Giovanni Cantoni nel ricordo dei suoi militanti
Domenico Airoma, Cristianità n. 401 (2020)
Giovanni Cantoni è stato il capo. Ma chi è un capo? Anzi, cos’è che fa di un capo il capo?
L’attitudine a farsi obbedire, certamente. Ma qualcosa di più: la capacità di suscitare il desiderio di essere ricercati per avere un consiglio, un’indicazione, una direttiva di azione. La sua affidabilità, indubbiamente. Ma ancor più: la credibilità incarnata dalla sua stessa vita, nel suo scorrere quotidiano, senza clamori ed ostentazioni.
L’appello alla verità, tutta intera. Ma di più: la verità vissuta con la sofferenza dell’umanità, fronteggiando il dramma dell’errore; a testa alta. La sua umiltà, autentica, senza eccezioni. E di più: la disponibilità a farsi terra perché chi si affidi a lui possa crescere e fiorire.
La costante ricerca del senso delle cose e del tempo. E più ancora: della luce che non muore, in grado di vincere ogni tenebra. L’instancabile interrogarsi sui disegni della Provvidenza. E ancor più: il desiderio di aderire a questi per divenire in qualche modo parte dell’ordito, rimanendo fermi nel posto assegnato da Dio.
L’amore per l’Autorità, e quell’amore ancora più forte quando l’autorità sembra vacillare.
La capacità di aprire gli occhi e far respirare le menti. Ma molto di più: la capacità di conquistare i cuori. Perché solo conquistando il cuore si può convincere a portare la croce.
Il modo in cui si affronta la morte. E soprattutto quella morte che ti sfinisce lentamente, ti sfigura, ti altera il sembiante, ti fa dipendere dagli altri. Perché così viene fuori ciò che si è dentro.
Cantoni è stato tutto questo. E molto di più.
È stato il capo, è stato il mio capo. E di tutti coloro che hanno sfilato, fisicamente e idealmente, dietro il suo feretro e dietro gli stendardi di Alleanza Cattolica. Fieri e grati.
Ma ancor più. Pieni di speranza in Colui che quel capo ci ha donato. Che non ci deluderà anche se la storia degli uomini dovesse decretare una temporanea sconfitta.