Daniele Fazio, Cristianità n. 428 (2024)
1. Innanzitutto una lezione di metodo
La recente pubblicazione del volume Scritti di dottrina sociale. 1961-2005, che raccoglie interventi editi e inediti di Giovanni Cantoni (1938-2020), con la prefazione di S.E. mons. Michele Pennisi, arcivescovo emerito di Monreale, in Sicilia, è un momento significativo per custodire e rilanciare la prospettiva di studio e di azione del fondatore di Alleanza Cattolica (1). Ciò in primis a beneficio dei soci del medesimo sodalizio per centrare continuamente gli sforzi spirituali e culturali nell’ambito del carisma proprio dell’associazione, ossia lo studio e la diffusione della dottrina sociale della Chiesa nell’ottica della regalità sociale di Nostro Signore Gesù Cristo; poi, ad abundantiam, a beneficio del laicato cattolico, quanto meno italiano, che per vocazione e missione è protagonista nel vasto campo della società al fine di ordinarla secondo il Decalogo, attingendo al plurisecolare corpus dottrinale offerto dalla Chiesa cattolica in tale materia.
Questo aspetto s’impone con non poca urgenza dal momento che nelle zone di più antica evangelizzazione dominano paradigmi culturali improntati al relativismo e i cattolici — ormai minoranza — devono sempre più e meglio attrezzarsi, anche culturalmente, per poter svolgere la nuova evangelizzazione, che non può essere ridotta semplicemente alla dimensione personale, ma implica un annuncio di conversione sociale, quindi di ascetica sociale.
Il volume si comprende, così, anche come un notevole contributo di formazione civico-culturale, che si pone nella prospettiva dell’incontro tra la fede e la vita e ancor di più nell’ambito della sintesi tra la fede e la cultura. Fede e impegno sociale, infatti, devono procedere all’unisono, sia per chi opera direttamente in campo politico, sia per chi è impegnato in ambito pre-politico, sia ancora per chi è chiamato di tempo in tempo a operare le scelte elettorali in un sistema democratico. La dottrina sociale non è altro che il principale orientamento che permette questa doverosa coerenza; perciò, il laicato cattolico, pur nella varietà delle funzioni e dei ruoli, deve continuamente vivere all’interno di questa tensione, di cui il primo e indispensabile momento è quello della formazione della propria coscienza da operare alla luce del magistero ecclesiale con una continua auto-evangelizzazione (2).
Tale missione culturale — con fondamento squisitamente teologico — è stata svolta per decenni da Giovanni Cantoni e i suoi scritti rispecchiano innanzitutto questa fondamentale necessità, su cui anche il magistero pontificio non ha mancato di far sentire la propria voce: «Una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta» (3).
Il testo — dopo la prefazione (pp. 9-12), la premessa del curatore (pp. 13-21) e la nota editoriale (p. 22) — si compone di un Prologo (pp. 25-31), rappresentato da un intervento di Cantoni su Il senso comune, e di tre parti: la prima — Studi e saggi di dottrina sociale della Chiesa — raccoglie testi inerenti più esplicitamente alla dottrina sociale (pp. 33-172), la seconda — Saggi sulla Chiesa e sulla politica — annovera principalmente prese di posizione su problemi politici ed ecclesiali (pp. 173-245) e la terza — Articoli e commenti vari — compendia interventi su varie tematiche attinenti alla filosofia sociale cattolica (pp. 247-292). Completa il volume l’Indice dei nomi di persona e di enti (pp. 293-298).
Ancor prima di evocare le questioni contenutistiche, che spiccano non solo per l’ampiezza dell’opera di Giovanni Cantoni, ma in special modo per la profondità del suo lavoro di studio e riflessione, è importante richiamare quanto emerge in filigrana del metodo dell’Aurore. Il volume, oltre a confermare una straordinaria conoscenza del magistero sociale della Chiesa, letto certamente anche alla luce dei contributi degli autori della scuola cattolica contro-rivoluzionaria — da Joseph de Maistre (1753-1821) a Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995) —, offre un approccio alle varie tematiche in cui spiccano quattro importanti caratteristiche metodologiche: il realismo, la serietà, la fedeltà e la chiarezza.
Il realismo — che non è pragmatismo e quindi rifugge da ogni primato della prassi sullo studio e sulla riflessione e di conseguenza da ogni sterile attivismo — è un atteggiamento di fronte a sé stessi e al mondo che accoglie la realtà — res sunt (4)—, per cui non si parte mai da un «punto zero» nella riflessione e questa deve accettare, pena appunto lo scadimento in ideologia, che la realtà data non può essere violentata o negata. Vi è un patrimonio di «senso comune», come spiegato proprio da Cantoni, che riguarda delle evidenze — l’universo, l’io come anima, l’ordine morale e Dio — che devono accompagnare e disciplinare ogni riflessione e ogni filosofia. La conseguenza di questo accostamento allontana le varie utopie che possono invadere la mente e l’azione dell’uomo, perché si ha sempre da meditare su due postulati: primo, la realtà è sempre più ampia del pensiero, ossia ciò che l’io trasforma in concetto non è la realtà sic et simpliciter, ma una parte di essa, in quanto fra essa e il pensiero resta sempre un’asimmetria, una trascendenza che l’uomo deve rispettare per evitare ogni forma di gnosticismo; secondo, la realtà deve essere vista per ciò che è, non per ciò che la mente individuale immaginerebbe che fosse, o riducendola semplicemente a qualche suo aspetto. L’errore principale delle ideologie moderne non è stato altro che fare della parte il tutto.
