Marco Invernizzi, Cristianità n. 423 (2023)
Intervento conclusivo, rivisto e annotato, del convegno organizzato il 30 settembre 2023 a Piacenza, presso il PalabancaEventi, da Alleanza Cattolica sul tema Giovanni Cantoni, Alleanza Cattolica e la storia dell’Italia contemporanea. È stato mantenuto lo stile del parlato.
Ringrazio tutti i relatori per le riflessioni proposte e naturalmente la Banca di Piacenza per l’ospitalità, che ci ricorda l’amicizia e la gentilezza dell’avvocato Corrado Sforza Fogliani (1938-2022).
Aggiungerei soltanto qualcosa che sta a metà fra il ricordo personale e il ruolo che ebbero gli scritti di Giovanni Cantoni (1938-2020) ora ripubblicati, in particolare la sua introduzione al testo di Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995) Rivoluzione e Contro-Rivoluzione (1).
Per me quel testo fu una sorta di scintilla che mi permise di riaccendermi e di ripartire. Mi sentivo, infatti, in quel tempo travagliato — cioè i primi Anni Settanta —, come un «motore fuso» perché, pur stando dall’altra parte della barricata, avevo subìto in pieno gli effetti nefasti del Sessantotto: quella «rivoluzione antropologica» aveva colpito tutti, a sinistra come a destra, incidendo sulle convinzioni profonde, sugli stili di vita e sulle motivazioni fondanti dell’esistenza. Certo, mi ero convertito e avevo finalmente ritrovato la fede e la vita di preghiera dell’infanzia, ma affinché questo ritorno, questa «restaurazione» diventasse cultura, cioè un progetto di vita non solo personale e che riguardasse la società intera, ci voleva dell’altro. E quel testo contribuì in maniera importante alla realizzazione di una conversione «anche sociale», potremmo dire: quel breve saggio indicò una strada — a me certamente, come pure a tanti amici e agli italiani tutti — a chi avesse voluto e volesse seguirla, naturalmente.
Con le parole del suo saggio Cantoni voleva indicare un percorso, un itinerario da seguire, una meta da raggiungere. Quell’analisi interpretativa della storia d’Italia puntava a trasformare il nostro Paese, mettendo a disposizione di coloro che avessero la possibilità e il desiderio di influenzare altri il materiale necessario per la loro opera di apostolato culturale e di azione sociale.
Cantoni è stato spesso giudicato un cantore del passato, ma erroneamente. Il passato, specialmente l’Italia del Medio Evo, era per lui il punto di partenza per ricordare che riedificare una civiltà cristiana è sempre possibile: è già esistita. Certamente, ben prima del Risorgimento, è esistita un’Italia, e una Italia cristiana, che andava riscoperta e rivalutata, anche se Cantoni ricordava come non si dovesse contrapporre una «leggenda rosa» a quella «nera» sul Medio Evo: non bisognava illudersi che la costruzione di un mondo migliore potesse annullare quanto ricorda la preghiera della Salve Regina, cioè il fatto di vivere «in hac lacrimarum valle».
Il suo giro mentale preferiva gettare le basi per costruire il futuro, non per esaltare il passato in quanto tale. Certo, il passato, la sua analisi e soprattutto una sua interpretazione adeguata erano indispensabili. «Chi sbaglia storia sbaglia politica», soleva dire, facendo eco a Gonzague de Reynold (1880-1970): non si può infatti «fare politica», come si dice oggi, senza una lettura veritiera e condivisa della propria storia. Di più, come ha spiegato il filosofo Augusto Del Noce (1910-1989), uno dei principali motivi di divisione fra i cattolici e in generale fra i conservatori è proprio la mancata lettura condivisa della storia italiana, una lacuna che ha impedito loro di dare vita a una politica comune, di avere una idea condivisa di che cosa sia il bene comune in un dato tempo storico.
