Giuliano Mignini, Cristianità n.107-108 (1984)
I dati offerti dalla relazione annuale sulla amministrazione della giustizia, svolta dal procuratore generale della Repubblica presso la Corte Suprema di Cassazione, a Roma, il 10 gennaio 1984, in occasione della inaugurazione dell’anno giudiziario. Una sintetica esposizione che presenta ampi spunti di meditazione e di giudizio, nella prospettiva di una azione rettificatrice.
Con il rigoroso linguaggio delle cifre
Il consuntivo giudiziario ’83 dei mali della società italiana
Alleanza Cattolica è nata e opera «perché la nazione italiana renda gloria a Dio e rispetti pubblicamente la sua legge, diffondendo la dottrina sociale naturale e cristiana» e promuovendo il perseguimento di tali fini anche attraverso «il polemico confronto tra la condizione storica della nazione e il suo destino deducibile sia dalla legge di Dio che dalle sue tradizioni» (1). Soprattutto in riferimento a quest’ultimo momento si pone la necessità di illustrare periodicamente, con il rigoroso linguaggio delle cifre e dei riscontri ufficiali, la reale situazione della società italiana nell’ora presente, per misurarne la distanza da quello stato di «santificazione» del corpo sociale stesso, il cui perseguimento è prova testimoniale dell’amore a Dio creatore (2). Inoltre, il costante riferimento alla realtà è presupposto imprescindibile per ogni seria azione che abbia come oggetto la società, di cui occorre conoscere la patologia e non solo la fisiologia, se non si vuole cadere nel velleitarismo e nella astrattezza.
La relazione annuale sulla amministrazione della giustizia, svolta dal procuratore generale della Repubblica presso la Corte Suprema di Cassazione, costituisce uno dei pochi strumenti disponibili per conoscere, in modo sintetico, schematico, costante e, soprattutto, inconfutabile, aspetti rilevanti della condizione generale della società italiana nel presente momento storico e, quindi, per perseguire efficacemente gli obbiettivi enunciati.
Pertanto, passo a illustrare gli elementi essenziali della relazione per il 1983, svolta a Roma il 10 gennaio 1984 (3), e che non presenta, purtroppo, sostanziali novità rispetto a quella relativa al 1982 (4).
L’analisi svolta dal procuratore generale, S.E. il dottore Giuseppe Tamburrino, si suddivide in quattro parti: la prima è dedicata all’esame della giustizia penale; la seconda è volta a illustrare l’andamento della giustizia civile; la terza è relativa al fenomeno della delinquenza minorile, e la quarta è intesa ad analizzare le condizioni in cui attualmente opera il soggetto principale della amministrazione della giustizia, vale a dire il magistrato.
Il quadro complessivo che dello stato attuale della società italiana si ricava dalle pagine della relazione è quello di un organismo gravemente malato, in cui si diffonde e si aggrava la criminalità «tradizionale»; si assiste, poi, al progressivo espandersi di quella che si può definire la dimensione sociale della criminalità stessa, non più caratterizzata dalla azione delittuosa posta in essere prevalentemente dal singolo per il soddisfacimento di un proprio interesse particolare, ma inserita piuttosto in una societas sceleris, antagonista settaria del consorzio civile; si manifestano, quindi, forme criminose aberranti e nefande, sconosciute nelle epoche passate, come il sequestro a scopo estorsivo addirittura di neonati, e si assiste, infine, alla crescente diffusione della droga e della rottura della unità familiare.
Certo, gli uomini hanno sempre commesso, in maggiore o minore misura e con diverse modalità, atti moralmente e giuridicamente illeciti, ma la situazione attuale rappresenta una novità, sia per la virulenza che per la qualità del fenomeno. Da un punto di vista puramente quantitativo, costituisce fatto notorio e pacifico il grande incremento avuto dalla criminalità rispetto anche a pochi anni or sono – specialmente rispetto al periodo antecedente il 1968 -, ma è il profilo qualitativo di tale fenomeno a presentare gli aspetti più impressionanti a causa dell’emergere di comportamenti delittuosi che, per il loro oggetto e le loro modalità di attuazione, trasudano un cinico disprezzo per il prossimo e per le sue sofferenze, ampiamente assente nel tipo delinquenziale «tradizionale». Ma, soprattutto, la novità della presente situazione sta nel carattere «normativo» assunto nel mondo moderno dalla ribellione alla legge divina naturale e alla legge divina positiva (5), ribellione non più circoscritta nell’ambito delle debolezze individuali, ma trasfusa nelle leggi dello Stato e degli altri soggetti giuridici competenti, nonchè nei «valori» e nelle mode del momento (6), con gravissime conseguenze in danno della società.
