Massimo Introvigne, Cristianità n. 367 (2013)
L’11 febbraio 2013, festa della Beata Vergine di Lourdes, la Chiesa Cattolica e il mondo intero sono stati scossi dall’improvvisa notizia della rinuncia al ministero petrino da parte di Papa Benedetto XVI (2005-2013). Siamo convinti che la decisione del Pontefice sia nata da due fattori, uno “apocalittico” — una parola che per il cattolico non evoca improbabili date della fine del mondo, ma una “rivelazione” dell’eccezionale gravità dei tempi — e uno pratico. Per quello pratico possiamo forse rileggere un vecchio classico della sociologia, Talcott Parsons (1902-1979). Questo sociologo statunitense non amava particolarmente la religione, ma andò molto a fondo nell’analisi delle organizzazioni sociali complesse. La sua idea era che, se non scompaiono, le organizzazioni complesse non possono che diventare sempre più complesse. La Chiesa Cattolica del 2013 è un’organizzazione molto più complicata della Chiesa Cattolica di cinquant’anni fa. A chi si chiede perché Benedetto XVI si è dimesso e il beato Giovanni XXIII (1958-1963), che negli ultimi anni era molto più malandato, è rimasto al suo posto, si può rispondere anzitutto che in tutto il suo pontificato il beato Giovanni XXIII fece un solo viaggio, ad Assisi e Loreto. Mentre oggi si chiede al Papa che ogni due o tre mesi parta per Paesi e continenti lontani — le Giornate Mondiali della Gioventù, per fare un solo esempio, sarebbero inconcepibili senza il Pontefice — e che presieda decine di riunioni ogni mese. Se si vuole un Papa che governi la Chiesa — la scelta del beato Giovanni Paolo II (1978-2005) di delegare ampiamente il governo ad altri, riservando a sé stesso il contatto diretto con i fedeli, va rispettata e ha dato frutti eccezionali, ma è così legata alla sua personalità irrepetibile da non poter essere la regola —, non si può non tenere conto del requisito secondo cui deve avere le forze per farlo.
Naturalmente, sarebbe del tutto improprio sfruttare il gesto di Papa Benedetto XVI per concluderne che è l’ora per la Chiesa di passare a una direzione più “democratica” e meno sacrale e monarchica. La sacralità e l’unicità nella Chiesa della figura del Pontefice non derivano dalle modalità di esercizio del pontificato ma dal mandato ricevuto direttamente da Gesù Cristo. Per vie misteriose — talora, com’è ora avvenuto, tramite gesti eccezionali — questa sacralità si declina nella storia in modo diverso. Una Chiesa “democratica”, con il Papa ridotto ad amministratore delegato, non sarebbe più la Chiesa Cattolica. E ultimamente il nucleo del ministero petrino deriva direttamente dal brano del Vangelo dove il Signore rassicura pure sul fatto che anche stavolta la farina del diavolo finirà per andare in crusca: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli” (Mt. 16,17-18).
Si deve ringraziare Papa Benedetto XVI per un Magistero ricchissimo, che per il suo carattere articolato e sistematico può essere soltanto paragonato a quello di Papa Leone XIII (1878-1903). È un Magistero che ha una chiave metodologica di lettura: l’apologia sistematica dell’equilibrio fra fede e ragione, faticosamente costruito dall’Europa in mille anni di storia e perso il quale — dopo il declino del Medioevo — si apre la strada da una parte alla fede senza ragione di tipo fondamentalista, dall’altra alla ragione senza fede di tipo laicista. È il tema del discorso di Ratisbona (1), in Germania, che nel 2006 anticipa l’enciclica Spe salvi (2) del 2007.
Questa premessa metodologica, fondamentale, ha permesso a Papa Benedetto XVI una riproposizione sistematica e concatenata di cinque grandi temi.