La serietà, seconda caratteristica metodologica, emerge dalla sua lettura attenta — mai superficiale o, peggio ancora, ideologica — e da una ruminatio dei testi del Magistero compresi nella loro profondità all’interno dell’evolversi dei tempi, in modo tale da presentare — come del resto vuole la stessa ermeneutica corretta della dottrina ecclesiale — uno sviluppo organico dei vari insegnamenti. Per esempio, l’Autore non si limita all’analisi nelle lingue volgari dei vari documenti ecclesiali, ma li legge nella lingua originale, in latino, penetrandoli, dunque, nella loro originalità linguistica e sostanziale; di conseguenza gli capita di far notare le difformità che a volte emergono e che si possono pericolosamente riverberare, tenuto in conto delle sfumature delle parole o degli errori, voluti o meno, in una ricezione inficiata dell’integralità dell’insegnamento. Altresì, la stessa presentazione dei documenti non solo è innervata nell’organicità del magistero di un Pontefice che li elargisce, ma tiene costantemente conto e si confronta con il magistero dei predecessori, facendo notare i tratti di continuità e di riforma, nella consapevolezza che «Papa non scaccia Papa» ed «enciclica non abolisce enciclica».
Tale studio, oserei dire, è puntualmente «scientifico» ma non meramente accademico, in quanto non è stato mai fine a sé stesso, bensì orientato a fronteggiare il processo rivoluzionario di scristianizzazione e ancora di più a porre le condizioni per la costruzione della civiltà cristiana nel Terzo Millennio (5). Ragion per cui, l’eredità di Cantoni viene tradita se ridotta al mero aspetto intellettuale. Tuttavia, la sua capacità di intus legere —leggere dentro le vicende della storia alla luce della recta ratio e della Rivelazione — deve distinguere e spingere nell’analisi della complessità della realtà umana e sociale con uno studio costante e serio nell’ambito delle opere di misericordia spirituale proprie dell’impegno associativo (6).
La fedeltà, poi, emerge dalla piena ed entusiastica accoglienza e quindi dal sapiente e concreto rilancio — senza alcuna stravagante originalità, diremmo sine glossa — dell’insegnamento dei Pontefici quale insieme di risposte puntuali alle sfide storiche: dalla questione sociale alle questioni bioetica ed ecologica. Giovanni Cantoni, accingendosi a presentare l’enciclica Laborem exercens (1981) di san Giovanni Paolo II, premette questioni di metodo che ancora una volta valgono non solo per questo documento, ma come modalità di accostamento generale al Magistero, scrivendo: «per chi, poi, della diffusione della dottrina sociale naturale e cristiana fa la sostanza della propria vocazione umana e cattolica, tali meditazioni, revisione intellettuale e rinnovamento di propositi hanno un momento individuale, privato ma anche un momento pubblico, che costituisce pure un modo per provare la comprensione del messaggio contenuto nel documento e per farsi di detto messaggio eco e veicolo» (7). In questo senso, anche le stesse esigenze e indicazioni delle varie «scuole» teologiche, spirituali e culturali vanno sottoposte costantemente al vaglio dell’autorità magisteriale della Chiesa e, laddove su qualche punto contraddicessero il Magistero, va seguito quest’ultimo e non i teologi. La fedeltà è legata alla consapevolezza dell’intima appartenenza alla Chiesa cattolica, tramite l’evento sacramentale — che supera ogni volontarismo — del battesimo, da vivere quotidianamente cum Petro et sub Petro.
Tale attenzione esistenziale e culturale ha permesso al fondatore di Alleanza Cattolica di comprendere come la dottrina sociale cristiana viene raggirata, da un lato trasformandola in programma politico o in ideologia, dall’altro lato — come avvenuto sovente e in maniera compulsiva durante gli anni successivi al Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965) — quando è oggetto di operazioni riduzionistiche, tese alla sua alterazione o negazione, espungendone il carattere profondamente normativo e valoriale, poiché essa è in realtà un orientamento basato sulla morale naturale e cristiana per la società (8).
Di tali tendenze, comunque sempre latenti, ha fatto giustizia il lungo pontificato e il ricco insegnamento di san Giovanni Paolo II, sia attraverso considerazioni presenti nelle sue encicliche sociali, sia nella indizione e celebrazione di un intero anno, il 1991, per commemorare il centesimo anniversario dell’enciclica Rerum novarum di Papa Leone XIII (1878-1903), la Magna Carta della dottrina sociale della Chiesa. Cantoni puntualmente ne ha ripreso e rilanciato i significativi momenti di rivalutazione (9) a fronte di un processo di «autodemolizione» e di crisi interna alla Chiesa denunciata in particolar modo da san Paolo VI (1963-1978) e san Giovanni Paolo II (10).
Il quarto atteggiamento è quello della chiarezza. Come in tanti altri luoghi, anche nel volume oggetto di queste considerazioni si nota che l’attività di Cantoni è stata in gran parte quella di un instancabile comunicatore, tramite l’oralità e gli scritti, attraverso intensi rapporti personali e in incontri pubblici. Premessa fondamentale della sua comunicazione è stata la chiarezza esercitata concretamente nell’uso attento delle parole. L’explicatio terminorum previa è stato un suo sforzo costante, sì che — lungi da ogni pressappochismo linguistico e quindi concettuale e culturale — egli stesso dice: «[…] quello di “raddrizzare” le parole non è un compito facile. “Raddrizzare le parole” vuol dire utilizzare in modo abbastanza ragionevole e coerente i termini e, quindi, favorire la comprensione delle situazioni. Le parole sono strumenti di straordinaria importanza. Ho esperienza di chiacchiere, ho esperienza, acquisita negli anni, di discorsi protratti fino a notte alta, con grande svantaggio per il sonno, che poi si concludevano con un: “[…] ma è solo un problema di parole!”. Ecco: “solo” vuol dire che il problema di parole è un problema importantissimo» (11). Per diametrum, facendo eco al filosofo tedesco Josef Pieper (1904-1997), si può dire — e quindi si comprende ancor meglio la sottolineatura, dell’Autore, scevra da ogni preoccupazione di eruditismo, che l’abuso di parola è un abuso di potere (12).
