Nota del 4 gennaio 2020:
Sulla mancanza totale di fondamenti scientifici nell’ideologia del gender, riproponiamo uno scritto, di carattere più scientifico, del chimico Giulio Dante Guerra, Primo Ricercatore del Consiglio Nazionale delle Ricerche a riposo, e Socio Onorario della Società Italiana dei Biomateriali.
Giulio Dante Guerra, Cristianità n. 388 (2017)
Il gender: «teoria scientifica» o ideologia arbitraria?
Ai nostri giorni la teoria del gender «viene sostenuta dalle agenzie ONU, dalle ONG, dal Parlamento Europeo di Strasburgo e dalla Commissione di Bruxelles» (1). Queste organizzazioni appaiono, agli occhi dell’«uomo della strada», così «autorevoli», da far pensare che questa teoria sia, ormai, una «verità scientifica» dimostrata definitivamente. A parte il fatto che la scienza — quella vera, non qualche filosofia materialista gabellata per «scienza» — non può dimostrare definitivamente alcuna «verità», ma solo verificare sperimentalmente teorie e ipotesi di lavoro che potranno, in qualunque momento, essere falsificate da nuove prove sperimentali, si può dimostrare l’esatto contrario: nessun dato sperimentale rilevato con metodi scientifici può avvalorare la teoria del gender.
Il sesso di una persona, come altre sue caratteristiche corporee, è determinato dai suoi cromosomi. I cromosomi umani sono 46, e si trovano in ogni cellula riuniti in coppie: 23 cromosomi sono di origine paterna e 23 di origine materna. Sono, quindi, 23 coppie, una delle quali, quella dei «cromosomi sessuali», presenta caratteristiche diverse nei due sessi.
«Nella femmina avremo due cromosomi uguali che si indicano con XX; nel maschio vi è una X come nella femmina ma accompagnata da un cromosoma particolare indicato con Y» (2). Nella formazione delle cellule germinali si ha un dimezzamento (meiosi) del corredo cromosomico: gli ovociti, le cellule germinali della donna, hanno tutti il cromosoma X, mentre quelle dell’uomo, gli spermatozoi, possono avere o il cromosoma X, o il cromosoma Y. Nel concepimento, se l’ovocita si unisce con uno spermatozoo X, sarà concepita una femmina; se con uno spermatozoo Y, un maschio (3). Non esiste nessun «terzo sesso», a parte situazioni che sono e restano patologiche, ma che, proprio per questo, non possono certo essere definite «generi sessuali particolari».
Fino al 1955 la parola gender altro non era che l’equivalente inglese di «genere», parola che, da noi, aveva, nel linguaggio comune, il significato, appunto, «generico», che ha in gran parte ancor oggi. Nelle scienze naturali, invece, indica un gruppo di specie diverse, ma simili fra loro; come, ad esempio, in zoologia il genere Equus, che comprende le due specie domestiche Equus caballus ed Equus asinus, e in botanica il genere Pinus, comprendente le due specie più diffuse nelle nostre pinete costiere, Pinus pinea e Pinus pinaster. L’unico «genere» in qualche modo correlato con il «sesso» è quello grammaticale, che distingue i nomi maschili e femminili. Ma in quell’anno lo psicologo neozelandese, emigrato negli Stati Uniti, John Money (1921-2006) cominciò ad attribuire alla parola gender un nuovo significato, che non esiterei a definire completamente inventato da lui stesso: quello di un’identità sessuale soggettiva, completamente sganciata dal sesso biologico. In particolare, Money affermava prepotentemente «che i bambini diventano come vengono cresciuti anche dal punto di vista dell’identità sessuale, che non esiste una sessualità biologica, ma un orientamento sessuale che dipende dall’educazione ricevuta e dall’ambiente in cui il bambino cresce» (4). Ciò, nonostante che il ruolo dei cromosomi X e Y nella determinazione biologica del sesso fosse ben noto già allora, più o meno da circa mezzo secolo. Le affermazioni di Money erano, quindi, del tutto confutabili scientificamente, nonostante l’appoggio, che hanno ricevuto anche negli anni successivi, e ricevono ancor oggi, da femministe radicali, da omosessualisti e da tutti gli altri fautori di quella che potrebbe definirsi «la distruzione della realtà creata» (5), la rivoluzione antropologica iniziata nel 1968 (6).
Ma un esito veramente tragico si ebbe quando a Money capitò un’occasione che gli permise di «verificare sperimentalmente», così credeva, le sue teorie. È il caso — abbastanza noto, nonostante i tentativi di «silenziarlo» da parte dei sostenitori dell’ideologia del gender — del canadese Bruce Reimer, nato maschio nel 1997, menomato gravemente alla nascita da una circoncisione compiuta in modo sbagliato, evirato definitivamente, «trasformato in femmina» da Money e ribattezzato Brenda, bersagliato in continuazione di ormoni femminili ed educato «da femmina» nonostante il suo sentirsi maschio, ridiventato maschio di sua volontà e rinominatosi David, ma alla fine morto suicida trentanovenne dopo una vita di dolori e delusioni. La sua tragica vicenda è narrata per esteso in un libro del giornalista John Colapinto (7) e, più sinteticamente, nell’opera di Cerrelli e Invernizzi (8).
