L’unico in grado di poter svolgere una mediazione tra le parti in conflitto pare essere Papa Francesco, rispolverando l’antica funzione arbitrale svolta dal Romano Pontefice. Se ne è accorto anche il presidente francese Emmanuel Macron, che nel corso della sua recente visita a Roma ha lanciato l’idea. L’idea avrà un seguito?
di Stefano Nitoglia
Nel corso della sua visita a Roma il 23 e il 24 ottobre, il presidente francese Emmanuel Macron ha proposto di coinvolgere Papa Francesco per tentare un rilancio del dialogo tra Russia e Ucraina che possa mettere fine alla guerra fratricida che da otto mesi insanguina una parte dell’Europa. Sia il segretario di Stato vaticano, card. Pietro Parolin, che il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, hanno espresso un generico interesse per l’iniziativa di Macron, che non è peregrina e rilancia un tema molto interessante, da anni, purtroppo, caduto nel dimenticatoio: quello della funzione arbitrale del Papa e della Santa Sede nella risoluzione delle controversie internazionali.
Nel Medioevo era una cosa comune, ma anche in tempi più recenti il Papa e la Santa Sede hanno risolto diversi conflitti tra Stati sovrani. Lo ha ricordato appena due anni fa, il 6 novembre del 2020, mons. Paul Richard Gallagher, Segretario per i rapporti con gli Stati, una sorta di Ministro degli esteri della Santa Sede, nel suo discorso in occasione del quarantesimo anniversario dell’accordo tra Perù e Santa Sede, sottoscritto a Lima il 19 luglio 1980, citando due episodi non lontani nel tempo, uno risalente agli anni Ottanta del secolo scorso e un altro al 1885.
«Per facilitare il dialogo tra le Parti occorre individuare strumenti e occasioni di incontro», ha detto mons. Gallagher, ricordando che «negli anni Ottanta presso la Sezione per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato trovò collocazione un apposito Ufficio per la mediazione pontificia. In concreto, si trattava di sviluppare i contenuti giuridico-politici necessari per porre fine alla disputa territoriale tra l’Argentina e il Cile sul Canale di Beagle, all’estremo Sud del Continente americano. Obiettivo realmente raggiunto il 29 novembre 1984 con la conclusione del Trattato di Pace e di Amicizia mediante il quale le Parti davano effetti obbliganti alla soluzione del contenzioso così come proposta dalla Santa Sede».
«Un tale tipo di azione pacificatrice», prosegue il prelato, «ha radici ben più antiche nelle mediazioni medievali pro pace reformanda inter gentes, ed era già stata esercitata in tempi più recenti, come ricorda l’arbitrato condotto da Papa Leone XIII nel 1885 per porre fine al conflitto che opponeva la Spagna e la Germania per la sovranità sulle Isole Caroline, e giunge fino al più recente coinvolgimento della Santa Sede nel facilitare un Accordo tra Cuba e gli Stati Uniti d’America, per avviare una nuova stagione di relazioni diplomatiche dopo decenni di sola contrapposizione. A chi volesse leggere questi fatti come accadimenti meramente politici e slegati da una dimensione più spirituale ed ecclesiale, basti ricordare che nei casi qui richiamati, sono stati proprio i Vescovi locali e, comunque, la presenza e il ruolo positivo svolto dalla Chiesa in quei Paesi, a ritenere essenziale un intervento diplomatico diretto della Santa Sede».
Gli strumenti giuridici, quindi, ci sono e non sono obsoleti. La figura di Papa Francesco, che pur condannando l’aggressione della Russia all’Ucraina non ha voluto attribuire tutte le responsabilità a una sola parte, sembra la più indicata ad esercitare questa operazione di mediazione o di arbitrato tra le parti in conflitto. L’ora è grave. La minaccia di una guerra nucleare incombe. Più volte il Papa lo ha ribadito. Speriamo che la proposta di Macron possa avere successo.
Venerdì, 28 ottobre 2022