Il metodo cantoniano invita i laici cattolici, e certamente i soci di Alleanza Cattolica, a non scadere né in prospettive fondamentalistiche — ossia di confusione tra ciò che deve essere distinto, e in primis tra la sfera spirituale e quella temporale — né tantomeno in atteggiamenti pragmatistici o positivistici, ma a dosare la verità — senza sconti dottrinali e senza confusioni o pressappochismi —, a partire dalle possibilità e dalle condizioni in cui essa può essere illustrata e trasmessa.
Nella sua prefazione mons. Pennisi ha fatto notare che «la dottrina sociale della Chiesa non è dunque un optional e nemmeno un self service in cui ognuno può prendere quello che gli piace, ma piuttosto una grammatica comune a cui tutti devono fare riferimento» (13) e dunque essa offre, secondo il fondatore di Alleanza Cattolica, «le categorie per giudicare il “mondo” e per orientare l’azione nel mondo: perciò essa non è, per dire il meno, amata dal “mondo” e dagli amici del “mondo”» (14).
2. Linee essenziali della lettura di Cantoni della dottrina sociale della Chiesa
Il discorso relativo alla dottrina sociale è pienamente inserito nelle dinamiche del progetto di Dio per l’uomo, scandite da un ritmo fondamentalmente triadico: «Creazione, peccato, Redenzione». Infatti, quando nel mondo a causa della prima coppia umana giunse il peccato, si deformò l’armonia creata e prevista da Dio non solo nel rapporto dei singoli uomini con Lui, ma anche nel rapporto fra gli uomini e fra le comunità umane e Dio stesso. Da ciò, nella logica della restaurazione dell’ordine voluto da Dio per il cosmo e operata una volta per tutte dalla redenzione di Cristo, derivano non solo la salvezza per il vertice del creato che è l’uomo, in quanto essere razionale e libero, capace d’amare e di vivere in relazione, ma anche una indicazione importante per il retto vivere, ossia per la costruzione di un mondo umano rispettoso dell’ordine naturale e divino.
Gli uomini, dapprima con la forza della loro ragione, attraverso il mito o la filosofia, hanno cercato sempre di tracciare una morale non solo personale ma anche sociale, che potesse servire da quadro generale per orientare nel modo più retto possibile i rapporti fra uomini e fra comunità secondo giustizia e verità.
A questo tentativo naturale — che può trovare un’importante sintesi nelle visioni politiche dei filosofi greci Platone (428/427-348/347 a. C.) e Aristotele (384-322 a. C.), ma anche nel grande edificio del diritto romano — i cristiani, illuminati dalla Rivelazione e valorizzandone gli aspetti migliori, diedero una sistemazione e un coronamento.
Da ciò è facile comprendere come nella civiltà occidentale da sempre sia esistito un orientamento verso la morale naturale e sociale che, grazie anche all’apporto decisivo della Rivelazione, attraverso il Magistero della Chiesa, fornisce gli orientamenti corretti per edificare delle società «a misura d’uomo e secondo il piano di Dio» (15).
In tempi recenti, questo insegnamento ha raggiunto le dimensioni e la qualità di un corpus che viene denominato «dottrina sociale della Chiesa» (16).
All’interno di questo quadro generale, e ribadendo la dimensione costitutivamente sociale dell’essere umano — si può dire «[…] che la causa efficiente della società politica è la naturale socialità dell’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio e maschio e femmina, e che in tale immagine radica la propria dignità» (17) —, Cantoni fa rilevare la natura, i princìpi e lo sviluppo storico della dottrina sociale. Essa, forte com’è del suo radicamento nella ragionevolezza umana, è parte integrante della concezione cristiana della vita, proposta non solo ai credenti, ma a ogni uomo, ossia a ogni essere dotato di logos, forte com’è del suo radicamento nella ragionevolezza umana: «La dottrina sociale della Chiesa argomenta a partire dalla ragione e dal diritto naturale, cioè a partire da ciò che è conforme alla natura di ogni essere umano» (18).
Essa non è un programma di partito, né tanto meno una raccolta di proposte di leggi positive, ma appunto un corpus di insegnamenti, consigli, orientamenti morali d’impronta naturale e cristiana, che hanno per oggetto il vivere in comune degli uomini.
Da questo punto di vista, nella sua applicazione, nelle «emergenze» e nelle sfide storiche che i cristiani affrontano, la dottrina sociale si presenta come una realtà in continuo accrescimento, un work in progress, tante e tali sono le problematiche nuove che sorgono e a cui va data una risposta: è una morale sociale nella situazione — non della situazione — e provocata dalla situazione: essa ha dunque una storia. Essa aiuta a distinguere la radicale differenza fra contesti sociali in cui le istituzioni si lasciano ispirare dalla morale naturale e cristiana e contesti sociali in cui le istituzioni favoriscono «strutture di peccato» (19), nonché a individuare modalità concrete per realizzare il bene comune. Le occasioni che suscitano gli interventi magisteriali non rendono tale deposito «occasionale», come se fosse accessorio, ma ne accrescono e ne sistematizzano un corpus «fondato sul Vangelo e su tutta la tradizione dai tempi apostolici e dall’epoca dei Padri della Chiesa fino ai recenti interventi del magistero» (20).
Questa prospettiva ha permesso, fra l’altro, di contestare e superare quei riduzionismi di tipo «cronologico», «contenutistico» e «morfologico» (21) relativi alla dottrina sociale della Chiesa, che danno vita a un triplice errore.
