di Maurizio Milano
1. Una definizione
La finanza è una disciplina scientifica che riguarda risparmi e investimenti di denaro. Risparmiando, sottraendo cioè del reddito al consumo immediato, si possono ricavare le risorse necessarie per gli investimenti, accrescendo così la disponibilità di capitale (impianti, macchinari, ecc.): ciò consente di rendere il lavoro umano più produttivo e conseguentemente di accrescere la «torta della ricchezza». Grazie agli intermediari finanziari e alla ricca gamma di strumenti creati nel tempo dall’industria del risparmio, i fabbisogni vengono finanziati e, specularmente, i risparmi investiti. Famiglie, imprese, Stati e realtà sovranazionali ricorrono al mercato dei capitali, frutto del risparmio e dei risultati degli investimenti, per finanziare le spese: sia quelle correnti, relative ai consumi, sia le spese in conto capitale, relative a investimenti di lungo periodo. I risparmiatori, per contro, trovano una remunerazione per il proprio denaro.
2. Lo scopo della finanza
La finanza, come anche l’economia, ha regole proprie e gode di un’autonomia relativa. Essa è sia struttura portante, sia riflesso del sistema economico, di cui riveste un ruolo ancillare. Essendo uno strumento a supporto dell’economia reale— che, a sua volta, è al servizio dell’uomo — anche la finanza è per l’uomo. L’industria finanziaria è quella cresciuta di più nel corso degli ultimi trent’anni — in termini di mercati, di prodotti, di istituzioni e di normative — a riflesso dell’importanza crescente della finanza nelle attività umane. Un’accurata gestione degli equilibri fra entrate e uscite e fra debiti e mezzi propri è essenziale per famiglie, imprese, aziende e amministrazioni pubbliche. Nessuno può illudersi di sfuggire alla legge economica della scarsità, perché è un principio di realtà ineludibile: da ciò consegue la necessità dell’uso ottimale delle risorse a disposizione, evitando sprechi e cattivi investimenti. Una legge che vale non solo nel piccolo, nella cosiddetta «microeconomia»delle famiglie e delle imprese private, ma anche nella cosiddetta «macroeconomia», compreso il settore pubblico. Il punto critico è che senza risparmi non possono esserci investimenti, senza investimenti non aumenta il capitale e la produttività del lavoro umano non cresce: non si riesce, cioè, a fare di più in minor tempo e con minori risorse. La conseguenza è che stipendi e salari in termini reali non possono aumentare, ed è quanto è accaduto in Italia negli ultimi trent’anni. La finanza non deve divenire autoreferenziale e «vampirizzare» l’economia reale: la finanziarizzazionedell’economia[1] e lo stamparedenaro non creanoricchezza dal nulla, la spostano soltanto, nel tempo e nello spazio.
3. Il ruolo della moneta[2]
Non si può parlare di finanza senza parlare di moneta. Gli scambi commerciali, come conferma la storia economica, sono certamente possibili anche con il baratto. Il denaro, inteso come un mezzo universale di scambio, favorisce però la creazione di mercati sempre più ampi ed efficienti: con una crescente divisione e specializzazione del lavoro e una maggiore cooperazione volontaria e pacifica fra le persone si ottiene un alto incremento della produttività e, quindi, della ricchezza generata. In epoca moderna, gli Stati hanno progressivamente assunto il monopolio dell’emissione della moneta legale, imponendone il corso forzoso, con l’obbligo dei contribuenti di servirsene per pagare le imposte e dei debitori per estinguere i debiti. Con il monopolio è cresciuta nel tempo la tentazione dell’autorità pubblica di falsificarne il valore, sia per la necessità di finanziare campagne militari, sia per pagare i debiti contratti. Dallo svilimento del metallo prezioso contenuto nelle monete si è poi passati, in epoca moderna, alla stampa di carta-moneta. Inizialmente essa era considerata convertibile in metalli preziosi, tipicamente in oro o in argento, a seconda del tipo di regime monetario, detto rispettivamente «gold standard» e «silver standard». Con l’istituzione delle banche centrali, nei secoli XIX e XX, la gestione politica e centralistica della creazione del denaro è andata intensificandosi, di conserva con l’espansione del perimetro di intervento degli Stati moderni nella vita economica e sociale delle nazioni. Con la fine del cosiddetto «gold-exchange standard», il 15 agosto 1971, è definitivamente tramontato il sistema monetario a cambio aureo e la possibilità di convertire il denaro in oro, come indicava un tempo la scritta «pagabile a vista al portatore» stampata sulle banconote. Senza più freni, le banche centrali hanno così acquisito la facoltà di creare denaro ex nihilo, divenuto ovunque di tipo fiat[3]. Oltre all’emissione diretta di moneta, le banche centrali possono aumentare la base monetaria anche col cosiddetto «quantitative easing» (alleggerimento quantitativo), espandendo i propri bilanci con un clic del mouse del computer. L’alleggerimento quantitativo consiste nell’acquistare attività finanziarie sui mercati — principalmente obbligazioni governative e private —, facendone salire artificialmente le quotazioni e, specularmente, diminuire i rendimenti: in tal modo, i tassi di interesse di mercato vengono manipolati al ribasso, portandoli a volte addirittura in territorio negativo.