1. Leone XIII
A un certo punto dell’itinerario pedagogico con cui fecondava la crescita dell’associazione da lui fondata, Alleanza Cattolica, Cantoni cominciò a mettere a tema dei suoi interventi il pontificato di Leone XIII (1878-1903), probabilmente perché quel Pontefice si era trovato di fronte a un problema simile a quello che dobbiamo affrontare noi, che viviamo nell’epoca detta «post-moderna», quella successiva alla «crisi delle ideologie»: un’epoca dominata dal relativismo, che caratterizza la quarta fase del processo rivoluzionario, come lo descrive Corrêa de Oliveira, nella quale ci troviamo tuttora immersi. Leone XIII constatava che un secolo dopo la Rivoluzione del 1789 il mondo era profondamente cambiato, le forze rivoluzionarie erano saldamente al potere, i popoli erano ancora imbevuti di fede cristiana, ma non avevano più la capacità di cambiare le società secondo quanto dettava la dottrina della Chiesa. Bisognava prendere atto di questa nuova condizione e ricominciare da lì: non era più sufficiente condannare gli errori del passato, ma si doveva elaborare un nuovo progetto che consentisse di ricostruire partendo però dalla realtà.
Era un problema, come detto, simile al nostro di oggi: anche allora il mondo era entrato in un’epoca nuova, anche in quegli ultimi decenni del secolo XIX — per usare le parole del regnante Pontefice — si viveva in «un cambiamento d’epoca» e non semplicemente in «un’epoca di cambiamenti» (2).
Di Leone XIII — prendo spunto dalle riflessioni di Augusto Del Noce — Cantoni apprezzava soprattutto quello che fu detto il Corpus leonianum, ovvero la sistematicità e l’organicità del magistero. I cattolici, quelli del suo tempo e quelli venuti dopo, non si accorsero del valore di questa caratteristica del suo insegnamento. Come scriveva Del Noce, «i vecchi politici cattolici leggevano la Rerum novarum come se fosse isolabile dall’insieme del corpus leoninum [sic]; coerentemente i nuovi, portando alle conseguenze ultime il difetto di questa linea, hanno del tutto trascurato di leggerla» (3).
Molti di noi conoscono, almeno a grandi linee, la storia dell’enciclica Rerum novarum (4) e rammentano lo sconcerto che il documento provocò inizialmente nel mondo conservatore, perché prevedeva l’intervento dello Stato per risolvere un problema enorme come la «questione operaia», sorta a causa della Rivoluzione industriale, una «questione» della quale si stavano impossessando i socialisti e i primi comunisti, sfruttando in chiave dialettica, cioè di lotta di classe, le indubbie sofferenze del «proletariato» di allora. La preoccupazione di molti cattolici era legittima perché in effetti lo Stato liberale si era dilatato fino a raggiungere livelli insopportabili di «occupazione» della società (5), ma è certo che la questione operaia non poteva essere risolta semplicemente dalla carità dei cristiani, bensì necessitava davvero che la politica se ne facesse carico.
Così, molti cattolici presero la Rerum novarum e trascurarono il resto del Magistero, dimenticando che la questione operaia e la «questione sociale» in generale non potevano essere affrontate isolatamente a prescindere da un progetto anche lato sensu politico, se si voleva lanciare un’operazione di ricostruzione sociale credibile.
Questo intravide Papa Leone XIII e il suo esempio ci fu proposto per anni da Giovanni Cantoni, soprattutto nei suoi interventi interni all’Associazione, durante i ritiri e le riunioni del Capitolo Nazionale, ma anche nelle tante conversazioni private, dove dava sempre il meglio di sé. In una prospettiva corretta, la dottrina sociale della Chiesa non può essere ridotta a un solo aspetto, perché riguarda sì l’economia, ma anche la persona e la famiglia, la proprietà, il lavoro, l’ambiente, lo Stato e la comunità internazionale: oggi diremmo che tocca i problemi legati alla difesa della vita innocente in tutti i suoi momenti, come pure il fronte dei problemi relativi al creato, che va salvaguardato e non sfruttato amoralmente (6).
