Chiese, monasteri e cimiteri armeni rischiano la distruzione da parte delle truppe azere, le cui intenzioni sono state più volte esplicitate dallo stesso presidente Aliyev
di Emanuele Aliprandi (*)
Nei giorni scorsi Alleanza Cattolica ha ospitato uno scambio di lettere con l’ambasciatore dell’Azerbaigian presso la Santa Sede, S.E. Ilgar Mukhtarov, incentrato sulla situazione nel Nagorno Karabakh (Artsakh) e sulla tolleranza religiosa nel suo Paese.
Ma quale è effettivamente la situazione del patrimonio culturale e religioso armeno nel Nagorno Karabakh dopo l’ultima guerra combattuta nella regione?
Sgombriamo subito il campo da un equivoco: quella tra armeni e azeri non è stata e non è una guerra di religione nel senso stretto del termine. Tuttavia, nel trentennale conflitto che ha martoriato il Caucaso meridionale il peso del simbolo religioso non è insignificante e assume connotati ben precisi, sia sotto il profilo politico che storico.
Come noto, la guerra scatenata dall’Azerbaigian nel settembre 2020, durata 44 giorni e costata quasi 10.000 morti a entrambe le parti, ha determinato – in conseguenza dell’azione bellica e del successivo accordo tripartito di tregua – la perdita di vasti territori della Repubblica armena de facto del Nagorno Karabakh (Artsakh).
Al riguardo, una delle prime preoccupazioni ha riguardato la sorte del vasto patrimonio culturale e religioso armeno finito sotto controllo dell’esercito dell’Azerbaigian.
I precedenti non inducevano infatti all’ottimismo: nel Nakhjivan, ad esempio, decine di chiese e monasteri armeni, nonché le migliaia di medioevali khatchkar (croci di pietra), sono finiti sotto i colpi di piccone delle autorità azere.
Stessa sorte è subito toccata a molti beni armeni nell’Artsakh. Alcune chiese, come la cattedrale del S.mo Salvatore o la “chiesa verde” a Shushi, sono state deliberatamente bombardate nel corso del conflitto. Cessato il fragore delle armi, è cominciato un processo di rimozione storica del patrimonio armeno.
Lo annunciò lo stesso presidente dell’Azerbaigian, Aliyev, nella cittadina occupata di Hadrut, allorché (giugno 2021) dichiarò che da ogni manufatto andavano eliminate tutte le iscrizioni e le caratteristiche armene.
Questa operazione è stata portata avanti con una metodologia ben precisa: la ridenominazione dei siti armeni, chiese comprese, la cancellazione di tutti i tratti distintivi architettonici (dalle iscrizioni alle tipiche cupole armene, oltre ai khatchkar) e la stesura di una nuova storia di appartenenza, che attribuiva i manufatti religiosi non agli armeni, ma alla minuscola comunità cristiana degli udi, che peraltro si sviluppò lontano dalla regione dell’Artsakh, con la quale non ebbe alcun contatto.
Non a caso, dopo il nuovo attacco azero del settembre 2023, l’esodo di tutta la popolazione armena e la conquista azera di tutto il Nagorno Karabakh, tra le prime azioni intraprese vi è stata l’abbattimento della grande croce illuminata che dominava la conca della capitale Stepanakert e la rimozione della croce sul campanile della cattedrale.
Tale meccanismo di “dearmenizzazione” trova le sue ragioni in due fattori: da un lato la leadership azera punta a cancellare la radicata presenza armena nel territorio per giustificare il possesso di quelle terre, dall’altro cerca di annullare la millenaria storia degli armeni, contrapponendola a un’altra, che si basi su una narrazione unicamente azerbaigiana.
Sotto quest’ultimo profilo, non devono dunque sorprendere i continui richiami alle “storiche terre dell’Azerbaigian” (peraltro nato nel 1918…) e l’ambizione di Aliyev di conquistare la stessa Armenia: d’altronde, solo pochi anni fa l’autocrate presidente azero minacciava di «far roteare la sacra spada di Allah su Erevan [la capitale dell’Armenia, NdA]» e ancora in questi giorni rivendica la regione del Syunik (Armenia meridionale) per poter creare un collegamento tra la Turchia e l’Azerbaigian. Che poi era il disegno dei genocidiari Giovani Turchi un secolo fa.
Prima che sia troppo tardi, prima che altri lutti e distruzioni si abbattano su questa martoriata terra, prima che chiese e monumenti armeni vengano distrutti o “restaurati”, è pertanto necessario che la comunità internazionale intervenga a protezione del patrimonio armeno. O sarà troppo tardi.
Sabato, 3 febbraio 2024
Emanuele Aliprandi si occupa da oltre vent’anni di Armenia e Nagorno Karabakh ed è autore di diverse pubblicazioni al riguardo. Il suo ultimo libro è“La guerra per il Nagorno Karabakh”, uscito recentemente per la casa editrice Archivio Storia, nel quale si raccontano la storia e le ultime vicende di questa martoriata terra fino all’esodo finale dello scorso mese di settembre.