Il primo è di datarne la nascita dalla pubblicazione dell’enciclica Rerum novarum. Certamente, questo documento rappresenta un momento importante nello sviluppo degli insegnamenti socio-economici del Magistero, ma questo tipo di dottrina è insito nella dinamica stessa della Rivelazione: insistere su tale datazione — fa notare Cantoni — assegnerebbe un carattere tardo e, quindi, secondario alla dottrina sociale cattolica, il che significherebbe una — voluta — sua svalutazione.
Il secondo errore è interpretare l’aggettivo «sociale» connesso alla dottrina cattolica sulla società solo nel senso di «socio-economico». L’area tematica coperta dalla dottrina sociale invece è molto più ampia, applicandosi all’intero quadro socio-politico. Dopo il 1789 l’attenzione alla «questione sociale» e alle sue implicazioni anche economiche è stata rilevante, ma da essa non possono essere espunte le questioni più prettamente politiche, sì che oggi la questione antropologica, quella bioetica e quella ecologica entrano a pieno titolo nell’area del magistero sociale. Cantoni stesso ha fatto rilevare, per esempio, quanto già l’enciclica Evangelium vitae (1995) di san Giovanni Paolo II — che tecnicamente non è ascrivibile ai documenti sociali — avesse una significativa valenza sociale sia per il nucleo fondante, sia nelle espressioni, tanto da offrire importanti e aggiornate considerazioni sul tema della democrazia in un contesto culturale dominato dal relativismo etico (22). In aggiunta, si può ricordare la presentazione dell’enciclica Spe salvi (23)— oltre gli scritti del volume in questione — offerta da Cantoni. L’enciclica di Benedetto XVI è una importante premessa e un forte richiamo alla dimensione sociale della natura umana — dopo l’avventura della modernità e l’involuzione individualistica del cristianesimo moderno —, necessitata da tempi in cui la società occidentale è ridotta a soggetti slegati l’uno dall’altro (24).
Il terzo errore è svigorire il momento «dottrinale», ossia l’atto magisteriale organico e intenzionale in tema di società e politica, riducendolo a una serie di interventi frammentari di natura «pastorale» e quindi «a bassa intensità normativa». Una tale interpretazione, fra l’altro, è stata funzionale alla cosiddetta «teologia della liberazione», che ha compiuto una strumentalizzazione politica della fede, motivando l’impegno storico dei credenti con l’ideologia e non con il deposito della dottrina sociale.
3. Per una storia dei documenti «sociali»
Alla luce di queste precisazioni si può ripercorrere l’itinerario compiuto, in epoca moderna, dal magistero sociale. Cantoni cita quale prima enciclica di questo percorso la Vix pervenit, promulgata nel 1745 da Papa Benedetto XIV (1740-1758), poi, a partire dall’esplosione della «questione sociale», nel 1891, la Rerum novarum.
Da quel momento in poi la dottrina sociale — che, come detto, è da sempre esistita e non va ridotta all’aspetto socio-economico — ha trovato formulazione ordinata in documenti pontifici che negli anniversari, anche se non esclusivamente, della Lettera leonina, ne hanno riproposto gli insegnamenti morali immutabili, aggiornandone la prospettiva. Il Magistero, infatti, a misura del progressivo degradarsi della società cristiana occidentale, ha modulato i propri interventi dapprima in funzione di «terapia sociale» con il fine primario di porre rimedio ai danni della scristianizzazione e, da ultimo, sempre più nell’ottica di una restaurazione sociale.
Fra i principali documenti del magistero pontificio — per limitarsi a quest’ultimo — ricordiamo: di Papa Pio XI (1922-1939), l’enciclica Quadragesimo anno (1931), di san Giovanni XXIII la Mater et magistra (1961), di san Paolo VI la Popolorum progressio (1967) e l’Octogesima adveniens (1981), di san Giovanni Paolo II la Laborem exercens, la Sollicitudo rei socialis (1987) e la Centesimus annus (1991), di Papa Benedetto XVI la Caritas in veritate (2009) e, infine, di Papa Francesco la Laudato si’ (2015) e Fratelli tutti (2020). Non vanno tuttavia omessi ulteriori insegnamenti di san Pio X (1903-1914), di Papa Benedetto XV (1914-1922) e del venerabile Pio XII (1939-1958), che, in tempi calamitosi, ricordò il cinquantesimo della Rerum novarum con un celebre radiomessaggio (1941).
Una fonte importante per una visione unitaria della dottrina sociale della Chiesa è altresì il Catechismo della Chiesa Cattolica (1992), che nella seconda sezione della terza parte — quella relativa alla morale cristiana —, proprio nei capitoli, paragrafi e articoli dedicati ai Dieci Comandamenti, ne precisa pure le implicazioni sociali connesse. Idem dicasi per il Compendio della dottrina sociale della chiesa (2004) del Pontificio Consiglio Iustitia et Pax.
4. Assi portanti della dottrina sociale
L’insegnamento sociale della Chiesa si compone di tre elementi fondamentali: i princìpi, i criteri di giudizio e le direttive d’azione.
I princìpi vertono sulla persona umana — quale realtà creata a immagine e somiglianza di Dio —, la cui dignità precede i vari sistemi sociali e quindi deve venire riconosciuta e posta alla base di ogni azione politico-giuridica; quindi sulla sussidiarietà, principio secondo cui le realtà socio-istituzionali devono poter realizzare tutto ciò che possono fare da soli senza interferenze di enti e organismi a loro superiori. I gruppi umani, e in particolar modo la famiglia, quale prima cellula naturale della società, devono essere messi in condizione di poter realizzare tutto ciò che è nella loro natura e missione ed essere solo aiutati da società di ordine superiore, quale per esempio lo Stato, laddove non riescano a espletare il loro ruolo. Terzo principio, quello di solidarietà, che prevede che il bene del singolo sia armonizzato con quello degli altri uomini, per esempio, con un’equa tassazione.
