Domenico Airoma, Cristianità n. 411 (2021)
Relazione, rivista e annotata, al convegno Per la maggior gloria di Dio, anche sociale. In memoria di Giovanni Cantoni (1938-2020), organizzato il 25-9-2021 a Piacenza, nella Sala di Palazzo Galli, da Alleanza Cattolica, da Cristianità e dall’IDIS, l’Istituto per la Dottrina e l’Informazione Sociale.
1. Una tesi vissuta più che solo pensata
Vi sono tesi enunciate dal pensatore e uomo politico brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995) che hanno formato oggetto di approfondite disamine da parte di Giovanni Cantoni (1938-2020). «La Chiesa come anima stessa della Contro-Rivoluzione», contenuta nel capitolo XII della seconda parte di Rivoluzione e Contro-Rivoluzione (1) non è fra queste.
La ragione è che si è trattato di una tesi incarnata nella sua costante drammaticità piuttosto che soltanto pensata e spiegata nella sua indiscutibile centralità; insomma, la glossa vissuta ha superato quella scritta.
D’altronde, la centralità della tesi può essere agevolmente intesa.
Se il conflitto fra Rivoluzione e Contro-Rivoluzione è essenzialmente morale, cioè religioso (2); e se, pertanto, il militante contro-rivoluzionario non può prescindere dal vitale alimento costituito dalla Grazia, rimanere saldamente attaccati al canale attraverso il quale Nostro Signore ha voluto che passasse quel cibo spirituale è imprescindibile. La Chiesa è l’incarnazione dello Spirito Santo, l’unico «Medio Evo» — in questo caso il «tempo di mezzo» fra l’Ascensione e la Parusia di Nostro Signore — che salva; e la Cristianità altro non è che la ricaduta sociologica della missione affidata alla Chiesa: ciò basterebbe a chiudere la questione.
Ma la storia, soprattutto quella di questi ultimi cinquant’anni, dimostra che la tesi è stata oggetto di interpretazioni spesso devianti e ha causato fratture e lacerazioni.
Permettetemi di dire che, per quel che ho compreso dalla frequentazione del fondatore di Alleanza Cattolica, egli ha fatto della ortodossa applicazione di questa tesi la ragione fondante della sua militanza contro-rivoluzionaria e del suo essere cattolico. Lo ha fatto nella consapevolezza che «la Chiesa è il centro della storia dell’umanità» (3). E lo ha fatto nel suo stile, lontano da altisonanti declamazioni, nella serietà dell’impegno e del sacrificio quotidiani, fino alla fine dei suoi giorni.
Lo ha fatto perché ogni «operaio della restaurazione sociale» (4) non può prescindere dal fine ultimo della restaurazione stessa, la conversione del prossimo, cioè la salvezza delle anime, che trova compimento solo nella Chiesa: non una Chiesa astratta, ma la Chiesa come si presenta nell’ora presente.
Se le cose stanno in questi termini, riesce agevole comprendere per quale motivo ogni agenda del Capitolo Nazionale di Alleanza Cattolica si apriva e si apre con la disamina della situazione della Chiesa.
Quale bisogno vi sarebbe, infatti, di svolgere un tale genere di analisi se si optasse per una lettura solo «metafisica» di quella tesi, una lettura quindi indifferente alle circostanze nelle quali è chiamata ad operare la Sposa di Cristo? Oppure, per altro verso, perché interessarsi delle condizioni attuali della Chiesa, se prevalesse una lettura storicistica della medesima tesi, e perciò chiusa fra chi rimpiange una Chiesa di un passato che non ritorna e chi ne attende una di un futuro che mai verrà?
La Chiesa è un corpo mistico, ma rimane un corpo e come tale attraversa la storia, tocca terra, vive tutta la debolezza della condizione umana.