1. Al centro di tutto sta quella che possiamo chiamare la chiusura dei conti lasciati aperti dal Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965). Il Papa lo ha ribadito nel lungo, sorprendente saluto ai parroci romani del 23 febbraio 2012 (3), dov’è tornato al suo primo grande discorso, quello alla Curia Romana del 22 dicembre 2005 in cui proponeva una “ermeneutica della riforma […] nella continuità” (4). Un’interpretazione del Concilio che mette in luce le riforme e chiede alla Chiesa di accettarle come volute dai Pontefici e necessarie, senza sconti per nessuno, neppure per i seguaci di mons. Marcel Lefebvre (1905-1991), verso cui il Pontefice ha mostrato una grande benevolenza segnando però una linea rossa — la leale accettazione dei documenti del Vaticano II e dello stesso senso generale dell’evento come realmente lo vollero i Padri conciliari — oltre la quale non vi è la riconciliazione ma solo lo scisma. Nello stesso tempo, un’interpretazione che invita a leggere le riforme nella continuità con il Magistero precedente e non come se si trattasse di bombe a orologeria deposte nella Chiesa da sovversivi e intese a distruggere tale Magistero. E a chi — “da destra” o “da sinistra” — va ribadendo che i Padri che dominarono teologicamente il Concilio volevano sovvertire la Chiesa com’era stata prima del Vaticano II, ancora nell’ultimo discorso ai parroci Papa Benedetto XVI ha ribadito che così si fa cattiva storia e si confonde il Concilio reale dei Padri con un “Concilio virtuale” (5) inventato — certo con la complicità di tanti uomini di Chiesa — dai media.
Il nuovo Pontefice non potrà che continuare — con toni e stili che gli saranno propri — questa grande battaglia per la corretta interpretazione del Concilio, dove si giocano il presente e il futuro della Chiesa. L’”ermeneutica della riforma nella continuità” è la chiave per comprendere il pontificato di Benedetto XVI, la chiave che spiega tutti gli altri grandi temi, pure ben presenti al Conclave.
2. La corretta interpretazione del Concilio è strettamente collegata a quello che — per numero d’interventi e importanza — è emerso come uno dei grandi temi del pontificato: l’interpretazione secondo questa ermeneutica di uno degl’insegnamenti più “difficili” del Vaticano II, quello sulla libertà religiosa. Benedetto XVI è stato il Papa della difesa intransigente della libertà religiosa contro l’ultra-fondamentalismo islamico, i regimi che ancora soffocano la religione in nome del comunismo, i nazionalismi aggressivi a base religiosa di Paesi come l’India e il laicismo di troppi governi occidentali. Però questa difesa è stata fondata su una rigorosa ricostruzione teologica e filosofica della nozione stessa di libertà religiosa come la presentò il Concilio, che non ha niente a che fare con il relativismo o con la falsa idea che tutte le religioni sono di ugual valore, ma è un concetto giuridico che chiede agli Stati moderni, per loro stessa auto-definizione incompetenti in materia di religione, di non interferire con il processo che porta ciascuno a formarsi le sue convinzioni religiose. Dal momento che — in modi diversi se parliamo di Paesi musulmani o comunisti o dell’Occidente laicista — questa “immunità” voluta dal Vaticano II non è affatto garantita alle religioni, Papa Benedetto XVI ha dovuto fare fronte a grandi sfide e ha dovuto denunciare tante violazioni della libertà religiosa, che purtroppo non accennano a diminuire.
3. La difesa della libertà religiosa ha sempre avuto, per il Pontefice, come altra faccia della medaglia, la denuncia costante del relativismo, anzi della dittatura del relativismo. Anzitutto, del relativismo morale e delle sue trascrizioni politiche. La “laicità positiva” degli Stati moderni è accettabile se significa che in una società pluralista le leggi devono essere indipendenti da ogni confessione religiosa. Ma non è accettabile se implica che le leggi siano indipendenti dalla morale e dalla verità, che valgono per tutti gli uomini dotati di ragione. Nasce da qui la terza grande eredità di Papa Benedetto XVI: il grande rilancio della dottrina sociale della Chiesa, culminato nell’enciclica Caritas in veritate (6), intorno ai princìpi non negoziabili della vita, della famiglia e della libertà di educazione. La sfida mortale lanciata alla Chiesa dall’ideologia del gender e dal numero crescente di Paesi che introducono il matrimonio omosessuale — di cui il Papa ha parlato con accenti accorati e drammatici negli auguri alla Curia Romana del 21 dicembre 2012 (7) — conferisce un tono di particolare urgenza alla dottrina dei princìpi non negoziabili, che implica a sua volta la fondazione del diritto positivo nel diritto naturale richiamata con vigore nel discorso al Bundestag, il Parlamento tedesco, del 22 settembre 2011 (8).
