Il primo testo della letteratura italiana
di Leonardo Gallotta
“Cantico di frate Sole” è il nome che pare sia stato dato al componimento proprio da san Francesco d’Assisi. Concepito negli ultimi anni della sua vita (tra il 1224 e il 1226, anno della morte), il Cantico è l’unico scritto in volgare attribuito con sicurezza a Francesco ed è unanimemente considerato il primo testo della letteratura italiana. Quanto al genere letterario, esso è considerato una “lauda”, un componimento poetico accompagnato in origine – secondo fonti antiche – da una melodia composta dal santo stesso, ma oggi perduta.
Il Cantico non segue uno schema metrico preciso. Ognuna delle dodici strofe di varia lunghezza è composta da versi in prosa assonanzata. I primi quattro versi costituiscono la premessa. Dio, che è nominato solo col termine Signore, è altissimo e onnipotente: solo a Lui spetta ogni lode e nessun uomo è degno di nominarlo.
È evidente il richiamo al Comandamento che recita Non nominare il nome di Dio invano. Si deve anche sapere che nella lingua ebraica il tetragramma del nome divino è costituito da quattro consonanti: yod, he, waw, he. Nell’ebraismo, inoltre, il nome di Dio è considerato troppo sacro per essere pronunciato ad alta voce. La pronuncia esatta del tetragramma non è più conosciuta con certezza, anche perché, nel tempo, fu sostituita dalla parola Adonai, cioè Signore. La forma più comune di traslitterazione , oggi da quasi tutti accettata, è Yahweh.
Dunque, e siamo alla terza strofa, è qui lodato il Signore per mezzo di frate Sole – da cui il titolo del componimento – con tutte le altre creature. Esso, , grazie alle sue caratteristiche di luce e di splendore è il più adatto a portare “significatione” dell’Altissimo. Non potendo essere pronunciato il nome di Dio, il Santo lo vede nella bellezza del creato e lodando questa, loda insieme il Dio che ne è stato l’autore.
Seguono cinque strofe con le lodi del Signore “per” la luna e le stelle, “per” frate vento, “per” sor’acqua, “per “ frate focu e infine “per” nostra matre terra. Nelle ultime quattro strofe, dopo le lodi delle creature naturali, entra in scena l’uomo. La lode a Gesù è “per” quelli che perdonano e che sopportano infermità e tribolazioni, ma anche “per” sora nostra morte corporale dalla quale nessun uomo può ‘skappare’ , da cui l’ammonimento a non farsi trovare ‘ne le peccata mortali’. Beati saranno invece coloro che si troveranno nelle ‘sanctissime voluntati’ del Signore Gesù, perché ‘la morte secunda’ non farà loro male.
Questa parte finale (vv. 23 – 33) è stata, fin dalla tradizione più antica, assegnata ad una occasione compositiva più tarda, forse anche a causa dell’aggravamento dello stato di salute del Santo. Essa potrebbe apparire in contrasto con la gioiosa serenità precedentemente espressa. Dobbiamo però tener presente che Francesco vuol mettere in evidenza il fatto che, mentre gli elementi naturali creati da Dio, privi di volontà propria, sono segni del Creatore e perciò degni di Lui, l’uomo, dotato di libero arbitrio, deve meritare tale appartenenza all’armonia universale. E per far ciò non vi è altra strada che rispettare la legge divina e imitare Cristo anche nella sofferenza.
Chiudiamo con alcune considerazioni sul valore grammaticale da attribuire ai “per” presenti nel testo [1]. Fin dall’antichità – a partire da Tommaso da Celano – è stata data una privilegiata attribuzione al valore causale dei “per”, ossia: “Tu sii lodato, o Signore, a causa delle tue creature”. Francesco dunque loderebbe Dio per la bellezza del creato causata dalle sue creature. Tale interpretazione è quella oggi più diffusa. Nel 1941 fu avanzata da Luigi Foscolo Benedetto la proposta di dare ai “per” un valore di agente , ossia: “Tu sii lodato. o Signore, da parte di tutte le tue creature”. Ancora nel 1950 fu sostenuto da Mario Casella un valore causale prolettico (lat. propter quod), ossia: “Tu sii lodato o Signore, per ciò che le creature sono e operano per causa tua”. Infine nel 1953 Antonino Pagliaro propose di assegnare al “per” un valore mediale, ossia: “Tu sii lodato, o Signore, nelle tue creature, per mezzo della lode che io rivolgo ad esse”.
È chiaro che, a seconda della differente sensibilità di ciascun lettore, i “per” possono liberamente ricevere diverse interpretazioni. Rimane il fatto che il testo che dà inizio alla letteratura italiana è cristiano e scritto dal santo Patrono d’Italia, Francesco d’Assisi. Radici cristiane dunque? Sicuramente sì.
Sabato, 19 luglio 2025
[1] Le informazioni sulle interpretazioni dei “per” sono tratte da ROMANO LUPERINI, PIETRO CATALDI, LIDIA MARCHIANI, FRANCO MARCHESE, La scrittura e l’interpretazione, vol. 1, Dalle origini al Medioevo, Palumbo editore, Palermo 2011, p.112.
Si segnala che TOMMASO DA CELANO (1190 circa – 1260 circa) fu il primo biografo di san Francesco di Assisi.
LUIGI FOSCOLO BENEDETTO (1886 – 1966) critico letterario e filologo italiano, dal 1938 al 1966 fu Direttore del centro Studi di filologia italiana.
MARIO CASELLA (1886 – 1956) filologo e critico letterario, è stato Accademico della Crusca.
ANTONINO PAGLIARO (1898 – 1973), critico letterario, glottologo e filosofo del linguaggio, è stato Accademico dei Lincei. La sua interpretazione mediale dei “per”, si trova in Saggi di critica semantica, D’Anna, Messina – Firenze 1954, pp. 201 ss.
