Oscar Sanguinetti, Cristianità n. 201-202 (1992)
Nella ricostruzione di Pierre Faillant de Villemarest. Natura, storia e metamorfosi dei servizi segreti della Germania socialcomunista attraverso la vita e l’opera di uno dei suoi esponenti più significativi.
Le cronache della caduta del Muro di Berlino, della dissoluzione dello Stato e del potere comunisti nella Germania Orientale e il successivo ritorno alla madrepatria dei cinque Länder occupati dall’Armata Rossa nel 1945, hanno fatto emergere dall’ombra realtà spesso intuite, ma mai sufficientemente illuminate da parte degli osservatori occidentali, anche — ma non solo — a causa delle difficoltà costituite dalla Cortina di Ferro. È il caso dell’apparato poliziesco e spionistico della RDT, la Repubblica Democratica Tedesca, il cui peso determinante nella struttura di potere e nella conservazione al potere della Nomenklatura, cioè della classe dirigente socialcomunista tedesca, è stata messa in risalto anche dagli assalti della popolazione alle sue sedi dopo il crollo del regime. Negli anni seguenti la seconda guerra mondiale, la STASI — acronimo di Staatssicherheit, “sicurezza di Stato”, nome con cui veniva indicato comunemente il complesso degli organi di sicurezza — ha costituito, in analogia con il KGB sovietico, un corpo separato, una sorta di “Stato nello Stato” e il collante del totalitarismo, in quanto strumento per il controllo della società e per la creazione artificiale del consenso al regime.
Contemporaneamente alla “scoperta” della STASI, i media occidentali hanno illuminato con i loro riflettori la figura del generale tedesco-orientale — e, nello stesso tempo, del KGB — Markus Wolf, uno dei massimi esponenti dell’intelligence della RDT, figura interessante sia per il ruolo avuto nei fatti del 1989, sia — e forse di più — in relazione ai suoi ripetuti tentativi di sfuggire alla cattura da parte dei servizi tedesco-federali, culminati nella seconda metà del 1991 con il suo rientro nella Germania riunificata e con una sorta di strano “non luogo a procedere” nei suoi confronti da parte delle autorità federali.
Markus Wolf — noto con il nome di battaglia di “Mischa” — ha popolato ripetutamente i rapporti dei servizi segreti occidentali e alcuni suoi tratti caratteristici — la misteriosità, la rapida ascesa nella Nomenklatura, i successi delle operazioni da lui ideate e talora realizzate in prima persona — hanno contribuito a circondarlo di un alone di leggenda. Sembra che lo scrittore inglese John le Carré — che ha lavorato cinque anni all’Intelligence Service — se ne sia ispirato nell’ideare e nel tratteggiare il personaggio di Karla del romanzo La talpa (1). Ma chi è stato — meglio, forse, chi è — Markus Wolf? Fino a che punto la realtà conferma la leggenda? Che cosa è stata effettivamente la STASI?
1. A queste e ad altre domande risponde il sovietologo e politologo francese Pierre Faillant de Villemarest, grande esperto in dessous, in un’opera puntuale a più titoli — sia per la materia e per la documentazione che per la data di pubblicazione —, Le coup d’État de Markus Wolf. La guerre secrète des deux Allemagnes. 1945-1991 (2), dedicato appunto a Markus Wolf e alla ricostruzione delle vicende del milieu spionistico ruotante attorno alla STASI. La ricerca — di oltre trecento pagine fitte di nomi, di personaggi, di sigle, di dati e di organigrammi, come di consueto nello stile dell’autore — si articola in quattro parti per un totale di sedici capitoli, corredati da un’appendice di note e di fonti, quindi da un insieme di allegati costituiti da informazioni dettagliate sulle principali realtà prese in esame e da dati statistici, organizzativi e finanziari su di esse, nonché — finalmente — da un indispensabile indice dei nomi (3). Il pregio del volume è accresciuto dal fatto che l’autore attinge sovente ai propri ricordi personali di protagonista di parte dei fatti riferiti in quanto membro delle forze di occupazione francesi sul suolo tedesco nel dopoguerra nonché a testimonianze inedite raccolte al tempo della sua militanza nel mondo dei “servizi”. Altre fonti di valore e originali emergono dai ricchi archivi del CEI, il Centre Européen d’Information, di Parigi, il centro di documentazione politico-economica da lui fondato e diretto, come pure dalle relazioni con l’ambiente dei servizi di informazione occidentali che tuttora mantiene.
