Antonio Casciano, Cristianità n. 407 (2021)
Sembriamo entrati, tutti, indistintamente e irrimediabilmente, nell’epoca della «post-verità». Il post-moderno, con il suo decisivo apporto alla de–strutturazione del reale, ha tributato un solenne commiato alla domanda di verità insita da sempre nel cuore dell’uomo, spingendolo tragicamente alla deriva di cui parlava il filosofo e politologo tedesco-statunitense Eric Voegelin (1901-1985), nella quale «la realtà e l’esperienza della realtà vengono sostituite da una falsa immagine di realtà. L’uomo, così, non vive più nella realtà, ma in un’immagine fasulla di questa, che proclama, tuttavia, di essere la realtà autentica» (1).
Gianni Vattimo magnifica i vantaggi epocali assicuratici da questa conquista «liberatoria», propiziante il definitivo affrancamento dalle diverse, ferali «forme di verità», ereditate dalla tradizione della metafisica occidentale (2). Il problema è che quando diviene impossibile, perché politicamente scorretto, parlare di una realtà oggettiva, non ha più senso neppure articolare un discorso filosofico sulla verità, nella convinzione che qualsiasi pretesa teoricamente fondata di oggettività abbia in sé stessa i germi esiziali dell’oppressione, dell’esclusione e della repressione. La fuga dalla realtà fa poi tutt’uno con la produzione di una realtà fittizia operata per mezzo del linguaggio, strumento principe nella mistificante opera di creazione di verità sempre diverse, mai identiche a sé stesse, perché sempre pronte a essere manipolate dall’imbonitore di turno.
Nel realismo metafisico tomista era data per acquisita l’esistenza reale dell’oggetto e del mondo esterno, senza che vi fosse alcun motivo ragionevole per mettere in discussione né la certezza della distinzione netta fra soggetto conoscente e oggetto conosciuto, né la convinzione che quest’ultimo fosse il dato primitivo al quale poi il soggetto applicava, «adeguava», con linguaggio tomista, le proprie categorie noetiche; all’inizio dell’Età Moderna, invece, René Descartes «Cartesio» (1596-1650) capovolge questo schema, ponendo il soggetto prima dell’oggetto. Ma questo nuovo «metodo», fondato sull’iperbolismo dubitativo, che sarebbe stato alla base di tutta l’esperienza filosofica dell’idealismo, si basava sul presupposto che il pensiero precede l’essere e che la conoscenza produce l’ontologia, e non viceversa: «In effetti, la differenza più grande tra il realista e l’idealista è che l’idealista pensa, mentre il realista conosce» e «la conoscenza di cui parla il realista è l’unione vissuta e sperimentata tra l’intelletto e una realtà conosciuta» (3). Se non esiste verità al di fuori del soggetto che la pensa, non ha più senso parlare di essa e dunque il suo posto può ben essere ceduto all’universo dialettico della doxa, cioè l’opinione. Ebbene, il problema maggiore è che di questo copernicano sconvolgimento epistemologico l’uomo post-moderno non ha la benché minima contezza e così non solo, in linea con l’alienante clima relativistico imperante, sostituisce al mondo della realtà quello delle opinioni, ma pretende altresì di manipolare e di volta in volta veicolare caricature, risibili se non fossero tristissimamente tragiche, della verità stessa.
Accade in questi mesi che giornalisti, opinionisti ed esponenti vari della altrettanto variegata intellighenzia mediaticamente dominante, muova reiterati attacchi alla volta del cardinale Elio Sgreccia (1928-2019) e del suo magistero accademico. Al centro di tanto arrovellarsi — senza che alcuno si sia mai dato, neppure lontanamente, la pena di andare a confrontarsi con fonti di prima mano — si trova il Manuale di bioetica del presule, che ha all’attivo numerose ristampe e ancora più numerose traduzioni (4). In particolare, si è attribuito al card. Sgreccia l’affermazione secondo cui l’omosessualità sarebbe una malattia (5). L’inautenticità di un giornalismo che non si confronta con i dati del reale al fine di descriverlo oggettivamente rinvia all’eclissi della passione per la verità cui accennavo in apertura della presente riflessione (6). E siccome, fra i principali insegnamenti che abbiamo avuto la fortuna di ereditare da «don Elio», vi è proprio quello avente a oggetto la ricerca appassionata e instancabile delle verità sull’uomo, è da questo afflato che mi lascio guidare nel tentativo di chiarire una volta per tutte quanto realmente scritto su tale tema nel Manuale.
