
Un falso del IV secolo impensabile senza le affinità tra lo stoicismo di Seneca e il cristianesimo
di Leonardo Gallotta
Da numerosi codici che vanno dal IX al XIV secolo, ci è pervenuto un corpus di quattordici lettere scritte in latino, con il titolo Epistolae Senecae ad Paulum et Pauli ad Senecam. Di esse sei sono di san Paolo e otto di Seneca. Lucio Anneo Seneca (4 a.C. – 65 circa) e Paolo di Tarso (4 d.C. – 67) erano contemporanei e Paolo era un ebreo ellenizzato che godeva della cittadinanza romana sin dalla nascita. Paolo fu imprigionato dai romani a Gerusalemme con l’accusa di turbare l’ordine pubblico, ma appellatosi al giudizio dell’imperatore (cosa possibile dato il suo status di cittadino romano), fu condotto a Roma riuscendo, pure agli arresti domiciliari, a continuare la sua predicazione. Vittima della persecuzione neroniana, morì, nel 67 d.C. decapitato. Seneca, nativo di Cordova, si trasferì a Roma negli anni del periodo augusteo, fu precettore di Nerone, dal quale poi si allontanò dopo che l’imperatore aveva manifestato un carattere crudele e dispotico, intollerante di consigli e di correzione. Dopo il fallimento della congiura dei Pisoni per i quali Seneca aveva simpatizzato, fu spinto a suicidarsi nel 65 d.C. Fu tra i maggiori esponenti dello stoicismo eclettico di età imperiale, la cosiddetta Nuova Stoà.
Posta la contemporaneità di Seneca e dell’apostolo Paolo, occorre stabilire a quando risale il testo del carteggio fra i due tramandatoci dai codici. In base alla testimonianza dell’apologeta cristiano Lattanzio (250 – 325 circa) è stato individuato come termine post quem il 324 circa, anno in cui portò a termine la revisione, con aggiunte, della sua opera maggiore, cioè le Divinae Institutiones, mentre quello ante quem è stabilito con certezza nel 392, anno nel quale san Girolamo (347 – 420 d.C.) nel De viris illustribus, dimostra di essere a conoscenza di quella corrispondenza. Stabilito dunque il tempo in cui per la prima volta si sa della sua esistenza, cioè il IV secolo, occorre allora porsi la domanda sulla autenticità delle lettere. È però preliminarmente necessario sgombrare il campo dalla leggenda di una conversione di Seneca al cristianesimo, anche perché lo stesso san Girolamo in nessuno dei suoi scritti mai considerò cristiano Seneca e mai si pronunciò sull’autenticità del carteggio.
Tuttavia, sempre nel De viris illustribus, lo stesso Girolamo aveva scritto: “Celso, Porfirio, Giuliano, questi cani arrabbiati contro Cristo, così come i loro seguaci che pensano che la Chiesa non abbia mai avuto oratori, filosofi e colti dottori, sappiano quali uomini di valore l’hanno fondata, edificata e illustrata e smettano le loro sommarie accuse di rozza semplicità contro la nostra fede”. Allora, anche se non si pronunciò apertamente, si può reputare che san Girolamo ritenesse probabile una amicizia tra Paolo e un intellettuale del livello di Seneca, in quanto tornava a vantaggio del prestigio della nascente religione cristiana e dei suoi maggiori rappresentanti.
Quanto al contenuto dell’epistolario, non ci si deve immaginare un carteggio di alta filosofia e teologia. Spesso Seneca riconosce la maestà dei pensieri di Paolo “meravigliosamente esortanti a una retta condotta morale” e cita anche alcune Lettere di Paolo alle Chiese d’oriente. Da parte sua Paolo mostra grande deferenza nei confronti del filosofo che considera “grande maestro di retorica” e lo ringrazia dell’attenzione ai suoi scritti. Molte epistole, tuttavia, sono di pura comunicazione, anche se comunque mettono in evidenza la dimestichezza di Seneca con la corte imperiale.