La tesi di fondo dell’opera è che i servizi segreti tedesco-orientali abbiano sempre costituito, lungo tutta la storia della RDT, l’ambiente nel quale operavano gli elementi più dotati dell’internazionalismo rivoluzionario socialcomunista, gli autentici “rivoluzionari di professione”, appunto come Markus Wolf, che agivano costantemente di concerto con la “casa madre” e ne seguivano — e si incaricavano di imporne — tutte le evoluzioni di linea ideologica e strategica, anche a costo di trovarsi, al limite, in disaccordo oppure addirittura in conflitto con l’establishment socialcomunista locale, quando questo si presentasse come un freno o un ostacolo. È quanto accade all’inizio degli anni Ottanta — e che si era già verificato, secondo il sovietologo francese, nel 1953, alla morte di Josif Vissarionovic Stalin e durante i moti popolari a Berlino Est contro Walter Ulbricht — nei confronti della dirigenza di Erich Honecker, detto ironicamente dai “progressisti” socialcomunisti “Bis-Marx”, giocando sull’assonanza con il cognome del Cancelliere di Ferro, Otto von Bismarck, l’artefice dell’unificazione tedesca nell’Ottocento, e così sottolineando il carattere caricaturalmente marxista del leader.
Pierre Faillant de Villemarest ricava questa tesi soprattutto da un’accurata analisi degli avvenimenti del periodo che va dal 1986 al 1989 — svolta nella prima parte dell’opera, 1989: il colpo di Stato di Markus Wolf (4) —, avvenimenti che costituiscono il preludio della clamorosa dissoluzione della RDT. In quegli anni Markus Wolf e altri “iniziati” di alto livello si rendono conto che la classe dirigente della Germania Orientale non è all’altezza della necessità di integrarsi nel cambiamento di strategia del mondo socialcomunista nel suo complesso — cioè nell’era delle cosiddette glasnost o “trasparenza” e perestrojka o “ristrutturazione” —, inaugurato nell’impero sovietico dall’effimero “regno” di Yuri V. Andropov e continuato con l’avvento al potere di Mikhail S. Gorbaciov — dopo la battuta d’attesa rappresentata da Constantin Cernenko — allo scopo di sfuggire alla gravissima crisi ideologica, politica e soprattutto economica prossima a raggiungere il culmine. L’abbandono del rigore legato al nome di Leonid I. Breznev, la relativa “democratizzazione” del regime, la rifondazione ideologica, espressa nella formula “un comunismo diverso”, una maggiore flessibilità culturale e politica sembrano cambiamenti rispetto ai quali l’anziano dirigente tedesco-orientale, legato a schemi rivoluzionari ormai superati, può costituire un ostacolo. Da questa constatazione nasce una cospirazione “progressista” contro il vertice “conservatore” della SED, il partito comunista della RDT, della quale Markus Wolf diventa l’anima, ma che si conclude nel 1987 con un temporaneo fallimento. Il fallimento comporta un declassamento nell’apparato spionistico dello stesso Markus Wolf, che in questo frangente conferma di considerarsi, più che un comunista tedesco, un comunista tout court, la cui fedeltà va ben più alla “patria internazionalista” che non al proprio paese e al suo governo: Wolfgang Leonhard, compagno di studi e di militanza di Markus Wolf, dopo la sua fuga in Occidente, testimonia che “Mischa era tedesco, ma, per lui, la nazionalità non aveva alcuna importanza” (5); e la tesi è ribadita dalla stesso Markus Wolf in interviste successive.