I criteri di giudizio, poi, sono magnificamente esemplificati nei Dieci Comandamenti, che fungono da promemoria di ciò che ogni uomo di buona volontà, con la retta ragione, può già attingere dalla sfera delle verità morali. Per fare un esempio: «l’osservanza di un giorno settimanale di preghiera e riposo, con effetto rigeneratore e tonificante sull’esistenza umana, dev’essere garantito contro l’asservimento al lavoro e il culto del denaro» (25).
Le direttive d’azione, infine, danno indicazioni per far compiere una sorta di «ascesi» alla società, purificandola dalle proprie «patologie» e apostasie e, tenuto conto della precarietà e dell’imperfezione della storia, portarla a creare condizioni in armonia con la natura dell’uomo e con il suo destino soprannaturale, non escluse la libertà della Chiesa e quella dell’uomo stesso. Ossia a instaurare giusti rapporti con Dio, con sé stesso, con gli altri uomini e con tutto il creato (26).
L’applicazione della dottrina sociale della Chiesa spetta ai laici cattolici che, sotto propria responsabilità e senza tradire i princìpi della propria coscienza morale, devono trovare modalità operative per animare cristianamente la società e ordinare a Dio la sfera temporale: cultura, società, politica, economia.
5. «Questiones quodlibetales»
Nella seconda e nella terza parte del volume vengono raccolti interventi che, fermo restando i riferimenti contestuali in alcuni casi non più attuali, mantengono comunque la loro validità sotto il profilo dottrinale e non hanno certamente «scadenza» storica. Si tratta di commenti e giudizi su argomenti vari, prettamente politici ed ecclesiali, che Giovanni Cantoni è andato esponendo nelle varie «stagioni» del suo impegno di apostolato a vari «destinatari» in tema di dottrina sociale della Chiesa. Il contenuto di queste pagine può essere suddiviso in tre parti: quella più prettamente politica, quella ecclesiale e quella più propriamente economica.
Sul versante politico, le considerazioni dei testi vertono sulle forme di governo e in maniera più marcata, stante l’evoluzione della forma «Stato» nella modernità, sul rapporto di questo con la società (27). Superata storicamente la questione del legittimismo politico, Cantoni riflette sul concetto di «monarchia tradizionale», ossia «una società tradizionale, retta a regime monarchico ereditario, cioè una società che vive della tradizione ed è retta da una famiglia» (28), in cui è presente una trascendenza metafisica e religiosa, e che obbedisce a una sacralità che tutti gli uomini, monarchi compresi, devono seguire, trovando così limite al proprio potere.
La monarchia tradizionale, proiezione del modello della famiglia al livello dell’autorità suprema, è stata la forma politica più diffusa, ancorché non esclusiva, della cristianità romano-germanica. Con l’avanzare del processo rivoluzionario, e l’avvento graduale ma inesorabile della «società moderna» — «insieme di individui della specie umana uniti da un modus, da una volontà, da un timore, comunque da un contratto, una sorta di impresa collettiva che non ha a monte una verità, ma che produce verità temporanee, cioè mode, figlie del tempo, della violenza e di altro, comunque accidentali» (29) — la monarchia medioevale si è svilita in monarchia liberale e in monarchia socialista, fino alla teorizzazione di una «monarchia per la monarchia» e quindi «alla difesa dell’istituto monarchico perché funzionale rispetto a un regime tecnocratico» (30). Ciò posto, bisogna allora restaurare innanzitutto i princìpi, l’anima, di un soggetto decaduto e cercare di rivivificarlo. In altri termini, la difesa dell’ordine naturale e cristiano — quale alveo in cui può fiorire la monarchia tradizionale — è la premessa indispensabile del monarchico, che così diventa contro-rivoluzionario, consapevole che il suddetto ordine, «rispettoso com’è di ogni legittimo diritto, ordinariamente conclude alla monarchia» (31).
Ogni costituzione e, dunque, ogni potere, deve riconoscere che esiste un diritto non scritto, e può farlo solo nel momento in cui gli uomini decidono di guardare verso l’alto e non verso terra. Ma quest’ultimo atteggiamento è la decisione degli uomini moderni, e l’epoca moderna, apertasi con la Dichiarazione dei diritti dell’uomo — con fiducia, afferma Cantoni, citando il visconte Louis-Gabriel-Ambroise de Bonald (1754-1840) —, non finirà se non con la dichiarazione dei diritti di Dio.
Del resto, l’insegnamento sociale della Chiesa ricorda che ogni forma di governo è legittima purché concorra al rispetto della dignità dell’uomo e ricerchi il bene comune (32). Il verificarsi di queste condizioni nella modernità si complica in quanto la forma dello Stato diventa anche uno strumento della strategia volta all’abbattimento dei princìpi naturali e cristiani. Per questo Cantoni sente la necessità di chiarire innanzitutto che «la società ha un primato» (33), perché è il tessuto dei rapporti sociali e delle relazioni primarie che intercorrono all’interno di un gruppo situato in un territorio, mentre «lo Stato è l’organizzazione della società» (34), ossia non definisce la società, ma le regole che servono alla società per il suo bene. Può capitare che lo Stato debba intervenire al fine di risolvere criticità eccezionali e ristabilire giusti rapporti, ma tale azione deve avere carattere di straordinarietà e di temporaneità. Quando ciò avviene si ha la dittatura, cosa profondamente diversa dal totalitarismo, che invece è un regime politico in cui la società coincide con lo Stato e questo interviene in ogni materia — anche nella modalità di procreare i figli — in maniera illimitata. E si può dare regime totalitario «anche se non sentiamo camionette che passano, anche se non ci sono cingolati in moto, anche se non ci sono cortei e così via» (35). Una democrazia dimentica dei princìpi naturali e cristiani — come Cantoni ricorda a proposito dell’enciclica Evangelium vitae — può trasformarsi in un regime totalitario, per cui «se qualcuno oggi difende la libertà, è proprio chi combatte contro l’impropria interferenza dello Stato dove lo Stato non deve interferire» (36). Così come oggi, dinanzi a poteri sovranazionali che vogliono imporre ai popoli diktat ideologici, l’ultimo baluardo — o corpo intermedio — fra tali poteri e il cittadino resta lo Stato nazionale, che va difeso proprio nell’ottica di salvaguardia delle libertà concrete delle persone e delle famiglie.