Giustizia penale
Il settore di competenza della giustizia penale è caratterizzato dalla dilatazione della criminalità, sia, appunto, sotto un profilo quantitativo che qualitativo (7), e dalla dimensione prevalentemente sociale assunta dal fenomeno, facente capo, per ciò che concerne la delinquenza comune, alla mafia (8), alla camorra (9) e alla ’ndragheta, diffusesi ormai dalle regioni in cui hanno avuto origine a tutto il territorio nazionale, ove «hanno trovato una facile esca nella matrice più grave e destabilizzante che sta modificando la vita e l’economia di tutto il mondo, la droga» (10). E la droga costituisce, insieme all’erotismo, alla rivoluzione sessuale e al femminismo, uno degli strumenti di dissoluzione dell’uomo di cui si serve la IV Rivoluzione (11) per così condurre alle estreme conseguenze l’odio gnostico verso la creazione e verso la individuazione e la specificazione degli esseri (12), che opera come substrato e movente spirituale dei fenomeni rivoluzionari del nostro tempo (13).
La relazione del procuratore generale denuncia la grande estensione assunta dal fenomeno drogastico, sia dal punto di vista personale che da quello territoriale e in particolare nel mondo scolastico, perfino a livello di scuole elementari (14), e pone l’accento sul fatto che il transito delle sostanze stupefacenti dai paesi produttori a quelli fortemente consumatori dell’Europa e dell’America Settentrionale, così come la raffinazione del prodotto greggio, avvengono in Italia. Nel nostro paese, infatti, gli interventi legislativi in materia di repressione dei reati che hanno relazione con la droga, e in particolare la legge n. 685 del 1975, non solo non hanno posto riparo al fenomeno, ma lo hanno aggravato, poiché le condizioni alle quali è subordinata la non punibilità delle condotte criminose in questione, cioè la «modica quantità» delle sostanze stupefacenti detenute e l’uso esclusivamente personale delle stesse, sono circostanze estremamente vaghe e di difficile prova, la cui valutazione è lasciata all’arbitrio dell’interprete. Oltre a ciò, nella generalità dei casi, il piccolo consumatore preso di mira è anche, necessariamente, spacciatore più o meno occasionale della droga e, di fatto, la ipotesi dell’uso esclusivamente personale della stessa è puramente teorica e senza riscontro nella realtà.
Passando al terrorismo politico, S.E. Tamburrino sottolinea la necessità di non cantare vittoria completa, dal momento che le indagini tuttora in corso evidenziano la esistenza di numerosi focolai, specie all’interno dell’ambiente carcerario. D’altronde, a smentire i troppo ottimistici sostenitori della morte del terrorismo politico grazie soprattutto alla cosiddetta legge sui pentiti, sono recenti fatti di cronaca, come, per esempio, la uccisione del direttore della forza multinazionale di pace nel Sinai, Leamon Ray Hunt. Questo assassinio, oltre a mostrare che il terrorismo è tutt’altro che sconfitto, mette in luce ancora una volta, per l’obbiettivo prescelto, per le modalità operative dell’agguato e per il contenuto del documento di rivendicazione dell’attentato da parte delle Brigate Rosse, le connessioni internazionali del fenomeno (15), del resto riconosciute dallo stesso ministro dell’Interno (16).
L’esame, poi, delle tavole allegate alla relazione pone in evidenza un notevole aumento degli omicidi denunciati, passati da 1.977 nel 1980, a 2.341 nel 1981, quindi a 2.473 nel 1982 (17), con un incremento costante e significativo del livello di corruzione esistente nel corpo sociale, essendo il delitto in questione il più grave di tutti e quello la cui enormità è percepibile immediatamente sulla base del «senso comune», anche senza la mediazione di particolari concezioni religiose e filosofiche. E i dati appena riferiti non comprendono ovviamente gli aborti, che, salvo trascurabili eccezioni, non hanno più il carattere della antigiuridicità penale per l’ordinamento statuale.
