CESNUR. Centro Studi sulle Nuove Religioni, La sfida della reincarnazione, a cura di Massimo Introvigne, Effedieffe, Milano 1993, pp. 240, £. 16.000
Secondo diverse indagini sociologiche da un quinto a un quarto degli italiani crede nella reincarnazione. La percentuale è più alta fra i giovani e fra gli studenti, e conferma come la nuova religiosità sia un problema che interessa un numero di persone molto maggiore di quello — relativamente piccolo in Italia — di quanti aderiscono ai nuovi movimenti religiosi. Gli studi che rispondono alla sfida della reincarnazione dalla prospettiva della fede cattolica sono invece ancora pochi — particolarmente in lingua italiana — e questa sproporzione fra la straordinaria diffusione della credenza e la carenza di risposte cattoliche è già di per sé significativa. Nel quadro dell’attività di ricerca svolta dal CESNUR, il Centro Studi sulle Nuove Religioni promosso — con altri — da militanti di Alleanza Cattolica, e dell’apostolato che la stessa Alleanza Cattolica svolge in tema di nuova religiosità, hanno visto la luce due strumenti, di natura diversa, che offrono ai cattolici elementi adeguati per rispondere a questa nuova sfida.
Mons. Hans Ludvig Martensen nasce il 7 agosto 1927 a Gentofte, in Danimarca. Entra nella Compagnia di Gesù nel 1945; compie studi di letteratura, filosofia e teologia ed è ordinato sacerdote nel 1956. Dal 1965 è vescovo di Copenaghen e membro, fra l’altro, del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani. Fra i più noti specialisti cattolici in tema di teologia luterana, ha pubblicato su questo argomento — e sul tema del battesimo — numerose opere di carattere teologico. Lo studio Reincarnazione e dottrina cattolica. La Chiesa di fronte alla dottrina della reincarnazione — il cui titolo originale è Kirke og reinkarnation. Har kirken fordømt læren om reinkarnation?, “Chiesa e reincarnazione. La Chiesa ha condannato la dottrina della reincarnazione?” — è uscito in danese nel 1991 e viene pubblicato in italiano in una traduzione di don Daniel Adner e collaboratori, curato da Andrea Morigi.
Lo studio di mons. Hans Ludvig Martensen si apre con un Prologo dell’autore (p. 5) — che fa stato dell’attualità del problema — e comprende sette capitoli, arricchiti da una Nota bio-bibliografica (pp. 51-53) a cura dell’editore. Nel primo capitolo — La Chiesa ha condannato la dottrina della reincarnazione? (pp. 7-12) — il vescovo di Copenaghen muove dalla constatazione della “scristianizzazione generale”, che ha favorito anche il successo di “correnti di nuova religiosità che seguono la scia della scristianizzazione. I rappresentanti delle nuove religioni hanno successo perché i cristiani non capiscono più che cosa significa essere cristiani. O perché l’ispirazione cristiana ha perduto forza ed è sbiadita” (p. 11). In questo contesto si diffonde anche la dottrina della reincarnazione, che — intesa come “il pensiero che io possa morire più di una volta” — “[…] è inconciliabile con il cristianesimo” (p. 7). La sfida reincarnazionista esige però una risposta positiva, che “[…] consiste nel riscoprire i valori cristiani” (p. 11), a partire da La risurrezione della carne, che il presule esamina nel secondo capitolo (pp. 13-18): una realtà misteriosa, in cui si tratta di credere “veramente” (p. 13), e che “[…] ha come condizione evidente l’idea che io non ho mai avuto più di un corpo. Altrimenti risorgerei in una pluralità di forme differenti” (p. 14). Il terzo capitolo esamina i Pronunciamenti dei Concili sulla risurrezione del corpo (pp. 19-23), che possono essere riassunti nell’espressione del Concilio di Toledo XI secondo cui “[…] non crediamo, come alcuni vaneggiano, che risorgeremo in una carne aerea o in un’altra carne qualunque, ma in questa nella quale viviamo, esistiamo e ci muoviamo” (Denz. 540). Contro il risorgere di forme gnostiche di ostilità al corpo, nel capitolo successivo — Il senso cristiano del corpo (pp. 25-29) — mons. Hans Ludvig Martensen ricorda che la Chiesa non soltanto ha sottolineato “l’importanza unica del corpo umano”, ma ha dato al corpo un valore che “[…] si estende oltre gli anni della durata della vita biologica: si estende all’eternità” (p. 25), proprio nel mistero della risurrezione della carne. Il quinto capitolo esamina Le parabole di Gesù sulla vigilanza (pp. 31-35) e mostra come in queste parabole — che pure non trattano il tema in modo specifico — si nasconda un insegnamento profondo in contrasto con ogni ipotesi reincarnazionista, mostrando come “la grande ora decisiva è irrevocabile” e nella vita si deve scegliere “una volta per tutte”; a chi considera questa dottrina “dura“, il vescovo di Copenaghen risponde anzitutto: “[…] scegli, se vuoi essere cristiano o no, ma non mischiare cose cristiane con cose non cristiane!” (p. 35).
