Francesco Pappalardo, Cristianità n. 422 (2023)
Nel 2022 ricorrevano i 150 anni della morte di Giuseppe Mazzini (1805-1872), ma pochi se ne sarebbero accorti, salvo gli studiosi di settore (1), se il nome dell’agitatore genovese non fosse apparso, sebbene con moderazione, sui quotidiani nazionali, prima in seguito a una polemica pre-elettorale (2) e poi in relazione a un convegno promosso dal ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano (3), e per la relativa eco mediatica (4).
Mazzini, inizialmente ostracizzato dall’Italia liberale, soprattutto per la sua ostilità alla monarchia, era stato «sdoganato» all’inizio del secolo XX (5), nell’Italia giolittiana, grazie anche al forte impegno della massoneria — ai cui vertici furono spesso mazziniani di stretta osservanza, o comunque repubblicani — e in particolare di Ernesto Nathan (1845-1921), gran maestro del Grande Oriente d’Italia e sindaco di Roma dal 1907 al 1913, che volevano utilizzarne la pedagogia laica e la «religione civile» (6) per la costruzione di una «nuova» Italia.
Ma l’indeterminatezza del suo pensiero e la gigantesca mole degli scritti — «quasi un organismo vivente e proteiforme, al quale attingere sempre con profitto, nella certezza di ottenere una risposta oracolare alle singole domande» (7) — alimenteranno strumentalizzazioni postume.
Se il fascismo ne farà «una sorta di precursore del regime di Mussolini» (8) — ponendo l’attenzione sull’idea mazziniana di nazione e di patria, sull’auspicata pedagogia di massa per creare l’«uomo nuovo», sulla critica dell’individualismo liberale e del socialismo —, Mazzini verrà evocato pure da parte antifascista, sì che il Partito d’Azione si richiamerà di frequente al processo di «rigenerazione» morale degli italiani da lui auspicato. Lo stesso Palmiro Togliatti (1893-1964), segretario generale del Partito Comunista Italiano, si appellerà anche a Mazzini per creare un legame fra il suo partito e la tradizione nazionale.
1. La «religione dell’umanità»
Ricostruire la linea di sviluppo delle idee di Mazzini è operazione complessa, soprattutto, come già accennato, per la natura torrenziale delle opere, la loro scarsa sistematicità e l’indeterminatezza dei pensieri espressi, cui si aggiungono «lo stile oracolare, il linguaggio mistico, la struttura apparentemente sconnessa di molti scritti»,comunque corrispondenti «alla sensibilità della gioventù intellettuale dei primi decenni del XIX secolo» (9).
Nato a Genova nel 1805 e formatosi in un ambiente familiare caratterizzato da profonde venature giansenistiche — l’eresia rigoristica che aveva allignato negli ambienti ecclesiastici nel secolo XVIII —, Mazzini elabora una sorta di costruzione filosofica in cui l’aspra polemica anticattolica si unisce alla ferma adesione a un’indeterminata «religione dell’umanità», che avrebbe dovuto realizzarsi pienamente sui resti delle vecchie fedi religiose, in una società dove la separazione fra istituti politici e princìpi religiosi non avrebbe avuto più ragione di essere.
Secondo Ernesto Galli della Loggia «Mazzini e il suo eccitato, nebuloso, mondo spirituale rappresentarono tutto ciò che di religioso l’unificazione italiana poté permettersi, ma si trattò di quella religiosità politico-sociale, intrisa di profetismo utopico e di autoritarismo, da cui dovevano scaturire precisamente le ideologie nazionalistiche, gentiliano-fasciste e gramsciano-comuniste, destinate a fare piazza pulita dello Stato e della cultura liberali» (10).
Mazzini si considera un riformatore religioso e avverte dentro di sé «la fede d’un’altra epoca avvenire» (11), del cui trionfo non dubita affatto: «Io morrò senza vederla: ma mi duole non poter darvi una vita tripla, perché potreste dire sulle mie ceneri: egli avea ragione» (12). Tuttavia, negli ultimi anni di vita la sua fede granitica conosce qualche tentennamento: «Quand’io entrai sul terreno del lavoro italiano, sperai che la preparazione dello stromento, la parte politica avrebbe avuto compimento assai prima; e mi proponeva di promovere direttamente con un popolo rigenerato, questa trasformazione religiosa vitale. M’ingannai ne’ miei calcoli; e ora è tardi per me. Altri, se il presentimento è fondato, verrà: Dio, a tempo, saprà suscitarlo» (13).
