzio è diventato possibile grazie a una nuova legge entrata in vigore nel 1981. L’aborto è stato legalizzato nel 1985, anche se in presenza di condizioni rigorose. Se si guarda alla cronologia delle riforme, naturalmente attribuiamo ciò senza dubbio al nuovo governo democratico, ma il fatto che siano riusciti a realizzare tali progressi in così poco tempo è dovuto molto alla transizione demografica in corso, che ha seguito uno schema che ricorda molto l’Italia. Solo nel decennio successivo al 1975, il TFT spagnolo è sceso da un massimo di 2,75 ad appena 1,64» (p. 43).
Spirituale e secolare
Secondo una teoria della secolarizzazione, molto in voga durante tutto l’arco della modernità a partire almeno dall’Illuminismo, il mondo si sta avviando verso la scomparsa della religione. Tale teoria ha avuto una sua nuova edizione intorno agli anni 1960, ma anche questa volta la morte di Dio è stata pesantemente smentita da Dio stesso. Fra le altre cose, le teorie della secolarizzazione difettano per la impropria sovrapposizione di due elementi: «Tutto dipende da cosa intendiamo per “religione” e per “avere una religione”. Quando diciamo che le persone “hanno smesso di credere”, la domanda successiva che sorge spontanea è: “credere in cosa?”. Credere nell’intera visione del mondo soprannaturale, oppure solo nelle idee e nelle credenze presentate da istituzioni religiose familiari? Ciò solleva anche la questione fondamentale dell’appartenenza [belonging] e del credere [believing]. I sondaggi a cui ho fatto riferimento misurano spostamenti relativi all’appartenenza, che i successivi report poi interpretano erroneamente come un venir meno rispetto al credere» (p. 104).
Purtuttavia, se a livello mondiale la smentita è eclatante, la secolarizzazione è un fatto incontestabile per alcune regioni, e non fra le meno significative dal punto di vista geopolitico, economico e culturale, in primis l’Europa: «L’allontanamento dalla religione è così avanzato, e progredisce così velocemente, che alcuni studi scientifici prevedono l’estinzione della fede di qualsiasi genere in diverse nazioni entro la fine di questo secolo» (p. 57). Fra queste, figurano ai primi posti Paesi europei: Austria, Repubblica Ceca, Finlandia, Irlanda e Svizzera.
L’abbandono della pratica religiosa in gran parte delle società europee costringe le istituzioni religiose a ristrutturare la propria organizzazione territoriale a fronte di chiese sempre più vuote, e quindi numericamente inutili, e di vocazioni religiose e sacerdotali sempre più scarse. Per esempio, fra il 1980 e il 2011, i bambini battezzati nella Chiesa d’Inghilterra sono passati da un terzo a un decimo; in Irlanda, sette seminari su otto sono oggi chiusi; infine, nel 2012 l’arcidiocesi di Vienna ha annunciato un piano decennale di riduzione delle parrocchie da 660 a 150. Inoltre, per esempio in Francia e in Italia, si assiste a un fenomeno di «importazione» di sacerdoti dall’estero, soprattutto dall’Africa e dall’Asia.
Eppure, in controtendenza rispetto a questi dati, rimane un forte interesse verso la spiritualità, «[…] giustificando pienamente le espressioni “ritorno del sacro” o “reincanto”» (p. 191): pur non essendo forte la pratica domenicale, essa si concretizza in forme di espressione meno appariscenti, quali per esempio i pellegrinaggi, che non accennano a flessioni, e per giunta vissuti anche nei loro aspetti «medievali», quali la devozione mariana e le guarigioni miracolose.
