Paolo Martinucci, Cristianità n. 357 (2010)
Il merito della storica vittoria elettorale del mondo cattolico alle elezioni politiche del 18 aprile 1948 viene comunemente attribuito ai Comitati Civici di Luigi Gedda (1902-2000). Sarebbe comunque ingeneroso non ricordare anche quanti — pur con un’azione propagandistica meno diffusa e radicata territorialmente — hanno dato un contributo non marginale all’affermazione dei cattolici. Fra questi va annoverata l’Unione Nazionale Civiltà Italica, fondata da mons. Roberto Ronca (1901-1977), al quale è dedicata l’opera di Giuseppe Brienza — dottore di ricerca presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università La Sapienza di Roma, che aveva già trattato il tema in Mons. Roberto Ronca “vescovo delle carceri” (in Cristianità, anno XXII, n. 322, marzo-aprile 2004, pp. 5-11) —, Identità cattolica e anticomunismo nell’Italia del dopoguerra. La figura e l’opera di mons. Roberto Ronca.
Il libro si apre con una Presentazione (pp. 9-12) del card. Fiorenzo Angelini, che sottolinea come l’impegno civile e politico di mons. Ronca — da lui conosciuto negli anni 1930, quando questi era rettore del Pontificio Seminario Romano Maggiore —, unitamente a quello di Gedda e del gesuita Riccardo Lombardi (1908-1979), sia stato definito “di destra irriducibile” (p. 10) in modo sbrigativo e semplicistico, senza alcuno sforzo di contestualizzare gli eventi, e come una storiografia approssimativa abbia voluto dimenticare queste “nobili figure di sacerdoti e di laici” (p. 12).
Nella Prefazione (pp. 13-17) Marco Invernizzi, presidente dell’ISIIN, l’Istituto Storico dell’Insorgenza e per l’Identità Nazionale, descrive l’itinerario dei cattolici nella vita politica dello Stato unitario, dall’Opera dei Congressi (1874-1904) all’Unione Elettorale Cattolica Italiana (1906-1919), dal Patto Gentiloni del 1913, che sanciva attraverso un accordo elettorale con i liberali moderati la prima forma di partecipazione politica dei cattolici, ai Comitati Civici di Gedda. È una storia poco conosciuta, anche sottaciuta, sia dagli esponenti della Democrazia Cristiana (DC) — che nel secondo dopoguerra si è presentata come erede del Partito Popolare di don Luigi Sturzo (1871-1959) —, sia da significativi esponenti della gerarchia ecclesiastica e del laicato cattolico. Mons. Ronca appartiene alla categoria dei cattolici “sconfitti” e “silenziati”, contrari a ogni apertura a sinistra e fautori di alleanze elettorali che superassero gli interessi di un partito. Il fallimento di questa prospettiva è la diretta conseguenza di una battaglia culturale persa, quella “[…] conservatrice e ostile al processo rivoluzionario che anche in Italia ha attraversato il Risorgimento, il fascismo e gli anni successivi alla seconda guerra mondiale” (p. 17). Ma la prospettiva di mons. Ronca non è andata perduta e può essere rivalutata come profetica nella nuova situazione politica creatasi dopo gli avvenimenti del 1989.
Nella Premessa (pp. 19-23) l’autore espone le finalità del suo studio: ricostruire la biografia di mons. Ronca, dare un contributo alla storia dei movimenti politici nati nel secondo dopoguerra; e “[…] “rendere giustizia” ad un gruppo di cattolici italiani […] i quali, negli anni cruciali della ricostruzione della nostra patria, hanno contribuito alla salvaguardia delle libertà civili di cui ancora oggi godiamo, minacciate allora dalla prorompente avanzata del fronte social-comunista” (p. 19).
