In uno dei saggi raccolti in L’epoca della secolarizzazione Augusto Del Noce denuncia “[…] l’idea che novità sia sinonimo di positività. Idea, se ben si osserva, che è intrinseca all’epoca della secolarizzazione, perché questa conferisce un significato magico, di parola-forza al termine di rivoluzione; [e nota che] oggi quasi sempre come perfettamente osserva il Monnerot “la parola ’rivoluzione’ è presa en bonne part; quando non lo sarà più, avremo cangiato d’epoca” [Jules Monnerot, Sociologie de la Révolution, Fayard, Parigi, 1969, pp. 7-8]” (Giuffrè, Milano 1970, p. 135).
Se questo “cangiamento d’epoca” — per conservare l’allure vichiana della notazione così come tradotta dal filosofo di Pistoia — sarà certamente segnato dal mutamento nella recezione comune del termine “rivoluzione”, portata significativa non molto minore avrà il cambiamento riguardo alla parola “feudalesimo”. Questo richiamo culturale mi è suggerito dall’edizione italiana di Che cos’è il feudalesimo?, che compare come titolo n. 514 nella sezione Geografia. Storia della Piccola Biblioteca Einaudi. Si tratta di un testo — informa la presentazione editoriale nella quarta pagina di copertina — pubblicato “in sei lingue [fra cui il giapponese] e in nove paesi, dopo la prima edizione belga del 1944, […] [ed] essenziale per comprendere i meccanismi del medioevo europeo: la sua permanente attualità nasce anche dal costante lavoro che l’autore gli ha dedicato, rivedendo e aggiornando le successive edizioni fino al 1975″. Ma — prosegue la stessa presentazione —, anche se “giudicato un classico insostituibile, un modello di rigore e di chiarezza da parte di noti storici d’oggi […], [il volume] non era ancora tradotto in Italia dove, pur nel suo impianto divulgativo, era conosciuto e apprezzato solo dai medievisti. La scarsa circolazione di un’opera così importante è certamente una delle cause del ritardo della cultura italiana in tema di feudalesimo, in cui ancora sopravvive la tradizione dei giuristi tardomedievali che tentavano di razionalizzare l’anarchia dei poteri applicando a posteriori etichette “feudali”, e dando così luogo a quell’immagine di un feudalesimo, sovrastrutturale e formalizzato, che non è quello medievale, bensì quello della transizione dal medioevo all’antico regime.
“In queste pagine il legame vassallatico-beneficiario appare con chiarezza come strumento di raccordo e di coesione dell’aristocrazia medievale, ben lontano dai luoghi comuni della piramide feudale e del feudo come giurisdizione separata, o come latifondo retto a economia chiusa. Ne emerge il vero medioevo, ricco di poteri signorili spontanei che devono la loro nascita alla loro intraprendenza, e non a una delega imprevidente da parte dello stato”.
François-Louis Ganshof nasce a Bruges, in Belgio, nel 1895, ed è allievo e successore di Henri Pirenne (1862-1935) all’Università di Gand. Riconosciuto in tutto il mondo come uno dei maggiori studiosi delle istituzioni medioevali, in Italia ha collaborato assiduamente con il Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, di Spoleto. Autore di un importante contributo nella Storia economica Cambridge (La società agraria medievale all’apice del suo sviluppo. I. La Francia, i Paesi Bassi e la Germania occidentale, con aggiunte e correzioni di Adriaan Verhulst, in Storia economica Cambridge. I. L’agricoltura e la società rurale nel Medioevo, a cura di Michael M. Postan, trad. it., 2a ed., Einaudi, Torino 1976, pp. 355-411), dell’opera di sintesi Il Medio Evo (trad. it., Vallecchi, Firenze 1976, primo volume della Storia Politica del Mondo, a cura di Pierre Renouvin), nonché di ricerche fondamentali sulla legislazione carolingia e sulla struttura della dominazione franca, muore a Bruxelles nel 1980.