Il sesto capitolo — Il perdono come nuova nascita (pp. 37-42) — va oltre la semplice condanna della dottrina della reincarnazione e cerca di comprendere le esigenze profonde che hanno portato, in particolare, alcune culture orientali a formularla originariamente. Anche queste culture — sottolinea mons. Hans Ludvig Martensen — comprendevano il grande bisogno che l’uomo ha di perdono, il bisogno di essere perdonato per le proprie colpe e i propri peccati. Senza l’ausilio della Rivelazione, le culture orientali hanno immaginato che il male possa essere espiato “attraverso molteplici nuove nascite” (p. 37). Grazie alla Rivelazione, il cristianesimo annuncia la buona novella: noi uomini, da parte nostra, anche “attraverso molti nuovi inizi” non potremmo mai meritare il perdono dei peccati, ma Dio, nella sua misericordia, “ci dona la remissione dei peccati e […] quindi ci offre un nuovo inizio” (p. 39). Nel capitolo conclusivo — La speranza cristiana (pp. 43-49) — l’autore afferma che la speranza cristiana “[…] è senza confronto più bella e dà un senso di maggior sollievo rispetto all’idea del ritornare sempre-di-nuovo” (p. 45). La speranza cristiana “[…] osa aspettarsi ciò che sembrerebbe impossibile” (p. 47): insieme la risurrezione della carne e il perdono dei peccati. Riflettendo su questi insegnamenti la scelta a favore o contro la dottrina della reincarnazione appare come la scelta stessa a favore o contro il cristianesimo. “Gesù Cristo mi mette davanti a una decisione, dove devo dire sì o no, non posso rimanere neutrale, dopo aver incontrato la sua figura e percepito il suo messaggio” (p. 48). “Dio — conclude mons. Hans Ludvig Martensen — ci doni la risposta giusta e ci rafforzi nella fede della Chiesa” (p. 49).
Se l’opera del vescovo di Copenaghen è di natura teologica e insieme pastorale, il volume del CESNUR, La sfida della reincarnazione, curato dal suo direttore Massimo Introvigne — che raccoglie e rielabora i contributi presentati al convegno Reincarnazione e nuove religioni tenuto a Foggia il 14 dicembre 1991 (cfr. Cristianità, anno XX, n. 201-202, gennaio-febbraio 1992, pp. 25-26) — intende rispondere ai quesiti sul perché oggi la dottrina della reincarnazione sia così diffusa in Occidente e insieme esaminare le argomentazioni correnti a favore di questa dottrina. Dopo una Introduzione di S. E. mons. Giuseppe Casale, arcivescovo di Foggia-Bovino e presidente del CESNUR, che sottolinea l’importanza del tema nel quadro della nuova religiosità contemporanea (pp. 7-14), il volume si apre con un ampio saggio di Massimo Introvigne sul tema Reincarnazione e nuove religioni (pp. 15-57). Il saggio ripercorre la lunga strada che la dottrina della reincarnazione — mai del tutto assente in Occidente ma coltivata, dopo la vittoria del cristianesimo, soltanto da minoranze — ha percorso fino a essere oggi abbracciata da circa un quarto degli europei e degli americani del Nord. Citando un’espressione di Christoph von Schönborn O.P., oggi vescovo ausiliare di Vienna, l’autore delinea una specifica “via occidentale” alla reincarnazione (p. 23), che nasce nel Settecento con l’opera da una parte di “illuminati”, frange occultistiche della massoneria che si fanno propagandiste della reincarnazione, fra cui hanno particolare importanza il principe e massone tedesco Karl von Hesse-Kassel e il circolo degli Illuminati di Copenaghen, dall’altra di “illuministi” (p. 32), che — nel quadro della riscoperta, culminata nella Parigi della Rivoluzione francese, di dottrine estranee al cristianesimo — propagano il reincarnazionismo anche attraverso una letteratura popolare che sarebbe errato trascurare. Nell’Ottocento sono soprattutto lo spiritismo, la rinascita dell’occultismo, l’adesione di occidentali a religioni orientali e l’influenza della Società Teosofica a continuare l’opera di propaganda a favore della reincarnazione. Nel nostro secolo, infine, i rivoli diversi in cui si era frammentato il reincarnazionismo ottocentesco si ricompongono nel New Age, un fenomeno tenuto insieme da pochi elementi comuni, di cui uno è appunto la reincarnazione, che insieme riafferma la pretesa di dare alla dottrina reincarnazionista una fondazione di carattere scientifico, pretesa condivisa oggi anche da nuovi movimenti religiosi come la Scientologia.