Ma, quando è chiamato a illustrare i princìpi caratterizzanti il suo impianto ideologico, si nasconde dietro «[…] una certa necessità prepotente, inesplicabile a me stesso, direttrice di tutte le mie azioni, e avente natura di stimolo religioso a cui, quando lo sento, mi pare un delitto il non cedere, [e che] rimarrà sempre un segreto per tutti, perché né io so spiegarlo, né altri lo intenderebbe» (14).
Le pagine che Mazzini dedica alla religione, e non soltanto, non sono, dunque, di facile interpretazione: «[…] quando egli parla di idea, di senso, di culto religioso — scrive il repubblicano romagnolo Aurelio Saffi (1819-1890), fedele interprete del suo pensiero, tanto da essere definito da Giovanni Spadolini (1925-1994) come l’«ultimo vescovo di Mazzini» (15) —, non chiude il suo concetto in alcuna delle forme esistenti; non è né cattolico, né protestante, e neanche cristiano ne’ limiti dogmatici e rituali, imposti al Cristianesimo dalle diverse chiese riformate» (16). Ne dà conferma il genovese stesso in più occasioni. Al sacerdote francese Hugues-Felicitè-Robert Lamennais (1782-1854) confida: «Noi non siamo cristiani perché non crediamo più […] alla divinità eccezionale di Cristo, né alla caduta, né alla redenzione per i soli meriti di Cristo, né alla resurrezione, né al cielo cristiano» (17). Nella stessa lettera difende il panteismo umanitario del socialista francese Pierre Leroux (1797-1871): «E panteisti fino a un certo punto e in un certo senso noi lo siamo tutti» (18). Altrove afferma: «[…] noi, società sotto l’impero ancora del Cattolicesimo, non possiamo saltar d’un balzo al di là del Cristianesimo, e predicare il Deismo puro, ch’è la mia religione» (19); e ancora: «Il vostro dogma umanizza Dio: il nostro tende a divinizzare lentamente, progressivamente, l’uomo» (20).
A ciò contribuisce anche la sua vicinanza alla Libera Muratoria. «Se mai la Massoneria, nata dalla rivoluzione del Settecento, ha avuto una religione — osserva Spadolini —, l’unico autentico sacerdote ne è stato Giuseppe Mazzini, che ha sognato la terza rivelazione attraverso i geni “angeli di Dio sulla terra” e i popoli “profeti di Dio in terra”» (21). Non è un caso che egli abbia accettato nel 1864 il trentatreesimo grado ad honorem della gerarchia del Rito Scozzese Antico e Accettato, offertogli dal Supremo Consiglio di Palermo, e nel 1868 la nomina a venerabile onorario perpetuo della loggia Lincoln di Lodi: «Fra voi e me esiste dunque un vincolo di fratellanza, che si tradurrà, spero, in opera. Poco importa la diversità di rito e di forma, dove uno è il pensiero. Le sezioni dell’Alleanza Repubblicana Universale e le Logge che, come la vostra, intendono qual sia la vera missione massonica, possono considerarsi come legioni dello stesso esercito» (22). Non è casuale neppure che alla morte di Mazzini, nel 1872, il Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, il toscano Giuseppe Mazzoni (1808-1880), «[…] offriva un eloquente esempio della profonda permeazione dei modi espressivi mazziniani all’interno della Massoneria italiana ed avanzava altresì la candidatura dell’Ordine a farsi attivo erede e propugnatore del “messaggio” etico-politico e culturale mazziniano» (23).
Non sembra che Mazzini abbia mai aderito formalmente alla massoneria, però tenne ottime relazioni con i suoi dirigenti e permise che molti suoi seguaci vi prendessero parte. «L’eredità di Mazzini, come si è visto, venne raccolta da numerosi suoi seguaci che furono ad un tempo repubblicani e massoni. E se negli ultimi decenni dell’Ottocento la memoria del suo pensiero e della sua opera non andò perduta molto fu dovuto proprio al culto e alla devozione che gli riservò l’universo liberomuratorio» (24).
Gli interpreti democratico-radicali di Mazzini hanno preferito metterne da parte la dottrina religiosa, ma è impossibile separare nel genovese l’aspetto religioso da quello politico e sociale, che rappresentano un unico insieme, in cui «[…] continuo è lo scorrere del pensiero politico in quello religioso, e del pensiero religioso in quello sociale» (25).