Contemporaneamente, Jenkins suggerisce — e un punto così interessante avrebbe meritato un approfondimento maggiore da parte dell’Autore — che vi sia una sorta di legge di compensazione fra società secolarizzate, che non fanno più figli, e società ad alta pratica e convinzione religiose, che invece ne fanno notevolmente di più: «Esattamente le stesse forze sociali e demografiche che hanno guidato il declino religioso tra i residenti originari hanno anche creato la necessità di un’immigrazione di massa, e con essa il bisogno delle popolazioni responsabili della nuova ascesa spirituale. Le società con un basso TFT e le popolazioni che invecchiano possono tendere alla secolarizzazione, ma non possono sopravvivere a lungo senza l’importazione di immigrati, che sono più giovani, fertili e di fatto più religiosi. Qualunque fosse il loro orientamento religioso nei loro Paesi d’origine, quei nuovi coloni si rivolgono alle chiese o alle moschee per cercare la comunità e l’assistenza pratica di cui hanno così disperatamente necessità durante i loro spostamenti in giro per il mondo. In tal senso, la secolarizzazione è un processo che si autolimita. Il sociologo della religione Andrew Greeley [1928-2013] ha giustamente osservato che “la religione è sempre in declino e sempre in ripresa”» (p. 74).
La Rivoluzione diventa globale
Siamo normalmente abituati a immaginare che i trend demografici in discesa siano propri solo delle società occidentali, ma ciò non è vero. Molte nazioni asiatiche hanno in realtà il TFT sotto la soglia di sostituzione e anche per esse si nota una correlazione marcata con l’andamento della pratica religiosa.
In Giappone, per esempio, il TFT è abbondantemente sotto il livello di sostituzione e la pratica religiosa è ridotta a termini bassissimi; lo stesso dicasi per la Corea del Sud — dove peraltro, proprio di recente, vi sono avvisaglie di ripresa del fatto religioso.
Non può passare inosservato il fatto che tali casi siano società molto occidentalizzate.
Gli Stati Uniti d’America
Gli Stati Uniti richiedono un discorso articolato: da un lato la pratica e la convinzione religiose sono molto alte, ma dall’altro lato vi sono avvisaglie legate al TFT complessivo che possono far predire una caduta di quelle in un tempo non troppo lontano.
Peraltro, si può presumere una marcata crescita, nella popolazione più giovane, dei «Nones» o «religious Nones», ossia dei soggetti che, pur non essendo espressamente atei, non presentano alcuna affiliazione. «I “Nones”, poi, sono cresciuti proprio negli anni del riallineamento demografico e del calo dei tassi di fertilità. Ciò si adatta perfettamente al modello di una società a bassa fertilità e a bassa fede» (p. 108).
Pur nella sua differenza, «evidentemente, gli Stati Uniti si stanno muovendo a testa bassa verso modelli europei» (p. 108), con un declino della religione analogo a quello che interessa l’altra sponda dell’Atlantico: «I “Nones” non hanno abbandonato al presente la religione in quanto tale. Ma annunciano un potente movimento verso la secolarizzazione» (p. 108); infatti, «per quanto tempo è possibile non appartenere [belong] a una fede prima che ciò influisca sulla propria fondamentale credenza [belief] in quel sistema?» (p. 108).
Peraltro, è molto interessante l’analisi politica che l’autore dedica, proponendo un’ipotesi di correlazione a tre tra fertilità, fede e orientamento politico: gli Stati che nel 2016 hanno votato a favore dei repubblicani sono di norma quelli con le condizioni demografiche e religiose migliori, anche se vi sono importanti eccezioni contrarie di fronte alle quali Jenkins, con molta prudenza, invita a non cercare mai spiegazioni monocausali: «gli Stati e le regioni con tassi di fertilità più elevati tendono a mantenere schemi religiosi più antichi e, in politica, virano verso il lato repubblicano. Le aree caratterizzate da bassa fede e bassa fertilità sono significativamente più sul lato democratico» (p. 115).
L’Africa
L’Africa presenta una situazione estremamente diversa: le nazioni africane sono, nella classifica delle società a maggior tasso di fertilità, la maggioranza assoluta. Soprattutto il Kenya e la Nigeria rappresenteranno i Paesi a maggiore popolazione nei prossimi anni.