Nato il 23 febbraio 1901 a Roma — si legge nel capitolo I, La vita (pp. 25-57) — Roberto Ronca si laurea in ingegneria nel 1923 all’Università La Sapienza. La sua è una vocazione adulta, favorita dalla frequentazione degli ambienti gesuitici della capitale e dalla meditazione de L’anima di ogni apostolato, dell’abate cistercense Jean-Baptiste Chautard (1858-1935): entra, infatti, nel Seminario Maggiore nell’ottobre del 1926 e viene ordinato sacerdote due anni dopo. Apprezzato nella funzione di Aiutante di Studio nella Congregazione concistoriale, l’odierna Congregazione per i Vescovi, a soli trentadue anni diventa rettore del Seminario Maggiore, dove s’impegna soprattutto ad assicurare ai futuri sacerdoti un’intensa formazione intellettuale e spirituale: la società poteva ritornare a Dio solo se si fossero combattuti “il laicismo, l’ignoranza religiosa, la dissipazione” (p. 31) e il clero fosse stato “all’avanguardia del movimento spirituale della nazione” (ibidem).
Assistente dell’Associazione Romana Universitaria di Azione Cattolica dal 1931 al 1933 e del Circolo Romano FUCI, la Federazione Universitaria Cattolica Italiana in sostituzione di monsignor Giovan Battista Montini (1897-1978), il futuro Papa Paolo VI (1963-1978), si scontra con le tendenze neomodernistiche presenti nelle associazioni cattoliche romane e con la diffusione di una nuova cultura aperta alle istanze del cattolicesimo democratico e non insensibile alle sirene del marxismo. Preoccupazione non infondata, se è vero che in quel periodo negli ambienti cattolici della capitale “[…] nasceva la “Sinistra cristiana”, o “partito cattolico-comunista”” (p. 35), di cui era esponente di rilievo Franco Rodano (1920-1983). Mons. Ronca agisce con grande risolutezza e viene accusato di autoritarismo, anche se come educatore si muove “[…] nel solco della tradizione, ma modernizzando ciò che poteva esserlo senza intaccare il senso della disciplina e i metodi di formazione” (p. 38). Non gli viene risparmiata neanche l’accusa di bigottismo, a causa del suo continuo invito ai giovani alla pratica delle forme devozionali popolari delle “coroncine, novene, giaculatorie” (p. 42).
Durante l’occupazione tedesca di Roma, nel 1943-1944, accoglie nell’edificio extra-territoriale del Laterano, sede del Seminario Maggiore, molti ricercati per motivi politici e fonda alcune associazioni caritative — l’Aiuto Cristiano e l’Ente Distribuzione Alimenti e Manufatti — per distribuire viveri, indumenti e medicinali a prezzi molto convenienti. Non meno significativa è la sua azione in favore degli ebrei perseguitati e la premura verso l’ex rabbino capo di Roma Israel Zolli (1881-1956), ostracizzato dalla comunità ebraica dopo la sua clamorosa conversione al cattolicesimo, che, grazie all’interessamento di mons. Ronca, riceve solidarietà morale e materiale anche mediante il conferimento di una cattedra all’Università La Sapienza.
Il secondo capitolo (pp. 59-127) — L’”Unione Nazionale Civiltà Italica” (1946-1955) — descrive la nascita, il programma e le iniziative del movimento fondato da mons. Ronca, anche alla luce delle preoccupazioni di Papa Pio XII (1939-1958) per le sorti dell’Italia in quel pericoloso frangente storico, ed evidenzia i contesti ecclesiali e politici in cui il medesimo opera, i contrasti suscitati in seno al mondo cattolico e le battaglie culturali affrontate. Dopo le elezioni per l’Assemblea Costituente, nel giugno del 1946, dove i partiti d’ispirazione marxista avevano ottenuto il 39,6 per cento contro il 35,2 per cento dei democristiani, che avevano mostrato forti carenze culturali, propagandistiche e organizzative, mons. Ronca — dopo numerosi incontri con i gesuiti padre Lombardi e padre Giacomo Felice Martegani (1902-1981), direttore de La Civiltà Cattolica — fonda nel gennaio 1947 il nuovo organismo con lo scopo di “orientare coscienze e propositi per la tutela dei principi fondamentali della civiltà e dell’ordine cristiano” (p. 63). Civiltà Italica si presenta dunque come un movimento apartitico, volto alla difesa dell’ordine sociale cristiano, secondo l’insegnamento cattolico tradizionale, proposto in particolare dal gesuita Luigi Taparelli d’Azeglio (1793-1862). Il movimento si radica in ogni capoluogo di provincia e nei maggiori comuni, organizzando “convegni di studio, dibattiti pubblici, giornali parlati, conferenze su problemi politici, economici, sociali e di attualità, comitati d’intesa, manifestazioni artistiche e ricreative, concerti, itinerari turistici, mostre d’arte […] opere sindacali, ricreative, economiche, assistenziali” (p. 67).