Si distruggerebbe altrimenti l’elemento essenziale delle sue riflessioni, che — secondo Augusto Del Noce (1910-1989) — è l’«immanenza di Dio allo spirito umano» (26). «Il Dio di Mazzini — prosegue il filosofo torinese — è principio interno alla coscienza umana, che muove, non alla contemplazione, ma all’azione. Da questa pura interiorità deriva che non può essere oggetto di dimostrazione […]. Nello stesso tempo l’interiorità del divino porta pure all’esclusione della creazione di una nuova religione, che prenda la forma di Chiesa» (27).
Resta la fede in un’esistenza ultraterrena, che però non esclude la reincarnazione, in un susseguirsi di vite di cui ciascuna dovrebbe segnare un momento di progresso rispetto alla precedente. Infatti Mazzini ha forti interessi esoterici e si accosta allo spiritismo, assorbendo — da ambienti socialisti francesi — le idee dello spiritista francese Allan Kardec (Hyppolite Léon Denizard Rivail, 1804-1869) sulla pedagogia della reincarnazione: «Crediamo che […] nell’individuo, ogni intuizione di Vero, ogni aspirazione oggi inefficace all’ideale e al bene, è promessa d’un futuro sviluppo, germe che deve svolgersi nella serie delle esistenze che costituiscono la Vita: crediamo che come l’Umanità collettiva conquista, innoltrando, e successivamente, l’intelletto del proprio passato, così l’individuo conquisterà, innoltrando sulla via del Progresso, e in proporzione dell’educazione morale raggiunta, la coscienza, la memoria delle sue passate esistenze» (28). Accetta perfino l’idea di vite precedenti degli uomini su altri pianeti e spiega che «[…] il viaggio dall’una all’altra esistenza si fa come intorno ad una enorme piramide di guisa che, pervenuti ad una certa altezza, cominciamo a discernere il cammino percorso. Saliti al cacùme, poi, lo si vede intero. Qui nella terra siamo in continuazione di viaggio provenienti da altri astri o pianeti» (29).E ancora: «Il cielo e il dogma si modificherà a seconda della legge di vita scoperta: progresso perenne. Quindi Purgatorio sostituito all’Inferno, ma progressivo: serie di esistenze, periodi successivi e progressivi della vita: riapparizioni in terra finché non si compie la legge morale data all’Umanità: trasformazioni in esseri superiori appena ha soddisfatto alla legge» (30).
Queste parole esprimono nella forma più esplicita la profonda antitesi fra il pensiero di Mazzini e la religione cattolica. Perciò è un errore credere — e ciò vale anche per Garibaldi e per altri protagonisti del Risorgimento italiano (31) — che egli si sia separato dal cattolicesimo per ragioni politiche contingenti, cioè in seguito all’ostilità dei Pontefici nei confronti della causa nazionale.
2. La «religione della nazione»
Dalla concezione religiosa di Mazzini deriva direttamente quella politica. Applicando alla politica gli attributi propri della religione, sulla scia del messianesimo che caratterizzava i movimenti rivoluzionari dell’epoca, egli la carica di una forza inconsueta: «Le rivoluzioni politiche s’annunziano a’ popoli come le tavole della legge sul Sinai, fra tuoni, lampi e tempeste» (32).
La teorizzazione della nazione come fondamento naturale dell’organizzazione del potere politico e, quindi, della fusione necessaria di nazione e Stato, si ha proprio con l’agitatore genovese, il quale riteneva che l’avvento delle nazioni avrebbe dato l’avvio non soltanto a un nuovo ciclo politico, ma anche a una nuova era religiosa, in cui il popolo, uno e indivisibile, sarebbe stato l’unico interprete della legge di Dio secondo la formula «Dio è Dio, e l’umanità è suo profeta» (33). Al popolo, dunque, spettava non solo il compito di farsi interprete della volontà di Dio, sia in materia religiosa, riunendosi in Concilio e sostituendo la gerarchia ecclesiastica, sia sul fronte politico, dove il popolo stesso, messaggero di Dio, diventa la sorgente di ogni potere.
Di conseguenza, la sovranità popolare acquista un fondamento religioso e l’unità territoriale trova la sua giustificazione in una missione divina: «L’Unità è la legge del mondo morale, come del mondo fisico. Dall’Unità infuori non v’è che anarchia, incertezza ed arbitrio» (34); essa non può essere violata senza porre in atto un comportamento empio: «In verità, colui che nega l’Unità della Patria non intende la Parola di Dio né quella degli uomini. Voi dovete vivere e morire in quella Unità» (35).