Contestualmente queste società presentano una pratica e una convinzione religiose elevatissime: da una survey del 2015 è emerso che «in cima alla lista figuravano tre paesi africani: Etiopia, Malawi e Niger, tutti al 99%» (p. 126); sono anche società dove gli aspetti di morale sessuale e di istituzionalizzazione di tali comportamenti seguono in modo molto rigoroso i dettami etici delle religioni dominanti, cioè cristianesimo e islam.
Per quanto riguarda la Chiesa cattolica, per esempio, la componente africana dell’episcopato ha svolto un ruolo molto conservatore durante il Sinodo sulla famiglia del 2014-2015. Dati i trend demografici attuali, l’episcopato africano diverrà sempre più rilevante.
La crescita del peso dell’Africa per il cristianesimo non è tuttavia un fenomeno recente: nel 1900 i cristiani in tutta l’Africa erano circa dieci milioni, oggi sono circa cinquecento milioni, e saranno realisticamente circa un miliardo entro il 2050 (8).
«L’esperienza cattolica dimostra l’impatto di tali cambiamenti, un aspetto di molta importanza poiché questa rimane di gran lunga la più grande istituzione religiosa esistente. Nel 1900 quella Chiesa poteva radunare solo un paio di milioni di fedeli in tutta l’Africa. Nel 2015 quel numero ha superato i 200 milioni, e alcuni osservatori sostengono addirittura che sia un conteggio per difetto. Entro un decennio da oggi, i numeri cattolici in Africa supereranno quelli in Europa, anche se qualsiasi confronto deve riconoscere che quei numeri europei includeranno una buona parte di migranti africani. Entro il 2040 la popolazione cattolica africana potrebbe costituire un quarto del totale, cioè l’incredibile cifra di 460 milioni di credenti. Nel 2015 un gruppo di importanti chierici e primati africani ha offerto contributo a un volume sulle nuove realtà del continente, dall’illuminante titolo di Christ’s New Homeland» (p. 129).
Il grande squilibrio demografico che le società africane stanno avendo porta a una massiccia presenza di giovani che costituiscono una altrettanto massiccia sfida dal punto di vista politico, economico e sociale; ciò, suggerisce l’autore, può essere una concausa della proliferazione in ambito islamico di estremismi, tanto da far diventare l’Africa occidentale la nuova frontiera dei terroristi che hanno visto con tristezza, dal loro punto di vista evidentemente, chiudersi l’esperienza dello Stato Islamico.
Un islam a due livelli
La vulgata corrente in un certo mondo «di destra» è che l’Europa, moribonda dal punto di vista spirituale e demografico — verità incontestabile —, sarà conquistata tramite l’immigrazione da un islam demograficamente in espansione; ma ciò merita molti distinguo e qualche correzione. Infatti — a parte l’evidenza che gli immigrati non sono tutti musulmani, anzi — l’islam non può essere visto come un blocco monolitico, né dal punto di vista della pratica religiosa né dal punto di vista demografico: anche nell’islam è possibile identificare la correlazione principale oggetto dello studio qui presentato.
Jenkins suggerisce di distribuire il mondo musulmano su almeno due piani: da un lato vi sono nazioni estremamente fiorenti dal punto di vista demografico, mentre ve ne sono altre che hanno modelli di vita, cultura e trend demografici decisamente in linea con l’Europa.
Nell’ambito dei Paesi con bassa natalità e bassa frequentazione religiosa vi sono, non senza una certa sorpresa, l’Iran e l’Arabia Saudita.
Quest’ultima presenta oggi una popolazione che per almeno il 30% è immigrata, per buona parte cristiana.
Ovviamente, i fattori che fanno pensare a una notevole resistenza, e forse immutabilità, a evoluzioni verso modelli sociali e politici propri della modernità sono tanti; tuttavia non si può sottacere come tali condizioni di profonda transizione sia religiosa che demografica aprano possibili futuri scenari solo poco tempo fa inimmaginabili.
