di Michele Brambilla
Papa Francesco dedica l’udienza generale del 25 marzo a un anniversario che ha molto da dire anche nella situazione attuale: i 25 anni trascorsi dalla pubblicazione, il 25 marzo 1995, della lettera enciclica Evangelium Vitae di Papa san Giovanni Paolo II (1978-2005).
La promulgazione del documento papale coincise con la solennità dell’Annunciazione del Signore. «Il legame tra l’Annunciazione e il “Vangelo della vita”», puntualizza Jorge Mario Bergoglio, «è stretto e profondo»: il Verbo coeterno al Padre diventa un embrione nel grembo di Maria! È sempre il Pontefice regnante a trovare il nesso con l’epidemia da coronavirus che attanaglia, ormai, quasi tutti i continenti: «oggi, ci troviamo a rilanciare questo insegnamento nel contesto di una pandemia che minaccia la vita umana e l’economia mondiale. Una situazione che fa sentire ancora più impegnative le parole con cui inizia l’Enciclica. Eccole: “Il Vangelo della vita sta al cuore del messaggio di Gesù. Accolto dalla Chiesa ogni giorno con amore, esso va annunciato con coraggiosa fedeltà come buona novella agli uomini di ogni epoca e cultura” (n. 1)».
L’insegnamento della Chiesa sulla vita nascente e morente è spesso additato come “astratto” ed “ideologico” dai fautori di quella che Evangelium vitae chiama «cultura della morte». La cultura della morte, che ha come proprie “bandiere” l’aborto e l’eutanasia, si contrappone frontalmente alla cultura del Vangelo della vita, del quale vorrebbe impedire ogni testimonianza pubblica. Francesco replica che, «come ogni annuncio evangelico, anche questo va prima di tutto testimoniato» pubblicamente. «E penso con gratitudine alla testimonianza silenziosa di tante persone che, in diversi modi, si stanno prodigando al servizio dei malati, degli anziani, di chi è solo e più indigente. Mettono in pratica il Vangelo della vita, come Maria che, accolto l’annuncio dell’angelo, è andata ad aiutare la cugina Elisabetta che ne aveva bisogno».
Come infatti ripete il Pontefice, «[…] la vita che siamo chiamati a promuovere e a difendere non è un concetto astratto, ma si manifesta sempre in una persona in carne e ossa: un bambino appena concepito, un povero emarginato, un malato solo e scoraggiato o in stato terminale, uno che ha perso il lavoro o non riesce a trovarlo, un migrante rifiutato o ghettizzato». La cultura della morte “dice” di interessarsi delle persone, mentre invece le sacrifica sull’altare dell’utilitarismo e dell’egoismo. «Gli attentati alla dignità e alla vita delle persone», denuncia il Papa, «continuano purtroppo anche in questa nostra epoca, che è l’epoca dei diritti umani universali; anzi, ci troviamo di fronte a nuove minacce e a nuove schiavitù, e non sempre le legislazioni sono a tutela della vita umana più debole e vulnerabile».
Il messaggio di Evangelium vitae è quindi «[…] più che mai attuale. Al di là delle emergenze, come quella che stiamo vivendo, si tratta di agire sul piano culturale ed educativo per trasmettere alle generazioni future l’attitudine alla solidarietà, alla cura, all’accoglienza, ben sapendo che la cultura della vita non è patrimonio esclusivo dei cristiani, ma appartiene a tutti coloro che, adoperandosi per la costruzione di relazioni fraterne, riconoscono il valore proprio di ogni persona, anche quando è fragile e sofferente».
Giovedì, 26 marzo2020