Che cos’è il feudalesimo? — accuratamente tradotto da Ugo Gherner dalla 5a edizione francese (Tallandier, Parigi 1982), che tiene conto dell’ultima edizione riveduta dall’autore, la 4a tedesca (Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt 1975) e la cui bibliografia è aggiornata al 1982 — si apre con Avvertenze (pp. IX-X) e un’Introduzione generale (pp. XI-XV) in cui lo storico belga dichiara di voler tralasciare gli “usi fantasiosi” della parola “feudalesimo” che, “dalla rivoluzione francese, durante la quale, insieme con la parola “fanatismo”, agí da spauracchio, è stata spesso usata a rovescio”, per attenersi “alle due accezioni principali accolte oggi dagli storici”: “se ci limitiamo all’essenziale, possiamo infatti ridurre a due accezioni le analisi o le definizioni più sfumate che troviamo nelle pagine di alcuni autori” (p. XI). Inoltre ritiene di dover osservare che “l’uso che, in generale, viene fatto da parte degli storici dell’Urss e da numerosi storici di altri paesi oltre la “cortina di ferro” del termine “feudalesimo” e di altri termini a questo apparentati, ci pare difficilmente giustificabile, quali che possano essere i meriti dei loro studi” (ibid., nota 1).
Dunque, nella prima accezione, “si può concepire il feudalesimo come un tipo di società i cui caratteri determinanti sono: uno sviluppo molto ampio dei legami di dipendenza da uomo a uomo, con una classe di guerrieri specializzati che occupano i gradi superiori di questa gerarchia; un estremo spezzettamento del diritto di proprietà; una gerarchia dei diritti sulla terra nati da questo spezzettamento, gerarchia che corrisponde in larga parte a quella dei legami di dipendenza cui abbiamo appena accennato; un frazionamento del potere pubblico che determina in ogni regione una gerarchia di istanze autonome che esercitano per il proprio interesse poteri normalmente attribuiti allo stato e spesso, in un’età anteriore, di effettiva competenza di quest’ultimo” (ibidem).
Questo tipo di società, talora definito “regime feudale”, è quello conosciuto dall’Europa Occidentale nei secoli X, XI e XII, ma anche in altre zone del mondo e in altre età alcuni tipi di società hanno presentato analogie con il feudalesimo della civiltà cristiana romano-germanica del Medioevo occidentale, sì che, se a volte si sono tratte conclusioni affrettate da un esame non sufficientemente rigoroso delle singole fattispecie, in qualche caso — come in quello del Giappone — si è parlato di feudalesimo a buon diritto. A questo punto François-Louis Ganshof ricorda che due grandi storici francesi, Joseph Calmette (1873-1952) e Marc Bloch (1886-1944) — autori rispettivamente de La société féodale (6a ed., Colin, Parigi 1947) e de La società feudale (trad. it., 2a ed., Einaudi, Torino 1987) — hanno preferito al termine “feudalesimo” l’espressione “società feudale”, un uso di cui auspica la generalizzazione in quanto permetterebbe di limitare il termine alla sua seconda accezione. Infatti, “nella seconda accezione, il feudalesimo può essere definito come un insieme di istituzioni che creano e reggono obblighi di obbedienza e di servizio, soprattutto militare, da parte di un uomo libero chiamato “vassallo” verso un altro uomo libero chiamato “signore” e obblighi di protezione e di mantenimento da parte del “signore” verso il “vassallo”; l’obbligo di mantenimento, il piú delle volte, ha come effetto la concessione da parte del signore al vassallo di un bene detto “feudo”” (p. XII).
Benché le due accezioni vengano inevitabilmente associate, l’opera dello storico belga è dedicata soltanto alla seconda, più tecnica, giuridica piuttosto che sociale e politica, cioè al sistema delle istituzioni feudo-vassallatiche: costituisce quindi uno strumento indispensabile per comprendere la società feudale attraverso la descrizione della sua struttura istituzionale, della sua “costituzione”, traendo esempi soprattutto dalla regione compresa fra la Loira e il Reno nei secoli che vanno dal X al XII.
François-Louis Ganshof tiene fede ai suoi propositi. Nella prima parte — Le origini (pp. 3-14) — descrive la formazione delle clientele nella monarchia franca in età merovingia, l’accomandazione — cioè l’atto giuridico con il quale un uomo libero entra nel patrocinium di qualcun altro — e il beneficio, una terra di cui il proprietario concede a un’altra persona il godimento per un tempo lungo, in una forma tale che questi esercita su di essa un potere immediato e diretto.
