Papa Francesco si immerge nella cultura piemontese, in cui si trovano le radici della famiglia Bergoglio, testimoniando ancora una volta come il Cristianesimo sia il fondamento della civiltà
di Michele Brambilla
I 90 anni di una cugina valgono una Messa e un Angelus nella cattedrale di Asti. Papa Francesco sale a Portacomaro, il paese del Piemonte da cui partirono i suoi genitori alla volta dell’Argentina, e vi incontra molti parenti, ma soprattutto un popolo cattolico nel quale si radicano le origini culturali remote dell’attuale pontificato.
Ancora una volta è il Vangelo che si fa storia, si fa vita. «Abbiamo visto questo ragazzo, Stefano, che chiede di ricevere il ministero di accolito nel suo percorso verso il sacerdozio», dice il Papa nell’omelia, riferendosi alla vicenda umana del giovane che gli è seduto di fronte. La decisione di impartire personalmente l’ordine minore dell’accolitato all’unico seminarista della diocesi di Asti parla dell’attenzione del Pontefice nei confronti delle vocazioni sacerdotali e religiose. Francesco insiste a dire che «dobbiamo pregare per lui, perché vada avanti nella sua vocazione e sia fedele; ma anche dobbiamo pregare per questa Chiesa di Asti, perché il Signore invii vocazioni sacerdotali, perché come voi vedete la maggioranza sono vecchi, come me: ci vogliono preti giovani», in grado di ripetere all’uomo di oggi la dottrina di sempre con coraggio ed entusiasmo.
«E da queste terre mio padre è partito per emigrare in Argentina; e in queste terre, rese preziose da buoni prodotti del suolo e soprattutto dalla genuina laboriosità della gente, sono venuto a ritrovare il sapore delle radici», senza le quali nessuna pianta riceve il nutrimento. La solennità di Cristo Re permette di mettere al centro le radici della fede cattolica e della cultura che da essa ha tratto ispirazione. «Esse si trovano nell’arido terreno del Calvario, dove il seme di Gesù, morendo, ha fatto germogliare la speranza: piantato nel cuore della terra ci ha aperto la via al Cielo; con la sua morte ci ha dato la vita eterna; attraverso il legno della croce ci ha portato i frutti della salvezza», spiega il Santo Padre.
In questo ribaltamento completo dell’idea umana del regnare si scorge la caratura differente di Cristo Re: «Egli non è seduto su un comodo trono, ma appeso ad un patibolo; il Dio che “rovescia i potenti dai troni” (Lc 1,52) opera come servo messo in croce dai potenti; ornato solo di chiodi e di spine, spogliato di tutto ma ricco di amore, dal trono della croce non ammaestra più le folle con la parola, non alza più la mano per insegnare. Fa di più: non punta il dito contro nessuno, ma apre le braccia a tutti. Così si manifesta il nostro Re: a braccia aperte, a brasa aduerte», e «solo entrando nel suo abbraccio noi capiamo» un Dio che ci ama fino ad abbracciare Egli stesso la morte. Gesù ci ama così come siamo, rimarca ancora una volta il Pontefice, e non si stanca mai di perdonarci.
Il Signore ci vuole abbracciare, ma noi desideriamo essere coinvolti nel suo abbraccio? Il Santo Padre evidenzia che «il Vangelo oggi ci pone davanti a due strade. Di fronte a Gesù c’è chi fa da spettatore e chi si coinvolge» con la vicenda di quel Crocifisso. «E tutti questi spettatori condividono un ritornello, che il testo riporta tre volte: “Se sei re, salva te stesso!” (cfr vv. 35.37.39) Lo insultano così, lo sfidano! Salva te stesso, esattamente il contrario di quello che sta facendo Gesù, che non pensa a sé, ma a salvare loro», rimarca il Papa. Il grido dell’irrisione passa di bocca in bocca come un incendio: il male è contagioso, benché molti della folla che stava sotto la croce si dichiarassero credenti e conoscessero a memoria i Comandamenti. Il morente non era un loro parente, quindi potevano osservare la scena con il “dovuto” distacco, «e questo è il contagio letale dell’indifferenza: che crea delle distanze con le miserie. L’onda del male si propaga sempre così: comincia dal prendere le distanze, dal guardare senza far nulla, dal non curarsi, poi si pensa solo a ciò che interessa e ci abitua a girarsi dall’altra parte. È questo è un rischio anche per la nostra fede, che appassisce se resta una teoria non diventa pratica, se non c’è coinvolgimento, se non ci si spende in prima persona, se non ci si mette in gioco».
Il cattolico che non vuole esserlo “all’acqua di rose” deve, quindi, tenere in conto una certa percentuale di “rischio” personale. Il “buon ladrone” ha il coraggio di andare controcorrente e di chiedere a Gesù l’ingresso in Paradiso. «Chi pratica la confidenza, come questo buon ladrone, impara l’intercessione, impara a portare a Dio quello che vede, le sofferenze del mondo, le persone che incontra; a dirgli, come il buon ladrone: “Ricordati, Signore!”. Non siamo al mondo solo per salvare noi stessi, no: ma per portare i fratelli e le sorelle nell’abbraccio del Re. Intercedere, ricordare al Signore, apre le porte del paradiso» per sé e per gli altri.
«Sta a noi scegliere se essere spettatori o coinvolti. Sono spettatore o voglio essere coinvolto? Vediamo le crisi di oggi, il calo della fede, la mancanza di partecipazione… Che cosa facciamo? Ci limitiamo a fare teorie, ci limitiamo a criticare, o ci rimbocchiamo le maniche, prendiamo in mano la vita, passiamo dal “se” delle scuse al “sì” della preghiera e del servizio?», domanda il Papa. Se ci lasciamo coinvolgere, ovvero se mettiamo le mani nella pasta del mondo contemporaneo, immettendovi il lievito dello Spirito Santo, contribuiremo a costruire la civiltà dell’Amore. E forse, un giorno, un nostro lontano nipote tornerà a ringraziarci rivestito di bianco.
Lunedì, 21 novembre 2022