Giovanni Paolo II, Cristianità n. 303 (2001)
Messaggio “Dialogo tra le culture per una civiltà dell’amore e della pace” per la celebrazione della XXXIV Giornata Mondiale della Pace — 1° Gennaio 2001, dell’8-12-2000, nn. 4-6, in supplemento a L’Osservatore Romano, 15-12-2000. Titolo redazionale.
Considerando l’intera vicenda dell’umanità, si resta sempre meravigliati di fronte alle manifestazioni complesse e variegate delle culture umane. Ciascuna di esse si diversifica dall’altra per lo specifico itinerario storico che la distingue, e per i conseguenti tratti caratteristici che la rendono unica, originale e organica nella propria struttura. La cultura è espressione qualificata dell’uomo e della sua vicenda storica, a livello sia individuale che collettivo. Egli, infatti, è spinto incessantemente dall’intelligenza e dalla volontà a “coltivare i beni e i valori della natura” (Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, 53), componendo in sintesi culturali sempre più alte e sistematiche le fondamentali conoscenze che concernono tutti gli aspetti della vita e, in particolare, quelle che attengono alla sua convivenza sociale e politica, alla sicurezza ed allo sviluppo economico, all’elaborazione di quei valori e significati esistenziali, soprattutto di natura religiosa, che consentono alla sua vicenda individuale e comunitaria di svolgersi secondo modalità autenticamente umane (cfr. Giovanni Paolo II, Discorso alle Nazioni Unite, 15 ottobre 1995).
Le culture sono sempre caratterizzate da alcuni elementi stabili e duraturi e da altri dinamici e contingenti. Ad un primo sguardo, la considerazione di una cultura fa cogliere soprattutto gli aspetti caratteristici, che la differenziano dalla cultura dell’osservatore, assicurandole un tipico volto, nel quale convergono elementi della più diversa natura. Nella maggior parte dei casi, le culture si sviluppano su territori determinati, in cui elementi geografici, storici ed etnici si intrecciano in modo originale e irripetibile. Questa “tipicità” di ciascuna cultura si riflette, in modo più o meno rilevante, nelle persone che ne sono portatrici, in un dinamismo continuo di influssi subiti dai singoli soggetti umani e di contributi che questi, secondo le loro capacità e il loro genio, danno alla loro cultura. In ogni caso, essere uomo significa necessariamente esistere in una determinata cultura. Ciascuna persona è segnata dalla cultura che respira attraverso la famiglia e i gruppi umani con i quali entra in relazione, attraverso i percorsi educativi e le più diverse influenze ambientali, attraverso la stessa relazione fondamentale che ha con il territorio in cui vive. In tutto questo non c’è alcun determinismo, ma una costante dialettica tra la forza dei condizionamenti e il dinamismo della libertà.
L’accoglienza della propria cultura come elemento strutturante della personalità, specie nella prima fase della crescita, è un dato di esperienza universale, di cui è difficile sopravvalutare l’importanza. Senza questa radicazione in un humus definito, la persona stessa rischierebbe di essere sottoposta, in età ancora debole, a un eccesso di stimoli contrastanti, che non ne aiuterebbero lo sviluppo sereno ed equilibrato. È sulla base di questo rapporto fondamentale con le proprie “origini” — a livello familiare, ma anche territoriale, sociale e culturale — che si sviluppa nelle persone il senso della “patria”, e la cultura tende ad assumere, ove più ove meno, una configurazione “nazionale”. Lo stesso Figlio di Dio, facendosi uomo, acquistò, con una famiglia umana, anche una “patria”. Egli è per sempre Gesù di Nazareth, il Nazareno (cfr. Mc. 10, 47; Lc. 18, 37; Gv. 1, 45; 19, 19). Si tratta di un processo naturale, in cui istanze sociologiche e psicologiche inter-agiscono, con effetti normalmente positivi e costruttivi. L’amor di patria è, per questo, un valore da coltivare, ma senza ristrettezze di spirito, amando insieme l’intera famiglia umana (cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, 75) ed evitando quelle manifestazioni patologiche che si verificano quando il senso di appartenenza assume toni di autoesaltazione e di esclusione della diversità, sviluppandosi in forme nazionalistiche, razzistiche e xenofobe.