Markus Wolf nasce nel 1929 presso Stoccarda da una famiglia ebraica. Nelle sue memorie (6) racconta la sua precoce fuga dalla Germania hitleriana insieme alla famiglia e, dopo lunghe peregrinazioni in Europa, l’approdo in Unione Sovietica, a Mosca. Qui il giovane Markus “[…] dai dieci ai vent’anni ha vissuto nell’atmosfera esaltata degli esuli inquieti, ma determinati, e dei milieu rivoluzionari del Komintern” (7), assimilandone gli ideali, i “valori”, gli usi e i costumi internazionalisti. Compie i suoi studi nelle scuole sovietiche e non sorprende vederlo entrare, a diciotto anni, alla scuola segreta del Komintern a Kuchnarenkovo (8) per intraprendere la carriera di alto “quadro” del movimento comunista. Nonostante uno spiccato talento per la recitazione, i suoi “superiori” lo avviano a studi di ingegneria aeronautica. All’inizio della guerra con la Germania nazionalsocialista entra a Radio Mosca e collabora alla propaganda bellica in lingua tedesca. Nel maggio del 1945, con il nome di Markus F. Wolf ricompare a Berlino occupata e segue come giornalista il processo di Norimberga. Le autorità sovietiche — in particolare il responsabile dei servizi d’informazione, colonnello Sergei Tulpanov, che ne diviene il “padrino” — gli affidano compiti di sempre crescente responsabilità, da svolgere in Germania, in Polonia e in Cecoslovacchia, compiti che gli fruttano agi inusuali, a quel tempo, per un giovane della sua età: “[…] a ventiquattro anni Markus è nel santo dei santi della nomenklatura” (9). “[…] il suo lavoro ufficiale alla radio di Berlino Est è soltanto una copertura: egli è anche uno degli iniziati dell’apparato superiore sovietico-tedesco che, alla fine del […] 1947, prepara una svolta politica totalmente opposta alla “linea” annunciata l’11 giugno 1945 da Ulbricht e da sedici veterani del partito” (10). Già in questo frangente — nota Pierre Faillant de Villemarest — ha una funzione importante nell’operazione politica con la quale viene attuata localmente la virata strategica sovietica conseguente all’inizio della “guerra fredda”: peraltro, Markus Wolf avrà sempre parte in tutte le successive svolte analoghe, nel 1953, nel 1971, nel 1983-1989, e ancora dopo. Anche il passo falso che gli costa la destituzione — per troppa confidenza con il ministro della Difesa, generale Heinz Kessler — dalla testa dell’HVA, l’”amministrazione principale dell’informazione”, cioè il servizio di spionaggio, non gli impedirà di operare all’interno delle strutture segrete del regime per attuare il proprio disegno, cioè il disegno di Mosca. Apparentemente dedito a scrivere le sue memorie, a realizzare documentari sulla rivoluzione socialcomunista in Germania e a rilasciare interviste a testate occidentali — per esempio, il 22 settembre 1989 ribadisce alla Süddeutsche Zeitung che “il comunismo deve evolversi per confrontarsi come si deve con le sfide della nostra epoca” (11) —, in realtà rimane in contatto con il centro moscovita, che visita a più riprese, e si sforza di dare vita a una corrente “riformista” nel comunismo, che fa la sua comparsa sulla scena dopo la caduta di Eric Honecker, nonché di creare e di pilotare una fascia di movimenti di “opposizione” soprattutto culturale, come Neues Forum, che al momento opportuno possano dare corpo a un quadro di relativo pluralismo politico.
Come è ben noto, però, il disegno di cambiamento nel sistema piuttosto che del sistema è ampiamente fallito e gli spiriti di libertà evocati in modo strumentale hanno preso la mano agli strateghi “gorbacioviani”, tanto che la situazione si è sottratta alla loro presa pressoché completamente. Perciò, l’autore dedica la conclusione della prima parte dell’opera alla frenetica attività dell’apparato filosovietico nell’intento di attenuare le conseguenze del travolgente processo di liberazione e di riunificazione della Germania e di preparare un’eventuale rivincita socialcomunista.