Ma l’ideologia del gender non poteva fermarsi al cambio di sesso, nemmeno «forzato», come nel caso del povero Bruce. La Rivoluzione è un processo, come insegna Corrêa de Oliveira (9), e quindi non si ferma, specie quando gli ostacoli che potrebbe incontrare funzionano poco e male; così, proprio in quegli anni 1990, nasce la teoria queer (10). È un aggettivo inglese, il cui significato originario era «strano, bizzarro, eccentrico, capriccioso», ma anche «dubbio, sospetto»; nello slang americano degli anni 1960, queer money significava, addirittura, «denaro falso». Insomma, è un «sesso» indefinibile quello indicato dall’ultima lettera della sigla, ormai nota a tutti, LGBTQ. Purtroppo, tutte queste affermazioni — che in un mondo governato dal buon senso sarebbero soltanto fantasticherie stravaganti — hanno ricevuto di recente l’avallo di «sentenze creative», pronunciate da giudici dei nostri tribunali (11).
La cosa incomprensibile ai «non addetti ai lavori» è come questi stessi tribunali, quando sono in corso indagini, riguardanti tracce anche minime di materiale biologico, lasciate, per esempio, da un possibile assassino sulla scena d’un crimine, si affidino anche all’analisi dell’acido desossiribonucleico, o DNA, contenuto in quelle tracce. Siccome i «geni», che costituiscono i cromosomi, sono formati, essenzialmente, da catene di DNA, esistono sequenze di basi del DNA diverse in cromosomi diversi; in particolare, nel DNA umano ci sono sequenze proprie del cromosoma X ed altre proprie del cromosoma Y. Proprio le indagini forensi hanno sollecitato lo sviluppo di tecniche sempre più raffinate allo scopo di individuare, nelle tracce biologiche, le sequenze di DNA provenienti dal cromosoma Y, e determinare così, con certezza scientifica, il sesso biologico di chi ha lasciato quelle tracce (12). Da notare che, nel titolo del primo dei due articoli citati, proprio la parola gender è usata per indicare il sesso biologico, non, chiamiamoli così, i «generi ideologici», che, per i sostenitori di quell’ideologia, «sono (almeno) 5: maschile, femminile, bisessuale, omosessuale, transgender (ma c’è chi enumera decine di generi che risultano dalle combinazioni dei 5 appena menzionati: su facebook se ne possono scegliere più di 50…)» (13). Insomma, scientificamente, ci sono solo due «generi», il maschile e il femminile, come nelle grammatiche, su cui ha studiato l’italiano, a suo tempo, chi, come me, ha compiuto i settant’anni di età. Già, perché, invece, nell’odierna scuola italiana le cose vanno, purtroppo, diversamente, e l’ideologia gender è imposta, sistematicamente, agli alunni delle scuole (14). Se questa non è violenza contro la natura, addirittura contro quella scritta indelebilmente nel DNA di ciascuna cellula contenuta nel corpo di ogni appartenente al genere umano, non so come dobbiamo chiamarla.
Concludendo: non temiamo di apparire «arretrati», quando i sostenitori dell’ideologia gender tirano in ballo pretese «recenti acquisizioni scientifiche della psicologia e del comportamento»; queste non sono «scienze esatte», mentre lo sono la biologia e la biochimica, nel loro ambito. Queste ci dicono che chi ha nelle proprie cellule il DNA maschile è un uomo, così che, per coerenza, deve comportarsi da uomo; mentre chi ha solo il DNA femminile è donna, così che, per coerenza, deve comportarsi da donna. La scienza dice soltanto questo; tutto il resto non sono altro che «chiacchiere», frutto di un’ideologia arbitraria.
Giulio Dante Guerra
Note:
(1) Mons. Tony Anatrella, La teoria del «gender» e l’origine dell’omosessualità. Una sfida culturale, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2012, pp. 16-17.
(2) Vito Sinopoli, L’uomo prima di nascere, Eri, Torino 1974, p. 34.
(3) Cfr. ibid., p. 100.
(4) Giancarlo Cerrelli e Marco Invernizzi, La famiglia in Italia. Dal divorzio al gender, Sugarco, Milano 2017, p. 75.
(5) Cfr. ibid., pp. 74-100.
(6) Cfr. Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995), Rivoluzione e Contro-Rivoluzione. Edizione del cinquantenario (1959-2009); con materiali della «fabbrica» del testo e documenti integrativi, presentazione e cura di Giovanni Cantoni, Sugarco, Milano 2009.
(7) Cfr. John Colapinto, Bruce, Brenda e David. Il ragazzo cresciuto come una ragazza, tr. it., San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2014.
(8) Cfr. G. Cerrelli e M. Invernizzi, op. cit., pp. 75-79.
(9) Cfr. P. Corrêa de Oliveira, op. cit., pp. 46-47.
(10) Cfr. G. Cerrelli e M. Invernizzi, op. cit., pp. 96-100.
(11) Cfr. ibid., pp. 283-291.
(12) Cfr., per esempio, Julia S. Allwood e Sally Ann Harbison, «YFlag» – A single-base extension primer based method for gender determination, in Journal of Forensic Science, vol. 60, n. 1, Hoboken (New Jersey) gennaio 2015, pp. 142-146; Santiago Ginart, Mariela Caputo, Evguenia Alechine, Daniel Corach e Andrea Sala, Development of a quantitation approach for total human and male DNA based on Real Time PCR followed by High Resolution Melting analysis, in Electrophoresis, vol. 37, n. 21, Hoboken (New Jersey) ottobre 2016, pp. 2734–2741.
(13) Giacomo Samek Lodovici, Uno «tsunami» antropologico, in Chiara Atzori, Renzo Puccetti, Giancarlo Ricci e Giacomo Samek Lodovici, Sesso e gender. Ipotesi per un dibattito scientifico, Tipografia Editrice Pisana, Pisa 2016, pp. 48-58 (p. 48).
(14) Cfr. G. Cerrelli e M. Invernizzi, op. cit., pp. 253-262.