Da “Il Foglio” del 15 marzo 2017. Foto da Eco della Lunigiana
Il problema non è estendere la legittima difesa. Tutti sanno che nel 2006 essa fu allargata alle aggressioni subite in casa o nell’esercizio commerciale; non è pensabile che nel suo nome si formalizzi una sorta di licenza di uccidere.
Certamente vi è un problema di interpretazione restrittiva della norma: il che conferma che, anche se la cambi, rischia di non funzionare egualmente. L’eventuale ulteriore dilatazione delle maglie non impedirebbe comunque di essere sottoposto a indagine e a giudizio, e già questo stravolge la vita. E non è nemmeno questione di uso delle armi più facile: a meno di non voler moltiplicare casi come Gugnano, e indurre singoli cittadini a improvvisarsi vigilanti. E allora che fare?
Che ne direste se si ricominciasse a punire il furto? Formulo la domanda in modo non polemico, perché – benché ancora presente nel codice penale – il furto è un reato di fatto abrogato.
Al di là delle statistiche ufficiali – che comunque fanno registrare sensibili incrementi, soprattutto al Nord – l’esperienza di ciascuno di noi, per quanto limitata e soggettiva, attesta una quantità crescente di denunce per furto non presentate o non fatte presentare.
Conosco persone che, subito un borseggio, si sono prontamente recate al posto di polizia più vicino fornendo indicazioni precise sugli autori e sono state invitate a tornare il giorno successivo per formalizzare la denuncia, cosi vanificando ogni probabilità di prendere i ladri e il maltolto. E altre cui è stato sottratto il cellulare e al momento della denuncia sono state esortate a riferire che lo avevano smarrito, cosi era più facile bloccare la scheda telefonica. Perché va cosi?
Il peggio sarebbe prendersela con presunte omissioni fra le forze di polizia: le incombenze scaricate su poliziotti e carabinieri sono sempre di più e sempre, il turn over è ridotto all’osso, e i mezzi pure. Vi è certamente da parte dei poliziotti una percezione delle priorità, che fra esse non fa individuare la repressione dei furti: se gli automezzi a disposizione sono destinati ad altre funzioni, è ovvio che il territorio non viene pattugliato per scoraggiare gli scippi o gli accessi indesiderati nelle abitazioni. Se – qui i profili si fanno più critici – il ladro è scoperto, non sempre il magistrato di turno autorizza l’arresto; di frequente dispone che sia denunciato a piede libero.
Quando poi accade il miracolo che il ladro sia scoperto e ne venga consentito l’arresto, egli in cella trascorre qualche ora, al massimo qualche giorno: il tempo di patteggiare al minimo (non più di 3 o 4 mesi di reclusione) e di tornare in libertà a riprendere il proprio “lavoro”, vista che quella limitata entità di pena non viene mai espiata. Se non si chiudono col patteggiamento, la gran parte dei procedimenti si estinguono per prescrizione già in primo grado, al più tardi in appello: non perché il termine di prescrizione sia breve, ma perché non si celebra il giudizio. Ciò spiega perché alla fine – pur se denunciato – il furto resti impunito nel 98 per cento dei casi. In altre nazioni europee per il furto i giudizi si fanno e in essi si irrogano anni di reclusione: ciò contribuisce a spiegare la migrazione in Italia, all’interno dell’area Schengen, di persone che per mestiere svaligiano il prossimo.
Perché mai un cittadino rumeno – per fare un esempio statisticamente frequente – che a casa sua per un furto finisce in carcere anche per un paio d’anni, non dovrebbe tentare la fortuna in Italia? Perché allora lo zelo dovrebbe manifestarsi al momento della ricezione della denuncia, e dei successivi immediati accertamenti, quando gli operatori dei polizia sanno che saranno fatica e mezzi sprecati?
E non è nemmeno questione di sanzioni, che sulla carta esistono e sono pure elevate, o di modifiche legislative. Sarebbe un passo in avanti rendersi conto che omettere la giustizia per questi reati ha fra i propri costi il rafforzamento della tentazione a farsi giustizia da sé; non perseguire i furti ne fa aumentare il numero, al di là di quanti ne siano denunciati, e con essi l’esasperazione di chi vi è più esposto.
Non invoco l’obbligatorietà dell’azione penale: si sa che sta in Costituzione, ma è da tempo che non va oltre quella sede. Invoco chiarezza: la decisione pratica di abrogare un reato che altrove non viene ritenuto bagatellare, e che continua a turbare chi lo subisce e i suoi familiari, non può restare tacita: esige un dibattito, come accade per le scelte di politica della sicurezza. Meglio un confronto aperto che la demagogia sulla legittima difesa, dopo reazioni sproporzionate verso chi entra nella propria abitazione, dettate dal senso di impotenza e dalla mancanza di effettiva tutela. Più che appassionarsi sul se e del quando un privato può sparare, conviene capire quanto e come oggi vengono tutelate la proprietà e le persone oneste.
Alfredo Mantovano