Il cardinale si interroga dapprima sulle cause dell’omosessualità, chiarendo come le ipotesi formulate a riguardo, all’interno della comunità scientifica, siano tutt’altro che univoche bensì riconducibili a tre diversi gruppi: a) nel primo rientrerebbero quelle che sottolineano la sostanziale «indifferenza clinica del fenomeno» quanto alle sue cause; b) nel secondo quelle che rinviano invece a «una devianza della linea dei finalismi biologici» (7); c) nel terzo quelle che invece argomentano circa «una disarmonia psico-sessuale della persona, la cui origine va ricercata nella rete dei rapporti affettivi e sociali» (8). Il fatto di elencare con puntualità le diverse posizioni teoriche espresse nel corso del tempo all’interno della comunità medica e psicologica, sulla eziologia dell’attrazione omoerotica, prova la posizione assolutamente non preconcetta del presule che, al contrario, osserva come solo sull’adesione «eventuale» all’ultima delle interpretazioni fornite, è dato fondare «la speranza di poter prevenire l’omosessualità» (9).
Ebbene, l’esistenza di differenti scuole di pensiero nel mondo scientifico circa i processi eziologici alla base del fenomeno omosessuale, legittima di fatto la possibile adesione teorica a ciascuno dei tre modelli ipotetici sopra prospettati. Fatta questa premessa, il presule, in linea con la terza ricostruzione ipotetica riportata, si dice dell’avviso che l’omosessualità sia il risultato di un’alterazione del processo edipico di elaborazione identitaria della bisessualità psichica, dovuta alla mancata o parziale identificazione con il genitore del proprio sesso. Quando ciò avviene, «si possono verificare tre situazioni: a) il soggetto completa la sua identificazione in tempi successivi, anche a 7-9 anni, […] senza alcuna conseguenza nell’età adulta b) il bambino non trova neppure nell’ambiente extra-familiare modelli adulti familiari per lui idonei […]: ne consegue che in età adulta potrà sviluppare atteggiamenti affettivi “infantili”, di “attaccamento” del genitore complementare […]; c) il soggetto non riesce a risolvere la situazione edipica con i suoi conflitti e regredisce in una sorta di “narcisismo” primario e “pre-edipico”. Nel caso c), vengono attivate le premesse di un orientamento affettivo omofilo» (10).
Se il fallimento della dinamica d’identificazione edipica è dunque dovuto all’inadeguatezza del genitore dello stesso sesso, il padre per il figlio e la madre per la figlia, Sgreccia si premura di precisare che: 1) tale «inadeguatezza» è puramente soggettiva, dipendendo cioè dalla mera sensibilità individuale del figlio e non dal genitore che, al contrario, «[…] potrebbe essere, oggettivamente, il migliore» (11); 2) la regressione narcisistica di chi non ha risolto positivamente la situazione edipica, «[…] anche se rappresenta la premessa per lo sviluppo di un orientamento omosessuale, non ne è tuttavia la causa unica efficiente e sufficiente; infatti, la premessa ha bisogno di un “rafforzamento” che potrà agire sull’adolescente» (12). Ciò a dire che la soddisfazione abituale della libido erotica, omosessualmente orientata, permette a quella che all’inizio è solo una tendenza, creatasi in ragione dello scarto nel processo d’identificazione edipica sopra evidenziato, di radicarsi, e alla pulsione sessuale di trasformarsi in uno stabile orientamento omoerotico. E questa stabilizzazione-radicalizzazione impedirebbe chiaramente qualsiasi idea di approccio psicoterapeutico: «Molti, oggi, non accettano che si indichi l’omosessualità come un’anomalia o anormalità […]. Tuttavia non si può nascondere che anche da parte del soggetto omosessuale vi possa essere una certa responsabilità nell’aumentare o strutturare la tendenza quando, per esempio, si lascia portare da comportamenti omosessuali ripetuti» (13).