A proposito dell’enciclica Rerum novarum — con la quale non inizia, come precisava sempre Cantoni, la dottrina sociale della Chiesa, ma la sua sistematizzazione (7) —, Del Noce scriveva: «La Rerum novarum rappresenta una svolta rispetto all’ordinario pensiero cattolico dell’Ottocento, perché si separa da quella “profezia del passato”, che caratterizza tanti fra i suoi assertori. Non si tratta di additare il compito impossibile della restaurazione di uno stato di fatto, la società medioevale e la società rurale, abbellite dall’immaginazione. Si tratta invece di dimostrare come il pensiero cattolico sia in possesso di verità metastoriche, non legate a situazioni storiche sempre transeunti, e capaci perciò di esprimersi in situazioni nuove a problemi nuovi. Sta qui, nel riferimento a principi assoluti, il senso del continuo richiamo al tomismo, anche in questa enciclica come nell’intera opera leoniana» (8).
2. Restaurare il passato?
Queste parole di Del Noce ci aiutano ad approfondire ulteriormente l’atteggiamento di Cantoni nei confronti del passato.
Il «tempo che fu» per un conservatore non può mai essere oggetto di disprezzo, soprattutto perché il conservatorismo nasce di fronte a un evento storico epocale, come fu la Rivoluzione del 1789. È quindi evidente, quanto meno, la curiosità che un conservatore o un contro-rivolu-zionario hanno avuto e continuano ad avere verso quel «tempo che fu» che precede il 1789. Ma a Cantoni non piacevano gli slogan e le appartenenze annunciate, perché voleva sempre «andare dentro» i problemi e cercare di comprendere il passato per capire che cosa fare nel presente. Se ci vestissimo come i medioevali, se parlassimo come loro, soleva dire, senz’altro faremmo molto ridere, ma soprattutto faremmo un grande piacere alla Rivoluzione che vogliamo combattere, perché non daremmo un contributo utile a salvare e a riportare nel presente quanto di eterno vi è stato in quel tempo storico.
In questo senso cito un giovane studioso di colui che è considerato il primo conservatore, l’anglo-irlandese Edmund Burke (1729-1797), perché contiene una verità molto importante. Si tratta del tema dell’unità del genere umano, che si manifesta attraverso culture diverse, le quali, però, confermano la solidarietà spirituale dell’intera umanità: «Nonostante la diversità apparente, infatti, c’è un fondo comune che va riconosciuto in quanto tale, un “qualcosa” di sovraculturale che dà vita alle culture; un “qualcosa” appunto, che è al di sopra, o al di sotto, delle tradizioni culturali, e che ne è altresì il motore, la spinta propulsiva, il motivo basilare — e, forse, anche la causa finale. Burke vive in un mondo dove questa logica è ormai svanita, dove la scienza e la tecnica hanno già monopolizzato il pensiero e l’azione degli europei, e la volontà di potenza ha preso il posto della contemplazione, del silenzio, della preghiera. Eppure è ancora convinto che si possa invertire la rotta e tornare a parlare di un’unità sotterranea avente radici trascendenti, dove la diversità culturale è manifestazione dell’esuberanza del divino piuttosto che contraddizione della sua unicità» (9).
Questo «qualcosa» è ciò che dobbiamo riportare nel presente, non il suo rivestimento. Diversamente non riusciremmo a capire la contraddizione del mondo contemporaneo, che «campa» turisticamente sul Medio Evo e contemporaneamente lo condanna come il «tempo della barbarie e dell’oscurità». Come mai da tutto il mondo vengono in Europa a cercare la «luce» (10) di un’epoca oscura? Quindi, belli i castelli e bellissime le chiese romaniche e gotiche, ma quello a cui guardare e da far rivivere è il fatto che le chiese erano il cuore della città dell’uomo, della civitas, il segno distintivo di quale fosse la cosa più importante per gli uomini e le donne di allora.