In aumento sono anche i sequestri di persona a scopo di estorsione, compiuti perfino a danno di fanciulli e di neonati, con periodi di privazione della libertà personale lunghissimi e con richieste di riscatto estremamente elevate (18); sulla efferatezza, straordinaria perversione e crudeltà che un reato siffatto comporta in chi lo pone in essere non è neppure il caso di soffermarsi, e anche questo dà la misura del grado di abiezione della presente criminalità organizzata.
Tra i reati contro il patrimonio, un incremento elevato e costante hanno avuto le rapine, in cui si combinano la violenza o minaccia arrecata alla persona e l’attentato alla altrui proprietà, passate da 19.981 nel 1980, a 23.127 nel 1981, quindi a ben 30.192 nel 1982 (19). Analogo incremento si è registrato anche per le estorsioni denunciate, per le truffe – reato contro il patrimonio caratterizzato da una modalità operativa di tipo fraudolento e malizioso – e per le appropriazioni indebite (20). Il classico delitto contro la proprietà, il furto, non compare nelle tabelle che si riferiscono ai delitti denunciati, e il decremento che le denunce di tale reato hanno subito a partire dal 1977 è soltanto apparente, dal momento che parte delle vittime dei furti si astiene dal presentare denunzia, probabilmente perché oltre il 95% degli autori di tali crimini rimangono ignoti: nell’anno 1982, secondo i dati fomiti dagli organi giudiziari e riportati nella relazione (21), i furti sono stati 1.400.814.
Questo, a grandi linee, il quadro del settore penale, colto nei suoi aspetti più significativi del costume sociale.
Giustizia civile
Nel settore civile ciò che interessa in questa sede mettere in luce sono gli effetti dirompenti e disgregatori della unità familiare prodotti dalla legge sul divorzio e l’attacco legislativo, così come politico, al diritto di proprietà privata.
I dati relativi ai procedimenti di separazione personale dei coniugi e ai divorzi aumentano sensibilmente anno dopo anno. Riguardo ai primi, le domande di separazione presentate sono passate da 40.614 nel periodo dal 1° luglio 1980 al 30 giugno 1981, a 45.075 nel periodo dal 1° luglio 1981 al 30 giugno 1982, quindi a 46.583 in quello compreso fra il 1° luglio 1982 e il 30 giugno 1983 (22); le domande accolte e omologate sono invece passate, sempre in relazione agli stessi periodi, da 28.264, a 30.694, quindi a 31.497 (23).
I procedimenti di scioglimento oppure di cessazione degli effetti civili del matrimonio celebrato con rito religioso, sopravvenuti in fase presidenziale – nel corso della quale il presidente del tribunale tenta la conciliazione dei coniugi -, sono passati, rispettivamente, da 14.630 a 15.656, quindi a 16.955 (24). Quelli esauriti con sentenza di scioglimento sono passati da 1.100 nel periodo dal 1° luglio 1980 al 30 giugno 1981, a 1.400 in quello dal 1° luglio 1981 al 30 giugno 1982, quindi a 1.651 in quello dal 1° luglio 1982 al 30 giugno 1983 (25). Riguardo alle sentenze di cessazione degli effetti civili del matrimonio celebrato con rito religioso – nel quale i coniugi avevano solennemente accettato la concezione cattolica dell’istituto -, esse sono passate da 9.779; a 10.836, quindi a 11.905 (26). Occorre in proposito sottolineare, pure denunciando la gravità del fenomeno, la maggiore «tenuta» dei matrimoni celebrati con rito religioso, dal momento che le sentenze di cessazione degli effetti civili di questi ultimi sono aumentate del 10,8% fra il primo e il secondo periodo, e del 9,9% tra il secondo e il terzo, a fronte di un aumento, rispettivamente, del 27,3% e del 17,9% delle sentenze di scioglimento dei cosiddetti matrimoni civili.