2. Su quali strutture si appoggiava l’azione del movimento comunista internazionale all’interno della RDT? Quale ne era stata la genesi storica e quali le principali vicende? Pierre Faillant de Villemarest dedica a questi argomenti la maggior parte della sua ricerca, cioè le parti seconda, Talpe scavano le loro gallerie (1945-1949) (12), e terza, La guerra delle due Germanie (1949-1989) (13).
Nel tempo immediatamente seguente la seconda guerra mondiale, accadono fatti di grande importanza, fra i quali — ricordando solo i più significativi — il reclutamento di “personale” fra i prigionieri tedeschi catturati in Russia, attraverso comitati completamente controllati da quadri comunisti emigrati; la creazione della prima infrastruttura spionistica nella zona della Germania occupata dall’Armata Rossa; il reimpiego di quadri amministrativi locali del regime hitleriano; l’epurazione non solo dei dirigenti nazionalsocialisti, ma anche di elementi di spicco della classe borghese e degli intellettuali, con la temporanea riattivazione, allo scopo, di undici ex Lager, fra i quali Buchenwald, Oranienburg e Sachsenhausen; infine, la deportazione nell’URSS di circa duecentomila tedeschi “refrattari”. Inoltre, non si devono dimenticare la creazione e l’attivazione dei primi nuclei spionistici a occidente e la preparazione clandestina del cosiddetto Piano M, cioè di una vasta azione offensiva, destabilizzatrice e sovversiva nei confronti dei paesi del mondo libero, ideata dal Kominform in quegli anni in cui la guerra fredda minaccia realmente di tradursi in conflitto aperto.
Nel 1951, quando Markus Wolf torna a Berlino dopo aver svolto varie missioni in altri paesi e uno stage di due anni in URSS, lo scenario è mutato: sono nati i due Stati tedeschi e la RDT ha ormai imboccato la strada della completa bolscevizzazione, cioè di realizzazione del modello di “democrazia popolare” allora in via di instaurazione negli altri paesi del blocco sovietico. Però “il dispositivo messo in opera segretamente nella Germania Occidentale non è cambiato, ma l’infiltrazione e l’informazione hanno preso il sopravvento sui tentativi insurrezionali” (14). Nel 1950 è stato creato il ministero per la Sicurezza dello Stato o MFS, cioè la STASI, copia conforme del sovietico MGB, poi KGB, con dotazione di ampi mezzi e anche di forze armate. Dieci mesi dopo il suo ritorno, Markus Wolf è nominato a capo dell’IWF, l’Istituto per le Ricerche Economiche, costituito in seno al ministero degli Esteri e destinato a essere incorporato, nel 1954, nel MFS come branca incaricata dello spionaggio. In questi anni, nel Gotha del mondo spionistico tedesco-orientale, emergono tre personaggi: 1. Wilhelm Zeisser, che sarà il primo responsabile del MFS e diventerà il vero numero due del regime dietro Walter Ulbricht: ex ufficiale del primo Reich, cospiratore di razza al servizio dell’Internazionale socialcomunista in diversi teatri operativi, fra cui la Cina, colonnello delle brigate internazionali in Spagna; 2. Ernst Friedrich Wollweber, il “lupo solitario”, specializzato in teoria e in addestramento al sabotaggio soprattutto di infrastrutture portuali, ex sindacalista, attua la specializzazione in campo scientifico dei servizi e succede a Wilhelm Zeisser nel 1953; infine, 3. Erich Mielke, l’ultimo capo del MFS, che Pierre Faillant de Villemarest qualifica “un assassino professionista” (15), in quanto implicato in casi di omicidio politico nella Germania guglielmina, animatore di gruppi paramilitari socialcomunisti al tempo degli scontri con le SA hitleriane, autentico “cekista” di vocazione, anch’egli in Spagna, legato alla SMERSH, l’organizzazione della NKVD per l’eliminazione fisica degli avversari, probabile assassino anche di comunisti dissidenti.