4. La denuncia della dittatura del relativismo e la stessa collocazione del Concilio Vaticano II nella storia della Chiesa e del mondo s’inseriscono in un quarto pilastro dell’eredità di Benedetto XVI, un altro rilancio, quello della teologia della storia. Nella già citata enciclica Spe salvi — un testo davvero fondamentale del pontificato — il Papa, sviluppando il discorso di Ratisbona, presenta una lettura teologica della storia dell’Occidente come progressivo abbandono della sintesi fra fede e ragione faticosamente costruita attraverso le tappe del protestantesimo, dell’Illuminismo e delle ideologie del secolo XX fino alla rivoluzione culturale iniziata nel 1968 che attacca la vita e la famiglia. Questa putrefazione finale del processo di scristianizzazione è stata collegata esplicitamente, nel viaggio del 2010 in Portogallo, a quanto previsto nel messaggio di Fatima (9). Ed è in questo contesto che Benedetto XVI ha letto — al di là di tutte le provvidenze disciplinari, spesso efficaci, che ha posto in essere, e come ha illustrato in particolare nella Lettera pastorale ai cattolici dell’Irlanda (10) del 2010 — anche la tragedia dei preti pedofili, a sua volta spia sia di una crisi del sacerdozio cui si è cercato di porre rimedio con l’Anno Sacerdotale del 2009-2010, che ha però avviato un processo ben lontano dall’essersi concluso, sia di una più generale crisi della fede, cui il Pontefice ora emerito ha risposto con un costante invito a tornare al Catechismo della Chiesa Cattolica del 1992, che è al centro dell’ultima grande iniziativa, tuttora in corso, l’Anno della fede.
5. Per reagire alla crisi — che non è solo economica, ma è antropologica, morale e religiosa e parte da una “emergenza educativa” denunciata nella Lettera alla Diocesi e alla Città di Roma sul compito urgente della formazione delle nuove generazioni, del 2008 (11) — occorre educare gli uomini a riscoprire il vero, il buono e il bello. Poiché però il degrado antropologico rende oggi più difficile avviare una pedagogia partendo dalla verità o dal bene, ecco l’insistenza di Benedetto XVI — un Papa che ha amato in modo particolare l’arte e la musica — sulla via pulchritudinis, la via della bellezza, come primo dialogo con un uomo contemporaneo che spesso ha perso non solo la fede, ma la ragione. E l’invito alla bellezza comprende come parte integrante la bellezza della liturgia.
Parlando di un avvenimento elettorale molto meno importante dell’avvicendamento fra due successori di Pietro, le elezioni politiche italiane, mi sembra che abbia colto perfettamente il punto l’arcivescovo di Bologna S. Em. il cardinale Carlo Caffarra: “La vicenda culturale dell’Occidente è giunta al suo capolinea: una grande promessa largamente non mantenuta. I fondamenti sui quali è stata costruita vacillano, perché il paradigma antropologico secondo cui ha voluto coniugare i grandi vissuti umani (per esempio l’organizzazione del lavoro, il sistema educativo, il matrimonio e la famiglia…) è fallito, e ci ha portato dove oggi ci troviamo. Non è più questione di restaurare un edificio gravemente leso. È un nuovo edificio ciò di cui abbiamo bisogno. Non sarà mai perdonato ai cristiani di continuare a essere culturalmente irrilevanti” (12).
La costruzione del nuovo edificio è ora affidata a Papa Francesco. La stampa si è, comprensibilmente, diffusa nella ricostruzione della biografia del nuovo Santo Padre, talora peraltro letta secondo categorie obsolete ed equivoche. Ci sarà tempo di tornarci. Per noi cattolici, però, il primo dovere è gridare “Viva il Papa”. Con rispetto e con affetto, e promettendogli fin da ora non solo obbedienza, ma vera sequela e fattiva collaborazione nel diffondere il suo Magistero, secondo il carisma proprio di Alleanza Cattolica.