Per ciò che concerne l’attacco e la progressiva compressione del contenuto del diritto di proprietà – ostacolo di elezione alla pianificazione totalitaria della vita sociale e alla realizzazione della società socialistica, perché «lega l’uomo a qualche cosa di esistente e lo radica» (27), impedendone la proletarizzazione e quindi le possibilità di completo e passivo assoggettamento alla azione rivoluzionaria -, ha iniziato a trovare applicazione la legge 3 maggio 1982 n. 203, sui «nuovi patti agrari», la cui portata sovvertitrice del tradizionale assetto giuridico del diritto dominicale recepito, a grandi linee, dal legislatore del 1942, non è stata pienamente compresa, forse perché si è ritenuto, a torto, che tale legge colpisse non tanto il diritto di proprietà privata in generale, quanto quello di un trascurabile numero di proprietari terrieri, specie di fondi condotti a mezzadria, preoccupati soprattutto della cosiddetta «conversione» dei contratti associativi in contratti di affitto, prevista dall’art. 25 della legge in questione.
In realtà la nuova normativa ha inferto un altro formidabile colpo al concetto stesso di proprietà, attraverso una drastica riduzione del contenuto materiale dello stesso, cioè del complesso delle facoltà e dei poteri nei quali si estrinseca, o meglio, dovrebbe estrinsecarsi, il diritto de quo, che non può ridursi a un semplice nome a cui non corrisponde, all’atto pratico e quindi in realtà, né un potere di godimento, né un potere di disposizione del bene oggetto del diritto stesso, tanto che si contrappone il proprietario al «nudo proprietario», per indicare, con quest’ultimo termine, la situazione caratterizzata dallo scorporamento della facoltà di godimento del bene dalla titolarità del diritto di proprietà. Proprio tale contenuto materiale è stato in pratica vanificato dalla nuova legge, con la previsione della durata minima dei contratti di affitto a coltivatore diretto portata addirittura a quindici anni, con la rinnovazione tacita per i quindici anni successivi, in mancanza di disdetta; con la irrisorietà del canone d’affitto a fronte del sacrificio imposto al proprietario, canone, fra l’altro, di difficile determinazione (28) e in relazione al quale debbono, in primis tenersi presenti le condizioni dell’affittuario (29), per non citare che le previsioni più emblematiche della volontà legislativa in materia. Del tutto nuovo nel nostro ordinamento giuridico è poi l’istituto introdotto dall’art. 25 della legge in questione, vale a dire la cosiddetta «conversione» dei contratti associativi, in particolare di mezzadria e di colonia parziaria, in contratti di afflitto, a richiesta di una sola delle parti del rapporto, che può trasformare così unilateralmente, sostituendo la propria volontà al reciproco consenso, il contratto associativo in contratto di scambio (30). L’ipotesi in esame, a onta della conclamata omonimia, non ha nulla a che vedere con l’istituto della conversione del negozio nullo in un diverso tipo di negozio, del quale contenga i requisiti di sostanza e di forma, qualora, considerato lo scopo perseguito dalle parti, debba ritenersi che esse avrebbero voluto quest’ultimo se avessero conosciuto la nullità del primo (31): e ciò non solo perché la «conversione» di cui tratta la legge n. 203/1982 riguarda invece un contratto perfettamente valido ed efficace, ma anche perché si prescinde del tutto, in tale caso, dalla indagine circa lo scopo comune perseguito dalle parti e si costringe quella che non vi ha interesse, vale a dire il proprietario, a subire tale trasformazione. Né può sostenersi che l’istituto in esame potrebbe essere avvicinato ai casi previsti dagli artt. 629, 639, 696, 1059, 1573, 256, comma 3° del Codice Civile, nei quali un atto di disposizione, che, per qualsiasi ragione, ecceda i limiti consentiti dalla legge, viene ricondotto entro tali limiti, attraverso una riduzione semplicemente quantitativa della sua efficacia, ma non posto nel nulla (32).
Il nuovo istituto elimina, per i motivi esposti e nell’ambito della propria sfera di operatività, il principio della autonomia negoziale, con il quale l’ordinamento giuridico, anche sotto il profilo della norma costituzionale (33), riconosce ai singoli il potere di regolare i propri interessi e, oltre a vanificare il diritto di proprietà, viene a eliminare l’esercizio della iniziativa economica privata in capo al proprietario-concedente, riservando l’esercizio della impresa agricola, al solo affittuario, e inibendo così al primo l’esercizio di un diritto formalmente garantito dalla legge. Nel contratto di affitto di fondi rustici, infatti, a differenza di quanto accade nei contratti associativi – mezzadria, colonia parziaria, soccida -, titolare della impresa è il solo conduttore.
Con un solo colpo la nuova legge ha, pertanto, violato il diritto di proprietà e il diritto di iniziativa economica privata.
