Marco Invernizzi, Cristianità n. 427 (2024)
Intervento, rielaborato e annotato, al Convegno in ricordo del beato card. Alfredo Ildefonso Schuster (1880-1954), benedettino, organizzato nel 70° anniversario della sua morte dall’Istituto Secolare Missionarie del Sacerdozio Regale di Cristo presso l’auditorium Ambrosianeum di Milano, il 25 maggio 2024. Vedi la cronaca dell’evento in questo numero, pp. 84-85.
Riflettere sul tempo passato non serve per rimpiangere i «bei tempi andati» o per lamentarsi della nostra epoca, ma serve soltanto se aiuta a comprendere il presente e a cercare di costruire un futuro migliore. Penso che questo direbbe oggi il beato card. Alfredo Ildefonso Schuster O.S.B.: ci inviterebbe a non indugiare su quanto importante e numerosa fosse la Chiesa dei suoi tempi, ma a capire che cosa fare oggi per riportare a Cristo gli uomini a noi contemporanei, così diversi da quelli di allora perché figli di un’altra cultura e tuttavia uomini come quelli di un secolo fa, dotati di anima e corpo, liberi di scegliere fra il bene e il male, fra il vero e il falso, se qualcuno avrà il coraggio di presentare loro la verità e il bene nella loro autenticità (1).
Due errori
Nei confronti del passato si può commettere un duplice errore: il primo è quello di ritenerlo così lontano e diverso da non poterci insegnare niente, il secondo è di segno opposto e consiste nel pensare che nulla sia cambiato in questo passaggio di secolo e di millennio e che basti riproporre la verità nello stesso modo di allora perché possa ricevere il consenso dei contemporanei. Non è così, e il cardinale oggi ci chiederebbe di amare e di servire la stessa verità che è Cristo, che egli ha amato e servito eroicamente, tenendo tuttavia presente il giro mentale dell’uomo di oggi, immerso ed educato — o diseducato — in un contesto culturale diverso, cercando, quindi, il modo più adatto per comunicare la Verità che salva, oggi.
Perché credo sia indiscutibile che il cardinale di Milano abbia amato e servito con convinzione e con tutto il suo cuore Colui che riteneva essere il Salvatore di ogni uomo e di ogni epoca, compresa la sua, così difficile e travagliata. Forse siamo noi che non abbiamo la stessa convinzione e allora, in questo caso, sarebbe bene chiedergli la grazia di poter diventare come egli è stato, capace di amare Dio e gli uomini con tutte le forze.
Il 18 aprile 1948
Oggi vorrei ricostruire in breve uno degli episodi più significativi che il beato ha dovuto affrontare nella sua attività pastorale come arcivescovo di Milano, svoltasi dal 1929 al 1954, sotto i pontificati di Pio XI (1922-1939) e del venerabile Pio XII (1939-1958).
Mi riferisco a quanto avvenne il 18 aprile 1948, il giorno in cui si svolgono le elezioni politiche forse più importanti della storia italiana, le prime dopo la promulgazione della Costituzione repubblicana, che segneranno la sconfitta elettorale del fronte portatore dell’ideologia socialcomunista, una sconfitta in qualche modo definitiva, perché segnerà il consenso della popolazione italiana alla scelta di una civiltà radicata nel cristianesimo e nel legame con i princìpi di libertà del mondo occidentale (2). Le elezioni, infatti, attribuiscono una maggioranza assoluta alla Democrazia Cristiana (DC), cosa che conferma la rinuncia del partito guidato da Alcide De Gasperi (1881-1954) all’alleanza di governo con i partiti socialista (PSI) e comunista (PCI). Tale rifiuto durerà fino al 1963, quando nascerà un governo di centro-sinistra «organico», cioè non solo con l’appoggio esterno del PSI ma con ministri socialisti, e poi al 1976, quando con i governi detti «di solidarietà nazionale» il PCI rientrerà nell’area di governo come negli anni del CLN, il Comitato di Liberazione Nazionale (1943-1947).
L’anomalia italiana
Ma il dato più significativo di quel risultato elettorale, a mio avviso, non sta tanto nel risultato quanto nel fatto che un evento così importante non sia stato mai più né commemorato né celebrato, neppure, anzi soprattutto, dalle forze artefici del suo clamoroso esito. Da qui il titolo del libro, L’anomalia italiana, in cui potete leggere anche lo splendido contributo di monsignor Ennio Apeciti sull’azione pastorale del cardinale di origini bavaresi durante il periodo in cui guidò la Chiesa ambrosiana (3).
Anomalia, dunque, perché questa data così importante non è mai entrata fra gli eventi decisivi della storia italiana ufficiale, pur avendone tutti i requisiti, e anomalia soprattutto perché la stessa DC mise la sordina a questo evento. Lo stesso mondo cattolico, il grande protagonista del 18 aprile grazie anche all’impegno profuso e promosso dal Pontefice romano, progressivamente smise di ricordarlo. Oggi chi ha meno di quarant’anni credo neppure saprebbe dire che cosa sia successo in quella data.