Sullo stile di questa sequela possiamo ancora giovarci del Magistero che il Pontefice emerito lascia in eredità al suo successore e che ci spiega come va seguito il Papa, ogni Papa. La prima lezione, il primo impegno è che il Papa va seguito sempre. Tutti i giorni. Conosciamo la distinzione fra Magistero ordinario e straordinario, fra le rarissime dichiarazioni infallibili e il resto. Ma sappiamo anche come queste distinzioni siano usate capziosamente come alibi per la disubbidienza. Nella Messa crismale del 2012 Benedetto XVI ha formulato la domanda retorica: “Ma la disobbedienza è veramente una via? Si può percepire in questo qualcosa della conformazione a Cristo, che è il presupposto di ogni vero rinnovamento, o non piuttosto soltanto la spinta disperata a fare qualcosa, a trasformare la Chiesa secondo i nostri desideri e le nostre idee?” (13). Ubbidienza è seguire tutto il Magistero, anche quello ordinario attraverso cui si esercita quotidianamente la grande direzione spirituale che il Santo Padre offre ai singoli e alle nazioni. Sarebbe un pessimo figlio chi affermasse di voler seguire, del proprio padre, solo qualche raro pronunciamento solenne, ignorandone i consigli e le richieste quotidiane.
In secondo luogo, promettiamo al nuovo Pontefice che lo seguiremo senza impropri paragoni con i suoi predecessori. Conosciamo il gioco di una certa stampa laicista per cui il “Papa buono” è sempre quello che non c’è più. Criticato e perfino offeso quando regnava, ogni Pontefice è usato strumentalmente contro il suo successore. Né è accettabile l’atteggiamento di chi pretende di convocare ogni insegnamento del Papa al tribunale della Tradizione, affermando che seguirà il nuovo Pontefice solo se il suo insegnamento sarà “conforme alla Tradizione”. Come ha spiegato Benedetto XVI nella grande e poco letta esortazione apostolica del 2010 Verbum Domini (14), la Tradizione diventa vivente nel Magistero. “Tradizione” non è il titolo di un volume che potremmo acquistare nella più vicina libreria cattolica. Che cosa dev’essere considerato Tradizione nella Chiesa non va chiesto, ultimamente, ai teologi o agli storici, peraltro sempre divisi tra loro. Ora, dopo il breve periodo di Sede vacante, vi è di nuovo qualcuno a cui chiederlo, certi che della sua risposta ci possiamo fidare: il Papa.
Terzo: la Chiesa è guidata dal Papa, non dall’opinione pubblica, dai sondaggi, da quello che si crede pensino i fedeli. Non possiamo contrapporre al Papa il cosiddetto senso comune dei fedeli. In un importante discorso del 7 dicembre 2012 alla Commissione Teologica Internazionale, Benedetto XVI ha fatto chiarezza sul sensus fidelium (15).
Molti infatti oggi contrappongono il sensus fidelium, la sensibilità diffusa tra i fedeli, al Magistero. E questo avviene, per così dire, sia “a sinistra” sia “a destra”. Un certo progressismo afferma volentieri che, specialmente sui temi morali, il Magistero offre certi insegnamenti ma si deve anche tenere conto della sensibilità dei fedeli, che in materia di anticoncezionali, aborto, omosessualità, rapporti prematrimoniali sarebbe ormai maggioritariamente diversa. Nello stesso tempo, un certo “tradizionalismo” — quando vuole criticare il Magistero attuale accusandolo di non essere conforme alla Tradizione — risponde all’obiezione che ho già citato secondo cui spetta precisamente al Magistero definire che cosa sia oggi la Tradizione affermando che sarebbe il senso comune dei fedeli a percepire il contrasto fra certi insegnamenti odierni e quelli tradizionali.
I sociologi hanno più volte osservato come chi argomenta in questo modo, da destra o da sinistra, di rado si rende conto delle difficoltà che esistono quando si tratta di accertare che cosa pensi veramente la maggioranza dei fedeli. La sociologa inglese Linda Woodhead (16) parla della “sondaggite” come di una nuova malattia diffusa tra gli studiosi di scienze religiose che, neanche fossero politici che si preparano alle elezioni, pretendono di decidere ogni questione relativa allo stato della religione tramite i sondaggi. Ma i sondaggi sono per loro natura incerti, così che occorre sempre molta cautela quando si afferma che “il popolo cattolico” pensa questo o quest’altro.