Anche le banche commerciali — e ciò è meno intuitivo —, creano moneta dal nulla, ogni qualvolta erogano un prestito: il meccanismo della riserva obbligatoria frazionaria consente infatti di «moltiplicare» il controvalore degli impieghi, ben al di là del valore dei depositi. Nell’area dell’euro, per esempio, stante la riserva minima attualmente fissata dalla Banca Centrale Europea all’1%, gli impieghi possono spingersi fino a un massimo teorico pari a cento volte tanto il valore dei depositi, creando così moneta «bancaria».
«Inflazionando»il denaro, aumentandone cioè la quantità, il denaro si svaluta, perde potere d’acquisto e il fenomeno della «inflazione» è esploso pressoché ovunque nel mondo a partire dall’estate del 2021. Il rialzo dei prezzi di beni e dei servizi è però solo l’effetto dell’espansione monetaria sopradescritta, cioè di quella che possiamo definire inflazione in senso proprio, che ne rappresenta la causa o, perlomeno, una delle cause principali. Per avere una idea della perdita del potere d’acquisto del denaro nel tempo basti pensare che nel giugno del 2024, dopo mezzo secolo di espansione monetaria, le quotazioni dell’oro hanno raggiunto un massimo storico a ridosso di 2.400 dollari/oncia, 68 volte tanto la quotazione fissata a 35 dollari/oncia nel 1944 nella Conferenza di Bretton Woods, nel New Hampshire (Stati Uniti d’America), e mantenuta invariata fino al 15 agosto 1971[4]. I processi inflazionistici danneggiano i titolari di redditi fissi — tipicamente salari, stipendi e pensioni —, mentre avvantaggiano le «nomenclature» economico-finanziarie e politiche. Un vero e proprio «socialismo finanziario»[5], come risulta evidente dalla progressiva contrazione della classe media degli ultimi decenni.
4. Risparmio, tassi di interesse e investimenti
Le scelte di consumo-risparmio-investimento dipendono dalle «preferenze temporali» della persona, ma sono accomunate dalla stessa legge a esse sottostante: a un uovo oggi si attribuisce maggior valore che non a un uovo nel futuro e questo «di più» dipende dalla durata del tempo in cui il consumo deve essere differito insieme al grado di preferenza temporale del soggetto che fa la valutazione. Una persona con una elevata preferenza temporale richiederà così un elevato compenso per differire il proprio consumo, viceversa farà una persona con una preferenza temporale bassa. Per tutti, tuttavia, al crescere del tempo deve aumentare il compenso richiesto per rinunciare al consumo immediato. Il tasso di interesse sul capitale si determina così, a livello aggregato, in base alle preferenze dei singoli e al risparmio disponibile ed esprime una sorta di «prezzo del tempo»: quando è bassa la preferenza temporale, il tasso di interesse diminuisce e aumenta il risparmio a supporto degli investimenti, anche in orizzonti lunghi; viceversa, al crescere della preferenza temporale il tasso di interesse aumenta e diminuiscono le risorse allocabili per investimenti e il ciclo produttivo deve accorciarsi. Il tasso di interesse «naturale» è quindi un prezzo sui generis, che porta in equilibrio risparmi e investimenti, coordinando fra loro i piani di produttori, consumatori e risparmiatori sui vari orizzonti temporali.
5. Moneta e cicli economici
L’alterazione politicadei tassi di interesse sopra descritta fornisce informazioni erronee non solo ai mercati finanziari, ma anche agli imprenditori. Con tassi artificialmente compressi aumentano gli investimenti e i cicli produttivi si allungano, cresce l’azzardo morale e si fomenta artificialmente la crescita. Il ciclo economico «positivo» che ne risulta è un castello di carte: se la crescita non è supportata da risparmi reali ma solo dalla carta-moneta, è inevitabilmente destinata a sgonfiarsi. Quando sono specifici, cioè non facilmente riconvertibili, i cattivi investimenti in immobili, macchinari e impianti potrebbero diventare inutilizzabili ed essere abbandonati: un processo di pulizia che richiede tempo e ha un effetto depressivo sull’economia, che provoca un veloce aumento della disoccupazione, a cui in genere le banche centrali reagiscono con le stesse politiche inflazionistiche responsabili in prima battuta delle errate scelte allocative di inizio del ciclo espansivo. Un cane che si morde la coda, insomma.