Il termine «nazione», fino ad allora di uso generico, perché riferito alle più diverse realtà di gruppo e a qualunque forma di comunità politica, trova un preciso punto di riferimento nello Stato nazionale, lo Stato che si avvale del suo potere per imporre su tutti i territori posti sotto la propria amministrazione l’uniformità di lingua e di costumi, nonché per prescrivere, e in parte produrre, l’unità nazionale. Termini come «nazionalità» e «nazionalismo» si affermano nel pensiero politico con il significato, pur sempre fluttuante e ambiguo, in cui se ne discorre oggi e agiscono sempre più incisivamente come idee forza, cariche d’implicazioni teoriche e pratiche. La nazionalità, a sua volta, «è la missione, il compito che un popolo deve adempiere sulla terra, perché l’idea divina possa attuarsi nel mondo: l’opera che gli dà diritto di cittadinanza nell’umanità» (36). E ancora: «La Patria è una Missione, un Dovere comune. […] La Patria è la fede nella Patria» (37).
Una descrizione illuminante di questo mutamento culturale viene offerta dallo storico valdostano Federico Chabod (1901-1960): «La politica acquista pathos religioso; e sempre di più, con il procedere del secolo e con l’inizio del secolo XX: ciò spiega il furore delle grandi conflagrazioni moderne […] La nazione diventa la patria: e la patria diviene la nuova divinità del mondo moderno. Nuova divinità: e come tale sacra» (38).
Mazzini considera le nazioni come manifestazione della volontà divina, che ha ordinato appunto i popoli in nazioni, tracciandone i confini — sacri — e assegnando a ciascuna la propria missione. Nel suo immaginario politico, dunque, prima della volontà dei cittadini operava una presunta volontà divina. Le nazioni avrebbero dovuto esprimere una nuova umanità e, quindi, non potevano essere ritrovate né nel passato né nel presente; la loro esistenza, infatti, si sarebbe dispiegata a partire dal momento in cui avessero acquistato consapevolezza della loro missione. La nazione di Mazzini è un’aspirazione e non una realtà, un dover essere piuttosto che un dato esistenziale.
Per questi motivi, scrive il politologo di orientamento federalista Mario Albertini (1919-1997), la nazione «[…] può venir pensata davvero come la fonte esclusiva della vita spirituale, sociale e politica degli individui, e quindi nella sfera teorica come il criterio onnicomprensivo di spiegazione della realtà e nella sfera pratica come il sommo valore. Ma una forma simile di vita sta completamente al di fuori di ogni esperienza umana di carattere realistico» (39).
Mazzini ritiene, dunque, che l’Italia non solo sia stata scelta da Dio per essere una nazione, ma abbia anche una missione ispiratrice — da realizzare previa unificazione politica — nei confronti delle altre nazioni europee. Per un’inevitabile progressione storica, alla Roma dell’Impero e a quella del Papato dovrebbe seguire la terza Roma, quella del Popolo, a cui spetterà prendere l’iniziativa per farsi ancora una volta iniziatrice di un grande movimento della storia. In concreto, l’Italia ha il compito di perseguire l’unificazione politica e di guidare le altre nazioni europee. Come «nazione Cristo» (40) è destinata a risorgere attraverso le sofferenze e il sacrificio, ed è caratterizzata da una doppia missione: religiosa — «abolizione del Papato […] e sostituzione del dogma del Progresso a quello della caduta e della redenzione per grazia» (41) — e politica, lo «sviluppo del principio di Nazionalità come regolatore supremo delle relazioni internazionali e pegno securo di pace nell’avvenire» (42).
Il principio di nazionalità deve affermarsi sui ruderi della «teocrazia», contribuendo alla distruzione della Chiesa cattolica e dell’Impero d’Austria, considerati da Mazzini i simboli dell’oppressione. Dichiara quindi guerra al Papato — «[…] menzogna di religione e come ogni menzogna di religione, sorgente perenne di corruttela e immoralità alle nazioni e segnatamente alla nostra che ha l’esempio e l’incubo della menzogna sul core» (43) — e ne auspica l’abolizione e la sostituzione con una sorta di Convenzionecui affidare, come agli apostoli nel Cenacolo, la nuova rivelazione e la funzione di guida spirituale dell’umanità, pur dovendo ammettere a un certo punto: «E non pertanto, il papato dura. Benché logoro e minato da tutte le parti, dura, pretesto all’insidia dei governi assoluti; centro apparente agli inetti e agli astuti; simbolo esoso, ma pur tenente il campo e contendente quindi il terreno a chi volesse gittarvi le basi di un altro simbolo» (44).