I fatti
Provo allora a ricostruire gli eventi precedenti e successivi il 18 aprile 1948.
1. Nel 1945 l’Italia usciva dal ventennio fascista, iniziato nel 1922 con la Marcia su Roma, conclusosi nel 1943 con l’arresto del Duce Benito Mussolini (1883-1945) su mandato del re Vittorio Emanuele III di Savoia (1869-1947) e chiuso dai due anni di sanguinosa guerra civile fra la Repubblica Sociale Italiana, alleata della Germania nazionalsocialista nell’Italia settentrionale, e le forze partigiane a dominanza socialcomunista, mentre il resto del Paese restava sotto il governo del re e il controllo militare degli eserciti alleati nel frattempo sbarcati in Sicilia, che avevano risalito la Penisola incalzando le truppe tedesche.
2. Il fascismo-regime aveva lasciato da parte le velleità rivoluzionarie di costruire l’«uomo nuovo» ispirato al nazionalismo e alla reviviscenza del mito di Roma, perché costretto, per sopravvivere politicamente, a un compromesso con le due istituzioni più importanti del Paese, la Chiesa e la monarchia. Aveva così ottenuto il consenso della maggioranza degli italiani, offrendo sicurezza in cambio di libertà politica, che venne negata a partire dal 1925, mettendo fuori legge tutti i partiti tranne il PNF, il Partito Nazionale Fascista, frutto della fusione del movimento fascista con l’Associazione Nazionalista Italiana, nel 1923. Dopo le leggi razziali (1938) e con l’ingresso in guerra dell’Italia nel 1940, il regime perse gran parte del consenso. Dopo la nascita della RSI e gli sbarchi alleati il Paese si spaccò anche geograficamente e, come già detto, nell’Italia centro-settentrionale fra il 1943 e il 1945 si consumò una drammatica guerra civile. Sangue fraterno scorse soprattutto nello scontro fra le milizie fasciste repubblicane e le formazioni partigiane — che nelle città per prime avevano adottato metodi terroristici —, le quali fiancheggiavano rispettivamente l’esercito hitleriano e quello alleato.
3. Dopo la fine della guerra mondiale e di quella civile, nel Paese dilaniato e impoverito dalla guerra e dall’odio la Chiesa rimaneva come l’unica realtà in grado di pacificare, ricostruire, favorire il perdono e il ritorno a relazioni normali fra gli italiani che tornavano dalla guerra e dalla prigionia, e fra essi non pochi si erano scontrati durante la guerra civile.
La stessa Resistenza, così come viene prevalentemente raccontata oggi, appare esclusivamente una guerra di liberazione condotta dai comunisti contro il nazionalsocialismo e il fascismo, quando in realtà furono protagonisti di quel pezzo di storia anche i partigiani non comunisti (4), l’esercito italiano ricostituito al Sud, un cui corpo di spedizione combatté a fianco degli alleati nell’Italia centrale (5), e quei militari repubblicani che combatterono sul fronte orientale contro i partigiani rossi iugoslavi (6). Soprattutto non viene mai ricordato come la Resistenza fu solo in minima parte determinante nella liberazione.
La Chiesa godeva in quel periodo di un consenso sociale straordinariamente alto, per ragioni storiche e per l’atteggiamento equanime e concreto mantenuto durante il conflitto. Appunto grazie al ruolo che la Chiesa ricopriva e al prestigio che quel ruolo si era conquistato, la DC poté beneficiare di quelle decine di milioni di voti che le permisero di vincere le elezioni nonostante pronostici avversi. La DC era allora peraltro un partito di «notabili», con una esigua base di militanti, ma in quel frangente elettorale fu sostenuta in maniera decisiva dal mondo cattolico — in primis dal Pontefice e dai vescovi, fra i quali, convintamente, il card. Schuster —, e poi da un forte laicato militante: l’Azione Cattolica (ACI) e, in particolare, i Comitati Civici, una sorta di sindacato dei cattolici nato dall’iniziativa del vicepresidente dell’ACI Luigi Gedda (1902-2000) (7).
4. Ma perché la DC si rifiuterà sempre di celebrare l’evento che la vide vittoriosa con una maggioranza così schiacciante, che non avrà mai più nel corso della storia successiva? Il 18 aprile fu una vittoria di civiltà, in cui gli italiani scelsero la libertà — religiosa, politica, sociale — contro il totalitarismo socialcomunista, che in quegli stessi giorni conquistava Ungheria, Cecoslovacchia e Polonia, secondo la logica spartitoria di Jalta e di Potsdam (1945), che appunto disegnava una linea — quella che Winston Churchill (1874-1965) chiamerà una «cortina di ferro» — che andava dal Mare del Nord ai Balcani e divideva il mondo in due: a est i regimi del socialismo reale, a ovest i Paesi liberi. La DC vinse elettoralmente, ma in realtà la vittoria andava attribuita al laicato cattolico, alla struttura capillare delle parrocchie, al legame politico con gli Stati Uniti d’America (USA), garanzia della libertà, che avrebbero presto animato un’alleanza politica e militare anti-sovietica. La DC mal tollererà il condizionamento del mondo cattolico, ma non potrà farne a meno, fino a quando non riuscirà a trasformarsi in un partito, almeno parzialmente, autonomo. Ciò avverrà più tardi, dopo il 1954, con la segreteria di Amintore Fanfani (1908-1999) succeduto a De Gasperi.