Il prelato romano crea all’interno di Civiltà Italica anche una Commissione politica, ai cui lavori vengono invitati, per esaminare determinate questioni politiche, singoli esponenti democristiani e dei movimenti e partiti del centro-destra — il Partito Liberale Italiano, il Fronte dell’Uomo Qualunque e il Partito Nazionale Monarchico —, che si riconoscevano nelle tradizioni morali cattoliche da porre a base dell’opera di governo. Manifestamente ostile all’iniziativa si mostra l’Azione Cattolica, sia a livello di presidenza generale che di singoli esponenti, per i quali Civiltà Italica avrebbe minato la compattezza dei cattolici, ingenerando confusione e disorientamento tra i fedeli. L’opinione della dirigenza nazionale dell’Azione Cattolica però, non viene da tutti accolta e, in particolare nel Mezzogiorno, giungono a mons. Ronca numerose adesioni. Non può essere condiviso il giudizio di quanti vedono in Civiltà Italica un movimento carente di uomini capaci di elaborare programmi politici. Mons. Ronca non pensa a un movimento di massa ma alla formazione di una élite di personalità — e le collaborazioni e la qualità umana e professionale delle adesioni lo stavano a dimostrare —, una “unione di uomini: non di masse” (p. 85), come recitava il motto del movimento. Quanto al programma, vengono affrontate le principali emergenze della vita sociale, dall’agricoltura all’emigrazione, dall’università alla difesa della funzione sociale della proprietà. Molto incisiva è la propaganda anticomunista, che si basa sullo studio del marxismo-leninismo e delle condizioni di vita sotto i regimi socialcomunisti. Mons. Ronca — animatore del settimanale anticomunista Fronte Est, che tirava più di cinquantamila copie — si prodiga anche in attività riservate volte a favorire i resistenti anticomunisti o a organizzarne la fuga in Occidente.
Il terzo capitolo, Civiltà Italica nell’Italia del centrismo (pp. 129-152), descrive l’impegno di mons. Ronca per “[…] orientare verso un più deciso anticomunismo la D.C., onde spostarla dalla sua collocazione centrista […] ad un rapporto con le destre” (pp. 131-132). Questa linea incontra il favore del card. Alfredo Ottaviani (1890-1979), dal 1953 pro-segretario della Congregazione del Santo Uffizio, decisamente contrario al collateralismo con la DC, perché a suo avviso la civiltà cristiana poteva essere salvata dal pericolo comunista con un’alleanza politica che andasse oltre il partito di Alcide De Gasperi (1881-1954). A questa impostazione si oppone invece il sostituto alla Segreteria di Stato, monsignor Montini, “favorevole ad un’autonoma qualificazione del laicato ed alla mediazione del partito cattolico” (p. 133). Mons. Ronca sostiene prima l’impegno del Fronte dell’Uomo Qualunque di Gugliemo Giannini (1891-1960), quindi la collaborazione fra il Movimento Sociale Italiano (MSI) guidato da Augusto De Marsanich (1893-1973) e il Partito Nazionale Monarchico, di cui è segretario Alfredo Covelli (1914-1998). L’accordo fra i due schieramenti viene premiato alle elezioni amministrative del 1951, aprendo la strada a una possibile saldatura fra queste due forze politiche e la minoranza di destra interna alla DC. Covelli chiede a Civiltà Italica una collaborazione per lavorare alla pacificazione nazionale e per un “anticomunismo positivo” (p. 151), ma tale prospettiva naufraga a causa sia dell’opposizione di gran parte della DC sia per la polemica di Giorgio Almirante (1914-1988) — segretario del MSI dal 1946 al 1950 e dal 1969 al 1987 — contro i monarchici, accusati di essere gli eredi di quanti avevano causato la fine del regime fascista.