Mazzini, inoltre, sostituisce al lealismo dinastico la fedeltà alla nazione, intesa come fondamento naturale dell’organizzazione del potere politico e principale riferimento della legittimità politica — «l’oggetto “Italia”, in termini politico-culturali moderni, è invenzione sua» (45) —, e invoca la distruzione dei grandi imperi multinazionali, innanzitutto quello asburgico, che rappresentano l’ostacolo maggiore alla diffusione del principio di nazionalità. L’unità che auspica è quella di una società completamente nuova, da costruire sulla demolizione non solo dei legittimi ordinamenti preesistenti, ma degli stessi valori, spirituali e storici, comuni alle popolazioni della Penisola italiana, in quanto estranei o contrastanti con la sua ideologia. La nuova Italia s’identifica con un’identità nazionale inesistente e astratta e gli italiani sono ancora «da fare», cosicché l’unità politica diventa lo strumento per promuovere un radicale rinnovamento della società, una trasformazione delle coscienze in vista della costruzione di una nuova unità morale del paese, un’opera di pedagogia collettiva: «Noi non abbiamo ad essere meramente rivoluzionari perché si sta male, e si vorrebbe star meglio […]. Ma la nostra è un’opera ben altamente grande e solenne: il nostro è un problema d’Educazione; è un cercar della nostra missione: è una Rigenerazione nel vero senso» (46).
La repubblica non è soltanto una forma di governo ma anche «un’istituzione politica atta a produrre un miglioramento morale» (47). Per questo motivo «[…] il Partito repubblicano non è un partito politico: è partito essenzialmente religioso: ha dogma, fede, martiri, da Spartaco in poi; e deve avere l’inviolabilità del dogma, l’infallibilità della fede, il sagrificio e il grido d’azione dei martiri» (48).
L’imperativo religioso posto alla base del progetto politico mazziniano spiega l’atteggiamento tetragono del genovese di fronte ai continui insuccessi, che gli costarono l’accusa di mandare allo sbaraglio i suoi amici e seguaci dal sicuro rifugio dell’esilio: i moti del 1831 nei ducati emiliani e nelle Legazioni pontificie, quelli in Savoia nel 1833 e a Genova l’anno seguente, i moti del 1843 in Romagna e del 1844 in Calabria, che portano alla morte dei fratelli veneti Attilio (1810-1844) ed Emilio (1819-1844) Bandiera, la sconfitta della Repubblica Romana nel 1849, i moti di Milano nel 1853 e la spedizione di Sapri nel 1857, con la morte del napoletano Carlo Pisacane, duca di San Giovanni (1818-1857). A ciò si aggiunge il suo distacco dalla realtà, proprio di chi vive in un mondo virtuale, progettando imprese prive di possibilità di riuscita: «Destinatario, da parte di corrispondenti ed emissari, di esagerazioni che spesso lui stesso aveva contribuito a creare, privo già prima dell’esilio di una diretta conoscenza degli Stati italiani — sostiene Belardelli —, Mazzini viveva anche lui nella condizione visionaria e allucinata dell’emigrato politico, che è spinto dalla sua condizione infelice a prestar fede alle notizie più ottimistiche, continuamente mescolando realtà e fantasia» (49).
Mazzini si rende conto, comunque, della difficoltà di far trionfare il suo ideale unitario e repubblicano, così come sa bene che il popolo che egli sogna e in nome del quale si deve fare la rivoluzione non esiste: «Il popolo, il nostro popolo, che ha l’intelligenza del cuore, non può né leggerci né capirci. Bisogna parlargli con l’azione» (50). Da qui la funzione pedagogica dell’azione per la formazione del popolo come nuova comunità di fede; il linguaggio enfatico come strumento di mobilitazione e di aggregazione di un movimento politico da creare partendo quasi dal nulla e valendosi dei simboli religiosi tradizionali; il problema dell’iniziativa, della scintilla che facesse divampare l’incendio e trasformasse con un tocco magico l’Italia dei principi e degli Stati in una nazione unitaria; la concezione messianica della rivoluzione italiana, attesa con fede intrepida nonostante i sistematici fallimenti insurrezionali che, anzi, daranno martiri alla causa: «[…] fate della rivoluzione una religione: una idea generale che affratelli gli uomini nella coscienza d’un destino comune, e il martirio: ecco i due elementi eterni d’ogni religione» (51).