Nella seconda parte tratta de Il feudalesimo carolingio (pp. 15-67). Anzitutto abbozza un quadro delle istituzioni feudo-vassallatiche sotto i primi Carolingi descrivendo l’unione di fatto fra il vassallaggio e il beneficio nonché la diffusione di questi due istituti, con il conseguente innalzamento del livello sociale dei vassalli; poi esamina le stesse istituzioni sotto Carlomagno e i suoi successori, quando si intensifica la diffusione del vassallaggio e del beneficio, e descrive i vassalli del re e di altri signori, i gesti che creano rapporti vassallatici, l’accomandazione, il giuramento di fedeltà, la libertà d’azione delle parti, il servizio dei vassalli, la subordinazione del vassallo al suo signore, la nozione di fedeltà, le figure dei vassalli “casati” e “non casati”. Quindi passa a trattare del beneficio del vassallo, dell’unione giuridica di vassallaggio e di beneficio, dei diritti delle parti sul beneficio, del problema dell’ereditarietà del beneficio e della pluralità degli impegni vassallatici, e dà finalmente spazio all’azione dei rapporti feudo-vassallatici sulla struttura dello Stato, cioè parla del ruolo del vassallaggio nello Stato carolingio, del beneficio e dell’honor, della posizione del signore che si interpone fra il suo vassallo e il re, del ruolo dei vassalli del re, e dell’importanza del legame feudo-vassallatico come freno alla dissoluzione dello Stato.
Nella terza parte, intitolata Il feudalesimo classico (pp. 69-187), vengono ripercorsi tutti i termini della seconda parte, esposti nel momento della loro maturazione: perciò sono nuovamente definiti e descritti anzitutto il vassallaggio, poi il feudo, quindi i rapporti fra il vassallaggio e il feudo e, infine, il loro riflesso sullo Stato.
Concludendo la sua magistrale sintesi, lo storico belga tratta delle istituzioni feudo-vassallatiche dopo il secolo XIII, e avanza brevissime considerazioni relative all’eredità del feudalesimo.
Poiché lo scopo dello scritto è quello di mettere a disposizione di un pubblico colto un’esposizione, dai confini precisi, di un grande problema della storia universale trattato sulla base dei risultati della ricerca scientifica, in esso non compaiono note erudite a pie’ di pagina, ma accompagnano il testo soltanto i riferimenti ai documenti citati, e lo chiude un’articolata Bibliografia sommaria (pp. 189-201), alla quale seguono una Bibliografia complementare, aggiornata al 1982 (pp. 202-206), e un prezioso Indice dei termini tecnici (pp. 207-215).
Avendo ben presente il luogo comune più diffuso e più radicato, nella prospettiva di quel “cangiamento d’epoca” auspicato da Augusto Del Noce sottolineo una verità di fatto che emerge dallo studio di François-Louis Ganshof — evidenziata anche da Marco Tangheroni in Feudalesimo e civiltà cristiana (Cristianità, anno VII, n. 46, febbraio 1979), che fa riferimento alla 4a ed. riveduta e ampliata, Presses Universitaires de Bruxelles, Bruxelles 1968 —, cioè il carattere anzitutto ed eminentemente personale del rapporto vassallatico, un rapporto quindi connotato dalla reciprocità, i cui obblighi sono sintetizzati in una fortunata espressione di età carolingia, consilium et auxilium, “il consiglio e l’aiuto” (p. 96); un rapporto personale, ancora, fra uomini liberi, al quale quello reale, costituito dal beneficio, si affianca e con il quale entra in relazione, fino a che il momento reale diventa preminente su quello personale.
Evidentemente al momento personale, in una corretta relazione con quello reale, e alla reciprocità pensava Václav Benda quando, nel 1980 — poco prima di essere arrestato e condannato a quattro anni di carcere dal potere socialcomunista —, scrivendo di Cattolici e politica in Cecoslovacchia, auspicava una “politica nuova” “per la quale i diritti umani e le norme della democrazia parlamentare, ma forse anche i privilegi e le libertà del mondo “feudale” e le esigenze di giustizia sociale sono qualcosa di ovvio” (CSEO documentazione, anno 14, n. 150, maggio 1980, p. 209): ebbene, per questa “politica nuova” — che urge anche dal punto di vista cronologico — l’opera di François-Louis Ganshof è strumento culturale certamente e altamente qualificato.
Giovanni Cantoni