Esaminare la situazione della Chiesa significa, dunque, pur ricordando sempre la natura sui generis di questa societas, porsi il problema di quanto e come questo toccare terra condizioni la sua missione, e, di conseguenza, quella del contro-rivoluzionario; significa interrogarsi su che cosa e come si debba fare per ridurre quanto più possibile il peso degli ostacoli, alla conversione dei singoli e delle società, derivanti dallo stato in cui si presenta la «vigna del Signore».
Se non facesse questo, se cioè non si interessasse della Chiesa anche nella sua dimensione storica, la Contro-Rivoluzione finirebbe con l’essere concentrata solo sul proprio corpo, affascinata dal suo ombelico, prigioniera di una sensualità tutta intellettualistica; insomma, sarebbe dis-animata, imbalsamata, un innocuo sembiante di una fiera da salotto.
2. Drammatica attualità della tesi
Giovanni Cantoni ha vissuto sulla propria pelle il carattere drammatico di questa tesi e della sua portata radicalmente impegnativa.
Lo ha vissuto all’epoca del Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965), allorché ritenne di condividere alcune domande poste da mons. Marcel Lefebvre (1905-1991), senza però seguire il presule francese nella sua scelta di lasciare il ruolo di lealissimo oppositore di Sua Maestà per assumere quello, ultimamente scismatico, di oppositore a Sua Maestà (5).
Lo ha vissuto allorquando ha posto la questione del silenzio nella Chiesa su quanto stavano subendo le chiese e i popoli oppressi dal totalitarismo socialcomunista (6).
Lo ha vissuto nel momento in cui ha difeso il rilancio della dottrina sociale della Chiesa — fortemente voluto da san Giovanni Paolo II (1978-2005) — dai tentativi di ridimensionamento del fronte modernista, svelando le manovre di chi dentro la Chiesa mirava a dis-integrare la fede, separandola dalla cultura (7).
Lo ha vissuto quando ha difeso il Concilio Vaticano II sia da coloro che anteponevano l’interpretazione ai documenti — che ha studiato integralmente e ha invitato a studiare sine glossa — sia da coloro che semplicemente facevano finta che non fosse mai accaduto.
Lo ha vissuto, ancora, quando ha sostenuto Benedetto XVI (2005-2013) nella sua lotta contro la «dittatura del relativismo», imperante nel mondo e sottilmente strisciante anche dentro il sacro recinto (8).
Lo vive oggi Alleanza Cattolica in un contesto in cui sembra prevalere — e non solo fra i teologi — l’idea che la fine di «una» civiltà cristiana debba coincidere con la sepoltura di ogni prospettiva di ricostruzione «della» civiltà cristiana, come se si trattasse di qualcosa di essenzialmente contrario al messaggio evangelico e non come la vera «civiltà dell’amore» (9), un vero e proprio anticipo di eternità.
Giovanni Cantoni lo ha vissuto ieri, ed Alleanza Cattolica lo vive oggi, nella ferma convinzione che la Contro-Rivoluzione si fa «cum Petro et sub Petro» (10).
Soprattutto oggi. Soprattutto in un momento in cui il capo visibile della Chiesa non può dirsi, per cultura, formazione e gesti di governo, condividere una lettura della storia secondo le categorie contro-rivoluzionarie.
Soprattutto quando vi è la tentazione di rispondere a un «cambio di paradigma» nell’interpretazione della storia e nelle priorità del Magistero operati dal regnante Pontefice, con un ridimensionamento dell’autorità del successore di Pietro; ancora una volta intendendo come anima della Contro-Rivoluzione non la Chiesa come la Provvidenza vuole che sia, hic et nunc, ma la Chiesa come ci piacerebbe che fosse.
«Viva il Papa», usava dire Cantoni; il che non significa che il Pontefice ha sempre ragione; ma che se si vuole rimanere dentro la Chiesa non si può prescindere dal Papa, chiunque egli sia. Né si può prescindere dal magistero dei predecessori, perché — come usava ammonire — «Papa non scaccia Papa».