Continuando, sul versante ecclesiale, innanzitutto, Cantoni fa stato del rapporto fra religione e libertà e denuncia come la modernità abbia reso antagonisti i due termini. Egli — sulla scia dell’insegnamento di san Giovanni Paolo II (37) — rileva che il rapporto fra chi si rifà alla cristianità medioevale e i sostenitori del moderno processo di liberazione è decisamente difficile. Tutti gli uomini devono far valere la bontà della ricaduta pubblica del cristianesimo cercando un coordinamento fra religione e libertà, considerando la libertà non come arbitrio ma come sostanza, obbediente a princìpi e a norme di comportamento fondate sulla ragione e, quindi, sull’ordine morale. Fra le libertà da difendere nel mondo moderno vi è la libertà religiosa e ciò s’impone storicamente data «la condizione di pluralità religiosa e la permanenza dell’aggressività antireligiosa» (38).
I sostenitori della modernità, infatti, non devono dimenticare che la libertà si fonda sull’ordine naturale e i suoi postulati si possono riconoscere tramite la ragione.
Un testo inedito, di poco precedente al 1991 per via dei riferimenti all’imminente celebrazione dell’Anno della Dottrina Sociale della Chiesa, riguarda la questione ecologica, allora forse marginale ma oggi divenuta centrale, quanto meno nel dibattito mediatico. Cantoni affronta il problema innanzitutto tracciando una storia del termine «ecologia» e della nascita della relativa disciplina scientifica, nonché la sua torsione ideologica, quindi individuando nel magistero della Chiesa riferimenti risalenti anche alla tesi LVIII del Sillabo del beato Papa Pio IX (1846-1878), nonché — ancor prima che in interventi di san Paolo VI e di san Giovanni Paolo II — implicitamente in alcuni discorsi del venerabile Pio XII.
Le considerazioni di Cantoni in materia sono «profetiche», non nel senso di vaticini esoterici, ma in quanto capacità di anticipare i possibili scenari sulla scorta di una seria analisi delle premesse. Egli afferma infatti: «l’attenzione all’habitat dell’uomo deve realizzarsi con chiara coscienza del fatto che l’“habitat dell’uomo” è “habitat per l’uomo”, che il “sabato è per l’uomo” e non “l’uomo per il sabato”, e che l’uomo e il sabato sono da Dio e per Dio. Perciò, l’attenzione e il rispetto per la natura devono trovare la loro misura all’interno di una visione del mondo che vede l’uomo al centro dell’universo e non devono essere occasione per l’oblio della centralità dell’uomo e per il suo annullamento all’interno della natura stessa, in qualche modo venendo a costituire l’espressione debole della stessa rivoluzione antropologica che ha preparato la Rivoluzione industriale; inoltre non è accettabile l’accusa rivolta alla visione del mondo cristiana come responsabile della Rivoluzione industriale, solo che si abbia presente l’atteggiamento globale del Magistero della Chiesa di fronte alla rivoluzione antropologica di cui quella industriale è conseguenza» (39). La questione ecologica, in definitiva, è questione sociale e va «risolta» applicando il quadro offerto dal Principio e fondamento degli Esercizi spirituali di sant’Ignazio di Loyola (1491-1556), ossia indirizzando alla gloria di Dio le «cose» presenti sulla faccia della terra, tramite l’azione dell’uomo e, grazie a ciò, conseguire la salvezza dell’anima.
Infine, sul versante economico troviamo considerazioni inerenti alla proprietà privata e alla fiscalità, che s’inscrivono prettamente in una risposta puntuale alla diffusione di ricette di stampo socialista e comunista in Italia.
La proprietà privata viene difesa in quanto principio e non certamente per un mero interesse privatistico, anche se questo nella sua legittimità non è totalmente da scartare. Essa, comunque, «è benefica sia per chi immediatamente ne gode, sia per chi vive in una società che per principio la ammette, anche se, eventualmente, egli ne fruisca in modo diretto. Infatti, il diritto di proprietà — e il principio della proprietà privata — è un tale presidio della libertà e dell’equilibrato sviluppo della personalità umana, che, di fatto, ne gode anche chi non possiede concretamente qualcosa: è, in quanto tale, un beneficio sociale quant’altri mai. Quindi, il fruirne o meno individualmente non può essere considerato movente valido per difenderlo o meno: del diritto in quanto tale si può, infatti, sostenere che fruiscono tutti indistintamente» (40). In questo senso, diventa sempre necessario segnalare e combattere tutti i tentativi, occulti o palesi, di negare, distruggere, squalificare e corrompere tale diritto: sia quindi la ricetta del liberalismo che vuole una proprietà, un capitale, senza alcun vincolo morale, sia quella socialista e comunista che ne predicano la totale illegittimità. Se ciò acquisiva una certa urgenza in tempi di rivoluzione socialcomunista imperante, il cui obiettivo principale era — al di là di tattiche caute e «felpate» nei Paesi occidentali (41) — l’abolizione della proprietà privata, non meno importante è oggi quando, in un contesto di globalizzazione, si occultano e s’impongono al tempo stesso vere e proprie ricette di «socialismo finanziario» (42).