Il denaro non è capitale: la sua espansione artificiale induce un fenomeno collettivo di erronea valutazione delle risorse realmente disponibili, che ricorda quanto descritto nel Vangelo: «Chi di voi, volendo costruire una torre, non si siede prima a calcolarne la spesa, se ha i mezzi per portarla a compimento? Per evitare che, se getta le fondamenta e non può finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”»[6]. Sprecando risorse scarse, i cattivi investimenti vanno quindi a ridurre la «torta della ricchezza» che si sarebbe potuta ottenere in modo più lineare se non ci fosse stato l’ausilio della leva finanziaria. Si vede così come la manipolazione dei tassi di interesse al ribasso non produce solo trasferimenti di ricchezza ma rende anche inefficienti le scelte di investimento, amplificando i cicli economici. «Lo sviluppo economico si rivela fittizio e dannoso se si affida ai “prodigi” della finanza per sostenere crescite innaturali e consumistiche»[7].
Conclusioni
Chi controlla i flussi finanziari determina le scelte di risparmio e di investimento, quindi tutta la struttura produttiva, distributiva e di consumo. Il denaro è trasversale a tutte le attività umane: la sua alterazione produce gravi conseguenze distorsive, generalizzate e poco trasparenti, consentendo al potere politico e alle varie sue clientele di allargare i propri tentacoli invadendo e controllando sempre più la vita sociale ed economica. Violando l’etica della produzione della moneta, lo Stato tradisce la propria ragion d’essere, cioè la promozione del bene comune, per di più approfittando della scarsa consapevolezza generale, un’aggravante sul piano morale. Denaro fiat e statalismo vanno a braccetto, provocano pericolose distorsioni dei prezzi e quindi dell’allocazione delle risorse, sia nell’economia reale, sia nei mercati finanziari, ai danni soprattutto dei piccoli e medi risparmiatori e imprenditori. Il rischio è quello di scompaginare l’ordine sociale e d’infiacchire quelle virtù morali — laboriosità, sobrietà, prudenza, previdenza — che sono precondizioni indispensabili per lo sviluppo di una vita economica e sociale giusta, ordinata e prospera.
È urgente che «la finanza in quanto tale, nelle necessariamente rinnovate strutture e modalità di funzionamento dopo il suo cattivo utilizzo che ha danneggiato l’economia reale, ritorni ad essere uno strumento finalizzato alla miglior produzione di ricchezza ed allo sviluppo»[8]. Chi sbaglia finanza, sbaglia economia.
Giovedì, primo agosto 2024
Per approfondire
Economia dal sito di Alleanza Cattolica, clicca QUI
Benedetto XVI, Lettera enciclica «Caritas in veritate» sullo sviluppo umano integrale nella carità e nella verità, Cantagalli, Siena 2009.
Eamonn Butler, La scuola austriaca di economia, Istituto Bruno Leoni Libri, Torino-Milano 2014 (*).
Catechismo della Chiesa Cattolica, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2017.
Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2004.
Jesús Huerta de Soto, Moneta, credito bancario e cicli economici, a cura di Riccardo Bonsignore, Rubbettino, Soveria Mannelli (Catanzaro) 2021.
Jörg Guido Hülsmann, L’etica della produzione di moneta, Solfanelli, Chieti 2011.
Carl Menger, Denaro, 1890, Rubbettino, Soveria Mannelli (Catanzaro) 2013 (*).
Maurizio Milano, La «finanziarizzazione» dell’economia: una deriva ostile all’economia reale, in Cristianità, anno XLIX, n. 412, novembre-dicembre 2021, pp. 43-73.
(*) testi consultabili nella biblioteca on-line Perlego, nel sito web <www.perlego.com>.
[1] Cfr. il mio La «finanziarizzazione» dell’economia: una deriva ostile all’economia reale, in Cristianità, anno XLIX, n. 412, novembre-dicembre 2021, pp. 43-73, nel sito web <https://alleanzacattolica.org/la-finanziarizzazionedelleconomia-una-deriva-ostile-alleconomia-reale/>.
[2] Per approfondimenti, cfr. ibidem.
[3] Con «moneta fiat»ci si riferisce al denaro emesso in regime di monopolio legale dalle banche centrali: un semplice «segno», non supportato da attività tangibili e quindi non convertibile in alcun sottostante (ad es., oro o argento), accettato quindi esclusivamente su base fiduciaria.
[4] Cfr. nota 1.
[5] Cfr. il mio Il pifferaio di Davos. Il Great Reset del capitalismo: protagonisti, programmi e obiettivi,introduzione di Marco Respinti, D’Ettoris Editori, Crotone 2024, in part. Introduzione e capp. 4 e 5.
[6] Cfr. Lc, 14, 28-30.
[7] Cfr. Benedetto XVI (2005-2013; † 2022), Enciclica «Caritas in veritate», del 29 giugno 2009, n. 68.
[8] Ibid.,n. 65.