3. Il contro-rivoluzionario, il Buon Samaritano e i briganti
Come è proprio di chi ha inteso essere «contemplativo in azione» (11), ad ogni analisi della situazione della Chiesa, Giovanni Cantoni ha fatto seguire interventi e scelte, spesso contestate, per così dire, da «destra»e da «sinistra».
Sia chiaro: non si è trattato di ricercare la quiete di un «centro» rassicurante; non ho conosciuto persona più aliena dal compromesso di Cantoni. Si è trattato di conservare sempre la capacità di inserire le vicende terrene della Chiesa in quello che egli chiamava «quadro grande», nell’ordito, cioè, di una trama intessuta dalla Divina Provvidenza e di cercare, come Giobbe, di assecondarne il volere, «[…] perché la Provvidenza non procede mai alla cieca e non agita invano il mondo» (12).
Si è trattato, in definitiva, di fuggire la tentazione di chiamare Dio sul banco degli imputati di una storia che registra lo strapotere dei nemici di Cristo e della Sua Sposa, nell’apparente sonnolenza di Chi governa l’Universo.
E tuttavia, pur nella consapevolezza che non è la Contro-Rivoluzione che salva la Chiesa, Giovanni Cantoni non ha mai voluto chiudere gli occhi dinanzi ai problemi che pone al contro-rivoluzionario una Chiesa sempre più «rivoluzionata», egemonizzata da un progressismo corrosivo, tentata dalla pace con un mondo che non vuole farsi né giudicare né salvare.
«La cattiva descrizione del presente è la peggiore forma di utopia», usava ripetere il fondatore di Alleanza Cattolica.
Se il fine dell’azione contro-rivoluzionaria è quello di rendere più agevolmente percorribile la strada che conduce alla Chiesa come porto di salvezza e se a quel porto non vi è alternativa, anche se appare sempre più mal frequentato e mal governato, che cosa fare? Si cambia porto? «No, nella maniera più completa!», avrebbe esclamato Giovanni Cantoni.
Come vivere, allora, nell’ora presente, la Chiesa come anima della Contro-Rivoluzione, alla scuola di Cantoni?
Questo è un interrogativo ineludibile se non si vuole ridurre il ricordo del fondatore di Alleanza Cattolica a un’operazione che egli detestava più di ogni altra, ovvero a un reducismo comodo quanto sterile.
Non vedo altra soluzione — e lo dico con nettezza — se non dirigere il nostro impegno di contro-rivoluzionari anche nel denunciare chi, nella Chiesa, coltiva l’intelligenza con i nemici e con «il» nemico.
Partiamo dai nemici.
I nemici ci sono, anche se ci piacerebbe tanto che non ci fossero. E sono molti, organizzati e potenti, spesso nascosti sotto le spoglie di amici disinteressati, dediti solo a liberare la Chiesa da ogni preoccupazione temporale, dis-incarnando la sua missione.
La prima cosa da fare è identificarli. Conosciamo, certamente, il «genere», per così dire, che ci presenta Nostro Signore. Ma l’operazione che siamo chiamati a fare è quella di dare un volto a chi oggi interpreta quel ruolo così ben descritto nella pericope evangelica: identificarli e denunciarli, se non vogliamo anche noi «passare a distanza» come il sacerdote o il levita della parabola del Buon Samaritano, quella «distanza che isola dalla realtà» (13).
E ciò va fatto opportune et importune (14), non solo quando l’identikit del nemico collima con quello indicato dal Papa, come nel caso di relativisti, propagandisti della cultura dello «scarto» e diffusori di «sbagli della mente umana» (15), come il gender; ma va fatto anche quando indossano gli abiti di pastori e teologi sostenitori di un dialogo che baratta l’oro della Verità di Cristo con quella «indorata» di questo mondo (16).
E ciò perché, come ha ribadito anche da ultimo Cantoni, «dire la verità è la furbizia anche del XXI secolo».