Durante il “regno” di Erich Honecker l’apparato di controllo e di repressione arriva a contare circa seicentomila membri, pari a circa un “controllore” ogni cinque/dieci persone adulte.
Il bersaglio principale dell’apparato spionistico della RDT è la Repubblica Federale di Germania, la cui reazione, pur tecnicamente valida, è però menomata dalla blanda legislazione federale in materia, dalle infiltrazioni socialcomuniste e dall’atteggiamento difensivista, determinato dalla strategia di puro contenimento del socialcomunismo elaborata dalla diplomazia americana ed applicata dagli anni Cinquanta fino ai nostri giorni. Fra gli innumerevoli episodi e casi citati, meritano di essere ricordati almeno la cosiddetta “strategia delle segretarie”, ossia il “metodo Wolf”, consistente nell’infiltrare quante più possibili agenti dell’Est in veste di segretarie — talvolta anche con mansioni più articolate… — a fianco di esponenti di spicco dell’establishment tedesco-federale, nonché il clamoroso “caso Guillaume”, lo scandalo che nel 1974 determina la caduta del cancelliere socialdemocratico Willy Frahm, detto Brandt, già elemento attivo nei milieu dell’agitazione socialcomunista e negli ambienti neutralisti internazionali.
Un’altra pagina importante è quella delle relazioni fra apparato spionistico militare e terrorismo terzomondiale o autoctono — come nel caso del gruppo RAF, la Rote Armee Fraktion —, che talvolta diventa la longa manus dell’apparato stesso, facilitandone l’azione e diminuendone i rischi.
Dopo decenni di sostanziale stabilità dello scenario di fondo, di successi e di crescita, l’adattamento dell’apparato alla svolta gorbacioviana nella seconda metà degli anni Ottanta non è né facile né rapido, come testimonia la rimozione di Erich Mielke, che — secondo quanto il sovietologo francese ne dice nella quarta parte, Il piano Gorbaciov in scacco (16) — condivideva il cambiamento, ma intendeva attuarlo con i tradizionali metodi comunisti dell’arresto di massa e della violenza.
3. Il fallimento della svolta socialcomunista del 1989 nella RDT può essere definito una sconfitta per la Rivoluzione internazionale? Certamente sì. Ma si può parlare di una disfatta irreparabile? Probabilmente no. A parte la sostanziale riuscita in altri paesi — come nel caso della Romania — del tentativo di sganciare il socialcomunismo dai regimi di “socialismo reale”, e di mantenere al potere la stessa classe dirigente di prima del 1989, anche se è certamente vero che il socialcomunismo nella Germania Orientale perde il controllo del sistema politico e, quindi, quello della società civile, non è per questo meno vero che le strutture profonde del potere, nonché gli uomini, almeno a livello di quadri intermedi, sono ancora profondamente influenzati o almeno influenzabili da centri di diffusione “discreti” dell’ideologia rivoluzionaria — eventualmente “aggiornata” o depurata da elementi marxisti troppo palesi, detti “paleomarxisti” —, alimento di quelli che Eric Voegelin chiama “movimenti gnostici di massa” (17); e fra queste strutture profonde gioca un ruolo di primo piano l’ambiente della clandestinità e dell’informazione.
Pierre Faillant de Villemarest avanza questa ipotesi nell’ultimo capitolo, forse il più importante, intitolato Ma dove si sono infilate le spie? (18). Pur con il limite di essere stata formulata nella prima metà del 1991 — la ricerca è data per conclusa il 25 maggio 1991 —, quando non era ancora possibile prevedere gli esiti seguenti il golpe di agosto in URSS, cioè il possibile venir meno a breve della “casa madre”, sembra ben fondata l’ipotesi che l’apparato spionistico nella Germania Orientale — e altrove — si sia conservato, anche se in “stato di sonno”, in vista di sviluppi futuri. Secondo il sovietologo francese, il meccanismo ideato da Markus Wolf sarebbe assai simile — anche se, evidentemente, di segno opposto e con carattere offensivo piuttosto che difensivo — a quello costruito attraverso l’Operazione Gladio, basato sulla creazione, “[…] al di fuori dei servizi speciali […] [di] piccole cellule di iniziati, che restassero dormienti, ma che diventassero in caso d’invasione […] i poli già presenti di una resistenza efficace” (19).
