Wlodzimierz Redzioch, Cristianità n. 417 (2022)
Relazione, intitolata Un profilo biografico. La Polonia comunista e quella cattolica. Il Primate del Millennio, tenuta il 2 agosto 2022 alla Scuola Estiva San Colombano, organizzata da Alleanza Cattolica dal 1° al 6 agosto a Fornovo di Taro, in provincia di Parma, sul tema San Giovanni Paolo II. Il suo Magistero e la Nuova Evangelizzazione.
Il cardinale Stefan Wyszyński (1901-1981) fu un pastore carismatico e un illustre patriota, difensore della Chiesa e della nazione polacca, perciò viene chiamato «Primate del Millennio». Guidò la nazione polacca attraverso i tragici anni del comunismo, svolgendo talvolta il ruolo di un vero «reggente», l’uomo della Provvidenza per la Polonia. Ma non si può capire questo personaggio della Chiesa senza conoscere la storia della Polonia, che si intreccia strettamente con le sorti della sua vita.
Stefan Wyszyński è nato nel 1901, cittadino dell’impero zarista. La cosa potrebbe sorprendere ma la Polonia come Stato non è esistita per ben 123 anni, dal 1795 al 1918, perché in tre successive spartizioni i potenti vicini, l’Impero Russo, la monarchia asburgica e il Regno di Prussia, si divisero fra loro i territori polacchi e la Polonia sparì dalle carte geografiche dell’Europa. Gli occupanti tentarono di imporre ai polacchi la propria lingua e la propria religione: la lingua tedesca e il protestantesimo nel caso della Prussia, la lingua russa e l’Ortodossia nei territori occupati dalla Russia. Se i polacchi riuscirono a mantenere la loro lingua e la loro religione, lo si deve alla Chiesa cattolica e alle famiglie dove si conservavano le tradizioni, la lingua e la religione cattolica.
Nel 1914, allo scoppio della Prima Guerra Mondiale (1914-1918), le tre potenze occupanti si trovarono su due fronti differenti: la Russia alleata della Francia e del Regno Unito; la Germania e l’Austro-Ungheria alleate fra loro ma sul fronte opposto. Grazie all’autonomia di cui godevano i polacchi nella Galizia, che faceva parte dell’Impero austro-ungarico, in questo territorio si formarono le organizzazioni paramilitari che divennero la base delle Legioni Polacche, con a capo Józef Klemens Piłsudski (1867-1935), e combatterono contro l’esercito zarista. Nel 1917 in Russia fu abbattuto il potere dello zar e le nuove autorità permisero la ricostituzione della Polonia. Dall’altro lato le potenze occidentali riconobbero il Comitato Nazionale Polacco, guidato da Roman Dmowski (1864-1939), come rappresentante della nazione polacca. La Polonia riconquistò l’indipendenza nel novembre 1918 e Piłsudski tornò a Varsavia, dove assunse la carica di capo di Stato. Ma l’indipendenza appena riconquistata fu subito minacciata dalla Russia, non più zarista ma bolscevica, che attaccò la Polonia nel 1920. Tuttavia, il «Miracolo sulla Vistola», ovvero la vittoria dei polacchi nella battaglia di Varsavia, salvò l’Europa dai bolscevichi per i successivi vent’anni. Il giovane Wyszyński poté conoscere il comunismo sovietico già durante quella guerra, cogliendo la dimensione spirituale dello scontro che contrapponeva il cristianesimo al bolscevismo, nel quale vi era la Polonia in prima linea, di nuovo nel ruolo di «antemurale Christianitatis», risalente al secolo XV e legato alla resistenza contro l’espansione musulmana in Europa.
La battaglia combattuta dal 13 al 25 agosto 1920 alle porte di Varsavia sui fiumi Vistola e Narew, fu lo scontro decisivo della guerra sovietico-polacca ed è considerata una delle battaglie più importanti nella storia mondiale. I piani dei bolscevichi erano chiari, come rivelano le parole del comandante sovietico Michail Tuchačevskij (1893-1937): «La via della rivoluzione mondiale passa sul cadavere della Polonia Bianca. Sulle nostre baionette porteremo la felicità e la pace alle masse lavoratrici. Mettiamoci in marcia verso l’Occidente!» (1). Una volta vinta la Polonia, l’Armata Rossa avrebbe proseguito in direzione della Germania, aprendo anche un secondo fronte: attraverso i Monti Carpazi si sarebbe diretta verso la Cecoslovacchia, l’Ungheria e l’Italia. Grazie a questa storica vittoria la Polonia non soltanto riconfermò la propria indipendenza, conquistata due anni prima, ma salvò l’Europa e la civiltà cristiana dall’invasione comunista.
Nell’estate del 1920 a Varsavia si trovava come nunzio apostolico mons. Achille Ratti (1857-1939), il futuro Papa Pio XI (1922-1939), che svolse un ruolo importantissimo. Il nunzio, malgrado la grave minaccia, non lasciò la capitale: anzi, partecipò alle preghiere organizzate durante la battaglia sulla Vistola e si recò sulla linea del fronte per mostrare la propria vicinanza ai combattenti, guadagnandosi la grande stima dei polacchi.
Durante il settimo pellegrinaggio in patria, nel 1999, quando visitò il Cimitero Militare di Radzymin, dove sono sepolti i soldati polacchi morti durante la battaglia di Varsavia nel 1920, Giovanni Paolo II (1978-2005) pronunciò le seguenti parole: «Sapete che sono nato nel 1920, a maggio, quando i bolscevichi decisero di conquistare Varsavia. Ecco perché, dalla mia nascita, porto dentro di me un grande debito verso coloro che intrapresero allora la lotta contro l’invasore e vinsero, a costo della propria vita» (2).
Alla luce di questa esperienza don Wyszyński, ordinato sacerdote nel 1924, accolse con gioia l’enciclica Divini Redemptoris, pubblicata nel 1937 da Pio XI, sottolineandone ilmessaggio centrale: il comunismo non si può conciliare con il cattolicesimo e deve essere combattuto unendo tutte le forze della società.
Gli anni della Seconda Guerra Mondiale (1939-1945) furono per la Polonia gli anni terribili dell’occupazione nazionalsocialista e di quella sovietica. Limitandosi alla persecuzione verso le Chiese e il clero, quasi tremila sacerdoti polacchi sono stati uccisi dagli occupanti. Molti di loro furono deportati nel campo di concentramento di Dachau, dove vennero internati 1773 polacchi, di cui 868 vi persero la vita: per questo motivo il campo tedesco è diventato il luogo principale del martirio del clero polacco. Fra gli uccisi vi erano anche due vescovi: Michał Kozal (1893-1943), ausiliare di Wrocław — beatificato da san Giovanni Paolo II il 10 giugno 1987 —, e Władysław Goral (1898-1945), vescovo di Lublino. Il giorno della liberazione del campo, il 29 aprile 1945, viene ricordato come «Giornata del Martirio del clero polacco durante la Seconda guerra mondiale».
Prima di quel conflitto don Wyszyński condusse, fra l’altro, attività sociali ed educative nei sindacati cristiani e organizzò l’Unione Cattolica dei Giovani Lavoratori. Durante la guerra fu cappellano dell’ospedale di Laski, vicino Varsavia, e dei soldati della clandestina Armata Nazionale.
