
Un quadro di Rubens per ricordarci una verità fondamentale
di Michele Brambilla
Introduciamo la solennità della Presentazione del Signore (2 febbraio) con un quadro che il pittore fiammingo Pieter Paul Rubens (1577-1640) dipinse nel 1605 per la chiesa dei Gesuiti a Genova e che rappresenta la Circoncisione del Signore.
Come voleva l’usanza ebraica dell’epoca, l’ottavo giorno dopo la sua nascita il primogenito maschio doveva essere circonciso e ricevere il proprio nome dal padre. Trascorsi altri 40 giorni, andava portato a Gerusalemme per essere ulteriormente consacrato al Signore ed offrire un sacrificio di purificazione per la madre, che, perdendo sangue durante il parto, era diventata “impura”.
Il 2 febbraio sono trascorsi esattamente 40 giorni dal Natale. La pagina di Lc 2,21-27 viene letta, però, anche in altri giorni dell’anno, basti pensare al fatto che, per il rito ambrosiano, il 1° gennaio è proprio la solennità della Circoncisione, con tanto di paramenti rossi al posto del bianco per ricordare che il Signore, sottoponendosi alla Legge mosaica, inizia il percorso che lo condurrà al Calvario.
Come noto, il 2 febbraio in ogni chiesa si tiene la processione della Candelora, con la quale, con le parole del vecchio Simeone, si indica Cristo come vera luce del mondo. Le candele sono poi utilizzate il 3 febbraio per impartire la benedizione della gola il giorno di S. Biagio e conservate nelle case.
Rubens riprende la pagina di san Luca in maniera più letterale di molti altri pittori. A praticare la circoncisione sul Bambino è, come vuole la legge, san Giuseppe e non un sacerdote ebraico, come si vede spesso nei dipinti chiesastici. C’è una figura sacerdotale sullo sfondo, con il libro in mano e la barba del dottore della Legge: alza gli occhi al cielo per contemplare la realizzazione delle profezie dell’Antico Testamento.
L’ambiente, di cui vediamo solo la porta e un architrave, dato che tutto il resto è circonfuso di luce e nubi divine (rimando alla nube e alla colonna di fuoco che guidava Israele nel deserto), ha dimensioni raccolte, dignitose ma domestiche: non c’è quindi confusione con il momento della Presentazione. Non sfugga, ad ogni modo, che Gesù è adagiato su un tavolo che assomiglia molto ad un altare ed è ricoperto da una tovaglia bianca: un riferimento sacrale, quindi, c’è, ma è di tipo eucaristico.
I presenti sono quasi tutti riconducibili ai parenti stretti di Gesù e ai loro eventuali inservienti: sant’Anna è seduta accanto a Maria e sembra confortarla, mentre la Madonna si gira pensierosa (nell’incisione del prepuzio del Figlio prevede la Passione) verso san Giovanni Battista bambino, che a sua volta è voltato verso gli spettatori e li interpella con i suoi occhi vispissimi. Santa Elisabetta lo sta conducendo per mano: accanto a lei, nella penombra, si scorge il volto anziano di Zaccaria. Gli altri uomini, sulla destra, appartengono al parentado di san Giuseppe: tra di essi si scorge, con la cuffia bianca, san Giacomo il Giusto (Mt 13,55-56; Mc 6,3-4; Gal 1,19; At 15,13-21), che diverrà il primo vescovo di Gerusalemme.
Il pittore colloca l’episodio in un’atmosfera notturna: la porta permette di inquadrare la luna piena al di là della foschia. Gesù è la luce che squarcia la notte interiore del mondo e in Lui si raggiunge la pienezza dei tempi. Il buio dell’ambiente è illuminato, non a caso, dallo stesso nome di Gesù, trascritto nei cieli in lingua ebraica e circonfuso di raggi dorati e angeli adoranti.
L’opera di Rubens ci permette così di ribadire alcuni elementi storici fondamentali, oggi troppo spesso edulcorati anche tra i cattolici per motivi di comodo: la piena ebraicità di Gesù e della Terra Santa della sua epoca. Gesù è vero uomo, cioè vero ebreo della Casa di Davide, cresciuto da ebreo in una terra abitata, allora, in maggioranza da ebrei. Fu solo infatti l’imperatore Adriano (117-138 d.C.), al termine della seconda guerra giudaica, a rendere definitiva la diaspora ebraica.
Sabato primo febbraio 2025