Tale meccanismo sarebbe stato attivato nella RDT a partire dal 1986, quando “[…] parecchie centinaia, poi migliaia (in tre anni) di ufficiali e di agenti sono stati riciclati nel civile a seconda della loro professione originaria o delle loro attitudini” (20). Questi nuclei “carsici” si chiamerebbero OiBE, Offiziere im besonderen Einsatz, “ufficiali di unità speciali”, e sarebbero dotati di potenti radio trasmittenti e di codici segreti per tenersi in contatto con il centro. Una prova della loro esistenza sarebbe costituita da un ordine di servizio della STASI, numero 6/86, sfuggito alla distruzione; alcuni nuclei sono poi stati individuati nella primavera del 1990 sul territorio della RFT. La presenza di agenti legati al precedente regime è stata rilevata anche all’interno dei comitati organizzati dal governo di Bonn al fine di assicurare la transizione amministrativa dei cinque ex Länder della RDT, nonché fra i candidati a elezioni amministrative locali dopo la riunificazione, ma soprattutto all’interno della Treuhandanstalt, l’organizzazione per la privatizzazione delle industrie tedesco-orientali, il cui presidente, Detlev Rohwedder, è stato assassinato da terroristi comunisti tedeschi nell’aprile del 1991. Pierre Faillant de Villemarest stima in circa settemila i nuclei clandestini attivi in territorio tedesco: nella seconda metà del 1990, l’attività di trasmissione via radio di “antenne” clandestine nella Germania Orientale è, secondo le stazioni di intercettazione dei servizi occidentali, addirittura aumentata. Come fattori che facilitano l’esistenza di questa “rete” non si devono dimenticare la massiccia presenza dell’Armata Rossa nella Germania Orientale, anche se — pare — temporanea, nonché l’esistenza di “reti” parallele come quelle del KGB, del GRU (21) e di altri servizi segreti di paesi dell’ex impero sovietico. La realtà dello sforzo di riorganizzazione delle strutture profonde del socialcomunismo in Germania è testimoniata anche da altri fatti, come il riacquisto di imprese e di esercizi privatizzati da parte di strani milionari o di gruppi di cittadini — pare che il nome di queste organizzazioni sia Rote Faust, “Pugno Rosso” — molto legati al precedente regime, come è peraltro accaduto in Polonia, dove l’ex portavoce del generale Wojciech Jaruzelski si è dato all’imprenditoria pornografica su scala industriale, oppure in Ungheria.
Nella conclusione, accennando alla persistenza di forze filocomuniste nella ex RDT, Pierre Faillant de Villemarest osserva che “nei partiti e nei circoli influenti della RFT e della RDT esiste una “vecchia Germania”, che non smette di sognare una nuova Rapallo” (22) — il luogo dove, nel 1922, è stato firmato il trattato che ha inaugurato un periodo di stretta collaborazione fra la Germania di Weimar e l’URSS — e il ruolo delle spie “in sonno” sarebbe quello di prepararla.