Non si può concludere l’analisi della situazione della giustizia civile senza ricordare che i fallimenti dichiarati sono passati da 5.551, nel periodo dal 1° luglio 1980 al 30 giugno 1981, a 6.986 nel periodo dal 1° luglio 1981 al 30 giugno 1982, quindi a ben 8.154 in quello compreso tra il 1° luglio 1982 e il 30 giugno 1983 (34).
Passando alla giustizia minorile, si rileva un preoccupante aumento della delinquenza, specie in relazione ai reati contro il patrimonio, commessi per lo più con violenza alle persone e alle cose, ai delitti sessuali, a quelli contro pubblici ufficiali (35) delinquenza che ha come causa principale la diffusione dell’uso delle sostanze stupefacenti, che spinge il giovane alla commissione dei peggiori delitti per procurarsi denaro e, con esso, la droga da cui dipende (36).
L’ultima parte della relazione concerne la condizione della magistratura in Italia, un tema che meriterebbe un esame specifico e approfondito e che non può essere affrontato in questa sede, ove ciò che interessa mettere in luce è la situazione in cui versa la società italiana e in relazione alla quale il dato giuridico viene assunto come indice rivelatore della immoralità diffusa da cui è affetto il corpo sociale stesso. Orbene, ciò che si può dire e che è opportuno sottolineare – come fatto oggettivo, a prescindere da qualsivoglia tipo di apprezzamento – è il crescente attacco che la Magistratura comincia a subire da parte degli altri due poteri istituzionali dello Stato, quello legislativo e quello esecutivo, nonché dal «quarto potere»: quello giornalistico, i quali, per lo meno nelle loro espressioni più consistenti, reclamano più o meno apertamente la sottoposizione della magistratura stessa, e in modo particolare del pubblico ministero, a un sistema di controlli gestito, di fatto, dal potere politico (37), evidentemente per svuotare di contenuto quella posizione di indipendenza che i giudici hanno, o dovrebbero avere, nei confronti di quest’ultimo, specie in conseguenza del loro sistema di reclutamento e per perfezionare, in tale modo, il controllo sulla società.
Non si può terminare questa rapida rassegna degli aspetti patologici della società italiana, senza chiedersi perché accada tutto questo, perché nel consorzio civile si diffondano e si radichino una criminalità che non ha precedenti nelle epoche passate, una crisi corrosiva della unità familiare con il crescente aumento delle separazioni e dei divorzi, e tutti gli altri fenomeni illustrati. La risposta è ovvia: la ribellione al decalogo e ai comandamenti della carità – iscritta, implicitamente o esplicitamente, con maggiore o minore virulenza, negli statuti e nei programmi di tutte le ideologie moderne, che veicolano e diffondono lo gnosticismo – conduce, attraverso la negazione di qualsiasi dipendenza dell’uomo da regole di comportamento che gli siano dettate da una Volontà esterna e trascendente alla quale debba conformarsi, alla individuazione dell’arbitrio dell’uomo stesso come unica fonte di produzione e di abrogazione delle norme morali e giuridiche. L’uomo contemporaneo, si sente sminuito dalla presenza di un Dio Creatore e Signore del cielo e della terra e vuole «rifare» il mondo e la società secondo canoni diversi da quelli previsti dalla onnipotenza e dalla onniscienza divina, o, forse, meglio ancora, senza alcuna regola, immergendosi puramente e semplicemente nella azione di trasformazione fine a sé stessa: le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti.
Invochiamo la Vergine Maria, affinché il quotidiano spettacolo di depravazione e di infelicità serva da stimolo alla società italiana per tornare, nei suoi componenti, nei suoi costumi e nelle sue leggi, al Cuore Immacolato della Madre di Dio e a quello di Nostro Signore.
Giuliano Mignini
Note:
(1) GIOVANNI CANTONI, Per la maggiore gloria di Dio anche sociale, in Cristianità, anno XI, n. 100, agosto-settembre-ottobre 1983.
(2) Cfr. ibidem.
(3) Cfr. GIUSEPPE TAMBURRINO, Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte Suprema di Cassazione, Relazione sull’amministrazione della giustizia nell’anno 1983, Roma, 10 gennaio 1984.
