Domenica 4 settembre i cileni, con una maggioranza del 62% contro il 38%, hanno bocciato il progetto di nuova Costituzione appoggiato dal presidente di sinistra Gabriel Boric. Al referendum ha partecipato la quasi totalità dei 15 milioni di cittadini aventi diritto al voto
di Stefano Nitoglia
La clamorosa bocciatura della nuova Carta costituzionale dello Stato cileno è stata un sonoro schiaffo in faccia al presidente Grabiel Boric, che aveva puntato molto sull’approvazione della bozza della Costituzione, della quale era stato anche uno dei redattori, che avrebbe dovuto sostituire la precedente di Augusto Pinochet, promulgata nel 1980 e tutt’ora in vigore.
Il progetto di elaborare una nuova Costituzione era nato nel 2019, nel tentativo di porre fine alle violente manifestazioni organizzate dalla sinistra radicale, anarchica ed ecologista contro il sistema economico liberista cileno e, nel 2020, il 78% dei cileni aveva votato a favore della stesura di una nuova Carta costituzionale. Risultato ribaltato dall’ultimo referendum poiché la nuova Costituzione, definita orgogliosamente dalla sinistra «la più avanzata del mondo», ha suscitato le preoccupazioni e le proteste della maggioranza della popolazione cilena, che evidentemente deve essere ancora conservatrice, a dispetto della recente elezione del presidente Boric.
Il “Comitato del no”, costituito da esponenti del centro-destra, che si è battuto, anche se con scarsa convinzione, contro la nuova Costituzione, ha detto che il suo «rechazo» (rifiuto) è stato un «gesto di saggezza da parte dei cileni» e «una sonora lezione per l’ala più radicale di sinistra e comunista» che ha sostenuto la nuova Costituzione. Secondo l’economista Carlos Herrera, di Condor Insider, questa è stata «la migliore notizia che il Cile ha avuto negli ultimi tre anni». Gli ambientalisti, che l’avevano salutata come «la prima Costituzione ecologista al mondo», sono rimasti, invece, profondamente delusi.
Il testo della nuova Costituzione, «troppo radicale», ha suscitato la reazione della maggioranza della popolazione. Si è trattato di una reazione spontanea, soprattutto popolare, perché i partiti di centro-destra si sono battuti, come detto, con scarsa motivazione. La gran parte dei “No” è venuta, infatti, dalle zone più povere delle città e delle campagne e anche dalle zone abitate dagli indios, mentre i quartieri ricchi e borghesi hanno votato per il “Sì”. La bozza respinta, di impianto radical-socialista ed ecologista, “rifondativa” nel senso che voleva far tabula rasa di quella precedente per ripartire da zero, con un misto di annientamento dello Stato e di economia autogestionaria da parte di microrealtà autonome e autoreferenziali, stabiliva il diritto all’aborto come diritto costituzionale, libero e senza obiezione di coscienza, con riconoscimento, per converso, dei diritti degli animali, dei diritti sessuali e di genere e dell’ambiente, limitava fortemente il diritto di proprietà, la libertà di parola, la pratica della religione, la libertà dei genitori di educare i figli, espandeva a dismisura il ruolo dello Stato nell’economia, faceva del Cile uno Stato «plurinazionale», con la creazione di numerose «nazioni» o gruppi etnici indigeni all’interno del Paese, ognuna con un proprio particolare sistema legale. Voleva l’abolizione del Senato e il controllo dell’ordine giudiziario da parte dell’esecutivo.
Il risultato de referendum è uno smacco per il presidente Boric, eletto nel dicembre scorso con il 55,87% dei consensi, sull’onda del cambiamento che aveva portato al progetto di riforma. Cambiamento amaro, però, perché dall’inizio del suo mandato, l’11 marzo scorso, le cose non sono certo migliorate, anzi. I prezzi e i reati, in particolare gli omicidi, hanno continuato a salire, mentre l’indice di gradimento di Boric è calato.
Boric vuole trasformare il Cile in una delle società più progressiste del mondo ma, evidentemente, la sua politica “rosso-verde” non viene metabolizzata dalla gente e suscita reazioni nella popolazione; e ora dovrà chiedersi perché in nessuna delle regioni del Paese i “Si” alla Costituzione hanno superato i ‘no e perché pure nelle aree abitate in prevalenza da indios ha prevalso il no.
È sintomatico che persino Eduardo Frei Ruiz-Tagle, presidente del Cile dal 1994 al 2000 – figlio dell’ex-presidente Eduardo Frei Montalva, definito da Plinio Correa de Oliveira «il Kerenskij cileno» e un democristiano assai moderato, come il padre -, si sia detto preoccupato dal fatto che la nuova Costituzione avrebbe potuto causare un «equilibrio e divisione dei poteri» tale da mandare il Paese «verso un regime dittatoriale» simile a «quelli nel mondo che stanno diventando frequenti». Traduzione: fare la fine di Venezuela e Nicaragua, due Paesi che hanno cambiato la loro Costituzione negli ultimi tre lustri, con i risultati che oggi sono sotto gli occhi di tutti.
I risultati referendari hanno indotto Boric, probabilmente memore dell’esperienza di Salvador Allende, ad adottare una linea più morbida, chiedendo la collaborazione delle istituzioni e domandando ai presidenti del Senato e della Camera dei Deputati, Álvaro Elizalde e Raúl Soto «che si sviluppi un dialogo nel Congresso nazionale che consenta di stabilire un percorso istituzionale per avanzare nel processo costituente», come ha riferito lo stesso Elizalde: «La voce della gente deve essere ascoltata, non solo in questo giorno, ma in tutto ciò che è accaduto negli ultimi anni». «Non dimentichiamo perché siamo arrivati qui, questo malessere è ancora latente e non possiamo ignorarlo», ha aggiunto, invitando a mettere definitivamente da parte il massimalismo e l’intolleranza.
Tra le prime iniziative di Boric in questo senso, ad appena due giorni dal risultato, vi è stata quella del cambio nella compagine governativa, con la sostituzione di alcuni ministri più radicali con altri più “moderati”, esponenti della vecchia coalizione di centro-sinistra che ha governato il Cile negli ultimi 30 anni. Al ministero dell’Interno il cambiamento più importante, la politologa Carolina Tohá, portavoce del governo della socialista Michelle Bachelet (2000-2006; 2010-2016) e sindaco di Santiago (2012-2016), che ha sostituito Izkia Siches, mentre Giorgio Jackson, uno dei più stretti collaboratori di Boric, segretario generale della Presidenza e incaricato dei rapporti con il Congresso, è stato dirottato a capo del Ministero dello Sviluppo Sociale, la cui carica era vacante. Con questo cambio il presidente si avvicina alle posizioni di Bachelet, che Boric inizialmente, in qualità di leader dell’alleanza di sinistra Broad Front, aveva criticato per essere stata troppo timida nelle riforme sociali ed economiche.
Con questa manovra Boric punta all’approvazione di una Costituzione meno radicale, ma pur sempre rivoluzionaria, con il consenso dei partiti di centro-destra. I giochi in questo senso sono già iniziati e vedremo dove porteranno. Comunque la reazione popolare, del tutto spontanea, c’è stata, ed è stata anche forte. Sarà l’inizio dell’inversione di quel processo che, con Venezuela, Nicaragua, Colombia ecc., sta tingendo di rosso l’America Latina? (cfr. L’America Latina si tinge di rosso?, 23 giugno 2022). O Boric riuscirà a fare un passo indietro per farne, poi, due avanti? È presto per dirlo. Intanto, è stato uno stop per la sinistra. Godiamocelo, allora.
Lunedì, 12 settembre 2022