Le imposte — dirette o indirette —, invece, sono funzionali all’organizzazione della società, che è propria dello Stato, tenuto conto però di una cornice fondamentale: «Lo Stato è per la società e la società è per l’uomo e la bontà dello Stato e della società si misurano nella loro capacità di favorire lo sviluppo delle realtà di cui sono sussidiari, rispettandole, aiutandole, integrandole, mai sostituendosi a esse per principio. Quindi […] l’imposizione fiscale trova il suo limite oggettivo nel suo fine che è sussidiario» (43). Se da un lato abbondano moralisti che condannano indiscriminatamente i cosiddetti «evasori fiscali», dall’altro lato sono di fatto assenti coloro che puntano l’attenzione sulle politiche fiscali oppressive degli Stati, che si rivelano come «peccati sociali» in quanto lesive dei beni comuni. Bisogna, dunque, sempre esaminare la condotta del «pubblico» nei confronti del «privato» e ciò non solo in un’ottica di funzionalità materiale, ma anche per favorire lo sviluppo della vita intellettuale, spirituale e religiosa.
6. Conclusione
Accostando le pagine cantoniane, sovviene alla mente l’episodio degli Atti degli Apostoli (8,26-40) in cui il diacono Filippo incontra un eunuco etiope mentre questi legge un brano del profeta Isaia, senza però per sua ammissione comprenderlo. Allora Filippo lo spiega alla luce del Figlio di Dio fatto uomo, dopodiché l’interlocutore decide di cambiare vita, chiedendo il battesimo. Emerge dalla Sacra Scrittura, quindi, l’estrema importanza della formazione e di uomini che si mettano al servizio di altri per trasmettere le verità naturali e soprannaturali. Infatti, gli uomini, e di conseguenza le società, non possono mai cambiare se non attraverso un mutamento di mentalità che è presupposto a ogni riforma delle strutture: conversione personale e conversione sociale vanno di pari passo.
Giovanni Cantoni ha dedicato tutta la vita al servizio della formazione, trasmettendo fedelmente agli uomini del suo e del nostro tempo il grande deposito bimillennario del magistero ecclesiale sulla società umana, e richiamando l’importanza della conversione sociale a beneficio della salvezza delle persone, perché «dalla forma data alla società, consona o no alle leggi divine, dipende e s’insinua anche il bene o il male nelle anime, vale a dire, se gli uomini chiamati tutti ad essere vivificati dalla grazia di Cristo, nelle terrene contingenze del corso della vita respirino il sano e vivido alito della verità e della virtù morale o il bacillo morboso e spesso letale dell’errore e della depravazione» (44). Questa è l’opera di restaurazione sociale che, fra le vicissitudini della storia, ancora una volta i laici cattolici sono chiamati a realizzare, ricorrendo — come spesso faceva Cantoni a conclusione dei suoi scritti — all’intercessione di Maria santissima: «Questo ringraziamento affido, perché sia purificato da ogni affetto troppo umano, alla Madonna di Fatima, nell’attesa del finale trionfo del suo Cuore Immacolato» (45); «La stessa Madre del Signore guidi la nostra riflessione, illumini il nostro intelletto, dia forza alla nostra volontà» (46); «non può che pregare la Vergine Santissima di aiutarlo a conservare il rossore per la conversione dei peccati, e di dargli la forza di vincere il rispetto umano nella confessione integrale della verità, anche sociale» (47); «nella prospettiva di questo risveglio sta il nostro impegno, spirituale, intellettuale, e finalmente sociale, per “una società a misura d’uomo e secondo il piano di Dio”, come è certamente quella annunciata dalla Vergine a Fatima con la promessa: Infine, il mio Cuore Immacolato trionferà» (48).
Daniele Fazio
Note:
1) Cfr. Giovanni Cantoni, Scritti di dottrina sociale. 1961-2005, con una prefazione di mons. Michele Pennisi, a cura di Oscar Sanguinetti, Edizioni di «Cristianità», Piacenza 2024.
2) Cfr. Seconda Assemblea Generale Straordinaria del Sinodo dei Vescovi, Il ventesimo anniverario della conclusione del Concilio Vaticano II, Relazione finale, del 7-12-1985, II, B), a), 2.
3) San Giovanni Paolo II (1978-2005), Discorso ai partecipanti al Congresso nazionale del Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale,16-1-1982.
4) Il sintagma è presente negli scritti dello storico della filosofia e filosofo francese Étienne Gilson (1884-1978), soprattutto per far valere icasticamente la differenza radicalmente sostanziale fra l’insegnamento di san Tommaso d’Aquino (1224-1274) e la corrente cartesiano-idealista, il cui punto di partenza è il cogito. Cfr. Étienne Gilson, Il realismo metodo della filosofia, trad. it., a cura di don Antonio Livi (1938-2020), Leonardo da Vinci, Roma 2008; Idem, Realismo tomista e critica della conoscenza, trad. it., Studium, Roma 2012; nonché il mio, Étienne Gilson. Metafisica dell’actus essendi e modernità, Orthotes Editrice, Napoli-Salerno 2018.
5) Cfr. G. Cantoni, Per una civiltà cristiana nel Terzo Millennio. La coscienza della Magna Europa e il quinto viaggio di Colombo, Sugarco Edizioni, Milano 2008.
6) Cfr. il mio Le opere di misericordia spirituale, in Cristianità, anno XLVI, n. 392, luglio-agosto 2018, pp. 31-60.
7) G. Cantoni, Scritti di dottrina sociale. 1961-2005,cit., pp. 52-53.
8) Cfr. ibid., pp. 55-60.