5. Questo periodo merita attenzione e tanti sono gli studi che ancora mancano. Una prima risposta al perché la DC e lo stesso mondo cattolico non celebrarono l’evento del 18 aprile potrebbe essere perché non vollero aumentare la divisione del Paese, dato che socialisti e comunisti rappresentavano comunque una parte importante del popolo italiano, benché minoritaria. Una seconda si può far risalire alla presenza dentro il partito di una componente che faceva capo a Giuseppe Dossetti (1913-1996), che non voleva la contrapposizione frontale con il socialcomunismo e condannava l’eccessivo atlantismo del partito, ritenuto troppo appiattito sull’amicizia con gli Stati Uniti d’America. Una terza riflessione, più generale, induce a credere che nel mondo cattolico sia stata sottovalutata l’importanza della cultura, cioè della trasformazione dei giudizi e del costume scaturenti dalla fede e dalla ragione illuminata, a vantaggio esclusivo del mantenimento del potere politico. Il 18 aprile aveva consegnato alla DC il governo del Paese, ma trasformare questa opportunità in uno sforzo culturale per incidere sul senso comune degli italiani avrebbe richiesto una politica culturale che non venne mai realizzata (8).
6. Anche se allontanò dall’Italia il pericolo del comunismo, la vittoria elettorale del 1948 non divenne l’inizio di un processo di conversione culturale e sociale della nazione dopo quasi un secolo di «intossicazione» liberale e laicistica. La DC non si riconobbe in quell’evento perché non ne colse l’importanza storica e ideale e perché, nella sua componente di sinistra, specialmente in quella dossettiana, non ne condivideva fino in fondo i contenuti. I Comitati Civici vennero «silenziati», per usare una espressione di Gedda, e il mondo cattolico si avviò verso un progressivo declino, mentre la società nel suo complesso cominciava ad allontanarsi dalla pratica religiosa, facendo emergere quel dissidio tra la fede e la vita che caratterizzerà il tempo successivo. Se ne accorse il card. Schuster dal suo punto di osservazione milanese? Direi di sì, e certamente se ne accorgeranno i vescovi italiani pochi anni dopo, nel 1960, quando pubblicheranno una «lettera collettiva» sul laicismo, ma il male stava penetrando sempre più profondamente nel corpo sociale e sarebbe esploso intorno al 1968 (9). Come avrebbe detto Papa Francesco, stava cominciando non «un’epoca di cambiamenti» ma «un cambiamento di epoca» (10).
Marco Invernizzi
Note:
1) Sul card. Schuster, cfr. la tesi di baccalaureato di Annamaria Nava (anno accademico 2005-2006), discussa presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, Alfredo Ildefonso Schuster, arcivescovo di Milano, Pastore di una grande Chiesa in un difficile momento storico, ristampata nel 2024 dall’Istituto Secolare Missionarie del Sacerdozio Regale di Cristo (con ampia bibliografia), ed. extracommerciale.
2) Cfr. 18 aprile 1948. L’«anomalia» italiana. Atti del convegno Milano e il 18 aprile 1948. Chiesa, forze politiche e società civile, Milano, 3/4-12-2004, a mia cura, Ares, Milano 2007.
3) Cfr. Monsignor Ennio Apeciti, L’azione pastorale del beato card. Ildefonso Schuster, ibid., pp. 149-218.
4) Cfr. per esempio Alberto Leoni e Stefano Rodolfo Contini, Partigiani cristiani nella Resistenza. La storia ritrovata (1943-1945), Ares, Milano 2024.
5) Cfr., per esempio, il romanzo di Eugenio Corti (1921-2014), Gli ultimi soldati del Re, Ares, Milano 2015.
6) Cfr. Roberto Spazzali, Il disonore delle armi. Settembre 1943: l’armistizio e la mancata difesa del confine orientale, Ares, Milano 2024.
7) Cfr. il mio I Comitati Civici, in 18 aprile 1948. L’«anomalia italiana», cit., pp. 71-92; su Gedda, cfr. il mio, Luigi Gedda e il movimento cattolico in Italia, prefazione di Giovanni Cantoni (1938-2020), Sugarco, Milano 2012.
8) Cfr. il mio Il 18 aprile 1948: un voto dimenticato. Le conseguenze di un’anomalia, in Dal «centrismo» al Sessantotto, a cura mia e di Paolo Martinucci, Ares, Milano 2007, pp. 13-33.
9) Cfr. Francesco Pappalardo, L’analisi del laicismo in una lettera pastorale dei vescovi italiani del 1960, ibid., pp. 341-358.
10) Cfr. Francesco, Discorso alla Curia romana, del 21-12-2019.