Massimo Introvigne, Cristianità n. 259 (1996)
Agli storici delle religioni viene spesso rimproverato di non servirsi sufficientemente della sociologia. Quando gli storici del primo cristianesimo hanno tentato qualche escursione su questo terreno si sono fatti criticare dai sociologi, i quali rilevano come i modelli sociologici che questi storici usano sono in molti casi vecchi di venti o trent’anni. Rodney Stark, professore all’Università di Washington e uno dei padri della nuova sociologia della religione americana, ha deciso di scendere in campo personalmente: ha passato qualche anno nel mondo degli storici dei primi secoli cristiani, percorrendo biblioteche e frequentando convegni, e presenta ora un volume, The Rise of Christianity, “L’ascesa del cristianesimo”, sottotitolato “Un sociologo riconsidera la storia” (1) , che — “amato e odiato”, come ha scritto il suo collega canadese Irving Hexham nella quarta di copertina — è già al centro di un vasto dibattito negli Stati Uniti d’America. Rodney Stark applica al cristianesimo nascente i risultati del più recente dibattito sociologico sui nuovi movimenti religiosi, muovendo dalla considerazione del fatto che il primo cristianesimo era appunto un nuovo movimento religioso, avvertito come un corpo estraneo nel mondo greco-romano ed ebraico e criticato con argomenti molto simili a quelli utilizzati oggi contro le “sette” e i “culti”. Con una sensibilità più tipica degli Stati Uniti d’America che dell’Europa, il sociologo americano chiede anzitutto scusa ai lettori che dovessero considerare “sacrilego” il suo volume: la ricerca sulle “cause profane” del successo del cristianesimo non esclude — né presuppone — l’intervento divino (p. 4), e del resto la nuova sociologia della religione — a differenza, forse, di quella classica — non è affatto “riduzionista” perché considera le dottrine un “fattore essenziale” e tutt’altro che irrilevante della capacità persuasiva di una religione (p. 4). Per brevità, prenderò in esame una per una le dieci tesi principali di Rodney Stark, a ciascuna delle quali è appunto dedicato un capitolo del volume.
1. Anche se non disponiamo di statistiche precise, gli storici hanno ormai offerto delle cifre abbastanza attendibili sulla percentuale di crescita del numero dei cristiani nell’Impero romano, da 1.400 circa nell’anno 50 a 217.000 nel 200, e oltre sei milioni nel 300, pari al 10,5% della popolazione. La crescita a partire dal 200 sembra straordinaria, ma è tipica dei nuovi movimenti religiosi di successo, che nei primi decenni — talora anche nei primi secoli — della loro ascesa possono crescere in proporzione geometrica — come oggi i mormoni, un gruppo di cui Rodney Stark ha studiato con particolare cura le statistiche —, con un incremento del 40% circa ogni dieci anni (pp. 3-27).
2. Per spiegare questa crescita, per anni si è affermato che il cristianesimo attirava gli strati più bassi della popolazione dell’Impero, che naturalmente erano anche i più numerosi. Lo studioso dei nuovi movimenti religiosi che propongono una forte discontinuità dottrinale con la cultura religiosa circostante sa che essi — a differenza di quelli che mantengono con la religione dominante una certa continuità — fanno appello normalmente piuttosto alle classi più alte, che possono permettersi un maggiore anticonformismo. Questo dato, costante nella sociologia contemporanea, viene confermato dagli studi di storici, fra cui Rodney Stark cita l’italiana Marta Sordi, secondo cui il cristianesimo delle origini non era solo né principalmente un movimento “proletario” ma attirava in modo proporzionalmente più significativo persone con un retroterra economico “più privilegiato” (pp. 29-47 [p. 46]).
3. I nuovi movimenti religiosi trovano più facilmente convertiti nelle comunità religiose in crisi perché considerate troppo “mondane” o “liberali” (p. 54). Questo è il caso dell’ebraismo liberale oggi — che fornisce una sorprendente percentuale di convertiti ai nuovi movimenti religiosi — e questo era il caso di buona parte dell’ebraismo nei primi secoli cristiani. Studi recenti sostengono che il “fallimento” della missione cristiana presso gli ebrei è stato esagerato e che la percentuale di ebrei, specie fuori della Palestina, che hanno accettato il cristianesimo è più alta di quanto per secoli si sia pensato (pp. 49-71).
4. I momenti di crisi favoriscono le conversioni ai nuovi movimenti religiosi. Le grandi epidemie — terribili, ma poco studiate in passato — che hanno colpito l’Impero romano hanno favorito il successo del cristianesimo, tesi — osserva Rodney Stark — tutt’altro che riduzionistica perché proprio grazie alla loro dottrina dell’amore e del servizio reciproco i cristiani erano in grado di sopravvivere alle epidemie meglio dei pagani, e anche di convertire grazie al loro esempio di benevolenza e di carità (pp. 73-94).
5. I nuovi movimenti religiosi convertono quasi sempre più donne che uomini. È ben noto che questo fu il caso del cristianesimo delle origini — con le donne, “convertite primarie”, che conducevano alla Chiesa i mariti, “convertiti secondari” (p. 111) — ma anche questo fatto non deve essere interpretato in modo riduzionistico: la dottrina cristiana sottolineava infatti la dignità della donna in un modo ignoto ai pagani. La condanna cristiana delle pratiche diffusissime dell’infanticidio delle figlie femmine non gradite — che provocava un surplus di maschi sulle femmine unico nella storia — e dell’aborto dava anche alla comunità cristiana un evidente vantaggio demografico nei confronti dei pagani in un’epoca di grave denatalità (pp. 95-128).