L’«anormalità» nel linguaggio del card. Sgreccia, moralista e teologo cattolico, attiene dunque alla natura degli atti omosessuali che la Chiesa, nel suo millenario insegnamento magisteriale, ha costantemente definito come «intrinsecamente disordinati», e lo sono «secondo l’ordine morale oggettivo», in quanto cioè «privi della loro regola essenziale ed indispensabile» (14), regola che chiaramente rinvia alla legge di natura (15). E la incompatibilità di tali atti rispetto alla finalità propria di un atto sessuale, sempre orientato naturalmente alla procreazione, ovvero la loro strutturale chiusura alla vita del terzo, permette di formulare un giudizio morale sugli stessi, ispirato alla prudenza del discernere non solo fra soggetto e soggetto, ma anche fra tendenze e comportamenti, graduando la relativa responsabilità sulla consapevolezza morale di chi adotta questi comportamenti (16): «Un’ulteriore indicazione etica sta nel fatto che pur potendo prevedere che la normalizzazione sarà, in alcuni casi, imperfetta e precaria, non si deve cessare di orientare il soggetto verso il meglio, valorizzando una verità eticamente importante: la lotta e lo sforzo per la virtù è già in qualche modo misura dentro l’orientamento del bene ed ha il suo valore morale anche qualora non sia dato di prevedere se e quando sarà possibile superare definitivamente l’ostacolo» (17).
Nell’ottica di un’etica basata sulla legge di natura e informata all’epistemologia aristotelico-tomistica, come quella che ha costantemente ispirato l’insegnamento del cardinale, la misura della verità etica è data proprio dall’uomo virtuoso (18), giacché solo in questi la volontà lascia che l’intelletto e la ragione si muovano secondo le regole loro proprie, giudicando vero ciò che è realmente vero e bene ciò che è realmente bene. L’uomo virtuoso di Aristotele è l’uomo che è riuscito a purificare la ragione dall’invadente potere delle passioni e ad allineare del tutto le deliberazioni della volontà ai giudizi dell’intelletto (19). È per questo che, nel linguaggio morale della Chiesa cattolica, ha ancora senso parlare di virtù, di perfezione morale e di piena fioritura umana (20). La ragione di ciò risiede nel fatto che la natura di ogni cosa tende di per sé, come aveva detto Aristotele all’inizio dell’Etica nicomachea, verso ciò che per la cosa è il meglio. Se, allora, una qualsiasi accidentalità non dovesse consentire a un essere di raggiungere ciò che per esso è il meglio, è legittimo ogni intervento che corregga il funzionamento difettoso della natura o nelle sue cause o nei suoi effetti. Da qui la liceità, nell’ottica di Sgreccia, di possibili interventi/ausili psicoterapeutici di correzione/cura dell’omosessualità.
Questo è il proprium dell’umanesimo cristiano, che coglie la specificità della persona umana nel Logos, in quella scintilla spirituale per cui essa assurge al più alto rango nella gerarchia dell’essere, separandosi dal mondo non-umano e tendendo incessantemente verso la pienezza di ciò che dovrebbe essere e ancora non è, l’unione eterna con il Creatore. E questo, alla fine, è anche lo specifico dell’umanesimo personalistico, che riconosce la inconculcabile dignità personale di ogni essere umano quale radice ontologica veritativa della vita personale di ogni uomo, a prescindere dai suoi orientamenti sessuali. L’anti-umanesimo montante, che pretende di fare a meno di tale nozione di «persona», di tale patrimonio ideale e valoriale che ha connotato essenzialmente la storia e l’identità dell’Occidente, fa tutt’uno con quella tendenza «etnocidiaria» che guarda al portato assiologico della nostra civiltà come a un peso giudicato ingombrante e oppressivo, e cerca di disfarsene per mezzo della negazione stessa dell’essere umano, nel delirio nichilista che caratterizza la speculazione post-umanistica. E tutto ciò non può che confliggere essenzialmente e, dunque, permanentemente con quel personalismo ontologico metafisicamente fondato che è stato il ganglio concettuale precipuo dell’intera riflessione sgrecciana e che continua a essere pietra di inciampo per ogni forma di pseudo-umanesimo, passato e presente.