(4) Per la esposizione e il commento della relazione relativa al 1982, cfr. il mio Il consuntivo giudiziario ’82 dei mali della società italiana, in Cristianità, anno XI, n. 98-99, giugno-luglio 1983.
(5) Cfr. CARD. MASSIMO MASSIMI, La nostra legge, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1961, pp. 13 ss.
(6) Cfr. il mio art. cit.
(7) Cfr. G. TAMBURRINO, doc. cit., p. 7.
(8) La recente storiografia tende a ricondurre le origini della mafia a un periodo antecedente la seconda meta del secolo scorso, quando il termine «mafioso» è usato per la prima volta nel rione palermitano di Borgo, come sinonimo di valente, superiore, coraggioso, intraprendente e simili: cfr. la voce mafia, in Lessico Universale Italiano, Istituto Poligrafico dello Stato, Roma 1973, vol. XII, pp. 526-527, ove, fra l’altro, si legge che molti elementi delle comitive armate mafiose, «reclutati dai nobili liberali, ingrossarono le file garibaldine», e si cita, in proposito, il caso di Salvatore Miceli di Monreale, che nel 1848 combatte contro i Borboni a Palermo, e, dopo essere entrato come capitano nell’esercito borbonico, nel ’60 viene in soccorso di Garibaldi e muore nel corso della rivolta antiunitaria del settembre 1866 (cfr. ibid., p. 526).
(9) Etimo napoletano, forse connesso con «morra», sinonimo di frotta, torma: cfr. la voce camorra, in Lessico Universale Italiano, cit., vol. IV, p. 30. Questa organizzazione, suddivisa in gradi – garzone di mala vita, picciotto, sgarro, camorrista -, esistente a Napoli fino dall’epoca spagnola e spesso utilizzata dai governi per basse operazioni di polizia, e strumento del liberalismo, specie nel decennio 1849-59 e nei periodi successivi, per la repressione della opposizione, nella fase di passaggio dal regime borbonico a quello liberale (cfr. ibidem).
(10) G. TAMBURRINO, doc. cit., p. 9.
(11) Cfr. PLINIO CORRÊA DE OLIVEIRA, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, 3ª ed. it. accresciuta, Cristianità, Piacenza 1977, pp. 189-195.
(12) Cfr. HANS JONAS, Lo gnosticismo, trad. it., Sei, Torino 1973, pp. 62-63 e 78 ss.
(13) Cfr. ERIC VOEGELIN, Il mito dal mondo nuovo, Saggi Sui movimenti rivoluzionari del nostro tempo, ed. it., Rusconi, Milano 1976.
(14) Cfr. G. TAMBURRINO, doc. cit., p. 9.
(15) Cfr. La Nazione, 18-2-1984.
(16) Ibidem.
(17) Cfr. G. TAMBURRINO, doc. cit., p. 50, tav. 11.
(18) Cfr. ibid., p. 13.
(19) Cfr. ibid., p. 50, tav. 11.
(20) Cfr. ibidem.
(21) Cfr. ibidem.
(22) Cfr. ibid., p. 39, tav. 3.
(23) Cfr. ibidem.
(24) Cfr. ibidem.
(25) Cfr. ibidem.
(26) Cfr. ibidem.
(27) JEAN DAUJAT, Conoscere il comunismo, trad. it., 2ª ed., Il Falco, Milano 1979, p. 64.
(28) Cfr. G. TAMBURRINO, doc. cit., p. 21.
(29) Cfr. il quinto comma dell’art. 9 della legge n. 203/1982.
(30) Cfr. VINCENZO ACAGNINO, ANTONINO CORSARO e GIOVANNI BATTISTA MACRÌ, I nuovi patti agrari, Giuffrè, Milano 1982, p. 105.
(31) Cfr. Codice Civile, art. 1424.
(32) Cfr. V. ACAGNINO, A. CORSARO e G. B. MACRÌ, op. cit., p. 106.
(33) Cfr. Costituzione della Repubblica Italiana, art. 41.
(34) Cfr. G. TAMBURRINO, doc. cit., p. 39, tav. 3.
(35) Cfr. ibid., pp. 22 e 23.
(36) Cfr. ibid., p. 23.
(37) Tale orientamento è stato di recente confermato dall’on. Ciriaco De Mita nella relazione svolta in occasione del XVI congresso nazionale della Democrazia Cristiana: cfr. Il Popolo, 25-2- 1984.