Che la “via occidentale” alla reincarnazione abbia poco a che fare con il reincarnazionismo induista o buddhista è confermato dal contributo di padre Gaetano Favaro, docente di indologia presso il PIME, il Pontificio Istituto Missioni Estere, di Milano, su La reincarnazione nelle religioni orientali (pp. 59-90). Attraverso una puntuale esegesi delle fonti, padre Gaetano Favaro mostra la lenta formazione della dottrina reincarnazionista nell’induismo e poi nel buddhismo, che ne costituisce, dal punto di vista delle dottrine reincarnazioniste, una variante tardiva. Se nel mondo induista e buddhista esistono diverse interpretazioni del tema della reincarnazione, tutte hanno in comune un carattere fondamentalmente pessimistico: la reincarnazione è un male e le religioni nate in India hanno tutte lo scopo di offrire una via per liberarsene, ponendo fine al ciclo delle nascite. Siamo quindi molto lontani dalla presentazione — tipica del reincarnazionismo occidentale moderno — della reincarnazione come una realtà gioiosa, una seconda possibilità che ci evita il dramma della vita unica come momento della scelta decisiva.
Nel contributo successivo, Primi dati di un’indagine sulla reincarnazione fra gli alunni delle scuole medie superiori di due diocesi italiane (pp. 91-93), Massimo Introvigne e don Ernesto Zucchini, del clero di Massa, analizzano due indagini sociologiche svolte dal CESNUR presso gli alunni delle scuole medie superiori delle diocesi di Foggia e di Massa, su campioni piuttosto ampi: 2.652 giovani a Foggia e 5.455 a Massa. La grande maggioranza dei giovani intervistati sanno che cos’è la reincarnazione e sono spesso in grado — nell’84,3% dei casi a Foggia e nel 67,8% dei casi a Massa — di scriverne una definizione corretta. Fra le fonti di informazione sull’argomento è largamente in testa la televisione, mentre la scuola si trova all’ultimo posto. Una percentuale importante dei giovani — il 31,44% a Foggia e il 43,42% a Massa — afferma di credere nella reincarnazione. In un contributo successivo (pp. 95-122), don Ernesto Zucchini mette in luce come — per quanto sia opportuno distinguere fra nuovi movimenti religiosi e nuova religiosità — fra i due fenomeni non manchino relazioni dirette e, in particolare, la propaganda di alcuni movimenti non sia certamente estranea alla crescita dei consensi intorno alla dottrina della reincarnazione. Don Ernesto Zucchini analizza lo stile di pedagogia e di propaganda con cui la reincarnazione viene annunciata da tre movimenti diversi, uno di origine occidentale — Vita Universale, fondato in Germania dalla “profetessa” Gabriele Wittek —, uno di origine indiana — gli Hare Krishna — e uno di origine giapponese — Sukyo Mahikari —, tutti caratterizzati da un notevole successo propagandistico in Italia. È un successo — ribadisce don Ernesto Zucchini — che non deve essere misurato soltanto in base al numero delle persone che si convertono a questi movimenti religiosi; si deve anche considerare la cerchia più vasta che entra episodicamente in contatto con il loro messaggio e ne rimane influenzata su punti qualificanti, fra i quali la dottrina della reincarnazione occupa senza dubbio un posto privilegiato.