Paesi come il Pakistan, l’Egitto e l’Afghanistan si pongono su trend demografici più vicini a quelli africani, e anche per questi si può riscontrare la riprova di una correlazione fra rilievo della religione e demografia.
Vai e dividi
Tale correlazione tra fede e demografia, secondo Jenkins, può essere osservata non solo al livello dei Paesi, ma anche delle regioni e dei gruppi sociali all’interno di un singolo Paese, dove si possono apprezzare valori del TFT molto differenti fra loro.
Ciò è eclatante, a opinione dell’autore, per Russia, Israele, Turchia e India, con una importante lezione storica da ricavare, anzitutto, dal Libano.
Il Paese dei Cedri ha distribuito le cariche politico-istituzionali per decenni, e le distribuisce tuttora, sulla base di una proporzione fra cristiani, musulmani sunniti e musulmani sciiti che, con il passare delle generazioni e con trend demografici marcatamente diversi fra questi tre gruppi, ha visto uno squilibrio crescente della parte sciita, la quale a un certo punto ha rivendicato un potere maggiormente rappresentativo. Anche se la Guerra in Libano merita approfondimenti maggiori (9), il punto sollevato da Jenkins è degno di assoluta attenzione.
L’India ha visto un progressivo slittamento verso posizioni marcatamente religiose, che hanno avuto un impatto anche dal punto di vista politico: la rinascita dell’induismo e la corrispondente fertilità è stata «cavalcata» politicamente da leader che hanno cercato di rafforzare l’identità dell’India — talvolta smentendo anche una tradizionale varietà politica e culturale in un Paese talmente vasto che a ragione è considerato un subcontinente. Ciò è andato a scapito di comunità minoritarie quali le cristiane e le musulmane.
La Turchia offre uno scenario molto composito dal punto di vista demografico, perché può essere suddivisa in almeno quattro aree. Quelle musulmane a maggiore fertilità sono quelle su cui l’attuale presidente Recep Tayyip Erdoğan fa forza per rinverdire le pretese imperiali turche, a scapito della minoranza curda, per esempio, anch’essa molto fertile. Ciò ha comportato varie riforme politiche in senso religioso, quali per esempio la concessione alle donne di indossare il hiiab, precedentemente proibito.
Israele ha visto, dal canto suo, una virata molto forte dal punto di vista identitario basata sulla religione. Benjamin Netanyahu, primo ministro dal 2009 al 2021, ha dato in ciò molto spazio alle parti sociali ortodosse e ultra-ortodosse, minoritarie al momento della nascita dello Stato di Israele, ma oggi caratterizzate da trend demografici molto alti. L’autore rimarca in questo caso la presenza di due fronti — quello ultra-ortodosso, appunto, e quello libertario che è «proverbialmente femminista, secolarizzato e gay friendly» (p. 177) — con prospettive per il futuro totalmente diverse: «È un mondo caratterizzato da alta fertilità e devota religiosità si confronta con un rivale secolarizzato con tassi di fertilità estremamente bassi. Le prospettive a lungo termine favoriscono chiaramente la parte religiosa e molti politici riconoscono pienamente questo fatto» (p. 177).
Infine, la Russia. Essa offre un esempio ancora diverso: in Russia la minoranza musulmana è quella con il maggior trend demografico positivo, mentre la popolazione di cultura storicamente ortodossa ha un TFT molto inferiore. Ciò viene presentato dall’attuale presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin, come una minaccia all’identità russa e alla volontà di tornare ai fasti dell’Unione Sovietica, con un appello alla nazione a fare figli per ribaltare tale condizione. In tale quadro rientra la volontà di rilanciare la Chiesa ortodossa e il messaggio cristiano, contrario ad aperture moderniste verso la legalizzazione delle coppie omosessuali, nonché alla pratica dell’aborto, che pure è stato un cavallo di battaglia del periodo comunista.