A partire dal XIV secolo, con la critica filologica umanistica, Lorenzo Valla ed Erasmo da Rotterdam contestarono apertamente l’autenticità della corrispondenza e oggi quasi tutti gli studiosi sono d’accordo nel ritenere il Carteggio opera di un falsario non identificabile e secondo altri di due od anche tre diversi. Il carteggio, ormai è assodato, è dunque un falso e tuttavia un altro interrogativo si pone: si può ipotizzare che comunque Seneca e san Paolo si conoscessero e avessero un rapporto di amicizia personale e intellettuale? A metà dell’Ottocento fu Amédée Fleury a sottolineare le assonanze del pensiero cristiano con quello di Seneca, da cui dedusse la possibilità di contatti fra le due personalità, supportando tale tesi col fatto che il fratello del filosofo, il proconsole dell’Acaia Gallione aveva conosciuto Paolo, trascinato in giudizio davanti a lui da alcuni ebrei per aver predicato in Corinto in maniera contraria alla Legge. Aveva risposto Gallione che se non si trattava di reati penali, ma di questioni di parole, di nomi e della loro Legge, se la vedessero loro, perché non voleva essere giudice di tali cose (Atti degli Apostoli, 18, 12-17) e li cacciò dal tribunale. Il Fleury pensa che Gallione, avendo conosciuto Paolo e le sue idee, ne abbia poi parlato a Seneca.
Nel 1867 l’archeologo pontificio Giovanni Battista Rossi scoprì ad Ostia un’iscrizione della fine del II secolo dove sono nominati degli Annei chiaramente cristiani (*), per cui dedusse che, siccome dei membri della famiglia degli Annei erano cristiani, lo fosse anche il loro celebre antenato. Infine la storica Marta Sordi, partendo da tale iscrizione, ha sostenuto che: a) quando Paolo giunse a Roma fra il 56 e il 58 Seneca era l’uomo più potente dopo Nerone b) Paolo aveva amicizie fra i pretoriani, tra cui Afranio Burro, capo del Pretorio, a sua volta amico di Seneca c) il fratello di Seneca Gallione, come già abbiamo ricordato, era favorevolmente intervenuto a favore di Paolo, trascinato in giudizio da alcuni ebrei. Per tali motivi la nota storica ha ritenuto che un rapporto personale fra i due è molto probabile che ci sia stato.
Terminiamo ora evidenziando alcune affinità tra lo stoicismo senechiano e il cristianesimo. Ad esempio per Seneca il Logos (Deus) è la causa attiva che produce (logos spermatikòs) e regge il mondo intero (provvedendo al suo ordine e sviluppo), è la base, il fondamento di tutto ciò che si manifesta nel mondo. Il Logos (Deus) possiede in se stesso gli archetipi di tutte le cose. È causa prima e suprema di tutto, è quindi anche causa di tutte le cause ed è causa di se stesso (Matteo Perrini). Certamente non bisogna ritenere il Dio-Logos di Seneca (intriso di immanentismo e panteismo) simile al Dio personale cristiano e tuttavia ha detto Max Pohlenz: “incontriamo continuamente in Seneca delle espressioni che ci lasciano capire quanto inclinasse ad una concezione personale della divinità”.
E poi c’è il Seneca morale che nel De ira invita all’esame di coscienza prima di andare a dormire. Poi nel De providentia si pone il problema delle avversità che in genere paiono capitare ai buoni e che Seneca risolve affermando che la provvidenza mette in tal modo a prova la loro virtù nell’avere qualcosa contro cui combattere per il proprio perfezionamento interiore. Ma è soprattutto nelle Epistulae morales ad Lucilium che riscontriamo le maggiori affinità col cristianesimo. Ricordiamo che anche per Seneca 4 sono le virtù principali: Saggezza, Coraggio, Giustizia, Temperanza. Per essere temperanti, ecco l’invito a pensare alla brevità della vita e guardare alla morte. E ancora: solo i beni interiori devono essere sentiti come gli unici che valgono, perché intangibili ed eterni. Poi ancora la filantropia e l’amore per il prossimo: si vis amari, ama! Sul problema degli schiavi, rivolto a Lucilio: “Devi tu ben riflettere a questo: che quello che tu chiami tuo schiavo ha la stessa origine tua, usufruisce del medesimo cielo, respira, vive, muore come te” (Epistola 47).
Infine un anelito verso il cielo: “La vita mortale è una sosta. Un’altra esistenza ci attende, un’altra condizione: questo giorno della morte, che tanto si paventa come l’ultimo, è invece il giorno in cui si nasce all’eternità” (Epistola 102). Detto questo, come non si può concordare con Tertulliano che di Seneca dice saepe noster, spesso nostro, cioè cristiano?
Sabato, 25 gennaio 2025
(*) Ecco il testo dell’iscrizione: D.M /M. ANNAEO /PAULO PETRO /M. ANNAEUS PAULUS /FILIO CARISSIMO.