Due opere,rispettivamente di Tolkien e di McCarthy, che aiutano a leggere la crisi della civiltà occidentale e il timore della fine del mondo, ponendo le basi per andare avanti con speranza per costruire una società a misura d’uomo e secondo il piano di Dio
di Aurelio Carloni
L’uomo europeo, e più in generale occidentale, di fronte alle macerie spirituali ed esistenziali che seppelliscono la sua civiltà può essere tentato di pensare che la fine del mondo sia vicina. La terza guerra mondiale a pezzi di cui da anni parla Papa Francesco si estende, aggiungendo sempre nuovi conflitti in scenari di straordinaria importanza geopolitica.
Questa non è però una situazione nuova, ma piuttosto l’evoluzione logica e tragica del secolo della morte e delle ideologie rivoluzionarie, innanzitutto il social-comunismo, il nazionalsocialismo e i loro derivati, che hanno attivamente operato in questo senso sulle società e sull’uomo.
Il mondo, come diceva Solzenicyn già nel 1978, è in frantumi: «Il mondo è percorso da crepe più profonde, più larghe e più numerose di quanto non appaia al primo sguardo e questa frantumazione profonda e multiforme è gravida per noi di vari rischi mortali. Secondo l’antica verità per la quale qualsiasi regno diviso contro sé stesso – oggi la nostra Terra – è destinato a perire». Ogni rapporto fra gli uomini è infatti disarticolato, il tessuto sociale è lacerato e la tela delle relazioni interpersonali ormai ridotta a nulla.
Come spesso ricordato nelle sue lettere da Marco Invernizzi, il Censis nel suo sguardo sull’Italia dipinge da quasi vent’anni questa frantumazione.
Nel 2007 il sociologo De Rita nel 41° rapporto annuale sul Paese definiva così lo stato della società italiana: «una realtà ambigua, senza rilievi e contorni di tipo sociologico e politico, piattamente de-totalizzata, e quindi sfuggente a ogni schema e sforzo interpretativo. Una realtà che diventa ogni giorno una poltiglia di massa, impastata di pulsioni, emozioni, esperienze e, di conseguenza, particolarmente indifferente a fini e obiettivi di futuro, quindi ripiegata su se stessa (…). La caratteristica fondamentale dei ritagli umani senza identità è dispersione del sé, nello spazio e nel tempo collettivo. Nello spazio, per la vittoria irresistibile della soggettività esasperante in ogni comportamento, senza attenzione al momento della relazione e della convivenza. Nel tempo, per il declino irresistibile dell’attenzione su un tema, un problema, un fenomeno (…). Con i ritagli non si costruisce un tessuto sociale: così abbiamo, sul piano individuale, bolle di aspirazioni senza scopo e senza mordente e, sul piano sociale, deboli connessioni, smorte forme di aggregazione e inanimati simulacri dei processi di coesione che furono». Una società in altri termini ridotta “a coriandoli”, come lo stesso De Rita ebbe a dire a commento del rapporto.
Da allora, sempre seguendo il Censis, la situazione è peggiorata, come attesta d’altra parte anche una lettura distratta delle notizie del giorno riportate dai media. Se la situazione è quella di un mondo sull’orlo di una guerra mondiale e di una società frantumata, incapace in Occidente di reagire perché priva di risorse spirituali e morali, è comprensibile il timore diffuso di una escalation globale con conseguente estinzione del genere umano. Un timore che avvia quel gioco pericoloso e vano, con radici antiche di tipo millenaristico, di quando questo accadrà.
Prima di andare oltre, vale qui la pena ricordare una riflessione quasi aforismatica del fondatore di Alleanza Cattolica, Giovanni Cantoni, che sulla fine del mondo si domandava in maniera ironicamente rasserenante: «Ma se nemmeno il Figlio conosce l’ora e il giorno, perché dovremmo saperlo noi, che non conosciamo nemmeno l’ora e il giorno della nostra morte? Occupiamoci piuttosto di farci trovare preparati quando sarà il nostro momento, sapendo che quello rappresenterà per noi la fine del mondo».
Meglio quindi lasciare da parte i calcoli cabalistici e vivere senza ansie e in maniera tale che con la morte si guadagni la vita eternamente beata. Cominciando innanzitutto a piantare nella palude maleodorante in cui viviamo i pali per le palafitte come fondamenta indispensabili di una nuova civiltà cristiana, secondo la logica benedettina che costruì l’Europa medioevale. Con un lavoro che è insieme di rifondazione sociale e antropologica di un mondo in frantumi, di una società coriandolizzata, di una realtà fatta di vecchi e di rari figli unici, senza più zii né cugini.