Nel discorso citato del 2012, Papa Ratzinger aveva invitato a “[…] distinguere il sensus fidelium autentico dalle sue contraffazioni” (17). Il senso comune dei fedeli “[…] non è una sorta di opinione pubblica ecclesiale” (18) e non si misura con i sondaggi. Soprattutto, non ha senso contrapporre il sensus fidei al Magistero, o utilizzarlo come una sorta di tribunale che potrebbe giudicare e condannare il Magistero del Papa, perché il senso comune che interessa è quello dei “fedeli”, e per fedeli s’intendono coloro che prendono sul serio il Magistero e a questo lealmente aderiscono. Dunque, spiegava Benedetto XVI a proposito del sensus fidelium, “[…] non è pensabile poterlo menzionare per contestare gli insegnamenti del Magistero, poiché il sensus fìdei non può svilupparsi autenticamente nel credente se non nella misura in cui egli partecipa pienamente alla vita della Chiesa, e ciò esige l’adesione responsabile al suo Magistero, al deposito della fede” (19). Esige l’adesione all’insegnamento, anche ordinario e quotidiano, del Papa.
Con la fine del Conclave è alle nostre spalle anche il tempo in cui ciascuno esprimeva opinioni e simpatie su quale fra i “papabili” gli sarebbe piaciuto di più. Ora abbiamo un Papa da seguire — anzitutto ascoltando e leggendo che cosa c’insegna, senza fidarsi dei riassunti e delle interpretazioni della stampa laicista — e da amare. Concludiamo con le parole che chiudono uno dei testi di riferimento di Alleanza Cattolica, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, del pensatore cattolico brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira (1905-1998), pubblicato durante il pontificato del beato Giovanni XXIII. Parole riprese, per volere di Corrêa de Oliveira, in ogni successiva edizione, cambiando solo il nome del Pontefice, e che oggi anche noi possiamo riferire a Papa Francesco. “Non vorremmo considerare concluso questo studio senza un omaggio di filiale devozione e di obbedienza illimitata al “dolce Cristo in terra”, colonna e fondamento infallibile della Verità, Sua Santità Papa Giovanni XXIII.
“Ubi Ecclesia ibi Christus, ubi Petrus ibi Ecclesia. Al Santo Padre si rivolge dunque tutto il nostro amore, tutto il nostro entusiasmo, tutta la nostra devozione. Con questi sentimenti […] abbiamo creduto di dover pubblicare anche questo studio.
“Nel nostro cuore non abbiamo il minimo dubbio sulla verità di ognuna delle tesi che lo compongono. Tuttavia le sottomettiamo senza restrizioni al giudizio del Vicario di Gesù Cristo, disposti a rinunciare senza esitazione a qualsiasi di esse, se s’allontana, anche lievemente, dall’insegnamento della santa Chiesa, nostra Madre, Arca della Salvezza e Porta del Cielo” (20).
Viva il Papa.
Note:
(1) Cfr. Benedetto XVI, Discorso “Fede, ragione e università. Ricordi e riflessioni” in occasione dell’incontro con i Rappresentanti della Scienza nell’Aula Magna dell’università di Regensburg, del 12-9-2006, testo originale tedesco in Insegnamenti di Benedetto XVI, vol. II, 2, 2006. (Giugno-Dicembre), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2007, pp. 257-267, trad. it. in L’Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, Città del Vaticano 14-9-2006; cfr. pure la lettura di don Pietro Cantoni, Il discorso di Ratisbona, in Cristianità, anno XXXV, n. 339, gennaio-febbraio 2007, pp. 9-12.
(2) Cfr. Benedetto XVI, Lettera enciclica “Spe salvi” sulla speranza cristiana, del 30-11-2007.
(3) Cfr. Idem, Incontro con i parroci di Roma. “Lectio divina”, del 23-2-2012, in L’Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, Città del Vaticano 24-2-2012.
(4) Idem, Discorso ai Cardinali, agli Arcivescovi, ai Vescovi e ai Prelati della Curia Romana per la presentazione degli auguri natalizi, del 22-12-2005, in Insegnamenti di Benedetto XVI, vol. I, 2005. (Aprile-Dicembre), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2006, pp. 1018-1032 (p. 1024).
