I semi non diventano piante in un giorno. L’evangelizzatore deve saper imitare la tenacia del seminatore, cioè di Dio, che attende fiduciosamente i frutti
di Michele Brambilla
L’Angelus del 16 giugno inizia ricordando che «oggi il Vangelo della liturgia ci parla del Regno di Dio attraverso l’immagine del seme». Papa Francesco evidenzia che «varie volte Gesù usa questa similitudine (cfr Mt 13,1-23; Mc 4,1-20; Lc 8,4-15), e oggi lo fa invitandoci a riflettere in particolare su un atteggiamento importante collegato con l’immagine del seme, e l’atteggiamento è l’attesa fiduciosa» dei frutti che ognuno è chiamato a portare.
«Infatti, nella semina, per quanto il contadino sparga ottima e abbondante semente, e per quanto prepari bene la terra, le piante non spuntano subito: ci vuole tempo e ci vuole pazienza! Perciò è necessario che, dopo aver seminato», il seminatore «sappia attendere con fiducia, per permettere ai semi di aprirsi al momento giusto e ai germogli di spuntare dal terreno e di crescere, abbastanza forti da garantire, alla fine, un raccolto abbondante».
Nessuno vede il seme sottoterra, ma «il miracolo è già in atto»: i risultati del processo li potremo osservare solo se avremo pazienza. «Anche il Regno di Dio è così. Il Signore mette in noi i semi della sua Parola e della sua grazia, semi buoni e abbondanti, e poi, senza mai smettere di accompagnarci, aspetta con pazienza» la crescita.
«Il Signore continua a prendersi cura di noi, con la fiducia di un Padre, ma ci dà tempo – il Signore è paziente – affinché i semi si aprano, crescano e si sviluppino fino a portare frutti di opere buone», insiste il Papa, perché Dio «vuole che nel suo campo nulla vada perduto, che tutto giunga a piena maturazione; vuole che tutti noi possiamo crescere come spighe cariche di chicchi».
Il Signore, in questo, fornisce un esempio fondamentale a tutti coloro che intraprendono l’opera dell’evangelizzazione. Per il Pontefice, Gesù «insegna anche a noi a seminare fiduciosamente il Vangelo là dove siamo, e poi ad attendere che il seme gettato cresca e porti frutto in noi e negli altri, senza scoraggiarci e senza smettere di sostenerci e aiutarci a vicenda anche là dove, nonostante gli sforzi, ci sembra di non vedere risultati immediati». «Spesso infatti anche tra noi, al di là delle apparenze, il miracolo è già in atto, e a suo tempo porterà frutti abbondanti», ma altrettanto spesso i nostri occhi tendono a vedere solo l’albero che cade (il male) e non la proverbiale “foresta che cresce”. «Perciò possiamo chiederci: io lascio seminare in me la Parola? A mia volta, semino con fiducia la Parola di Dio negli ambienti in cui vivo? Sono paziente nell’aspettare, oppure mi scoraggio perché non vedo subito i risultati? E so affidare tutto serenamente al Signore», senza stancarmi di seminare?
Giusto «ieri, a Cracovia, è stato beatificato Michele Rapacz, sacerdote e martire, pastore secondo il cuore di Cristo, fedele e generoso testimone del Vangelo che ha sperimentato sia la persecuzione nazista sia quella sovietica, e ha risposto con il dono della vita». Molto interessante il fatto che sia una vittima di entrambi i totalitarismi del Novecento, il nazionalsocialismo e il comunismo.
«Continuano a giungere notizie dolorose di scontri e massacri compiuti nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo. Rivolgo il mio appello alle Autorità nazionali e alla Comunità internazionale, affinché si faccia il possibile per la cessazione delle violenze e per la salvaguardia della vita dei civili. Tra le vittime, molti sono cristiani uccisi in odium fidei. Sono martiri» di oggi.
Lunedì, 17 giugno 2024