Certamente molti ricorderanno la metafora che era solito usare per sintetizzare la vocazione del militante di Alleanza Cattolica: fare come le oche del Campidoglio. Quelle oche, che avevano il compito di starnazzare per avvertire dell’arrivo dei nemici di fuori, oggi si trovano a dover moltiplicare gli sforzi, dovendo vigilare, oltre che sui nemici esterni, anche su quelli interni alla Chiesa. E se aumentano i nemici deve aumentare l’attenzione.
Torniamo alla parabola del Buon Samaritano.
Sarà per deformazione professionale, ma desidero soffermarmi sulla figura dei briganti. Essi restano sullo sfondo, rappresentano l’antefatto; e sono presenti nelle tracce lasciate sul corpo del povero malcapitato.
È senza dubbio vero, come sottolinea il Pontefice nell’enciclica Fratelli tutti, che Gesù non si sofferma sull’identità dei briganti.
Ma è anche vero che Nostro Signore descrive chi, di fatto, può rendersi complice dei briganti. Quei «segreti alleati» (17) — come li definisce lo stesso Pontefice — che «[…] passano per la strada guardando dall’altra parte» (18) e che avrebbero fatto così a maggior ragione se fossero passati durante l’aggressione.
Il Samaritano è buono perché fa la cosa giusta; e l’avrebbe fatta, mi permetto di aggiungere, anche se fosse passato mentre i briganti percuotevano il povero viandante, verosimilmente usando legittimamente la forza per difendere l’innocente. Di più: egli non si ferma all’assistenza materiale, ma si prende cura del malcapitato, accompagnandolo presso un luogo sicuro. A questo punto, però, emerge un altro aspetto di questa parabola, che mi ha sempre incuriosito.
Il Samaritano non considera esaurito il suo compito nell’accompagnare il ferito presso la locanda (19); egli si trattiene assieme al soccorso e riparte il giorno seguente, non senza prima essersi raccomandato che fosse prestata adeguata assistenza al convalescente. Perché? Deve esserci una ragione. Non possiamo certo pensare che Nostro Signore abbia scritto un finale della storia a caso. Evidentemente il Samaritano riteneva non remoto il rischio che i briganti potessero penetrare anche in quel luogo o che lo stesso oste potesse, per connivenza o per paura, cedere alle loro angherie o suggestioni.
Questa parte finale della parabola descrive, con vivida attualità, la condizione in cui ci troviamo. Abbiamo dinanzi a noi un uomo sfigurato nel corpo e nello spirito da cinque secoli di Rivoluzione; una Rivoluzione talmente dominante e a tal punto diffusa, che è entrata anche all’interno della Chiesa e la spinge, con la complicità di alcuni suoi figli, all’«autodemolizione» (20).
Se, perciò, intendiamo sforzarci per essere dei buoni samaritani, cioè dei buoni contro-rivoluzionari, hic et nunc, dobbiamo interessarci di ciò che accade all’interno della locanda e non da spettatori, ma ponendo domande, anche all’oste se necessario: «Non mi pento di aver posto domande, al più del modo in cui talora le ho poste» (21), diceva Cantoni.
Come ha fatto Giovanni Cantoni: con carità, nella verità. Come si è sforzato di essere Giovanni Cantoni, un buon samaritano della Contro-Rivoluzione.
4. Il riconoscimento ecclesiale di Alleanza Cattolica: limite o risorsa?
Vi è un ulteriore profilo da affrontare ed è quello relativo al riconoscimento di Alleanza Cattolica come associazione privata di fedeli con personalità giuridica.
Esso rappresenta, in un certo qual modo, la prova di quanto la tesi della Chiesa come anima della Contro-Rivoluzione costituisse e costituisce il cuore dell’apostolato di Alleanza Cattolica; sì, appunto, da registrare quel riconoscimento come il naturale approdo di una militanza provata dai fatti e dalle vite sante di tanti che ci hanno preceduto nella Chiesa trionfante, da Marco Tangheroni (1946-2004) a Enzo Peserico (1959-2008).