Cari amici, oggi abbiamo ricordato un maestro e soprattutto un padre, e lo abbiamo fatto mettendo a disposizione un libro che riporta alcuni dei suoi scritti. Ma Cantoni oggi in questa sala ci direbbe di non indugiare troppo sui suoi scritti e in generale sul passato, bensì di guardare avanti e di costruire il futuro. A noi non viene chiesto di costruirlo politicamente, ma di aiutare la formazione di quegli uomini che forse potranno farlo domani o, più probabilmente, dopodomani. Giovanni Cantoni era solito impiegare ore e ore per parlare con una sola persona, come se da questa dipendesse il futuro del mondo, facendole capire la sua importanza e la sua unicità. Facciamo così anche noi, ciascuno al suo posto di combattimento, senza nessuna pretesa che il mondo capisca, ma con la certezza che Chi deve capire ce lo sta suggerendo, qui e ora.
Marco Invernizzi
Note:
1) Cfr. Plinio Corrêa de Oliveira, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, 3a ed. it. accresciuta di «Rivoluzione e Contro-Rivoluzione» vent’anni dopo in prima edizione mondiale, saggio introduttivo di Giovanni Cantoni, L’Italia tra Rivoluzione e Contro-Rivoluzione (pp. 7-50), Edizioni di «Cristianità», Piacenza 1977 (ed. it. definitiva Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, edizione del cinquantenario (1959-2009), con materiali della fabbrica del testo e documenti integrativi, presentazione e cura di G. Cantoni, Sugarco, Milano 2009). Il testo del saggio cantoniano, che non figura più nell’edizione definitiva, è ora disponibile in G. Cantoni, Scritti sulla Rivoluzione e sulla nazione. 1972-2006, a cura e con una Premessa di Oscar Sanguinetti, Edizioni di «Cristianità», Piacenza 2023, pp. 113-180 (per un disguido in fase di stampa il frontespizio del volume reca il titolo Saggi sulla Rivoluzione e sulla nazione).
2) Francesco, Udienza alla Curia Romana in occasione della presentazione degli auguri natalizi, 21-12-2019.
3) Augusto Del Noce, Il marxismo di Gramsci e la religione, in CRIS documenti, anno IV, n. 35, febbraio 1977, p. 26.
4) Cfr. Leone XIII, Enciclica «Rerum novarum», 15-5-1891.
5) Sullo Stato liberale, versione ottocentesca dello Stato moderno, cfr. Francesco Pappalardo, La parabola dello Stato moderno. Da un mondo senza Stato a uno Stato onnipotente, D’Ettoris Editori, Crotone 2022.
6) Cfr. Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della dottrina sociale della Chiesa, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2005.
7) Prima della Rivoluzione francese e della Rivoluzione industriale l’architettura economica della società rispettava nelle sue linee portanti il dettato del diritto naturale cristiano e l’etica della Chiesa era implicita nelle istituzioni economico-sociali: non vi era quindi la necessità di esplicitarne i contenuti in maniera positiva e tematica.
8) A. Del Noce, Pensiero della Chiesa e filosofia contemporanea. Leone XIII/Paolo VI/Giovanni Paolo II, a cura di [don] Leonardo Santorsola, Studium, Milano 2005, p. 228.
9) Giacomo Maria Arrigo, La filosofia morale di Edmund Burke, Carocci, Roma 2023, p. 158.
10) Cfr. Régine Pernoud (1909-1998), Luce del Medioevo, trad. it., a cura di Marco Respinti, Presentazione di [mons.] Luigi Negri (1941-2021), contributi di Massimo Introvigne, M. Respinti e Marco Tangheroni (1946-2004), 3a ed., Gribaudi, Milano 2007.