Il quarto capitolo tratta de La mobilitazione di Civiltà Italica nelle elezioni del 18 aprile 1948 (pp. 153-157), la cui opera propagandistica spazia dall’affissione di manifesti all’invio di lettere a enti, organizzazioni e associazioni, e all’utilizzo della radio e del cinematografo. Il movimento di mons. Ronca non riceve contributi dal Vaticano, ma può contare sulle offerte raccolte in occasioni di viaggi negli Stati Uniti d’America organizzati da aderenti e simpatizzanti del movimento. Al termine di questa mobilitazione, il 21 giugno 1948, mons. Ronca, anche per “la meritoria attività da lui svolta” (p. 156), viene elevato alla dignità vescovile in partibus infidelium con il titolo di arcivescovo di Lepanto e gli viene assegnata la prelatura del santuario di Pompei, in provincia di Napoli.
Il quinto capitolo — Mons. Ronca, Prelato di Pompei (1948-1955) (pp. 159-172) — confuta l’ipotesi che tale nomina fosse stata caldeggiata da monsignor Montini e da ambienti filo-democristiani per allontanare da Roma un prelato scomodo. Infatti mons. Ronca anche a Pompei continua ad occuparsi di questioni politiche, avendo avuto dal Pontefice l’autorizzazione a continuare l’opera di Civiltà Italica. Non si tratta dunque di una promozione per allontanare l’interessato da Roma bensì del coronamento del suo fervore mariano sempre manifestato nei quindici anni di rettorato in Laterano; significativa in tal senso è l’affermazione resa da Papa Pio XII al termine dell’udienza privata concessa a mons. Ronca il giorno dopo la consacrazione episcopale: “Ci siamo tolti un tesoro per darlo a Pompei” (p. 162).
Nella città campana mons. Ronca favorisce alle elezioni comunali del 1952 la costituzione e la vittoria di una lista civica denominata Lista Bartolo Longo, fondata sull’apparentamento dei partiti di centro-destra. La sua fiera politica antidegasperiana gli procura non poche inimicizie, anche negli ambienti della Segreteria di Stato. L’accusa di aver contratto “[…] un mutuo di 50 milioni sui beni di Pompei” (p. 167) — imputazione poi dimostratasi infondata, così come si erano rivelate ingiustificate altre calunnie sul suo conto — ne determina, il 20 dicembre 1954, il richiamo a Roma. Sarà poi riabilitato da Papa Pio XII, che lo nomina canonico di San Pietro, e da Papa Giovanni XXIII (1958-1963), che riteneva l’allontanamento di mons. Ronca da Pompei “[…] un errore che tutti hanno riconosciuto” (p. 172).