Di fronte a un quadro del genere che fare? Abbattersi, chiudersi in casa o darsi alla pazza gioia in attesa della fine del mondo? Evidentemente nulla di tutto questo. Per qualche ragione misteriosa Dio, che ci ha creati senza di noi, vuole che siamo parte attiva nella conversione dei nostri cuori e di quelli del prossimo. Dio, che interviene nella storia, ci lascia però la responsabilità di darle nel nostro piccolo un diverso orientamento. Sembra incredibile ma anche da quanto noi scegliamo di fare o non fare dipende il futuro di una società migliore o peggiore.
Non ci si può tirare indietro. Ciascuno nell’ambito della propria vocazione deve fare il possibile per partecipare alla fondazione di una «società a misura d’uomo e secondo il piano di Dio».
Per capire cosa si può fare in un contesto così difficile si possono utilmente ripercorrere due grandi opere della letteratura anglosassone del XX e del XXI secolo: Il Signore degli Anelli, di J.R.R. Tolkien e La strada di Cormac McCarthy, scomparso recentemente. Si può legittimamente ipotizzare che tutti o quasi i lettori del sito di Alleanza Cattolica abbiano letto la prima. Un romanzo che ricorda, per costruzione e capacità di intessere la trama, i grandi romanzi della letteratura europea dell’Ottocento e che è profondamente intriso di senso cristiano dell’uomo e della storia.
Bene, a chi scrive sembra che il Signore degli Anelli aiuti di certo a riflettere sul da farsi contro le forze del male, riunite oggi intorno alla dittatura del relativismo, ma nella situazione attuale sia meno efficace de La strada. E questo perché nell’opera tolkieniana le forze del bene ci sono e, anche se inizialmente divise tra loro,costituiscono un possibile argine a quelle di Sauron che avanzano. Tutto sommato seppur in un quadro di devastazioni, Gandalf riesce a riunire razze e popoli diversi, e a volte ostili gli uni agli altri, quali gli gnomi e gli elfi, gli hobbit e gli uomini, gli Ent e le aquile. Quindi le forze del bene ci sono, hanno una loro consistenza viva e riconoscibile.
Ora, guardandosi intorno, la situazione pare decisamente diversa.
La strada di Cormac McCarthy, sembra la rappresenti meglio. È infatti l’itinerario in un paesaggio post-apocalittico, di un padre e del figlio ancora piccolo che compiono un viaggio da Nord a Sud alla ricerca del sole e di comunità di uomini ancora legati ai principi della solidarietà e della socialità, in una Terra resa desolata da qualche evento che ha ridotto in cenere le sue foreste e ucciso la maggior parte dei suoi abitanti. Una Terra in cui molti dei rari sopravvissuti si danno all’antropofagia, uccidendo quanti incontrano lungo la strada.
Quello che simbolicamente può essere utilizzato nella nostra buona battaglia è l’immagine del carrello spinto faticosamente dal padre, che vi ha riposto quanto ha trovato per il viaggio: un telo per ripararsi dalla pioggia grigia e sottile che cade in continuazione, un po’ di viveri che, razionati, permettono loro di andare avanti e una lampada ad olio, da utilizzare nelle notti lunghe e buie per dare un po’ di luce al bambino e leggergli qualche storia.
Ecco, noi ci troviamo nel buio del relativismo, dell’edonismo e dell’egoismo. Nulla è più vero, se non il piacere innalzato a metro di ogni scelta esistenziale. Il mondo muore perché vive come se Dio non esistesse. Ossia per mancanza di fede e di spiritualità. Siamo chiamati senza dubbio a rischiarare questo buio.
Come? Partendo da noi stessi, dalla nostra conversione. Perché la conversione del mondo parte dalla nostra. Siamo chiamati alla preghiera, al sacrificio e all’azione. E solo dopo aver cambiato noi stessi possiamo pensare di essere testimoni e quindi strumento di conversione per il prossimo. Senza questo cambiamento del cuore ogni nostra azione, anche quella di maggior successo, rimarrà sterile. Non produrrà, cioè, frutti fecondi né radici profonde.
Andiamo avanti pieni di speranza e con la certezza che la Vergine Immacolata non farà mancare il suo sostegno a quanti affronteranno questo percorso nel buio della modernità senza Dio con in mano la lanterna della fede e il lascito di una cultura che affonda le radici, oltre che in Atene e in Roma, anche e soprattutto in Gerusalemme, oggi sotto l’attacco omicida del terrorismo islamista di Hamas.
Martedì, 7 novembre 2023