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Globalizzazione ed etica

5 Agosto 2001 - Autore: Alleanza Cattolica

GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai partecipanti all’incontro promosso dalla Fondazione Etica ed Economia di Bassano del Grappa, del 17-5-2001, nn. 2-4, in L ’Osservatore Romano, 18-5-2001.

Cristianità n. 306 (2001)

 

 

I processi economici odierni […] si stanno sempre più orientando verso un sistema che, dalla maggior parte degli osservatori, viene definito con il termine di “globalizzazione”. Non vi è dubbio che si tratti di un fenomeno che consente grandi possibilità di crescita e di produzione di ricchezza. Ma è pure da molti ammesso che esso non assicura di per sé l’equa distribuzione dei beni tra i cittadini dei vari Paesi. In realtà, la ricchezza prodotta rimane spesso concentrata in poche mani, con la conseguenza dell’ulteriore perdita di sovranità degli Stati nazionali, già abbastanza deboli nelle aree in via di sviluppo, e dello sbocco in un sistema mondiale governato da pochi centri in mano di privati. Il libero mercato è, certo, un tratto inequivocabile della nostra epoca. Esistono, tuttavia, bisogni umani imprescindibili, che non possono essere lasciati in balia di questa prospettiva con il rischio di essere fagocitati.

La dottrina della Chiesa insegna che la crescita economica dev’essere integrata da altri valori, così da diventare crescita qualitativa; quindi equa, stabile, rispettosa delle individualità culturali e sociali, come pure ecologicamente sostenibile. Essa non può essere separata da un investimento fatto anche sulle persone, sulle capacità creative ed innovative dell’individuo, basilare risorsa di qualsiasi società.

Il termine “globale”, se inteso in modo coerente, deve includere tutti. Occorre, pertanto, sforzarsi di eliminare le persistenti sacche di emarginazione sociale, economica e politica. Ciò vale anche per l’esigenza, spesso sottolineata, di assicurare la “qualità”. Anche questo concetto deve tener conto non soltanto del prodotto, ma, in primo luogo, di chi produce. Mi riferisco alla necessità della “qualità totale”, ovvero alla condizione globale dell’uomo nel processo produttivo.

Solo se l’uomo è protagonista e non schiavo dei meccanismi della produzione, l’impresa diventa una vera comunità di persone. Ecco una delle sfide consegnate alle nuove tecnologie, che già hanno alleviato parte dell’umana fatica, ma consegnate anche al datore di lavoro diretto e soprattutto indiretto, va le a dire a tutte quelle forze da cui dipendono gli orientamenti della finanza e dell’economia.

Ad esse è legato sia il riscatto dell’uomo di fronte al lavoro, sia il rinvenimento di una soluzione efficace al problema della disoccupazione, piaga planetaria che potrebbe guarire se i percorsi del capitale non perdessero mai di vista il bene dell’uomo come obiettivo finale.

La globalizzazione, a ben guardare, è un fenomeno intrinsecamente ambivalente, a metà strada tra un bene potenziale per l’umanità ed un danno sociale di non lievi conseguenze. Per orientarne in senso positivo lo sviluppo sarà necessario impegnarsi a fondo per una “globalizzazione della solidarietà”, da costruire attraverso una nuova cultura, nuove regole, nuove istituzioni a livello nazionale ed internazionale. Occorrerà, in particolare, che si intensifichi la collaborazione tra politica ed economia, per varare progetti specifici a tutela di chi potrebbe rimanere vittima di processi di globalizzazione a scala planetaria. Penso, ad esempio, a strumenti che possano alleviare il pesante fardello del debito estero dei Paesi in via di sviluppo, o a legislazioni che proteggano l’infanzia dallo sfruttamento che si ha nel prematuro avviamento dei bambini al lavoro.

[…] Auspico di cuore che […] [il] vostro apporto sia sempre illuminato dal secolare insegnamento della Chiesa, affinché la libertà economica non sia mai disgiunta dal dovere dell’equa distribuzione della ricchezza.

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