6. I nuovi movimenti religiosi trovano i loro seguaci più nelle città che nelle campagne. Questo è certamente vero per il cristianesimo, tanto che “persona di campagna”, paganus, divenne sinonimo di “non cristiano” (pp. 129-145).
7. Il successo dei nuovi movimenti religiosi nelle città moderne deriva anche dalla loro capacità di proporsi come isole di solidarietà in un ambiente spesso disperato e pericoloso. Rodney Stark ricava dalle fonti un quadro a tinte fosche delle città antiche: sovrappopolate, sporche, con un tasso di criminalità altissimo anche se comparato ai giorni nostri (pp. 147-162).
8. Rodney Stark adotta la tesi controversa, ma oggi dominante nella storiografia soprattutto statunitense, secondo cui i martiri cristiani sarebbero stati meno di quanto comunemente si crede, forse solo un migliaio in tutta la storia dell’Impero, che preferiva colpire i leader piuttosto che i membri comuni dei movimenti che perseguitava. Protesta però vivacemente contro la tesi, ugualmente maggioritaria negli Stati Uniti d’America — paradossalmente condivisa anche da storici cattolici —, secondo cui l’unica spiegazione psicologica del martirio risiederebbe nell’irrazionalità o in turbe psicologiche di tipo masochistico dei martiri. In realtà — per i martiri cristiani come per i membri perseguitati di numerosi movimenti religiosi di oggi — il martirio era una scelta razionale e ragionevole, una volta precisato che la razionalità dei cristiani — che dava per scontata l’esistenza del Paradiso — non era la stessa di quella pagana. Era anche una scelta preziosa per la coesione della comunità, perché il rischio del martirio ne teneva lontano il free rider — colui che “viaggia” o “cavalca” “gratuitamente”: ma l’espressione non viene normalmente tradotta dall’inglese nelle scienze sociali —, chi cerca di ottenere i benefici della partecipazione a un gruppo senza pagarne i costi (pp. 163-189).
9. Gli storici sostengono spesso che il paganesimo dei primi secoli cristiani non era in crisi. Tuttavia, osserva Rodney Stark, uno studio delle iscrizioni di Pompei mostra che gli dei pagani si curavano così poco dell’umanità da essere trattati generalmente con poco rispetto. Un Dio che ama gli uomini non poteva non essere considerato una figura immediatamente più attraente. Lo studio dei nuovi movimenti religiosi mostra anche che, quando molti movimenti sono in competizione fra loro — come oggi e come nei primi secoli, brulicanti di culti misterici —, le religioni che non ammettono la “doppia appartenenza” a due o più movimenti diversi si rendono certo più impopolari ma finiscono per avere molti più fedeli delle religioni che accettano la “doppia appartenenza” (2 ). Il cristianesimo, a differenza di tutti i culti pagani, misterici e non, non ha mai ammesso “doppie appartenenze” (pp. 191-208).
10. Infine, Rodney Stark propone la sua decima tesi: il “fattore cruciale” (p. 211) nel successo del cristianesimo è la sua dottrina, così come le cause esterne spiegano oggi perché il clima sia propizio alla nuova religiosità in genere ma per comprendere perché uno specifico nuovo movimento religioso abbia successo — e un altro no — è decisivo esaminare gli insegnamenti che propone, molto più importanti delle sue tecniche di proselitismo, contro il mito del “lavaggio del cervello”. In un’epoca in cui durante le epidemie i romani fuggivano abbandonando alla morte per malattia o per fame i loro figli e i loro anziani, e in cui ci si recava agli spettacoli del circo per godere senza ritegno della tortura e della morte, “quello che il cristianesimo offriva ultimamente ai convertiti non era nulla di meno della loro umanità” (pp. 209-215 [p. 215]).
Si tratta di una conclusione preziosa, che non si può che condividere. Certo, nei dibattiti che si vanno susseguendo nei convegni scientifici — ad alcuni dei quali ho assistito personalmente —, Rodney Stark viene accusato dagli storici di interpretare in modo impreciso qualche dato, ma soprattutto di postulare contro l’attuale ortodossia del relativismo culturale una natura umana immutabile, in quanto ritiene che le ragioni di successo dei movimenti religiosi siano, se non uguali, molto simili oggi rispetto a duemila anni fa. Ma, dal punto di vista dei cattolici, questo non è precisamente un difetto.
Massimo Introvigne
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* Articolo sostanzialmente anticipato, senza note e con il titolo redazionale Ma i cristiani non erano una setta, in Avvenire. Quotidiano di ispirazione cattolica, anno XXIX, n. 262, 5-11-1996, p. 19.
(1) Cfr. Rodney Stark, The Rise of Christianity. A Sociologist Reconsiders History, Princeton University Press, Princeton (New Jersey) 1996. I riferimenti fra parentesi nel prosieguo del testo rimandano alle pagine di questo volume.
(2) Rodney Stark nota in particolare lo straordinario successo in Giappone, un paese dove la “doppia appartenenza” a due o più religioni è comune, della Soka Gakkai, un movimento di origine buddhista che non ammette la “doppia appartenenza” (ibid, p. 221).