L’astrattezza e il carattere ideologico non impediscono a Mazzini d’imprimere al suo messaggio un’adeguata forza mobilitante, soprattutto verso settori non secondari del ceto medio e artigiano e nei confronti di giovani idealisti romantici, sui quali le idee di redenzione individuale e di guerra popolare di liberazione esercitano un forte richiamo; di fondare con la Giovine Italia un’«“agenzia di nazionalizzazione” per le giovani generazioni» (52) e di creare una rete politica radicale con il suo centro a Londra; di far nascere, infine, il mito dell’unità. «L’unità, in Italia, non era una realtà geografica, non era un’eredità storica, non era una vocazione nazionale. L’Italia — commenta Spadolini — era il paese delle città e dei Comuni; […] l’Italia era la terra che aveva sempre ondeggiato fra una realtà municipale e una destinazione universale, fra un presente di provincia e una meta di impero; l’Italia era infine la sede del Papato, cioè dell’organismo più universale della storia, e non solo la sede, quanto il cuore, il centro, il fulcro stesso del Pontificato romano. Mazzini riuscì a dare a questo popolo l’illusione dell’unità» (53).
Il suo messaggio politico-religioso, per quanto confuso, l’ostentato rigore morale (54), l’etica del sacrificio, hanno favorito senza dubbio la nascita del mito di Mazzini come «padre della patria» e il suo inserimento nella grande narrazione patriottica del Risorgimento.
La sua, però, è una figura tutt’altro che esemplare, tanto nella prospettiva religiosa quanto in quella civile. Anche nel suo nome l’unità politica è stata accompagnata da un processo culturale — noto con il nome di Risorgimento — volto a «rifare gli italiani» secondo un progetto d’ingegneria sociale, caratterizzato dal relativismo delle idee e delle religioni e dunque negatore del patrimonio storico della nazione. Accettarne acriticamente l’icona equivarrebbe, infatti, ad accettare un’unità intossicata da una falsa e ideologica nozione d’italianità, in contraddizione con le radici più genuine della civiltà italica.
Francesco Pappalardo
Note:
1) Cfr., per esempio, il convegno «La patria è la casa dell’uomo, non dello schiavo». Origine e sviluppi di un’idea di patria fondata sulla libertà», tenutosi a Genova, nell’Albergo dei Poveri, il 10 e l’11 giugno 2022, e la cronaca di Alessandro Dividus in Storia e Politica (anno XIV, n. 3, 2022, pp. 653-664). Eco ridotta ha avuto anche la dichiarazione del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in cui questi afferma che «Giuseppe Mazzini è uno dei padri del nostro Risorgimento, un uomo simbolo del faticoso, in vari momenti eroico, processo di unificazione del Paese. Una figura a cui l’Italia intera si inchina» e che «gli ideali che lo ispirarono, la sua azione politica, la sua testimonianza etica e civile […] furono decisivi sulla strada dell’affermazione della identità italiana» (cfr. Dichiarazione del Presidente Mattarella per il 150° Anniversario della morte di Giuseppe Mazzini, nel sito web <https://www.quirinale.it/elementi/63569>; gli indirizzi internet dell’intero articolo sono stati consultati il 29-8-2023).
2) Cfr., per esempio, da un lato Alessandro Gnocchi, La vera storia (non fascista) di Dio, patria e famiglia, in Il Giornale, 20-9-2022, e dall’altro lato Maurizio Viroli, Patria e famiglia: Mazzini scambiato per Mussolini, in Il Fatto Quotidiano, 20-9-2022.
3) Cfr. il programma del convegno su Giuseppe Mazzini nella storia d’Italia — organizzato a Roma dal ministero della Cultura in collaborazione con l’Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano il 19 giugno 2023 — nel sito web <https://www.osservatoriorisorgimento.it/l/giuseppe-mazzini-nella-storia-ditalia>.
4) Cfr. Nando Dalla Chiesa, Ma davvero vogliamo regalare Mazzini (e Mameli) alla destra meloniana?, in Il Fatto Quotidiano, 26-6-2023, che risponde indirettamente al ministro Sangiuliano, il quale in occasione del convegno anzidetto aveva dichiarato: «Va colta la modernità di questo personaggio, il suo spirito repubblicano che è certamente il suo lascito più importante. Fare cultura significa riscoprire le origini attraverso personalità centrali nella costruzione della nostra identità» (Ufficio stampa e comunicazione MiC, Mazzini, Sangiuliano: «Figura fondamentale della geografia della Nazione. I giovani lo riscoprano», nel sito web <https://www.beniculturali.it/comunicato/24816>).