Purtroppo, con la fine della guerra la Polonia non riconquistò una piena indipendenza, perché divenne parte del blocco sovietico. Già nel 1945 i comunisti polacchi abolirono unilateralmente il Concordato. La propaganda del regime cercava di attaccare incessantemente il venerabile Pio XII (1939-1958), in difesa del quale si alzò anche la voce di mons. Wyszyński, dal 1946 vescovo di Lublino. Wyszyński agiva con prudenza in modo pragmatico e, quando era possibile, cercava di allentare le tensioni. Nel 1948 Pio XII lo volle arcivescovo metropolita di Gniezno e Varsavia, cioè Primate di Polonia. In quel momento la Chiesa si trovava in una situazione tragica in tutta l’Europa orientale, con migliaia di ecclesiastici imprigionati e internati nei campi di lavoro. I più ribelli venivano torturati o uccisi, di nascosto oppure in seguito a processi-farsa.
In quella difficilissima situazione il Primate cercò un possibile modus vivendi con il governo comunista per far sopravvivere la Chiesa, salvare il clero e i fedeli e prepararli a un confronto con il regime totalitario nel futuro. Per questo, nell’aprile del 1950, mons. Wyszyński firmò con il governo comunista un accordo, grazie al quale la Chiesa ottenne alcune garanzie: il mantenimento dell’insegnamento della religione nelle scuole e la sopravvivenza delle scuole cattoliche esistenti, il permesso di pubblicare i giornali cattolici e di fornire assistenza pastorale negli ospedali e nelle prigioni. Il più importante era il quinto paragrafo dell’accordo, in cui si sottolineava cheil Papa era la massima autorità della Chiesa, circa le questioni di fede, moralità e giurisdizione ecclesiastica.
Purtroppo, il regime non rispettò l’accordo: nella Costituzione del 1952 i diritti dei cittadini credenti non furono garantiti, vennero chiusi i seminari e i noviziati, le repressioni e le persecuzioni si moltiplicarono. Il Primate non cedeva e, rischiando, faceva quello che poteva. Dall’arresto lo salvò la nomina cardinalizia, annunciata da Pio XII nell’autunno 1952, ma i comunisti continuarono a combattere la Chiesa: il 9 febbraio 1953 il regime emanò un decreto in cui si stabiliva che gli incarichi ecclesiastici dovessero essere autorizzati dagli organi statali. Secondo le intenzioni delle autorità comuniste, questa mossa doveva infliggere il colpo mortale all’indipendenza della Chiesa in Polonia. Ma a marzo dello stesso anno morì il leader sovietico Iosif Vissarionovič Džugašvili «Stalin» (1878-1953).
Come cambiò la politica dei comunisti polacchi
L’8 maggio del 1953 l’episcopato, dietro la spinta di mons. Wyszyński, pubblicò un memoriale nel quale si constatava che la situazione della Chiesa in Polonia peggiorava e si ricordava che le cose di Dio non si potevano offrire sugli altari di Cesare. Il regime, dopo essersi consultato con il Cremlino, prese la decisione di arrestarlo: venne incarcerato di notte, il 25 settembre 1953, e tenuto in varie prigioni, in isolamento, in pessime condizioni. Ma sopportò tutto eroicamente. Durante la prigionia si dedicava alla preghiera e alla scrittura e proprio in quegli anni redasse il programma della Grande Novena prima del millennio del battesimo della Polonia (1966). Le richieste di liberare il Primate di Polonia si fecero sempre più pressanti e finalmente Władysław Gomułka (1905-1982), il nuovo Primo Segretario del Partito comunista polacco, dovette cedere: il 28 ottobre 1956, dopo tre anni di prigionia, il cardinale Wyszyński tornò nella capitale. Il Primate cercò di trovare un’intesa con Gomułka, ma le divergenze sul loro modo di concepire la libertà della Chiesa e dell’individuo erano insormontabili.
Il sistema comunista rimaneva, anche dopo la morte di Stalin, un sistema totalitario che combatteva ed eliminava ogni oppositore. Come nota uno degli storici della Polonia, Peter Raina, uno degli scopi principali del totalitarismo comunista era la distruzione psicologica o l’eliminazione fisica degli oppositori (3). La persecuzione fisica consisteva nell’uso della violenza, compreso l’assassinio. Il terrore psicologico serviva a distruggere la personalità dell’uomo. Ogni cittadino poteva trovarsi in una situazione «senza uscita». Tutti dovevano essere coscienti che la loro vita privata, la carriera professionale e il futuro dipendevano dai Servizi di Sicurezza (in polacco Służby Bezpieczeństwa o SB).
Trattando la religione come «l’oppio dei popoli», i comunisti percepivano la Chiesa come nemica del sistema e ostacolo nella creazione dell’homo sovieticus; perciò, divenne il bersaglio principale dei servizi. L’apparato di sicurezza faceva parte della struttura del Ministero degli Interni (MSW), dove esisteva un dipartimento speciale, il cosiddetto Dipartimento IV, che si occupava specificamente della lotta contro la Chiesa o, come si diceva, contro il «clero reazionario». Esisteva anche uno speciale ufficio investigativo («Biuro C»), che raccoglieva tutte le informazioni riguardanti le persone «sospette».
I servizi segreti preparavano dossier per ogni ecclesistico, denominati «Dossier di registrazioni operative del sacerdote». A dire il vero, tali dossier venivano preparati non appena qualcuno entrava in seminario e il regime faceva di tutto per scoraggiare i giovani seminaristi a continuare gli studi, prima di tutto costringendoli a fare due anni di duro servizio militare. I funzionari del regime erano interessati a tutto, compresa la famiglia del sacerdote, la sua situazione economica, le opinioni, i mezzi di sussistenza e persino se possedeva una TV o un’auto. Venivano registrate le omelie e controllate tutte le attività. Negli anni 1970 circa un migliaio di funzionari lavoravano esclusivamente per controllare la Chiesa.
I Servizi di Sicurezza usavano due metodi. Il primo era la politica anti-ecclesiale delle autorità, per esempio l’abolizione delle lezioni di religione nelle scuole, il divieto di organizzazione delle cerimonie religiose, gli impedimenti all’uso dei media da parte della Chiesa. Il secondo metodo, molto più perfido, consisteva nel terrorismo psicologico. I modi erano molteplici. I sacerdoti più zelanti venivano accusati di attività contro lo Stato e di servizio al nemico imperialista. Successivamente venivano processati in spettacolari processi-farsa, che si concludevano con condanne alla pena capitale o a lunghe pene di detenzione.
Ma, prima di tutto, i servizi cercavano di compromettere il sacerdote per poterlo ricattare. Era una prassi comune raccogliere tutte le informazioni possibili circa le abitudini di ogni presbitero: se gli piacevano gli alcolici o le donne, o se provava frustrazione nel suo lavoro. Spesso, s’impiegavano gli agenti-donne per creare qualche situazione compromettente per il sacerdote. Allora, potendolo ricattare, gli si faceva una proposta di collaborazione con i servizi, che consisteva nel fornire le informazioni circa la situazione in parrocchia, l’attività del parroco, il comportamento e le convinzioni del vescovo.