Note:
(1) Eric Voegelin, Hitler e i tedeschi, trad. it., Medusa, Milano 2005, p. 84.
(2) Cfr. Gianni Vattimo, Addio verità, Meltemi, Milano 2009.
(3) Étienne Gilson (1884-1978), Vademecum del realista principiante, in Il realismo, metodo della filosofia, a cura di Antonio Livi (1938-2020) e Antonietta Mendosa, Leonardo da Vinci, Roma 2008, pp. 131-146.
(4) Cfr. Elio Sgreccia, Manuale di bioetica, 2 voll., Vita e Pensiero, Milano 1984. Fra le varie traduzioni in lingua straniera, cfr. Manual de Bioética, trad. portoghese a cura di Orlando Soars Moreira, Edições Loyola, San Paolo (Brasile) 1996; Manual de Bioética, trad. spagnola di Pablo Cervera Barranco, Biblioteca de Autores Cristianos, Madrid 2012 (vol. I) e 2014 (vol. II); Manual de bioetică, trad. in rumeno di Victor Tambone, Archiepiscopia Romano-Catolică, Bucarest 2001; Personalist Bioethics: Foundations and Applications, trad. inglese di John A. DiCamillo e Michael J. Miller, National Catholic Bioethics Center, Philadelphia (Pennsylvania) 2012; Manuel de bioéthique. Aspects médicaux sociaux, 4a ed., trad. in francese di Virginie Leclerq, MAME, Parigi 2012. Vi sono state anche edizioni in ucraino, russo, arabo, coreano e giapponese.
(5) Cfr. Annamaria Bernardini De Pace, L’Università dove si insegna che bisogna curare i gay, in La Stampa, 29-12-2020.
(6) «Se tentassimo di determinare metafisicamente l’attuale posizione dell’uomo sulla terra, allora bisognerebbe dire che l’uomo comincia ad entrare in un’epoca nella quale manca totalmente ogni interrogazione sulle cose e sul modo di manovrarle, un avvenimento indefinito, il cui senso di marcia nessuno può stabilire e la cui portata nessuno può valutare»,(Martin Heidegger (1889-1976), Domande fondamentali della filosofia. Selezione di problemi della logica, 1980, trad. it., Mursia, Milano 1990, p. 17).
(7) E. Sgreccia, op. cit., vol. II, p. 141.
(8) Ibidem.
(9) Ibidem.
(10) Ibid., p. 142.
(11) Ibidem.
(12) Ibidem.
(13) Ibid., p. 146.
(14) Congregazione per la Dottrina della Fede, Persona humana. Alcune questioni di etica sessuale, del 29-12-1975, n. 8.
(15) I peccati che sono detti peccati contro la naturasono tali perché sono contrari «anche allo stesso ordine dell’atto sessuale» (Tommaso d’Aquino (1225-1274), Summa theologiae, II-II, q. 154 a. 11).
(16) «Poiché il fine della generazione è, in ciò che si genera, “l’essenza della specie, che è significata dalla definizione”, ne segue che si chiama natura anche quest’essenza della specie» (ibid., III, q. 2, a. 1).
(17) E. Sgreccia, op. cit., p. 151.
(18) Cfr. Aristotele (384/383-322 a.C.), Etica nicomachea,1114a, pp. 32 e ss.
(19) Posto che l’uomo «[…] è costituito nella [sua] specie per mezzo dell’anima razionale», è evidente che «ciò che è contro l’ordine della ragione va propriamente contro la natura dell’uomo in quanto uomo; invece, ciò che è secondo la ragione, è secondo la natura dell’uomo in quanto uomo» (Tommaso d’Aquino, op. cit., I, q. 71, a. 2).
(20) «Le virtù, sebbene non siano causate dalla natura secondo il loro essere perfetto, tuttavia inclinano verso ciò che è secondo la natura, ossia secondo l’ordine della ragione. […] Ed è in questo modo che la virtù si dice che è secondo la natura; il vizio, viceversa, è inteso come contrario alla natura» (ibid., I-II, q. 71, a. 2).