Gli ultimi due contributi esaminano nel dettaglio alcuni fra i principali argomenti oggi addotti dai sostenitori del reincarnazionismo. Ermanno Pavesi, di Alleanza Cattolica — psichiatra della Clinica Universitaria di Zurigo e segretario della Federazione Europea Associazioni Medici Cattolici —, si occupa delle presunte “prove scientifiche” della reincarnazione che emergerebbero nei ricordi di vite passate, sia spontanei, sia ottenuti da psichiatri e da psicoanalisti dai loro pazienti mediante tecniche ipnotiche (pp. 123-158). Ermanno Pavesi nota che non si tratta di tesi nuove e ne ripercorre il cammino da Franz Anton Mesmer (1734-1813) a Carl Gustav Jung (1875-1961), attraverso l’interesse di scienziati ottocenteschi per i fenomeni dello spiritismo. Lo psichiatra nota infine come queste teorie — che la critica scientifica più seria aveva screditato — siano tornate di moda nel clima confuso del New Age. Occorre quindi riprenderne la critica, esaminando i casi addotti come “prova” della reincarnazione uno per uno. A partire dai casi più spesso citati — come quelli illustrati dall’autore reincarnazionista tedesco Thorwald Dethlefsen, le cui opere sono tradotte anche in lingua italiana — si scoprirà che i riscontri obiettivi sono vaghi oppure inesistenti, come lo stesso Thorwald Dethlefsen — a cui va dunque riconosciuta una certa “onestà” (p. 155) — ha finito per ammettere.
Il contributo più ampio fra quelli inclusi nel testo — Una critica teologica della reincarnazione (pp. 159-234), di don Pietro Cantoni, docente presso lo Studio Teologico Interdiocesano di Camaiore, in provincia di Lucca — smonta uno per uno gli argomenti — troppo spesso ripetuti, talora anche da autori che si professano cattolici — secondo cui i primi cristiani, o lo stesso Gesù Cristo, o gli apostoli, avrebbero creduto nella dottrina della reincarnazione. Si tratta di un punto che — a fronte di un autentico diluvio di propaganda reincarnazionista su questi argomenti — non può più essere ignorato e lo studio di don Pietro Cantoni ha il merito di esaminare per primo gli argomenti dei reincarnazionisti uno per uno, sulla base della loro stessa letteratura. Dopo aver dimostrato che “nei testi dell’Antico Testamento e nell’antropologia che riflettono non vi è […] posto per la reincarnazione” (p. 171) — che entra nell’ebraismo solo molto più tardi con alcune correnti della Cabala —, don Pietro Cantoni affronta il Nuovo Testamento ed esamina i vari testi interpretati in modo tendenzioso dalla propaganda reincarnazionista. Così Mt 17, 10-13 viene spesso interpretato come se Gesù parlasse di una reincarnazione di Elia, dimenticando che secondo la Scrittura “Elia non è morto, ma è stato rapito in cielo su un carro di fuoco” e, dunque, evidentemente non può reincarnarsi (p. 177). Anche la parola di Gesù a Nicodemo (Gv 3, 1-10) secondo cui “se uno non rinasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio” è stata interpretata in senso reincarnazionista, ma l’espressione “rinascere dall’alto” si riferisce invece al battesimo e al suo significato di “rinascita ad opera dello Spirito” (p. 182). La domanda dei discepoli a proposito del cieco nato (Gv 9, 1-12), “Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché nascesse cieco?”, sembrerebbe indicare che i discepoli, almeno come possibilità, avessero in mente peccati commessi in un’esistenza precedente. Don Pietro Cantoni (pp. 185-189) — senza escludere le ipotesi esegetiche secondo cui l’allusione dei discepoli potrebbe riferirsi alla dottrina rabbinica del peccato nel seno della madre, ovvero ancora alla preesistenza, teoria che non implica necessariamente la reincarnazione — mostra come la vera “posta in gioco di tutto questo dialogo” fra Gesù e i discepoli sia il collegamento diretto o indiretto fra le sventure dell’uomo e il peccato, mentre la dottrina della reincarnazione “[…] è semplicemente fuori dalla sua ottica” (pp. 186-187). Don Pietro Cantoni insiste poi sull’importanza dell’affermazione di san Paolo in Eb 9, 27 secondo cui “[…] è stabilito per gli uomini che muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio”, espressione che esclude nel modo più netto la dottrina della reincarnazione.