Ma si usava anche il metodo della carota e del bastone: si passava dalle minacce alle offerte di aiuto, per esempio per la costruzione di una nuova chiesa, se il vescovo avesse promesso di prendere le distanze dal Primate. Di solito i vescovi rifiutavano qualsiasi collaborazione e per questo motivo le chiese non venivano costruite e la Guardia di finanza controllava con cattiveria i conti e le tasse delle parrocchie. Questo metodo veniva applicato anche nell’ambito delle attività editoriali della Chiesa permesse dallo Stato. Siccome la tiratura delle pubblicazioni dipendeva dalla decisione dell’Ufficio per le Confessioni Religiose, che collaborava con i servizi segreti, si prometteva di dare il permesso per aumentarla o di fornire più carta, la cui distribuzione era nelle mani dello Stato, se i responsabili delle riviste si fossero impegnati a fornire le informazioni riguardanti i membri della redazione o cose simili. Certi responsabili, con il permesso verbale dei superiori, accettavano tali ricatti perché la possibilità di aumentare la tiratura della stampa religiosa veniva percepita come prioritaria.
Chi non si piegava o «disturbava» troppo poteva essere anche assassinato: conosciamo i nomi di diciotto sacerdoti uccisi dai sicari del regime comunista. Nel mondo è noto il beato Jerzy Popiełuszko (1947-1984), ma bisogna ricordare anche gli altri, come Władysław Gurgacz (1914-1949), Stefan Niedzielak (1914-1989), Stanisław Suchowolec (1958-1989) o Sylwester Zych (1950-1989).
Rapporti con il santuario mariano di Jasna Góra e il Giuramento della Nazione Polacca
Il cardinale Wyszyński, confinato prima nel convento francescano di Prudnik e poi nel convento delle Suore di Nazareth a Komańcza, sotto l’influenza della lettura del romanzo Il diluvio, di Henryk Sienkiewicz (1846-1916), il 16 maggio 1956 scrisse il testo del Giuramento nazionale, che doveva essere un rinnovo dei voti del re Giovanni II Casimiro Vasa (1609-1672) nel loro 300° anniversario. Si trattava dei cosiddetti «Voti di Leopoli», giuramento prestato dal re il 1° aprile 1656 durante l’invasione svedese — il cosiddetto «Diluvio svedese» — nella cattedrale dell’Assunzione della Beata Vergine Maria a Leopoli, in occasione della Messa celebrata dal nunzio Pietro Vidoni (1610-1681) davanti all’immagine di Nostra Signora delle Grazie. L’autore del testo era sant’Andrea Bobola (1591-1657). La Polonia in quell’occasione era stata quasi interamente occupata da svedesi e russi e i voti reali dovevano mobilitare l’intera società a combattere gli invasori. Il re affidò la Polonia alla protezione della Madre di Dio, che chiamò «Regina della Corona polacca», e promise che avrebbe migliorato la situazione dei contadini e dei cittadini non appena il Paese fosse stato liberato dall’occupazione.
Il 26 agosto 1956 i pellegrini, circa un milione, radunati a Jasna Góra, poterono ascoltare le parole del giuramento, lette da mons. Michał Klepacz (1893-1967) in qualità di presidente dell’episcopato polacco. Il testo era stato segretamente consegnato al generale dei monaci dell’Ordine di San Paolo Primo Eremita, padre Alojzy Wrzalik (1905-1957). Jasna Góra era il santuario preferito dal Primate, che vi si recava spesso per le sue celebrazioni e vi teneva occasionalmente omelie o sermoni.
Negli anni 1957-1966 celebrò il Millennio del Battesimo della Polonia, preceduto, su sua iniziativa, dai nove anni della Grande Novena del Millennio. Papa san Paolo VI (1963-1978), da lui invitato, doveva recarsi a Jasna Góra per le celebrazioni principali il 3 maggio 1966, ma le autorità non lo permisero. Durante l’omelia per la processione del Corpus Domini a Varsavia, il 20 giugno 1957, il cardinale Wyszyński annunciò il pellegrinaggio di una copia dell’icona miracolosa della Madonna di Częstochowa in tutte le parrocchie della Polonia.
Gli anni della preparazione per l’anniversario del Battesimo coincisero con i lavori del Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965). Il cardinale partecipò attivamente ai lavori di tutte e quattro le sessioni del concilio. Su richiesta sua e dell’episcopato polacco, il 21 novembre 1964 san Paolo VI proclamò solennemente Maria Madre della Chiesa nell’aula conciliare.
Wyszyński era molto popolare a Roma. Nel 1958 il vaticanista Silvio Negro (1897-1959) così scriveva di lui nella sua opera Vaticano minore: «Il polacco Wyszyński è l’unico cardinale che quando arriva a Roma è ricevuto alla stazione non da pochi amici ma da una folla che gli tributa una dimostrazione, l’unico che sia salutato con applausi per le strade se gli capita di doversi fermare e di essere riconosciuto. La gente vede in lui un martire e un vittorioso, vede nello stesso tempo un buon combattente che è sempre in trincea e che è sempre in pericolo, ed è portata a rendergli impetuosamente testimonianza. Si aggiunga che la patetica e giovanile figura del primate polacco sembra fatta su misura per esprimere tutto questo e per aggiungere comprensione a comprensione e simpatia a simpatia» (4). Queste parole del giornalista riflettono nel modo migliore i sentimenti che la gente di allora nutriva verso il Primate di Polonia, passato alla storia come il Primate del Millennio.
Normalizzazione dei rapporti con le autorità comuniste e ulteriori rapporti con esse
Prima delle elezioni della Camera bassa, il Sejm, nel 1957, l’episcopato polacco, sotto la guida del cardinale Wyszyński, sostenne politicamente Władysław Gomułka, invitando i polacchi a prendere parte al voto. Per tutto il periodo della cosiddetta Repubblica Popolare Polacca la Chiesa non è andata oltre nel sostenere l’azione politica organizzata dalle autorità e quindi nell’accettare il sistema politico comunista. Il Primate era convinto che la Polonia socialista funzionasse in una precisa realtà geopolitica e che a questo riguardo non potesse fare a meno del funzionamento del Partito Operaio Unito Polacco, cioè il partito comunista. Credeva che i cambiamenti dovessero essere perseguiti pacificamente. Nel suo Pro memoria afferma che nella situazione in cui si trovava il Paese fosse necessario evitare tutto ciò che avrebbe potuto portare a sanguinosi conflitti interni e all’intervento straniero.
Durante la rivolta operaia nel dicembre del 1970 era preoccupato per la possibilità di un intervento militare da parte delle forze sovietiche e della Germania Orientale e, di conseguenza, per il mantenimento di una sovranità, anche limitata, da parte della Repubblica Popolare Polacca. Non vedeva alcuna possibilità di opporsi a un simile intervento e temeva l’inutile spargimento di sangue polacco.
Il 5 maggio 1977, il Movimento per la Difesa dei Diritti Umani e Civili chiese al Comitato del Premio Nobel per la Pace del parlamento norvegese di assegnare al cardinale Wyszyński. Il parlamento norvegese non rispose affermativamente a questa richiesta per motivi formali. L’anno seguente, la domanda per il Premio Nobel per la Pace venne presentata anche dall’Unione Mondiale dei Democratici Cristiani.
Durante l’agosto del 1980, preoccupato per la pace e per il bene della nazione, Wyszyński invocò prudenza e responsabilità. Il 26 agosto 1980, a Jasna Góra, pronunciò un’omelia in cui espose la posizione della Chiesa in relazione al nascente sindacato Solidarność. Il Primate era contrario all’attività politica diretta dei sacerdoti.