«La cosa che più ci sta a cuore è l’ortodossia, il sentiero retto»: così riassumeva Cantoni il desiderio di rimanere sempre «dentro»il recinto della Sposa di Cristo.
Tuttavia, questo felice evento può aver indotto l’idea che esso potesse rappresentare una sorta di limite per l’azione contro-rivoluzionaria; quasi che questo battesimo per l’associazione dovesse comportare l’abbandono di una parte, significativa, della missione, perché ritenuta poco confacente al nuovo status.
In verità, è esattamente il contrario. La realtà è che siamo stati riconosciuti, «battezzati», così come siamo, come ebbe ad ammonire Cantoni.
«Abbiamo continuato a far queste considerazioni, ininterrottamente, talvolta angosciosamente di fronte a tragedie incombenti, e non abbiamo nessuna intenzione di smettere di fare quel che abbiamo fatto fino ad oggi; e senza pretesa di esclusività, perché quando qualcuno fa l’infermiere non lo fa in concorrenza con qualcun altro, ma perché pensa di far del bene al prossimo.
«[…] Il Padreterno che ama tutti, in modo molto diverso per ciascuno, vuole che ognuno manifesti al prossimo l’idea che vi è sempre un altro modo, un modo per tutti; la Chiesa è per tutti e dunque anche per noi» (22).
Mi sento, dunque, di poter affermare che il riconoscimento ecclesiale rappresenta per Alleanza Cattolica un’enorme risorsa, quella di poter affermare che anche questa piccola via, anche questa «piccola realtà», può condurre alla santità.
«Si può andare in Paradiso partendo da Alleanza Cattolica!»; questo fu il commento di Cantoni a questo importantissimo passaggio della vita sua e di quella di Alleanza Cattolica.
Se le cose stanno in questi termini, che cosa può fare Alleanza Cattolica per la Chiesa, nell’ora presente?
Vi è un aspetto, a tale riguardo, che mi permetto di evidenziare, riprendendo un’«umile opinione», quella di Anastasio Gutiérrez Poza C.M.F. (1911-1998), insigne canonista, riportata fra le «accoglienze» in appendice all’edizione del cinquantenario di Rivoluzione e Contro-Rivoluzione (23).
Se è vero che «la Contro-Rivoluzione non è destinata a salvare la sposa di Cristo» e che, «al contrario, proprio la Chiesa dà vita alla Contro-Rivoluzione, che, senza di essa non sarebbe attuabile e neppure concepibile» (24), è anche vero che, per la condizione attuale in cui si trova la Sposa di Cristo, quest’ultima può avere bisogno di chi ha maturato una conoscenza del nemico tale da fornire utili elementi per una reazione sistematica e non frammentaria.
«Di fronte a tali realtà, sorge il dubbio se nella Chiesa esista un’autentica “strategia”, come esiste nella Rivoluzione; si trovano certamente molti elementi, azioni, istituzioni… “tattiche”, ma sembrano agire isolate e talora con spirito campanilistico e di contraltare, senza coscienza d’insieme. Il concetto e la coscienza di realizzare una Contro-Rivoluzione potrebbe unificare e perfino dare un maggior senso di collaborazione nella Chiesa» (25).
In definitiva, mi sembra di poter dire che se l’agire e la prospettiva contro-rivoluzionari non hanno senso al di fuori della Chiesa, è altrettanto vero che di quell’agire e di quella prospettiva la Chiesa ha oggi particolarmente bisogno, in un contesto in cui le divisioni sembrano moltiplicarsi non risparmiando alcun ambiente.
E vi è qualcosa di più, che riguarda da vicino la missione evangelizzatrice della Chiesa e del Papa.