Lo studio prende quindi in esame l’attribuzione di opinioni reincarnazioniste a diversi Padri della Chiesa, mostrando come si tratti di equivoci, talora grossolani. San Giustino è stato considerato reincarnazionista per un passo del suo Dialogo con Trifone, dove però il filosofo non sta esponendo le sue convinzioni attuali di cristiano, ma quelle di quando era ancora filosofo platonico. Clemente Alessandrino ha parlato dei cristiani come “antichi” per rivendicare la priorità della verità sull’errore, non perché si trattasse di “vecchie anime” reincarnate: del resto, negli Stromati, ha preso esplicitamente posizione contro la preesistenza e la reincarnazione (pp. 196-198). Un ampio dibattito di cui l’autore dà conto (pp. 198-214) verte intorno alle posizioni di Origene, della cui opera I princìpi sono giunte redazioni discordanti. È certo che Origene ha insegnato — ma non è chiaro con quali modalità — una dottrina della preesistenza delle anime, ma si inganna chi crede che la preesistenza implichi necessariamente la reincarnazione, benché chi crede nella reincarnazione creda normalmente anche nella preesistenza. Un esempio moderno di propugnatori della preesistenza che non sono reincarnazionisti è costituito dai mormoni, e un esempio antico è costituito proprio da Origene, che nel Contra Celsum definisce la dottrina della reincarnazione una “pazzia” (p. 204) respingendo non solo “la reincarnazione di anime umane in corpi di animali, ma anche il passaggio da corpi umani ad altri corpi umani” (p. 208). Per altri Padri della Chiesa si tratta di semplici falsificazioni: è assurdo per esempio, nota don Pietro Cantoni, presentare Gregorio di Nissa come un sostenitore del reincarnazionismo quando “nel suo De anima et resurrectione dedica un’intera sezione alla confutazione della reincarnazione” (p. 215).
L’autore esamina infine il Magistero della Chiesa confutando l’affermazione secondo cui “la Chiesa non ha mai condannato esplicitamente, con una definizione dogmatica infallibile, la reincarnazione” (p. 220). “Certamente è vero — rileva don Pietro Cantoni — che per trovare una condanna esplicita della reincarnazione dobbiamo aspettare il Concilio ecumenico Vaticano II”, che, al n. 48 della costituzione dogmatica Lumen Gentium, parla dell’“unico corso di questa vita terrestre” (p. 221). Tuttavia, “[…] la reincarnazione è esclusa dal magistero costante della Chiesa, anche solenne e definitorio, in modo implicito, perché risultano condannati punti di dottrina che sono assolutamente solidali con la teoria della reincarnazione”, come “la preesistenza delle anime”, la dottrina secondo cui “il giudizio non segue sempre immediatamente la morte”, la negazione del legame essenziale fra l’anima e il corpo, e la negazione dell’identità reale fra il corpo terreno e il corpo glorioso nella risurrezione della carne, punti tutti oggetto di precise definizioni dogmatiche (pp. 220-223). Infine, nelle conclusioni del suo ampio saggio — che sono in profonda consonanza anche con le conclusioni dello studio di mons. Hans Ludvig Martensen S.J. — don Pietro Cantoni mostra come il tema della reincarnazione non sia periferico o marginale rispetto al centro della fede cristiana, ma metta in gioco il centro dell’esperienza della fede: la scelta unica, l’“avventura decisiva della libertà” (p. 230), che il cristianesimo propone e a cui il moderno reincarnazionismo invita invece a sottrarsi.