Rapporti con Karol Wojtyła
Nel 1958 chiese alla Santa Sede di nominare don Karol Wojtyła vescovo: questi divenne così vescovo ausiliare di Cracovia. Bisogna sottolineare che i comunisti cercavano di seminare discordia fra Wyszyński e Wojtyła, ritenendo che questi, più giovane, impegnato in modo attivo nel Concilio Vaticano II, «moderno», sarebbe stato più conciliante. Si sbagliavano di grosso, perché i due lavoravano fianco a fianco, anche quando nel 1967 Wojtyła fu nominato cardinale. Il 22 ottobre 1978 Wyszyński partecipò alla cerimonia inaugurale del pontificato di Giovanni Paolo II e si unì al rito dell’omaggio, cioè il solenne tributo al nuovo Papa da parte dei cardinali. Quando il Primate baciò l’anello del Pontefice, Giovanni Paolo II, in segno di rispetto, si alzò dal trono, gli baciò la mano e lo abbracciò. Nella lettera scritta ai propri connazionali subito dopo l’elezione, Giovanni Paolo II osservò: «Non ci sarebbe sulla cattedra di Pietro questo papa polacco, che oggi pieno di timore di Dio, ma anche di fiducia, inizia un nuovo pontificato, se non ci fosse la tua fede, che non ha indietreggiato dinanzi al carcere e alla sofferenza. Se non ci fosse la tua eroica speranza, la tua fiducia senza limiti nella Madre della Chiesa. Se non ci fosse Jasna Góra, e tutto il periodo della storia della Chiesa nella nostra Patria, unito al tuo ministero di vescovo e di Primate» (5).
Il legame fra i due fu sottolineato anche da Benedetto XVI (2005-2013), che nell’omelia della Messa celebrata in Piazza Piłsudski, a Varsavia, nel 2006, disse: «Dio unì queste due persone non solo mediante la stessa fede, speranza e amore, ma anche mediante le stesse vicende umane, che hanno collegato l’una e l’altra così fortemente alla storia di questo popolo e della Chiesa che vive in esso» (6).
I primi anni del pontificato di Giovanni Paolo II coincisero con grandi sconvolgimenti sociali in Polonia. Il cardinale Wyszyński, anche se era ormai malato, vigilava sulla turbolenta situazione in patria nel periodo della nascita di Solidarność, il primo sindacato libero nel mondo comunista. Durante l’agosto polacco del 1980, preoccupato per la pace e per il bene della nazione, invocò prudenza e responsabilità. Il 3 maggio 1981, festa della Madonna Regina della Polonia, ebbe un colloquio telefonico con Giovanni Paolo II. Le sue condizioni si aggravarono il 13 maggio, perché da Roma arrivò la terrificante notizia dell’attentato al Papa. Wyszyński morì il 28 maggio e il Santo Padre, ricoverato al Policlinico Gemelli, seguì la cerimonia funebre via radio. Il Pontefice gli rese omaggio personalmente in occasione del pellegrinaggio in patria nel giugno 1983, dicendo: «Era un instancabile araldo della dignità d’ogni uomo e del buon nome della Polonia tra le Nazioni d’Europa e del mondo. […] preghiamo il Re dei secoli perché nulla distrugga di questo profondo fondamento, che gli fu dato di stabilire nell’animo del Popolo di Dio nell’intera terra polacca» (7).
Wyszyński era per Karol Wojtyła un fratello maggiore nella fede, un esempio di coraggio e saldezza interiore che influì moltissimo sulla formazione del futuro Giovanni Paolo II. «È Lui la chiave di volta della Chiesa di Varsavia e la chiave di volta di tutta la Chiesa di Polonia» (8), scrisse il Pontefice in un messaggio in occasione della sua morte.
2021: l’Anno del card. Wyszyński
Il parlamento polacco ha stabilito che il 2021 sarebbe stato l’anno del cardinale Wyszyński. Le risoluzioni di entrambi i rami del parlamento — la Camera e il Senato — sottolineano il contributo del Primate del Millennio a servizio di Dio e della patria. Beatificato poco tempo dopo, il presule è accanto a san Giovanni Paolo II, una delle figure principali della Chiesa cattolica nella Polonia del secolo XX, nonché simbolo della resistenza al comunismo. Nel 2021 ricorrevano il 120° compleanno del Primate di Polonia e il 40° anniversario della morte. «Il Primate del Millennio nella sua attività sacerdotale ha prestato attenzione alla dignità innata dell’uomo, da cui derivano tutti i suoi diritti» (9), è scritto nella risoluzione della Camera che ha istituito l’Anno del card. Wyszyński.
Il documento sottolinea che il Primate del Millennio è stato coinvolto non solo nella vita religiosa, ma anche in quella sociale della nazione nella difficile realtà del dopoguerra. Dopo la Seconda Guerra Mondiale la Polonia divenne un Paese completamente dipendente dall’Unione Sovietica. «In quanto uomo di profonda fede e amore per la Chiesa e la Patria, ha cercato un’intesa con le autorità. Tuttavia, quando l’attività delle autorità della Repubblica Popolare Polacca ha minacciato i diritti della Chiesa e dei fedeli, si udii il suo risoluto “Non possumus!” Il Primate della Polonia è stato imprigionato. È diventato un simbolo di un incrollabile atteggiamento di opposizione al male».
«Impossibile descrivere i meriti e il ruolo che il Primate Stefan Wyszyński ha ricoperto per la Polonia e la Chiesa in quegli anni. Insieme a Giovanni Paolo II, sono stati grandi maestri del popolo e hanno sostenuto i Polacchi nei momenti più difficili della storia della nostra Patria» (10), si legge nella risoluzione del Senato.
Il cardinale Stefan Wyszyński è stato beatificato il 12 settembre 2021, durante la solenne Messa a Varsavia presieduta dal cardinale Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi. La sua beatificazione, inizialmente prevista il 7 giugno 2020, è slittata a causa della pandemia. Il processo canonico ha avuto una svolta nel 2018, quando la consulta medica della Congregazione delle Cause dei Santi ha riconosciuto la guarigione miracolosa di una giovane suora di 19 anni, malata di cancro alla tiroide. La sua tomba nella cattedrale di Varsavia è da sempre luogo di continui pellegrinaggi.
Note:
1) Cit. in Wlodzimierz Redzioch, 100 anni fa la vittoria della Polonia sull’Armata Rossa nella Battaglia di Varsavia, Intervista all’Ambasciatore di Polonia presso la Santa Sede Janusz Kotański, in acistampa, del 15-8-2020.
2) Giovanni Paolo II, Parole durante la sosta di preghiera al Cimitero di Radzymin (Varsavia), del 13-6-1999.
3) Cfr. Peter Raina, Kardynał Wyszyński, Oficyna Poetów i Malarzy, Londra 1988.
4) Silvio Negro, Vaticano minore. Altri scritti minori, Neri Pozza, Vicenza 1963, p. 363.
5) Giovanni Paolo II, Lettera ai connazionali polacchi, del 23-10-1978.
6) Benedetto XVI, Omelia durante la celebrazione eucaristica in Piazza Piłsudski, del 26-5-2006.
7) Giovanni Paolo II, Omelia nella Messa della Santa Croce nella Cattedrale di Varsavia, del 16-6-1983.
8) Idem, Lettera ai polacchi per le esequie del cardinale Wyszyński primate di Polonia, del 28-5-1981.
9) Cfr. il testo della risoluzione nel sito web <http://orka.sejm.gov.pl/opinie9.nsf/nazwa/624_u/%24file/624_u.pdf> (gli indirizzi internet dell’intero articolo sono stati consultati il 31-10-2022).
10) Cfr. il testo della risoluzione nel sito web <https://isap.sejm.gov.pl/isap.nsf/download.xsp/WMP20200001169/O/M20201169.pdf>.
