Articolo di Alfredo Mantovano pubblicato sul sito del “Centro Studi Livatino” il 31 agosto.
C’è qualcosa che avvicina la vicenda di Tower Hamlets (la bambina cristiana data in affido a coppie musulmane radicali) a quella di Charlie Gard. Entrambe sono accadute in quella Londra che dalla Magna Carta in poi è additata come il luogo storico della tutela dei diritti e della difesa da ingerenze dispotiche dei poteri sovraordinati.
Nel giro di poche settimane uno dei più importanti e stimati nosocomi della Capitale inglese, il Great Ormond Street Hospital, e uno dei municipi londinesi, Tower Hamlets, hanno assunto decisioni di peso su diritti fondamentali, con controverse implicazioni di ordine etico, e in entrambi i casi non hanno fornito informazioni, e ancora meno illustrazione delle ragioni che hanno determinato quelle scelte. Anche a tutela di entrambe le autorità sarebbe stato utile, nel rispetto della delicatezza dell’uno e dell’altro caso, capire perché; invece ci si trova di fronte a passi che hanno dell’apodittico, per Charlie con l’avallo dell’autorità giudiziaria nazionale e della Cedu, per la bambina data in affido a due famiglie musulmane con la sola difesa del silenzio. E’ inevitabile che la gravità del fatto provochi le reazioni più varie, pur se l’incompletezza di dettagli rischia di far sfuggire qualcosa.
Avendo ben chiara l’esistenza di questo handicap conoscitivo, la questione si liquida in breve: pare di trovarsi di fronte a un affido, e non a un’adozione; questo spiega perché non se ne occupi un giudice, ma i servizi sociali del municipio londinese. L’affido, come l’analogo istituto presente nell’ordinamento italiano, è una misura temporanea di allontanamento del minore dalla propria famiglia, in presenza di problemi gravi ma non irreversibili, che si presume possano essere superati nel tempo.
Se effettivamente è un affido, la decisione di collocare la bimba in un contesto religioso e in senso lato culturale così diverso rispetto a quello originario, è ancora più incomprensibile che se si fosse disposta una adozione (che pure avrebbe incontrato forti riserve); quale prospettiva eventuale di rientro nel contesto della nascita garantisce l’attuale così radicale cambiamento di vita quotidiana subito dalla bambina? E comunque, in un ordinamento civile il faro di ogni opzione in materia è quello che in Italia si chiama “il superiore interesse del minore”: evidentemente non rispettato se a cinque anni le donne con le quali la piccola ha a che fare circolano in burka, se le si vietano cibi fino a quel momento a lei graditi, e se le si impone di abbandonare i segni della fede cristiana, indossati o praticati.
Sorprende che il coro di dissenso dalla decisione di Tower Hamlets non sia così unanime. La Repubblica, quotidiano militante nella promozione di quelli che identifica come diritti di libertà, ha affidato ieri il commento alla vicenda alla penna di Alberto Melloni e a un’intervista a Melita Cavallo, che da presidente del Tribunale dei minori di Roma aveva legittimato l’adozione da parte di persone dello stesso sesso. Né l’uno né l’altra dichiarano di condividere quanto deciso per la bimba inglese. Ci sono però dei distinguo.
Il prof. Melloni si avventura in un’analogia con le storie di bambini ebrei salvati dai campi di sterminio ma poi convertiti al cristianesimo – tra i tanti elementi di differenza, per essi mancò qualsiasi decisione pubblica di affido del minore -, e poi ricorda che bimbi slavi o asiatici sono stati dati in adozione a genitori italiani: i quali però non hanno rispettato la confessione religiosa della famiglia di origine. Sulla stessa lunghezza d’onda la dottoressa Cavallo che, richiamando la sua lunga esperienza di giudice minorile, ha spiegato come i genitori italiani adottivi non si pongano scrupoli nel mandare in chiesa o al catechismo i bambini ricevuti da contesti disomogenei. Vi è il rischio, ammonisce Melloni, di precostituire “gabbie etniche” per l’adozione.
E’ sempre difficile riaffermare l’ovvio, ma ci provo. Il bene del bambino che viene da una situazione di estrema difficoltà – altrimenti non andrebbe in affido o in adozione – non consiste nell’incrementare il disagio, come pare stia avvenendo per la piccola londinese. La religione c’entra ben poco, nel momento in cui per chi ha appena cinque anni vengono meno poche certezze – la pasta alla carbonara che tanto le piace, e che adesso le è preclusa perché contiene carne di maiale, e il crocifisso che portava al collo e che le è stato tolto – e aumenta la difficoltà di correlarsi: come è possibile se in pubblico non vede il volto della nuova mamma?
Non si tratta quindi di teorizzare l’adozione o l’affido per confessione religiosa – le “gabbie etniche” -, ma di perseguire laicamente il miglior interesse del minore. Se quest’ultimo collide con la pratica di una determinata fede, nella specie l’islam, e/o di una applicazione integrale dei suoi precetti, è esattamente tale ricaduta che preclude l’adozione o l’affido, non già una pregiudiziale di principio confessionale.
Rileggiamo Benedetto XVI a proposito del rispetto contestuale per la libertà religiosa e per i diritti fondamentali: la prima è inclusa nei secondi, non è a essi contrapposta. Melloni e Melito paiono evocare una sorta di reciprocità fra cristianesimo e islam: come nessuno controlla se un neonato proveniente da una famiglia musulmana bosniaca sia educato all’islam da genitori cattolici – questo essi dicono -, così la drammaticità del caso londinese non è qualcosa da rifuggire, ma una scelta dei servizi sociali sulla cui opportunità è necessario confrontarsi.
Domanda: per Melloni e Melito la reciprocità vale sempre? La domanda è retorica perché dubito che Melloni e Melito desiderino vietare l’esercizio della preghiera e del culto islamico in Italia a causa del fatto che negli Emirati arabi il culto cristiano non è permesso. La libertà religiosa, caposaldo della civiltà occidentale, va garantita senza condizioni. Ha allora ancora meno senso parlare di reciprocità quando sono in gioco diritti fondamentali della persona, in quanto tali non passibili di contrattazione.
E’ però singolare che chi opera per estromettere il dato religioso dalla vita comune e dalle scelte civili poi lo recuperi quando c’è di mezzo l’islam. Nella vasta gamma del politically correct mancava il clericalismo musulmano da parte di soggetti ordinariamente laicisti. La Repubblica ha colmato la lacuna.