Posto che il Magistero ha un ruolo insostituibile nell’azione contro-rivoluzionaria, accanto alle altre fonti della dottrina sociale; e posto che il Pontefice è assistito — ovviamente nel diverso statuto delle pronunce magisteriali — nel giudicare i fatti alla luce della Rivelazione ma non nella descrizione dei fatti stessi (26); si tratta, in un mondo rivoluzionato, che deforma il vero fattuale eche non risparmia anche la vita della Chiesa, di dare un contributo da testimoni di verità, con quel patrimonio di esperienza e di lettura del reale proprio della scuola contro-rivoluzionaria.
Non farlo significherebbe tradire la nostra stessa vocazione.
E farlo con umiltà è condizione altrettanto necessaria per rimanere fedeli alla chiamata; nella prospettiva, cioè, come pure ammoniva Cantoni, non del «solo noi!», ma dello «speriamo anche noi!», respingendo ogni tentazione da superbia intellettuale mascherata da fallaci missioni salvifiche.
5. La missione e la promessa
Noi vogliamo che Cristo regni anche sulle società. Per mantenere fede alla nostra promessa dobbiamo fare come il Buon Samaritano, cioè non rimanere nella locanda, ma tornare nel mondo, per fare in modo che le strade siano di nuovo sicure.
Interessarci della polis e di politica e di tutto ciò che è precondizione perché la società torni ad essere «a misura d’uomo e secondo il piano di Dio» (27). Questo è «il nostro campionato», non un altro; un campionato difficile, che non prevede pensionamenti o opzioni da «riserve indiane» (28). Un campionato terribilmente logorante.
Abbiamo, però, una straordinaria alleata: Colei che il Figlio ha voluto che fosse la Regina di questo mondo.
Non è a caso che la spiritualità di Giovanni Cantoni sia stata schiettamente mariana. Ed è questa anche la spiritualità di chi milita oggi in Alleanza Cattolica.
Lo è perché siamo convinti che, se la Vergine è la Regina di questo mondo, ogni sua promessa si avvererà. E se a Fatima ha detto: «Infine il mio cuore immacolato trionferà», questo certamente accadrà.
E mi piace pensare che su uno dei pilastri di fondazione della nuova Cristianità, lì dove le rovine del vecchio mondo lasciano il posto all’incipiente edificazione, resterà impresso il nome di Giovanni Cantoni e di coloro che, alla sua scuola, hanno militato ad maiorem Dei gloriam, et socialem!
Note:
(1) «Se la Contro-Rivoluzione è la lotta per annientare la Rivoluzione e per costruire la Cristianità nuova, tutta splendente di fede, di umile spirito gerarchico e d’illibata purezza, chiaramente questo si farà soprattutto attraverso un’azione profonda nei cuori. Ora, quest’azione è opera specifica della Chiesa, che insegna la dottrina cattolica e la fa amare e praticare. La Chiesa è, dunque, l’anima stessa della Contro-Rivoluzione» (Plinio Corrêa de Oliveira, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione. Edizione del cinquantenario (1959-2009); con materiali della «fabbrica» del testo e documenti integrativi, trad. it., a cura e con Presentazione di Giovanni Cantoni, Sugarco, Milano 2009, p. 143).
(2) Cfr. Idem, La devozione mariana e l’apostolato contro-rivoluzionario, in Cristianità, anno XXIII, n. 247-248, novembre-dicembre 1995, pp. 9-15.
(3) «Il vero cattolico sa che la storia della Chiesa è il centro della storia dell’umanità. Insistiamo sull’espressione: proprio “dell’umanità” e non solo dei popoli cattolici» (Idem, Chiuso il Concilio: momento di straordinaria importanza nella storia dell’umanità, in Idem, op. cit., pp. 313-316 [p. 313]).
(4) Cfr. San Pio X (1914-1922), Lettera apostolica agli Arcivescovi e ai Vescovi francesi «Notre charge apostolique», 25-8-1910.