Il cardinale Stefan Wyszyński, l’uomo della Provvidenza per la Polonia
Wlodzimierz Redzioch, Cristianità n. 417 (2022)
Relazione, intitolata Un profilo biografico. La Polonia comunista e quella cattolica. Il Primate del Millennio, tenuta il 2 agosto 2022 alla Scuola Estiva San Colombano, organizzata da Alleanza Cattolica dal 1° al 6 agosto a Fornovo di Taro, in provincia di Parma, sul tema San Giovanni Paolo II. Il suo Magistero e la Nuova Evangelizzazione.
Il cardinale Stefan Wyszyński (1901-1981) fu un pastore carismatico e un illustre patriota, difensore della Chiesa e della nazione polacca, perciò viene chiamato «Primate del Millennio». Guidò la nazione polacca attraverso i tragici anni del comunismo, svolgendo talvolta il ruolo di un vero «reggente», l’uomo della Provvidenza per la Polonia. Ma non si può capire questo personaggio della Chiesa senza conoscere la storia della Polonia, che si intreccia strettamente con le sorti della sua vita.
Stefan Wyszyński è nato nel 1901, cittadino dell’impero zarista. La cosa potrebbe sorprendere ma la Polonia come Stato non è esistita per ben 123 anni, dal 1795 al 1918, perché in tre successive spartizioni i potenti vicini, l’Impero Russo, la monarchia asburgica e il Regno di Prussia, si divisero fra loro i territori polacchi e la Polonia sparì dalle carte geografiche dell’Europa. Gli occupanti tentarono di imporre ai polacchi la propria lingua e la propria religione: la lingua tedesca e il protestantesimo nel caso della Prussia, la lingua russa e l’Ortodossia nei territori occupati dalla Russia. Se i polacchi riuscirono a mantenere la loro lingua e la loro religione, lo si deve alla Chiesa cattolica e alle famiglie dove si conservavano le tradizioni, la lingua e la religione cattolica.
Nel 1914, allo scoppio della Prima Guerra Mondiale (1914-1918), le tre potenze occupanti si trovarono su due fronti differenti: la Russia alleata della Francia e del Regno Unito; la Germania e l’Austro-Ungheria alleate fra loro ma sul fronte opposto. Grazie all’autonomia di cui godevano i polacchi nella Galizia, che faceva parte dell’Impero austro-ungarico, in questo territorio si formarono le organizzazioni paramilitari che divennero la base delle Legioni Polacche, con a capo Józef Klemens Piłsudski (1867-1935), e combatterono contro l’esercito zarista. Nel 1917 in Russia fu abbattuto il potere dello zar e le nuove autorità permisero la ricostituzione della Polonia. Dall’altro lato le potenze occidentali riconobbero il Comitato Nazionale Polacco, guidato da Roman Dmowski (1864-1939), come rappresentante della nazione polacca. La Polonia riconquistò l’indipendenza nel novembre 1918 e Piłsudski tornò a Varsavia, dove assunse la carica di capo di Stato. Ma l’indipendenza appena riconquistata fu subito minacciata dalla Russia, non più zarista ma bolscevica, che attaccò la Polonia nel 1920. Tuttavia, il «Miracolo sulla Vistola», ovvero la vittoria dei polacchi nella battaglia di Varsavia, salvò l’Europa dai bolscevichi per i successivi vent’anni. Il giovane Wyszyński poté conoscere il comunismo sovietico già durante quella guerra, cogliendo la dimensione spirituale dello scontro che contrapponeva il cristianesimo al bolscevismo, nel quale vi era la Polonia in prima linea, di nuovo nel ruolo di «antemurale Christianitatis», risalente al secolo XV e legato alla resistenza contro l’espansione musulmana in Europa.
La battaglia combattuta dal 13 al 25 agosto 1920 alle porte di Varsavia sui fiumi Vistola e Narew, fu lo scontro decisivo della guerra sovietico-polacca ed è considerata una delle battaglie più importanti nella storia mondiale. I piani dei bolscevichi erano chiari, come rivelano le parole del comandante sovietico Michail Tuchačevskij (1893-1937): «La via della rivoluzione mondiale passa sul cadavere della Polonia Bianca. Sulle nostre baionette porteremo la felicità e la pace alle masse lavoratrici. Mettiamoci in marcia verso l’Occidente!» (1). Una volta vinta la Polonia, l’Armata Rossa avrebbe proseguito in direzione della Germania, aprendo anche un secondo fronte: attraverso i Monti Carpazi si sarebbe diretta verso la Cecoslovacchia, l’Ungheria e l’Italia. Grazie a questa storica vittoria la Polonia non soltanto riconfermò la propria indipendenza, conquistata due anni prima, ma salvò l’Europa e la civiltà cristiana dall’invasione comunista.
Nell’estate del 1920 a Varsavia si trovava come nunzio apostolico mons. Achille Ratti (1857-1939), il futuro Papa Pio XI (1922-1939), che svolse un ruolo importantissimo. Il nunzio, malgrado la grave minaccia, non lasciò la capitale: anzi, partecipò alle preghiere organizzate durante la battaglia sulla Vistola e si recò sulla linea del fronte per mostrare la propria vicinanza ai combattenti, guadagnandosi la grande stima dei polacchi.
Durante il settimo pellegrinaggio in patria, nel 1999, quando visitò il Cimitero Militare di Radzymin, dove sono sepolti i soldati polacchi morti durante la battaglia di Varsavia nel 1920, Giovanni Paolo II (1978-2005) pronunciò le seguenti parole: «Sapete che sono nato nel 1920, a maggio, quando i bolscevichi decisero di conquistare Varsavia. Ecco perché, dalla mia nascita, porto dentro di me un grande debito verso coloro che intrapresero allora la lotta contro l’invasore e vinsero, a costo della propria vita» (2).
Alla luce di questa esperienza don Wyszyński, ordinato sacerdote nel 1924, accolse con gioia l’enciclica Divini Redemptoris, pubblicata nel 1937 da Pio XI, sottolineandone ilmessaggio centrale: il comunismo non si può conciliare con il cattolicesimo e deve essere combattuto unendo tutte le forze della società.
Gli anni della Seconda Guerra Mondiale (1939-1945) furono per la Polonia gli anni terribili dell’occupazione nazionalsocialista e di quella sovietica. Limitandosi alla persecuzione verso le Chiese e il clero, quasi tremila sacerdoti polacchi sono stati uccisi dagli occupanti. Molti di loro furono deportati nel campo di concentramento di Dachau, dove vennero internati 1773 polacchi, di cui 868 vi persero la vita: per questo motivo il campo tedesco è diventato il luogo principale del martirio del clero polacco. Fra gli uccisi vi erano anche due vescovi: Michał Kozal (1893-1943), ausiliare di Wrocław — beatificato da san Giovanni Paolo II il 10 giugno 1987 —, e Władysław Goral (1898-1945), vescovo di Lublino. Il giorno della liberazione del campo, il 29 aprile 1945, viene ricordato come «Giornata del Martirio del clero polacco durante la Seconda guerra mondiale».
Prima di quel conflitto don Wyszyński condusse, fra l’altro, attività sociali ed educative nei sindacati cristiani e organizzò l’Unione Cattolica dei Giovani Lavoratori. Durante la guerra fu cappellano dell’ospedale di Laski, vicino Varsavia, e dei soldati della clandestina Armata Nazionale.