5) Cfr. Marco Severini, Lo sdoganamento di Mazzini, in Storia e problemi contemporanei, anno XX, n. 46, settembre 2007, pp. 171-174.
6) Cfr. Roland Sarti, Giuseppe Mazzini. La religione civile, trad. it., Laterza, Roma-Bari 2005.
7) Roberto Balzani, Il problema Mazzini, in Ricerche di storia politica, anno VIII, n. 2, maggio 2005, pp. 159-182 (p. 161).
8) Giovanni Belardelli, Mazzini, il Mulino, Bologna 2010, p. 245.
9) Ibid., p. 19.
10) Ernesto Galli della Loggia, Liberali, che non hanno saputo dirsi cristiani, in il Mulino. Rivista trimestrale di cultura e di politica, anno XLII, n. 5, settembre-ottobre 1993, pp. 855-866 (p. 861).
11) Giuseppe Mazzini, A Luigi Amedeo Melegari [1805-1881], del 24-10-1837, in Idem, Scritti Editi e Inediti. Edizione Nazionale (d’ora in poi SEI), 106 volumi, Galeati, Imola (Bologna) 1906-1943, vol. XIV, pp. 124-132 (p. 131).
12) Idem, A L. A. Melegari, dell’8-4-1837, ibid., vol. XII, pp. 365-375 (pp. 369-370).
13) Idem, A Elia Benamozegh [1823-1900], 20-1-1870, ibid., vol. LXXXIX, p. 349.
14) Idem, Lettera alla madre, del 23-3-1837, ibid., vol. XII, p. 354.
15) Giovanni Spadolini, I repubblicani dopo l’Unità, Le Monnier, Firenze 1980, p. 60.
16) Aurelio Saffi, Cenni a proemio del testo, in Scritti editi e inediti di Giuseppe Mazzini, Daelli, Roma 1891, vol. XVIII, p. LXXIX.
17) G. Mazzini, A Félicité de Lamennais, del 29-11-1840, in SEI, vol. XIX, pp. 355-359 (p. 357).
18) Ibidem.
19) Idem, A Francesco Bertioli [1800-1873], gennaio 1833, ibid., vol. V, pp. 214-217 (p. 216).
20) Idem, Dal Concilio a Dio, ibid., vol. LXXXVI, pp. 241-283 (p. 263). Una particolareggiata esposizione critica del pensiero di Mazzini è in Hermann Gruber (pseudonimo del gesuita Ildebrando Gerber [1851-1930]), Giuseppe Mazzini. Massoneria e rivoluzione. Studio storico-critico di Ermanno Gruber, S.J., dedicato a tutti gli amici dell’ordine pubblico, trad. it., Desclée, Roma 1901, ristampa Forni, Bologna 1979. Padre Gruber è considerato ancora oggi «uno dei primi e dei più avvertiti» studiosi di area cattolica, «autore di un documentato volume» (Fulvio Conti, Mazzini massone? Costruzione e fortuna di un mito, in Memoria e Ricerca, anno XIV, n. 21, gennaio-aprile 2006, pp. 157-175 [p. 165]).
21) G. Spadolini, Il Papato socialista, Longanesi, Milano 1964, p. 198. La citazione è stata omessa nella quinta e ultima edizione (Longanesi, Milano 1982).
22) G. Mazzini, Alla loggia Lincoln di Lodi, del 3-6-1868, in G. Mazzini, SEI, vol. LXXXVI, cit., pp. 305-306.
23) Aldo Alessandro Mola, Giuseppe Mazzini: tra Risorgimento nazionale italiano e fondazione della democrazia europea, in I personaggi della storia del Risorgimento, a cura di Roman Rainero, Marzorati, Milano 1976, pp. 369-424 (p. 405).
24) F. Conti, Mazzini massone? Costruzione e fortuna di un mito, cit., p. 175.
25) Adolfo Omodeo (1889-1946), La missione religiosa e politica di Giuseppe Mazzini, in Idem, Difesa del Risorgimento, Einaudi, Torino 1951, pp. 74-86 (p. 76).
26) Augusto Del Noce, Giovanni Gentile. Per una interpretazione filosofica della storia contemporanea, il Mulino, Bologna 1990, p. 141.
27) Ibid., pp. 371-372.
28) G. Mazzini, A Pio IX, Papa, 1865, in SEI, vol. LXXXIII, pp. 45-63 (53-54).