9) Cfr. ibid., pp. 133-145 e 163-171.
10) Cfr. san Paolo VI, Discorso ai membri del Pontificio seminario Lombardo, 7-12-1968; Idem, Omelia nel corso della Santa Messa nel IX anniversario dell’incoronazione nella Solennità dei Santi Pietro e Paolo, 29-6-1972 (reperibili nel sito web <www.vatican.va>, dove si trovano resoconti non testuali); san Giovanni Paolo II, Discorso al Convegno Nazionale «Missioni al popolo per gli anni 80»,6-2-1981, n. 2.
11) Ibid., p. 197.
12) Cfr. Josef Pieper, Abuso di parola, abuso di potere, trad. it., con prefazione di Roberto Mancini, Vita e Pensiero, Milano 2020; e John Paul Meenan, L’abuso del linguaggio conduce all’abuso di potere, trad. it., in Cristianità, anno XLV, n. 386, luglio-agosto 2017, pp. 41-50.
13) G. Cantoni, Scritti di dottrina sociale. 1961-2005,cit., p. 11.
14) Ibid., p. 55.
15) San Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti al convegno ecclesiale della C.E.I. in occasione del novantesimo anniversario dell’enciclica «Rerum novarum», del 31-10-1981.
16) San Giovanni XXIII (1958-1963), Lettera enciclica «Mater et magistra» sui recenti sviluppi della questione sociale, alla luce della dottrina cristiana, del 15-5-1961, n. 203.
17) G. Cantoni, Scritti di dottrina sociale. 1961-2005,cit., p. 273.
18) Benedetto XVI (2005-2013), Lettera enciclica «Deus caritas est» sull’amore cristiano, del 25-12-2005, n. 28.
19) Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1869.
20) Congregazione per la Dottrina della Fede, Istruzione su libertà cristiana e liberazione «Libertatis conscientia», del 22-3-1986, n. 71.
21) Cfr. G. Cantoni, Scritti di dottrina sociale. 1961-2005, cit., p. 133.
22) Cfr. ibid., pp. 147-161.
23) Cfr. Benedetto XVI, Enciclica «Spe salvi» sulla speranza cristiana, del 30-11-2007.
24) Cfr. Alleanza Cattolica, «Speranza e storia. Prospettive a un anno dalla pubblicazione dell’enciclica “Spe salvi” di S.S. Benedetto XVI», in Cristianità, anno XXXVI, nn. 349-350, settembre-dicembre 2008, pp. 55-56.
25) G. Cantoni, Scritti di dottrina sociale. 1961-2005, cit., p. 43.
26) Cfr. san Giovanni Paolo II, Esortazione post-sinodale «Reconciliatio et paenitentia», del 2-12-1984, n. 26.
27) Cfr. Francesco Pappalardo, La parabola dello Stato moderno. Da un mondo «senza Stato» a uno Stato onnipotente,D’Ettoris Editori, Crotone 2022.
28) G. Cantoni, Scritti di dottrina sociale. 1961-2005, cit., p. 180.
29) Ibid., p. 178.
30) Ibid., p. 183.
31) Ibid., p. 186.
32) La dottrina sociale della Chiesa, che «[…] non indica né il regime societario, né quello statale migliori per un determinato popolo, lasciandone la scelta alla industria degli uomini, in modo ugualmente certo esclude tutte le modalità organizzative e societarie che facciano apertamente oppure surrettiziamente coincidere il bene comune sia, anzitutto con il puro benessere materiale di un popolo, sia, in secondo luogo, con il bene della società e dello Stato, considerati esenti da ogni responsabilità morale e concepiti come “immacolati”» (ibid., p. 284).
33) Ibid., p. 210.
34) Ibid., p. 202.
35) Ibid.,p. 212.
36) Ibidem.
37) Cantoni fa riferimento al Discorso tenuto dal Pontefice durante la visita al parlamento europeo, l’11-10-1998.
38) G. Cantoni, Scritti di dottrina sociale. 1961-2005, cit., p. 237.
39) Ibid., p. 244.
40) Ibid., p. 252.
41) Cfr. «Il comunismo si rivela avverso alla proprietà in quanto tale, che chiama capitalismo. Quando giunge poi a distinguere tra proprietà e capitalismo, per dichiarate ragioni tattiche — maggiore facilità nel colpire le concentrazioni piuttosto che le forze organicamente diffuse — preferisce quest’ultimo alla prima. Inoltre, suscita machiavellicamente avversione alla proprietà chiamandola capitalismo e caricandola di difetti della sua concentrazione eccessiva e del suo uso liberale, cioè sciolto da ogni vincolo morale. Fa così dimenticare che proprio questo capitalismo lo favorisce e vuole ereditarlo, chiamando “di Stato” quello che prima è monopolio di pochi, senza chiarire che lo Stato sarà di nuovo di “pochi” travestiti da “tutti”» (ibid., p. 259).
42) Cfr. Maurizio Milano, Il pericolo di un «socialismo finanziario», 25-9-2020, nel sito web <https://alleanzacattolica.org/il-pericolo-di-un-socialismo-finanziario>, consultato il 19-9-2024; e Idem, Il pifferaio di Davos. Il Great Reset del capitalismo:protagonisti, programmi, obiettivi, Introduzione di Marco Respinti,D’Ettoris Editori, Crotone 2024.
43) G. Cantoni, Scritti di dottrina sociale. 1961-2005, cit., p. 283.
44) Pio XII, Radiomessaggio per la Pentecoste nel 50° anniversario della Rerum novarum, 1°-6-1941.
45) G. Cantoni, Scritti di dottrina sociale. 1961-2005, cit., p. 121.
46) Ibid., p. 145.
47) Ibid., p. 253.
48) Ibid., p. 279.