Purtroppo, con la fine della guerra la Polonia non riconquistò una piena indipendenza, perché divenne parte del blocco sovietico. Già nel 1945 i comunisti polacchi abolirono unilateralmente il Concordato. La propaganda del regime cercava di attaccare incessantemente il venerabile Pio XII (1939-1958), in difesa del quale si alzò anche la voce di mons. Wyszyński, dal 1946 vescovo di Lublino. Wyszyński agiva con prudenza in modo pragmatico e, quando era possibile, cercava di allentare le tensioni. Nel 1948 Pio XII lo volle arcivescovo metropolita di Gniezno e Varsavia, cioè Primate di Polonia. In quel momento la Chiesa si trovava in una situazione tragica in tutta l’Europa orientale, con migliaia di ecclesiastici imprigionati e internati nei campi di lavoro. I più ribelli venivano torturati o uccisi, di nascosto oppure in seguito a processi-farsa.
In quella difficilissima situazione il Primate cercò un possibile modus vivendi con il governo comunista per far sopravvivere la Chiesa, salvare il clero e i fedeli e prepararli a un confronto con il regime totalitario nel futuro. Per questo, nell’aprile del 1950, mons. Wyszyński firmò con il governo comunista un accordo, grazie al quale la Chiesa ottenne alcune garanzie: il mantenimento dell’insegnamento della religione nelle scuole e la sopravvivenza delle scuole cattoliche esistenti, il permesso di pubblicare i giornali cattolici e di fornire assistenza pastorale negli ospedali e nelle prigioni. Il più importante era il quinto paragrafo dell’accordo, in cui si sottolineava cheil Papa era la massima autorità della Chiesa, circa le questioni di fede, moralità e giurisdizione ecclesiastica.
Purtroppo, il regime non rispettò l’accordo: nella Costituzione del 1952 i diritti dei cittadini credenti non furono garantiti, vennero chiusi i seminari e i noviziati, le repressioni e le persecuzioni si moltiplicarono. Il Primate non cedeva e, rischiando, faceva quello che poteva. Dall’arresto lo salvò la nomina cardinalizia, annunciata da Pio XII nell’autunno 1952, ma i comunisti continuarono a combattere la Chiesa: il 9 febbraio 1953 il regime emanò un decreto in cui si stabiliva che gli incarichi ecclesiastici dovessero essere autorizzati dagli organi statali. Secondo le intenzioni delle autorità comuniste, questa mossa doveva infliggere il colpo mortale all’indipendenza della Chiesa in Polonia. Ma a marzo dello stesso anno morì il leader sovietico Iosif Vissarionovič Džugašvili «Stalin» (1878-1953).
Come cambiò la politica dei comunisti polacchi
L’8 maggio del 1953 l’episcopato, dietro la spinta di mons. Wyszyński, pubblicò un memoriale nel quale si constatava che la situazione della Chiesa in Polonia peggiorava e si ricordava che le cose di Dio non si potevano offrire sugli altari di Cesare. Il regime, dopo essersi consultato con il Cremlino, prese la decisione di arrestarlo: venne incarcerato di notte, il 25 settembre 1953, e tenuto in varie prigioni, in isolamento, in pessime condizioni. Ma sopportò tutto eroicamente. Durante la prigionia si dedicava alla preghiera e alla scrittura e proprio in quegli anni redasse il programma della Grande Novena prima del millennio del battesimo della Polonia (1966). Le richieste di liberare il Primate di Polonia si fecero sempre più pressanti e finalmente Władysław Gomułka (1905-1982), il nuovo Primo Segretario del Partito comunista polacco, dovette cedere: il 28 ottobre 1956, dopo tre anni di prigionia, il cardinale Wyszyński tornò nella capitale. Il Primate cercò di trovare un’intesa con Gomułka, ma le divergenze sul loro modo di concepire la libertà della Chiesa e dell’individuo erano insormontabili.
Il sistema comunista rimaneva, anche dopo la morte di Stalin, un sistema totalitario che combatteva ed eliminava ogni oppositore. Come nota uno degli storici della Polonia, Peter Raina, uno degli scopi principali del totalitarismo comunista era la distruzione psicologica o l’eliminazione fisica degli oppositori (3). La persecuzione fisica consisteva nell’uso della violenza, compreso l’assassinio. Il terrore psicologico serviva a distruggere la personalità dell’uomo. Ogni cittadino poteva trovarsi in una situazione «senza uscita». Tutti dovevano essere coscienti che la loro vita privata, la carriera professionale e il futuro dipendevano dai Servizi di Sicurezza (in polacco Służby Bezpieczeństwa o SB).
Trattando la religione come «l’oppio dei popoli», i comunisti percepivano la Chiesa come nemica del sistema e ostacolo nella creazione dell’homo sovieticus; perciò, divenne il bersaglio principale dei servizi. L’apparato di sicurezza faceva parte della struttura del Ministero degli Interni (MSW), dove esisteva un dipartimento speciale, il cosiddetto Dipartimento IV, che si occupava specificamente della lotta contro la Chiesa o, come si diceva, contro il «clero reazionario». Esisteva anche uno speciale ufficio investigativo («Biuro C»), che raccoglieva tutte le informazioni riguardanti le persone «sospette».
I servizi segreti preparavano dossier per ogni ecclesistico, denominati «Dossier di registrazioni operative del sacerdote». A dire il vero, tali dossier venivano preparati non appena qualcuno entrava in seminario e il regime faceva di tutto per scoraggiare i giovani seminaristi a continuare gli studi, prima di tutto costringendoli a fare due anni di duro servizio militare. I funzionari del regime erano interessati a tutto, compresa la famiglia del sacerdote, la sua situazione economica, le opinioni, i mezzi di sussistenza e persino se possedeva una TV o un’auto. Venivano registrate le omelie e controllate tutte le attività. Negli anni 1970 circa un migliaio di funzionari lavoravano esclusivamente per controllare la Chiesa.
I Servizi di Sicurezza usavano due metodi. Il primo era la politica anti-ecclesiale delle autorità, per esempio l’abolizione delle lezioni di religione nelle scuole, il divieto di organizzazione delle cerimonie religiose, gli impedimenti all’uso dei media da parte della Chiesa. Il secondo metodo, molto più perfido, consisteva nel terrorismo psicologico. I modi erano molteplici. I sacerdoti più zelanti venivano accusati di attività contro lo Stato e di servizio al nemico imperialista. Successivamente venivano processati in spettacolari processi-farsa, che si concludevano con condanne alla pena capitale o a lunghe pene di detenzione.
Ma, prima di tutto, i servizi cercavano di compromettere il sacerdote per poterlo ricattare. Era una prassi comune raccogliere tutte le informazioni possibili circa le abitudini di ogni presbitero: se gli piacevano gli alcolici o le donne, o se provava frustrazione nel suo lavoro. Spesso, s’impiegavano gli agenti-donne per creare qualche situazione compromettente per il sacerdote. Allora, potendolo ricattare, gli si faceva una proposta di collaborazione con i servizi, che consisteva nel fornire le informazioni circa la situazione in parrocchia, l’attività del parroco, il comportamento e le convinzioni del vescovo.