29) Cit. in Ferruccio Quintavalle (1873-1953), Religione, vita terrena, oltretomba nel pensiero di Giuseppe Mazzini. Con Appendice di Giuseppe Loreta, Mazzini e la vita negli altri mondi, Fratelli Bocca, Milano 1942, p. 109.
30) Ibid., pp. 113-114.
31) Cfr. il mio Il mito di Garibaldi. Una religione civile per una nuova Italia, con una Presentazione di Alfredo Mantovano, Sugarco, Milano 2010.
32) G. Mazzini, I collaboratori della «Giovine Italia» ai loro concittadini, in La Giovine Italia, [1832], in SEI, vol. III, pp. 27-74 (p. 29).
33) Idem, A Félicité de Lamennais, del 29-11-1840, in SEI, vol. XIX, pp. 355-359 (p. 358). Su Mazzini artefice del «passaggio dalla nazione come spazio culturale alla nazione come spazio politico», soprattutto dopo il fallimento dei moti «municipalisti» del 1831, ha richiamato l’attenzione R. Balzani, art. cit., p. 168. Cfr. inoltre Simon Levis Sullam, Fate della rivoluzione una religione. Aspetti del nazionalismo mazziniano come religione politica (1831-1835), in Società e storia, anno XXVI, n. 106, 2004, pp. 705-730.
34) Idem, I collaboratori della «Giovine Italia» ai loro concittadini, cit., p. 29.
35) Idem, Ai giovani d’Italia, cit., pp. 178-179.
36) Idem, Nazionalità. Qualche idea sopra una costituzione nazionale, 1835, ibid., vol. VI, p. 127.
37) Idem, Ai giovani d’Italia, 1859, ibid., vol. LXIV, pp. 165-166.
38) Federico Chabod, L’idea di nazione, Laterza, Bari 1996, p. 61.
39) Mario Albertini, Idea nazionale e ideali di unità supernazionali in Italia dal 1815 al 1918, in Nuove questioni di storia del Risorgimento e dell’Unità d’Italia, Marzorati, Milano 1961, vol. II, pp. 671-728, ora, con il titolo Il Risorgimento e l’unità europea, in Idem, Lo Stato nazionale, il Mulino, Bologna 1997, pp. 147-220 (p. 175).
40) G. Mazzini, A Luigi Amedeo Melegari, del 14-4-1836, in SEI, vol. XI, pp. 311-315 (p. 313).
41) Idem, Politica internazionale, 1871, ibid., vol. LXXXIXII, pp. 143-170 (p. 152).
42) Ibid., pp. 152-153.
43) Idem, Questione morale, 1866, ibid., vol. LXXXIII, pp. 193-218 (p. 200).
44) Idem, Dal Papa al Concilio, 1849, ibid., vol. XXXIX, pp. 175-195 (p. 181).
45) R. Balzani, art. cit., p. 171.
46) G. Mazzini, A Giuseppe Elia Benza (1802-1890), del 19-5-1840, in SEI, vol. XIX, pp. 114-128 (p. 121).
47) Idem, Discorso all’Assemblea Costituente Romana, del 10-3-1849, ibid., vol. XLI, pp. 19-20.
48) Idem, Fede e Avvenire, 1835, ibid., vol. VI, p. 306.
49) G. Belardelli, op. cit., p. 58.
50) G. Mazzini, A Félicité de Lamennais, del 6-8-1841, in SEI, vol. XCVI, pp. 219-225 (pp. 223-224).
51) Idem, D’alcune cause che impedirono finora lo sviluppo della libertà in Italia,in La Giovine Italia, fasc. II e III, [giugno e novembre 1832], in SEI, vol. II, 147-221 (p. 177).
52) R. Balzani, art. cit., p. 168. La lotta politica della Giovine Italia rientrava — secondo il suo fondatore — nel piano divino della redenzione tramite il popolo e per il popolo. Il progetto della G.I., «progetto appunto di vita e di morte, progetto esistenziale» (Arianna Arisi Rota, Contesti mazziniani. Contesti di predicazione e azione, contesti di memoria, in Il Risorgimento, anno LXIX n. 2, 2022, pp. 92-97 [p. 93]).
53) G. Spadolini, Autunno del Risorgimento. Miti e contraddizioni dell’Unità, Le Monnier, Firenze 1987, p. 307, nota 1.
54) «Grande, austero, immoto — appare nei versi di Giosuè Carducci (1835-1907) — […]. Esule antico, al ciel mite e severo / Leva ora il volto che giammai non rise» (Giosuè Carducci, Poesie, a cura di Monica Chittò, Mondadori, Milano 1993, pp. 48-49).