Nonostante l’argomento e l’impostazione siano non poco specialistici, l’opera di Pierre Faillant de Villemarest è lettura certamente utile e istruttiva anche per il grande pubblico, non solo perché rivela interessanti retroscena, ma anche perché costituisce un tentativo di offrire un quadro interpretativo ampio e coerente dell’intricato e convulso succedersi di avvenimenti di importanza epocale che si sono verificati almeno nell’ultimo quinquennio non solamente in Germania, ma in tutto il mondo oggi ex comunista. Si tratta di una lettura particolarmente fruttuosa anche per le messe in guardia — implicite ed esplicite — che rivolge a quanti si sono prefissi di lottare contro la Rivoluzione socialcomunista, come contro tutte le forme della Rivoluzione. Infatti, a questi il sovietologo francese ricorda che il comunismo è una realtà a più forme e a più dimensioni, con più centri nervosi, fra i quali gli apparati clandestini hanno una parte determinante: la perdita della titolarità del potere, o addirittura il venir meno del momento statuale del fenomeno comunista, non significa perciò stesso la fine del comunismo, ma solo quella di una sua espressione o articolazione. Di fronte a questo documentato memento, chi combatte la battaglia contro la Rivoluzione da credente e da figlio della Chiesa non può non collegarlo immediatamente con l’esortazione evangelica: “Siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe” (23).
Oscar Sanguinetti
Note:
(1) Cfr. John le Carré, La talpa, trad. it., Biblioteca Universale Rizzoli, 3a ed., Milano 1989.
(2) Cfr. Pierre Faillant de Villemarest, Le coup d’État de Markus Wolf. La guerre secrète des deux Allemagnes. 1945-1991, Documentation et synthèse Danièle de Villemarest/Clifford A. Kiracoff, Stock, Parigi 1991, pp. 390, con apparato iconografico in bianco e nero. Per dati bio-bibliografici del sovietologo francese, cfr. i miei Le fonti finanziarie del comunismo e del nazionalsocialismo, in Quaderni di “Cristianità”, anno I, n. 1, primavera 1985, pp. 39-52; e “Il GRU, il più segreto dei servizi sovietici. 1918-1988”, in Cristianità, anno XVI , n. 163-164, novembre-dicembre 1988.
(3) Cfr. P. Faillant de Villemarest, Le coup d’État de Markus Wolf. La guerre secrète des deux Allemagnes. 1945-1991, cit., pp. 339-386.
(4) Cfr. ibid., pp. 15-84.
(5) Wolfgang Leonhard, Die Revolution entlässt Ihre Kinder [La Rivoluzione liquida i suoi figli], Colonia 1981, p. 343, cit. in P. Faillant de Villemarest, op. cit., p. 75.
(6) Cfr. Markus Wolf, Die Troïka. Markus Wolf, Aufbau Verlag, Berlino-Weimar 1989.
(7) P. Faillant de Villemarest, Le coup d’État de Markus Wolf. La guerre secrète des deux Allemagnes. 1945-1991, cit., p. 30.
(8) Cfr. ibid., p. 31.
(9) Ibid., p. 32.
(10) Ibid., p. 33.
(11) Ibid., p. 49.
(12) Cfr. ibid., pp. 85-138.
(13) Cfr. ibid., pp. 139-289.
(14) Ibid., p. 141.
(15) Ibid., 154.
(16) Cfr. ibid., pp. 291-337.
(17) Cfr. Eric Voegelin, Il mito del mondo nuovo. Saggi sui movimenti rivoluzionari del nostro tempo, trad. it., con una introduzione di Mario Marcolla, Rusconi, Milano 1970, soprattutto pp. 19-61.
(18) Cfr. P. Faillant de Villemarest, Le coup d’État de Markus Wolf. La guerre secrète des deux Allemagnes. 1945-1991, cit., pp. 317-334.
(19) Ibid., p. 326.
(20) Ibid., p. 327.
(21) Cfr. P. Faillant de Villemarest, GRU. Le plus secret des services soviétiques. 1918-1988, en collaboration avec Clifford A. Kiracoff, Stock, Parigi 1988; e il mio “Il GRU, il più segreto dei servizi sovietici. 1918-1988”, cit.
(22) P. Faillant de Villemarest, Le coup d’État de Markus Wolf. La guerre secrète des deux Allemagnes. 1945-1991, cit., p. 333; cfr. anche il mio Le fonti finanziarie del comunismo e del nazionalsocialismo, cit., pp. 46-49.
(23) Mt. 10, 16.