(5) Cfr. al riguardo Giovanni Cantoni, I problemi della «Chiesa Conciliare», in Cristianità, anno IV, n. 19-20, settembre-dicembre 1976, pp. 1-2, nonché Idem, «Tu es Petrus», ibid., anno XVI, n. 158-160, giugno-agosto 1988, pp. 3-6 e 19. Sembra, inoltre, opportuno riportare il seguente episodio riguardante la vita di Corrêa de Oliveira: «Pare significativo ricordare che, nel corso di una conversazione con Corrêa de Oliveira mons. De Castro Mayer, a un certo punto, disse che mons. Lefebvre avrebbe potuto consacrare vescovi anche senza autorizzazione della Santa Sede, lasciando intendere che lui, mons. De Castro Mayer, lo avrebbe seguito. Corrêa de Oliveira gli rispose che, se intendeva rompere con la Santa Sede, non contasse sul suo appoggio, dal momento che lui si sarebbe sempre mantenuto fedele alla cattedra di Pietro» (P. Corrêa de Oliveira, op. cit., p. 35, nota del curatore).
(6) Cfr. G. Cantoni, «Tu es Petrus», cit., pp. 11-12.
(7) Cfr. Idem, L’anti-integrismo come «dis-integrazione» della fede, in Cristianità, anno XI, n. 37, maggio 1978, pp. 7-11, e La dottrina sociale della Chiesa come risposta alla Rivoluzione, ibid., anno XXXIII, n. 332, novembre-dicembre 2005, pp. 13-22.
(8) Cfr. Idem, Il «Catechismo della Chiesa Cattolica», «cosmo semantico» per il secolo XXI, ibid., anno XL, n. 365, luglio-settembre 2012, pp. 23-26.
(9) Sembra opportuno richiamare sul punto le riflessioni svolte dal gesuita Antonio Spadaro a proposito della fine della civiltà cristiana, salutata con favore: «La cristianità, cioè quel processo avviato con Costantino in cui si attua un legame organico tra cultura, politica, istituzioni e Chiesa, si va concludendo. […] La fine della Cristianità, tuttavia, non significa affatto il tramonto dell’Occidente, ma piuttosto porta con sé una risorsa teologica decisiva in quanto la missione di Carlo Magno è alla fine. […] Cade il muro che quasi fino al giorno d’oggi ha impedito al Vangelo di raggiungere gli strati più profondi della coscienza, di penetrare fino al centro dell’anima» (Antonio Spadaro S.I., Sfida all’Apocalisse,in La Civiltà Cattolica, anno 171, quad. 4069, 4-1-2020, pp. 11-26).
(10) Cfr. G. Cantoni, «Cum Petro», «sub Petro», verso la civiltà cristiana nel terzo millennio, in Cristianità, anno XXVIII, n. 300, luglio-agosto 2000, pp. 3-4 e 29-30; ora in Idem, Per una civiltà cristiana nel terzo millennio. La coscienza della Magna Europa e il quinto viaggio di Colombo, Sugarco, Milano 2008, pp. 51-58.
(11) Jerónimo Nadal S.J. (1507-1580), In examen annotationes, in Epistolae, 4 voll., Lopez del Horno, Madrid 1898-1905, vol. IV (Selecta natalis monumenta in ejus epistolis commemorata), ep. 66, pp. 649-653 (p. 651).
(12) Joseph de Maistre (1753-1821), Le serate di Pietroburgo,1821, trad. it., Rusconi, Milano 1971, p. 124.
(13) Francesco, Lettera enciclica «Fratelli tutti» sulla fraternità e amicizia sociale, del 3-10-2020, n. 73.
(14) «Quando Santa Romana Chiesa sta bene o vive un periodo di grazia oppure, brutalmente, “non fa il suo mestiere”» (G. Cantoni, Il «Catechismo della Chiesa Cattolica», «cosmo semantico» per il secolo XXI, cit., p. 24).