Il sesto capitolo, Mons. Ronca, l’M.S.I. e l’ “Operazione Sturzo” (pp. 173-194), mette in luce la complessità del rapporto fra il MSI e Civiltà Italica e il ruolo da questa svolto in occasione delle elezioni amministrative romane del 1952. Mons. Ronca ha intensi rapporti con De Marsanich, che più volte aveva dichiarato di voler estromettere dal partito gli anticlericali e di auspicare la collaborazione di tutte le forze anticomuniste. Il presule, nel 1952, in occasione della discussione del disegno di legge sostenuto dal ministro degli Interni Mario Scelba (1901-1991), sul divieto di ricostituzione del partito fascista, ottiene dai vertici del MSI “[…] notevoli impegni di moderazione e di cattolicità” (p. 175). L’intervento di De Gasperi — contrario alla collaborazione con le destre e sordo alle sollecitazioni provenienti dagli ambienti vaticani — determina un irrigidimento politico del MSI. Tuttavia la destra cattolica nelle località del Mezzogiorno a livello amministrativo favorisce accorpamenti elettorali con i monarchici, conquistando numerosi comuni. Forte di questi successi, mons. Ronca accentua ancor di più la critica alla DC, che a suo parere doveva essere costituita da “uomini di maggior fedeltà alla gerarchia somma e periferica della Chiesa” (p. 178).
E proprio questa mancanza di fedeltà alle direttive della gerarchia determina il fallimento della cosiddetta “Operazione Sturzo” — suggerita da mons. Ronca —, cioè la candidatura alle elezioni amministrative di Roma del 1952 del sacerdote di Caltagirone alla guida di una coalizione di forze anticomuniste raggruppate in un’unica lista. L’opposizione dei presidenti centrali dell’Azione Cattolica e le critiche di De Gasperi fanno naufragare l’iniziativa; commentando la vicenda, Pio XII dirà a Gedda che l’Azione Cattolica non stava più collaborando con la Chiesa ma con la DC. Mons. Ronca rafforza così la propria convinzione che la DC fosse rappresentata da uomini di scarso acume politico e di carente struttura politico-morale. Nel 1953 si dichiara favorevole al governo del democristiano Giuseppe Pella (1902-1981), appoggiato dai monarchici e favorito dall’astensione dei missini, ma il timore di un allargamento del quadro politico ad altre formazioni causa un forte dissenso interno alla Dc e con esso la caduta del governo. Con sano realismo politico mons. Ronca si attiva pure nel gennaio del 1954, chiedendo ad esponenti del MSI l’astensione per favorire la nascita del governo monocolore di Amintore Fanfani (1908-1999). L’imminente congresso democristiano di Napoli, nel giugno 1954, spinge mons. Ronca a fondare un nuovo giornale, La Tribuna d’Italia, dalle cui colonne ripropone con vigore la leadership di Pella. Non bastano né l’opposizione da parte di democristiani di destra — in particolare di Pella e di Giuseppe Togni (1903-1981) —, né l’appoggio de La Civiltà Cattolica: al congresso, grazie anche all’atteggiamento favorevole di De Gasperi, esce vincitrice la corrente d’Iniziativa Democratica, facente capo a Benigno Zaccagnini (1912-1989), che raccoglie le correnti di sinistra.
Il settimo capitolo (pp. 195-215), Fine ed “eredità” di Civiltà Italica: le riviste e le iniziative giornalistiche del movimento di mons. Ronca (1945-56), illustra le ragioni dell’eclissi della prospettiva politica del prelato romano, ma espone anche il suo lascito nel campo della comunicazione giornalistica. Fra le prime va annoverato il rifiuto dell’Azione Cattolica Italiana di appoggiare le iniziative di Civiltà Italica. Lo stesso presidente degli Uomini di Azione Cattolica, Luigi Gedda, nel 1947, prima della costituzione dei Comitati Civici — che con Civiltà Italica avevano non pochi punti in comune, sia dal punto di vista politico-religioso che da quello organizzativo — manifesta a Papa Pio XII delle riserve sull’opportunità di appoggiare il movimento di mons. Ronca, preferendo una riedizione dell’Unione Elettorale Cattolica Italiana (1906-1919). Pesa inoltre la valutazione negativa più volte espressa dal sostituto alla Segreteria di Stato, monsignor Montini, sulle iniziative di mons. Ronca. Dopo la vittoria del 18 aprile, la consolidata linea dell’unità politica dei cattolici attorno alla DC — della quale si erano convinti molti ecclesiastici anche di tendenze conservatrici — e l’attribuzione dei meriti maggiori ai Comitati Civici chiudono a Civiltà Italica ulteriori possibilità di sviluppo.
