di Michele Brambilla
«Nel Vangelo di questa domenica (cfr Mt 10,26-33)», dice Papa Francesco alla recita dell’Angelus del 21 giugno, «risuona l’invito che Gesù rivolge ai suoi discepoli a non avere paura, ad essere forti e fiduciosi di fronte alle sfide della vita, preavvisandoli delle avversità che li attendono», in primis la persecuzione. «Gesù», infatti, «li esorta con insistenza a “non avere paura”» perché «la paura è uno dei nemici più brutti della nostra vita cristiana». Il Pontefice evidenzia che «il brano odierno fa parte del discorso missionario, con cui il Maestro prepara gli Apostoli alla prima esperienza di annuncio del Regno di Dio».
Sono due i pericoli che, secondo il Pontefice, minacciano la missione dei discepoli: «[…] l’ostilità di quanti vorrebbero zittire la Parola di Dio, edulcorandola, annacquandola, o mettendo a tacere chi la annuncia. In questo caso, Gesù incoraggia gli Apostoli a diffondere il messaggio di salvezza che Lui ha loro affidato» nella sua interezza. «La seconda difficoltà che i missionari di Cristo incontreranno è», ripete ancora una volta il Papa, «la minaccia fisica contro di loro, cioè la persecuzione diretta contro le loro persone, fino all’uccisione».
Il Santo Padre denuncia che «questa profezia di Gesù si è realizzata in ogni tempo: è una realtà dolorosa, ma attesta la fedeltà dei testimoni. Quanti cristiani sono perseguitati anche oggi in tutto il mondo! Soffrono per il Vangelo con amore, sono i martiri dei nostri giorni. E possiamo dire con sicurezza che sono più dei martiri dei primi tempi: tanti martiri, soltanto per il fatto di essere cristiani», ma «a questi discepoli di ieri e di oggi che patiscono la persecuzione, Gesù raccomanda: “Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima” (Mt 10,28)».
Francesco elenca una terza prova a cui potrebbe essere sottoposto il discepolo di Cristo: lo scoraggiamento, la paura di essere abbandonato da Dio. «Anche qui», però, Gesù «esorta a non avere paura, perché, pur attraversando queste e altre insidie, la vita dei discepoli è saldamente nelle mani di Dio, che ci ama e ci custodisce». Se qualche volta viene alle labbra il grido «“Padre, perché mi hai abbandonato?”», non bisogna dimenticare che, in realtà, «il Padre si prende cura di noi, perché grande è il nostro valore ai suoi occhi. Ciò che importa è la franchezza, è il coraggio della testimonianza, della testimonianza di fede: “riconoscere Gesù davanti agli uomini” e andare avanti facendo del bene».
È quello che comprese il novizio gesuita san Luigi Gonzaga (1568-91), di cui ricorre la memoria liturgica: il confratello Jorge Mario Bergoglio lo addita ai giovani come esempio di dedizione, specialmente in questo tempo di pandemia. Dice infatti: «saluto in particolare voi giovani: oggi ricordiamo San Luigi Gonzaga, un ragazzo pieno di amore per Dio e per il prossimo; morì giovanissimo, qui a Roma, perché si prendeva cura dei malati di peste. Alla sua intercessione affido i giovani di tutto il mondo» perché sappiano vivere anche loro ad maiorem Dei gloriam.
Lunedì, 22 giugno 2020