Ma si usava anche il metodo della carota e del bastone: si passava dalle minacce alle offerte di aiuto, per esempio per la costruzione di una nuova chiesa, se il vescovo avesse promesso di prendere le distanze dal Primate. Di solito i vescovi rifiutavano qualsiasi collaborazione e per questo motivo le chiese non venivano costruite e la Guardia di finanza controllava con cattiveria i conti e le tasse delle parrocchie. Questo metodo veniva applicato anche nell’ambito delle attività editoriali della Chiesa permesse dallo Stato. Siccome la tiratura delle pubblicazioni dipendeva dalla decisione dell’Ufficio per le Confessioni Religiose, che collaborava con i servizi segreti, si prometteva di dare il permesso per aumentarla o di fornire più carta, la cui distribuzione era nelle mani dello Stato, se i responsabili delle riviste si fossero impegnati a fornire le informazioni riguardanti i membri della redazione o cose simili. Certi responsabili, con il permesso verbale dei superiori, accettavano tali ricatti perché la possibilità di aumentare la tiratura della stampa religiosa veniva percepita come prioritaria.
Chi non si piegava o «disturbava» troppo poteva essere anche assassinato: conosciamo i nomi di diciotto sacerdoti uccisi dai sicari del regime comunista. Nel mondo è noto il beato Jerzy Popiełuszko (1947-1984), ma bisogna ricordare anche gli altri, come Władysław Gurgacz (1914-1949), Stefan Niedzielak (1914-1989), Stanisław Suchowolec (1958-1989) o Sylwester Zych (1950-1989).
Rapporti con il santuario mariano di Jasna Góra e il Giuramento della Nazione Polacca
Il cardinale Wyszyński, confinato prima nel convento francescano di Prudnik e poi nel convento delle Suore di Nazareth a Komańcza, sotto l’influenza della lettura del romanzo Il diluvio, di Henryk Sienkiewicz (1846-1916), il 16 maggio 1956 scrisse il testo del Giuramento nazionale, che doveva essere un rinnovo dei voti del re Giovanni II Casimiro Vasa (1609-1672) nel loro 300° anniversario. Si trattava dei cosiddetti «Voti di Leopoli», giuramento prestato dal re il 1° aprile 1656 durante l’invasione svedese — il cosiddetto «Diluvio svedese» — nella cattedrale dell’Assunzione della Beata Vergine Maria a Leopoli, in occasione della Messa celebrata dal nunzio Pietro Vidoni (1610-1681) davanti all’immagine di Nostra Signora delle Grazie. L’autore del testo era sant’Andrea Bobola (1591-1657). La Polonia in quell’occasione era stata quasi interamente occupata da svedesi e russi e i voti reali dovevano mobilitare l’intera società a combattere gli invasori. Il re affidò la Polonia alla protezione della Madre di Dio, che chiamò «Regina della Corona polacca», e promise che avrebbe migliorato la situazione dei contadini e dei cittadini non appena il Paese fosse stato liberato dall’occupazione.
Il 26 agosto 1956 i pellegrini, circa un milione, radunati a Jasna Góra, poterono ascoltare le parole del giuramento, lette da mons. Michał Klepacz (1893-1967) in qualità di presidente dell’episcopato polacco. Il testo era stato segretamente consegnato al generale dei monaci dell’Ordine di San Paolo Primo Eremita, padre Alojzy Wrzalik (1905-1957). Jasna Góra era il santuario preferito dal Primate, che vi si recava spesso per le sue celebrazioni e vi teneva occasionalmente omelie o sermoni.
Negli anni 1957-1966 celebrò il Millennio del Battesimo della Polonia, preceduto, su sua iniziativa, dai nove anni della Grande Novena del Millennio. Papa san Paolo VI (1963-1978), da lui invitato, doveva recarsi a Jasna Góra per le celebrazioni principali il 3 maggio 1966, ma le autorità non lo permisero. Durante l’omelia per la processione del Corpus Domini a Varsavia, il 20 giugno 1957, il cardinale Wyszyński annunciò il pellegrinaggio di una copia dell’icona miracolosa della Madonna di Częstochowa in tutte le parrocchie della Polonia.
Gli anni della preparazione per l’anniversario del Battesimo coincisero con i lavori del Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965). Il cardinale partecipò attivamente ai lavori di tutte e quattro le sessioni del concilio. Su richiesta sua e dell’episcopato polacco, il 21 novembre 1964 san Paolo VI proclamò solennemente Maria Madre della Chiesa nell’aula conciliare.
Wyszyński era molto popolare a Roma. Nel 1958 il vaticanista Silvio Negro (1897-1959) così scriveva di lui nella sua opera Vaticano minore: «Il polacco Wyszyński è l’unico cardinale che quando arriva a Roma è ricevuto alla stazione non da pochi amici ma da una folla che gli tributa una dimostrazione, l’unico che sia salutato con applausi per le strade se gli capita di doversi fermare e di essere riconosciuto. La gente vede in lui un martire e un vittorioso, vede nello stesso tempo un buon combattente che è sempre in trincea e che è sempre in pericolo, ed è portata a rendergli impetuosamente testimonianza. Si aggiunga che la patetica e giovanile figura del primate polacco sembra fatta su misura per esprimere tutto questo e per aggiungere comprensione a comprensione e simpatia a simpatia» (4). Queste parole del giornalista riflettono nel modo migliore i sentimenti che la gente di allora nutriva verso il Primate di Polonia, passato alla storia come il Primate del Millennio.
Normalizzazione dei rapporti con le autorità comuniste e ulteriori rapporti con esse
Prima delle elezioni della Camera bassa, il Sejm, nel 1957, l’episcopato polacco, sotto la guida del cardinale Wyszyński, sostenne politicamente Władysław Gomułka, invitando i polacchi a prendere parte al voto. Per tutto il periodo della cosiddetta Repubblica Popolare Polacca la Chiesa non è andata oltre nel sostenere l’azione politica organizzata dalle autorità e quindi nell’accettare il sistema politico comunista. Il Primate era convinto che la Polonia socialista funzionasse in una precisa realtà geopolitica e che a questo riguardo non potesse fare a meno del funzionamento del Partito Operaio Unito Polacco, cioè il partito comunista. Credeva che i cambiamenti dovessero essere perseguiti pacificamente. Nel suo Pro memoria afferma che nella situazione in cui si trovava il Paese fosse necessario evitare tutto ciò che avrebbe potuto portare a sanguinosi conflitti interni e all’intervento straniero.
Durante la rivolta operaia nel dicembre del 1970 era preoccupato per la possibilità di un intervento militare da parte delle forze sovietiche e della Germania Orientale e, di conseguenza, per il mantenimento di una sovranità, anche limitata, da parte della Repubblica Popolare Polacca. Non vedeva alcuna possibilità di opporsi a un simile intervento e temeva l’inutile spargimento di sangue polacco.
Il 5 maggio 1977, il Movimento per la Difesa dei Diritti Umani e Civili chiese al Comitato del Premio Nobel per la Pace del parlamento norvegese di assegnare al cardinale Wyszyński. Il parlamento norvegese non rispose affermativamente a questa richiesta per motivi formali. L’anno seguente, la domanda per il Premio Nobel per la Pace venne presentata anche dall’Unione Mondiale dei Democratici Cristiani.
Durante l’agosto del 1980, preoccupato per la pace e per il bene della nazione, Wyszyński invocò prudenza e responsabilità. Il 26 agosto 1980, a Jasna Góra, pronunciò un’omelia in cui espose la posizione della Chiesa in relazione al nascente sindacato Solidarność. Il Primate era contrario all’attività politica diretta dei sacerdoti.