Fra le eredità lasciate dal movimento vi è la convinzione che, per la realizzazione di uno “Stato cattolico”, occorre essere ben rappresentati nel mondo della comunicazione. Mons. Ronca interviene per evitare la chiusura de Il Messaggero, fonda l’Agenzia Romana Informazioni, pubblica dal 1950 al 1954 la rivista Civiltà Italica. Mensile di studi politici economici sociali e il settimanale di propaganda L’Italiano. Periodico per la borghesia italiana. La prima rivista, che ospitava prestigiose firme — fra cui Enrico Mattei (1906-1962), Umberto Tupini (1889-1973) Guglielmo Giannini, Luigi Stefanini (1891-1956), il futuro cardinale Pietro Palazzini (1912-2000) —, valorizza e difende la grande tradizione giuridica italiana e indica come la giustizia sociale dovesse essere perseguita senza limitare la libertà delle persone, in particolare quella economica, da salvaguardare nei confronti dello Stato imprenditore. Su L’Italiano gli avvenimenti nazionali e internazionali sono trattati in brevi articoli e in forma apertamente propagandistica — fra i temi ricorrenti, l’anticomunismo, l’antipartitismo, la critica alla prospettiva marxista dei sindacati politicizzati, il sinistrismo della DC, l’italianità di Trieste — ma tenendo sempre saldi due princìpi: “la fede cattolica e l’interesse dell’Italia” (pp. 213-214).
L’ottavo capitolo, Mons. Ronca “vescovo nelle carceri” e la rivoluzione del ‘68 (pp. 217-226), mette in risalto la sensibilità pastorale del presule in un ambiente d’apostolato particolarmente difficile e il confronto con l’emergente cultura libertaria e permissiva e con la temperie seguente allo svolgimento del Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965). Nominato da Papa beato Giovanni XXIII ispettore capo dei cappellani delle carceri italiane, mons. Ronca si ispira, per la sua pastorale, a Pio XII e alla “”spiritualità di san Disma”, ossia il ladrone pentito crocifisso alla destra di Cristo, molto cara a quel Papa” (p. 218). Al riguardo, nel 1968 fonda un periodico, Itinerari, per formare i cappellani delle carceri e illustrare il significato tradizionale della pena carceraria. Nel corso dei lavori del Concilio sostiene il primato di Pietro contro le riaffioranti tendenze conciliariste, auspica una maggiore diffusione della devozione mariana, contrastando ogni riduzionismo della figura della Madonna all’interno della Chiesa, e difende i canoni tradizionali della vita di perfezione sacerdotale o religiosa.
Nella Conclusione (pp. 227-228) l’autore evidenzia che la parabola discendente di mons. Ronca e di quanti ne avevano condivisi ideali e strategie politiche, in particolare padre Martegani, ha avuto inizio dalla rottura con De Gasperi nel luglio del 1952: da allora Civiltà Italica — espressione di un orientamento maggioritario nel mondo cattolico italiano durante la ricostruzione postbellica — perde rilievo e peso politico, e il suo blocco d’ordine cattolico, auspicato ma mai diffusamente realizzato, si esaurisce con l’affermazione del disegno montiniano in campo ecclesiale e delle correnti di centrosinistra in seno alla DC. Va comunque difeso dall’oblio questo ecclesiastico italiano, che, come ha ricordato il card. Palazzini, è stato “sempre e solo Vescovo cattolico in un contesto storico non facile della Chiesa” (p. 228). Ancorato alle devozioni tradizionali, egli ha contribuito alla conservazione della devozione mariana, esaltandola nelle regole delle due congregazioni da lui fondate, gli Oblati e le Oblate della Madonna del Rosario.
Paolo Martinucci