(5) Cfr. Idem, Incontro con i parroci di Roma, del 14-2-2013, in L’Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, Città del Vaticano 15-2-2013.
(6) Cfr. Idem, Enciclica “Caritas in veritate” sullo sviluppo umano integrale nella carità e nella verità, del 29-6-2009; cfr. il mio “Caritas in veritate”. La dottrina sociale della Chiesa contro la tecnocrazia, in Cristianità, anno XXXVII, n. 353, luglio-settembre 2009, pp. 1-19.
(7)Cfr. Benedetto XVI, Discorso ai Cardinali, agli Arcivescovi, ai Vescovi e ai Prelati della Curia Romana per la presentazione degli auguri natalizi, del 21-12-2012, in L’Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, Città del Vaticano 22-12-2012.
(8) Cfr. Idem, Visita al Parlamento Federale nel Reichstag di Berlino, del 22-9-2011, testo originale tedesco in Insegnamenti di Benedetto XVI, vol. VII, 2, 2011. (Giugno-Dicembre), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2012, pp. 276-283, trad. it. in L’Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, Città del Vaticano 24-9-2011; cfr. il mio L’Europa fra tragedie e speranze. Papa Benedetto XVI in Spagna e in Germania, in Cristianità, anno XXXIX, n. 362, ottobre-dicembre 2011, pp. 1-43.
(9) Cfr. il mio Fatima e il dramma della modernità. Il viaggio di Papa Benedetto XVI in Portogallo, ibid., anno XXXVIII, n. 356, aprile-giugno 2010, pp. 1-12, poi raccolto in M. Introvigne, Tu sei Pietro. Benedetto XVI contro la dittatura del relativismo, Sugarco, Milano 2011, pp. 226-237.
(10) Cfr. Benedetto XVI, Lettera pastorale ai cattolici dell’Irlanda, del 19-3-2010, in Insegnamenti di Benedetto XVI, vol. VI, 1, 2010. (Gennaio-Giugno), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2011, pp. 356-367.
(11) Cfr. Idem, Lettera alla Diocesi e alla Città di Roma sul compito urgente della formazione delle nuove generazioni, del 21-1-2008, ibid, vol. IV, 1, 2008. (Gennaio-Giugno), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2009, pp. 116-120.
(12) Card. Carlo Caffarra, Orientamento per il prossimo appuntamento elettorale, comunicato stampa del 16-2-2013, pubblicato con il titolo Elezioni, le parole di orientamento del cardinale ai suoi fedeli, in Bologna Sette, supplemento di Avvenire. Quotidiano di ispirazione cattolica, Milano 17-2-2013.
(13) Benedetto XVI, Omelia nella Messa del Crisma, del 5-4-2012, in L’Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, Città del Vaticano 6-4-2012.
(14) Cfr. Idem, Esortazione Apostolica Postsinodale “Verbum Domini” all’Episcopato, al Clero, alle Persone Consacrate e ai Fedeli Laici sulla Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa, del 30-9-2010; cfr. pure don P. Cantoni e M. Introvigne, Esegesi biblica e Concilio Ecumenico Vaticano II. Una riflessione sull’esortazione apostolica postsinodale “Verbum Domini” di Papa Benedetto XVI, in Cristianità, anno XXXVIII, n. 358, ottobre-dicembre 2010, pp. 19-33.
(15) Cfr. Benedetto XVI, Discorso alla Commissione Teologica Internazionale in occasione della sessione plenaria annuale, del 7-12-2012, in L’Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, Città del Vaticano 9-12-2012.
(16) Cfr. Linda Woodhead, Surveying Religious Belief Needs Social Science, Not Hard Science, in The Guardian, Londra 5-12-2012.
(17) Benedetto XVI, Discorso alla Commissione Teologica Internazionale in occasione della sessione plenaria annuale, cit.
(18) Ibidem.
(19) Ibidem.
(20) Plinio Corrêa de Oliveira, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione. Edizione del cinquantenario (1959-2009) con materiali della “fabbrica” del testo e documenti integrativi, con presentazione e cura di Giovanni Cantoni, Sugarco, Milano 2009, p. 188.