Vivere in un mondo con bassa fertilità
In conclusione, Jenkins invita alla prudenza nell’analizzare un quadro globale tutt’altro che definito: secondo l’autore, i trend demografici possono cambiare anche in modo rapido, e spingere lo sguardo oltre una generazione da oggi non rientra nella previsione ma nella profezia: «Le linee di tendenza normalmente non continuano indefinitamente o eternamente. Come abbiamo visto, le tendenze demografiche possono invertirsi, spesso abbastanza improvvisamente, e le società possono in una certa misura uscire da quelli che appaiono flessioni catastrofiche del tasso di fertilità: si pensi solo alla Russia a partire dalla fine degli anni 1990. Ma quel caso russo rafforza anche il punto fondamentale che gran parte, o la maggior parte, del pianeta sembra destinata a tassi di fertilità molto più bassi rispetto alle epoche precedenti, e le implicazioni richiedono un’accurata considerazione. Nel futuro prossimo — almeno per diversi decenni — la maggior parte del mondo non africano deve affrontare la prospettiva di una popolazione in contrazione e in forte invecchiamento» (p. 185).
Da ultimo, se si guarda alle nazioni europee o con stili di vita simili, a detta dell’autore — ma volutamente non svolgo in questa sede considerazioni al proposito, in quanto richiedono ben altre riflessioni e ben altre competenze — le religioni dovrebbero rivedere in vario modo le loro strategie, a cominciare dal ribilanciare i giudizi più duri sugli aspetti della morale sessuale; quindi, dovrebbero cercare di riformulare il loro messaggio e la loro azione pastorale tenendo conto della progressiva anzianità dei destinatari; e infine dialogare in modo più strutturato con le comunità religiose più rappresentative degli immigrati.
Ignazio Cantoni
Note:
1) Cfr. le notizie riportate in <https://www.baylorisr.org/about-baylorisr/distinguished-professors/philip-jenkins> (gli indirizzi Internet dell’intero articolo sono stati consultati il 30-12-2022).
2) Cfr. Philip Jenkins, La terza Chiesa. Il cristianesimo nel XXI secolo, trad. it., prefazione di Franco Cardini, Fazi Editore, Roma 2004; cfr. la lettura fattane da Massimo Introvigne, «La prossima cristianità. L’avvento del cristianesimo globale», in Cristianità, n. 310, anno XXX, marzo-aprile 2002, pp. 3-10.
3) Cfr. Idem, Il Dio dell’Europa. Il Cristianesimo e l’Islam in un continente che cambia, trad. it., EMI. Editrice Missionaria Italiana, Bologna 2009.
4) Cfr. Idem, I nuovi volti del cristianesimo, trad. it., Vita e Pensiero, Milano 2008.
5) Cfr. Idem, La storia perduta del cristianesimo. Il millennio d’oro della Chiesa in Medio Oriente, Africa e Asia (V-XV secolo). Com’è finita una civiltà, trad. it., prefazione di Giancarlo Bosetti, EMI. Editrice Missionaria Italiana, Verona 2016.
6) Cfr. Idem, Chiesa globale. La nuova mappa, trad. it., EMI. Editrice Missionaria Italiana, Bologna 2014.
7) Cfr. Idem, Fertility and Faith. The demographic Revolution and the Transformation of World Religions, Baylor University Press, Waco (Texas) 2020. I numeri di pagina nel corpo del testo si riferiscono a quest’opera.
8) Limitatamente ai cattolici, cfr. per esempio lo stato attuale in Agenzia Fides. Agenzia delle Pontificie Opere Missionarie, 96a Giornata Missionaria Mondiale-23 ottobre 2022. Le statistiche della Chiesa Cattolica, nel sito web <http://www.fides.org/it/attachments/view/file/Dossier_Statistiche_2022.pdf>.
9) Cfr. per esempio l’inquadramento offerto da PierLuigi Zoccatelli, La guerra in Libano (1975-1990), nel sito web <https://alleanzacattolica.org/la-guerra-in-libano-1975-1990>.