Rapporti con Karol Wojtyła
Nel 1958 chiese alla Santa Sede di nominare don Karol Wojtyła vescovo: questi divenne così vescovo ausiliare di Cracovia. Bisogna sottolineare che i comunisti cercavano di seminare discordia fra Wyszyński e Wojtyła, ritenendo che questi, più giovane, impegnato in modo attivo nel Concilio Vaticano II, «moderno», sarebbe stato più conciliante. Si sbagliavano di grosso, perché i due lavoravano fianco a fianco, anche quando nel 1967 Wojtyła fu nominato cardinale. Il 22 ottobre 1978 Wyszyński partecipò alla cerimonia inaugurale del pontificato di Giovanni Paolo II e si unì al rito dell’omaggio, cioè il solenne tributo al nuovo Papa da parte dei cardinali. Quando il Primate baciò l’anello del Pontefice, Giovanni Paolo II, in segno di rispetto, si alzò dal trono, gli baciò la mano e lo abbracciò. Nella lettera scritta ai propri connazionali subito dopo l’elezione, Giovanni Paolo II osservò: «Non ci sarebbe sulla cattedra di Pietro questo papa polacco, che oggi pieno di timore di Dio, ma anche di fiducia, inizia un nuovo pontificato, se non ci fosse la tua fede, che non ha indietreggiato dinanzi al carcere e alla sofferenza. Se non ci fosse la tua eroica speranza, la tua fiducia senza limiti nella Madre della Chiesa. Se non ci fosse Jasna Góra, e tutto il periodo della storia della Chiesa nella nostra Patria, unito al tuo ministero di vescovo e di Primate» (5).
Il legame fra i due fu sottolineato anche da Benedetto XVI (2005-2013), che nell’omelia della Messa celebrata in Piazza Piłsudski, a Varsavia, nel 2006, disse: «Dio unì queste due persone non solo mediante la stessa fede, speranza e amore, ma anche mediante le stesse vicende umane, che hanno collegato l’una e l’altra così fortemente alla storia di questo popolo e della Chiesa che vive in esso» (6).
I primi anni del pontificato di Giovanni Paolo II coincisero con grandi sconvolgimenti sociali in Polonia. Il cardinale Wyszyński, anche se era ormai malato, vigilava sulla turbolenta situazione in patria nel periodo della nascita di Solidarność, il primo sindacato libero nel mondo comunista. Durante l’agosto polacco del 1980, preoccupato per la pace e per il bene della nazione, invocò prudenza e responsabilità. Il 3 maggio 1981, festa della Madonna Regina della Polonia, ebbe un colloquio telefonico con Giovanni Paolo II. Le sue condizioni si aggravarono il 13 maggio, perché da Roma arrivò la terrificante notizia dell’attentato al Papa. Wyszyński morì il 28 maggio e il Santo Padre, ricoverato al Policlinico Gemelli, seguì la cerimonia funebre via radio. Il Pontefice gli rese omaggio personalmente in occasione del pellegrinaggio in patria nel giugno 1983, dicendo: «Era un instancabile araldo della dignità d’ogni uomo e del buon nome della Polonia tra le Nazioni d’Europa e del mondo. […] preghiamo il Re dei secoli perché nulla distrugga di questo profondo fondamento, che gli fu dato di stabilire nell’animo del Popolo di Dio nell’intera terra polacca» (7).
Wyszyński era per Karol Wojtyła un fratello maggiore nella fede, un esempio di coraggio e saldezza interiore che influì moltissimo sulla formazione del futuro Giovanni Paolo II. «È Lui la chiave di volta della Chiesa di Varsavia e la chiave di volta di tutta la Chiesa di Polonia» (8), scrisse il Pontefice in un messaggio in occasione della sua morte.
2021: l’Anno del card. Wyszyński
Il parlamento polacco ha stabilito che il 2021 sarebbe stato l’anno del cardinale Wyszyński. Le risoluzioni di entrambi i rami del parlamento — la Camera e il Senato — sottolineano il contributo del Primate del Millennio a servizio di Dio e della patria. Beatificato poco tempo dopo, il presule è accanto a san Giovanni Paolo II, una delle figure principali della Chiesa cattolica nella Polonia del secolo XX, nonché simbolo della resistenza al comunismo. Nel 2021 ricorrevano il 120° compleanno del Primate di Polonia e il 40° anniversario della morte. «Il Primate del Millennio nella sua attività sacerdotale ha prestato attenzione alla dignità innata dell’uomo, da cui derivano tutti i suoi diritti» (9), è scritto nella risoluzione della Camera che ha istituito l’Anno del card. Wyszyński.
Il documento sottolinea che il Primate del Millennio è stato coinvolto non solo nella vita religiosa, ma anche in quella sociale della nazione nella difficile realtà del dopoguerra. Dopo la Seconda Guerra Mondiale la Polonia divenne un Paese completamente dipendente dall’Unione Sovietica. «In quanto uomo di profonda fede e amore per la Chiesa e la Patria, ha cercato un’intesa con le autorità. Tuttavia, quando l’attività delle autorità della Repubblica Popolare Polacca ha minacciato i diritti della Chiesa e dei fedeli, si udii il suo risoluto “Non possumus!” Il Primate della Polonia è stato imprigionato. È diventato un simbolo di un incrollabile atteggiamento di opposizione al male».
«Impossibile descrivere i meriti e il ruolo che il Primate Stefan Wyszyński ha ricoperto per la Polonia e la Chiesa in quegli anni. Insieme a Giovanni Paolo II, sono stati grandi maestri del popolo e hanno sostenuto i Polacchi nei momenti più difficili della storia della nostra Patria» (10), si legge nella risoluzione del Senato.
Il cardinale Stefan Wyszyński è stato beatificato il 12 settembre 2021, durante la solenne Messa a Varsavia presieduta dal cardinale Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi. La sua beatificazione, inizialmente prevista il 7 giugno 2020, è slittata a causa della pandemia. Il processo canonico ha avuto una svolta nel 2018, quando la consulta medica della Congregazione delle Cause dei Santi ha riconosciuto la guarigione miracolosa di una giovane suora di 19 anni, malata di cancro alla tiroide. La sua tomba nella cattedrale di Varsavia è da sempre luogo di continui pellegrinaggi.
Note:
1) Cit. in Wlodzimierz Redzioch, 100 anni fa la vittoria della Polonia sull’Armata Rossa nella Battaglia di Varsavia, Intervista all’Ambasciatore di Polonia presso la Santa Sede Janusz Kotański, in acistampa, del 15-8-2020.
2) Giovanni Paolo II, Parole durante la sosta di preghiera al Cimitero di Radzymin (Varsavia), del 13-6-1999.
3) Cfr. Peter Raina, Kardynał Wyszyński, Oficyna Poetów i Malarzy, Londra 1988.
4) Silvio Negro, Vaticano minore. Altri scritti minori, Neri Pozza, Vicenza 1963, p. 363.
5) Giovanni Paolo II, Lettera ai connazionali polacchi, del 23-10-1978.
6) Benedetto XVI, Omelia durante la celebrazione eucaristica in Piazza Piłsudski, del 26-5-2006.
7) Giovanni Paolo II, Omelia nella Messa della Santa Croce nella Cattedrale di Varsavia, del 16-6-1983.
8) Idem, Lettera ai polacchi per le esequie del cardinale Wyszyński primate di Polonia, del 28-5-1981.
9) Cfr. il testo della risoluzione nel sito web <http://orka.sejm.gov.pl/opinie9.nsf/nazwa/624_u/%24file/624_u.pdf> (gli indirizzi internet dell’intero articolo sono stati consultati il 31-10-2022).
10) Cfr. il testo della risoluzione nel sito web <https://isap.sejm.gov.pl/isap.nsf/download.xsp/WMP20200001169/O/M20201169.pdf>.