(15) Cfr. Francesco, Discorso durante l’incontro con i giovani sul Lungomare Caracciolo di Napoli nel corso della sua visita pastorale alla città, del 21-3- 2015.
(16) Appare opportuno riportare al riguardo le profetiche riflessioni di Michele Federico Sciacca (1908-1975), filosofo molto caro a Cantoni: «Motivo ricorrente e legittimo […] quello di andare incontro al mondo, dovere a cui ogni autentico cattolico ha sempre adempiuto, giacché esser cattolici comporta anche l’impegno nel mondo secondo il tempo in cui si vive; ferma restando l’integrità della fede e nei limiti di una saggia prudenza che consiglia di non trasportare entro le mura il cavallo di Troia […]. Invece, si vuole andare incontro al mondo moderno in una maniera davvero singolare; rendere “appetibile” il Cristianesimo accomodando al gusto di oggi le sue verità divine e l’intera area del religioso, al punto da fare del Cristianesimo stesso, secondo i casi, un manicaretto o un polpettone senza Dio e senza dogmi, cioè ateo e senza verità di fede» (Michele Federico Sciacca, Filosofia e antifilosofia, 1968, L’Epos, Palermo 1998, pp. 104-106).(17) Francesco, Lettera enciclica «Fratelli tutti» sulla fraternità e amicizia sociale, cit., n. 75.
(18) Ibidem.
(19) «La locanda è la Chiesa che accoglie coloro che sono stanchi dal loro camminare nel mondo e affaticati dai peccati che portano, e li risana, offrendo loro un salubre pascolo» (cit. in san Tommaso d’Aquino (1225-1274), Catena aurea. Glossa continua super evangelia, 7 voll., Edizioni Studio Domenicano, Bologna 2015, vol. IV. Vangelo secondo Luca. Capitoli 1-10, vv. 10, 29-37 [consultabile nel sito web <http://www.clerus.org/bibliaclerusonline/it/ehz.htm>, visitato il 22-10-2021], che attribuisce l’affermazione a san Giovanni Crisostomo [344/354-407]).
(20) L’autodemolizione fu denunciata per la prima volta da Papa san Paolo VI (1963-1978) tre anni dopo la chiusura del Concilio Vaticano II : «La Chiesa attraversa, oggi, un momento di inquietudine. Taluni si esercitano nell’autocritica, si direbbe perfino nell’autodemolizione. È come un rivolgimento interiore acuto e complesso, che nessuno si sarebbe atteso dopo il Concilio […]. La Chiesa viene colpita pure da chi ne fa parte» (Paolo VI, Discorso ai membri del Pontificio Seminario Lombardo, del 7-12-1968).
(21) Riflessioni svolte nel corso del Capitolo Nazionale di Alleanza Cattolica del 9-10 ottobre 2010.
(22) Idem, Il «Catechismo della Chiesa Cattolica», «cosmo semantico» per il secolo XXI, cit., p. 24 e p. 26.
(23) Cfr. Anastasio Gutiérrez Poza C.M.F., «Umile opinione», in P. Corrêa de Oliveira, op. cit., pp. 475-477.
(24) Ibid., p. 142.
(25) Ibid., p. 477.
(26) Riflessioni svolte da Cantoni nel corso del Capitolo Nazionale di Alleanza Cattolica del novembre 2010.
(27) Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti al Convegno promosso dalla [Commissione per i Problemi Sociali e il Lavoro della] Conferenza Episcopale Italiana sul tema: «Dalla “Rerum novarum” ad oggi: la presenza dei cristiani alla luce dell’insegnamento sociale della Chiesa» [Roma, 28/31-10-1981], del 31-10-1981.
(28) Il riferimento è a Rod Dreher, L’opzione Benedetto. Una strategia per i cristiani in un mondo post-cristiano, trad. it., prefazione di Marco Sermarini, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2018.