Oscar Sanguinetti, Cristianità n. 114 (1984)
Con scarsissima preparazione propagandistica e spirituale, e quindi con scarsa eco, la commemorazione di un gesto, suggerito dal messaggio della Madonna a Fatima, che poteva e può essere gravido di straordinari effetti per la nazione cattolica italiana, preservandola dalle nefaste estreme conseguenze della moderna apostasia.
Celebrato a Trieste il 9 settembre 1984
Il giubileo della consacrazione dell’Italia al Cuore Immacolato di Maria
«Tutto ciò che […] ha trovato espressione nell’atto di consacrazione a Maria, compiuto dai Pastori della Chiesa italiana, io desidero oggi non soltanto ricordare, ma anche, con tutto il cuore, ripetere, rinnovare e fare, in un certo modo, mia proprietà […]» (1). Con queste parole, pronunciate l’8 settembre 1979 nel santuario di Loreto, Giovanni Paolo II rammentava e riproponeva agli italiani la loro consacrazione al Cuore Immacolato della Madre di Dio, avvenuta venti anni prima, il 13 settembre 1959, a Catania. Anche in occasione del recente giubileo della consacrazione, il regnante Pontefice non ha mancato di solennizzare la celebrazione della ricorrenza, inviando a mons. Lorenzo Bellomi, vescovo di Trieste – città dove si trova il tempio dedicato a Maria Madre e Regina, eretto nel 1966 per perpetuare il ricordo dell’avvenimento – un messaggio nel quale afferma, tra l’altro: «[…] ricordo in questa circostanza l’atto di affidamento e consacrazione, che ho compiuto il 25 marzo scorso dinanzi alla venerata statua della Madonna di Fatima insieme con tutto l’episcopato cattolico […]» (2); e, ancora, citando il radiomessaggio del suo predecessore Giovanni XXIII per l’inizio dei lavori di costruzione del tempio, il 19 settembre 1959: «la consacrazione fatta alla Vergine Santissima “significa consacrazione fervente, irrevocabile, generosa al divin Salvatore, alla sua legge, alla sua Chiesa”» (3); concludendo, infine, con l’auspicio che il santuario del Monte Grisa diventi presto «un luogo di autentico incontro con Dio, un’oasi di ripresa apostolica, un centro di spiritualità cristiana e mariana, una permanente antenna di evangelizzazione e un crocevia di solidarietà tra i popoli» (4).
In questa prospettiva e sotto questi auspici la Chiesa italiana ha ricordato il venticinquesimo anniversario della consacrazione della nostra nazione con una messa solenne, accompagnata dal rinnovo dell’atto di consacrazione, celebrata domenica 9 settembre 1984 dal cardinale Sebastiano Baggio e da altri presuli (5) presso il santuario di Maria Madre e Regina, alla presenza di autorità civili (6) e di una numerosa folla di fedeli.
A un quarto di secolo di distanza da questo evento – del quale sembra non sia stata colta tutta la importanza, anche perché non è stato sufficientemente propagandato (7) – ritengo legittimo e opportuno rammentare le ragioni che indussero la conferenza dei vescovi italiani – da poco nata – a compiere questo gesto, e cercare di coglierne l’essenza e di indicarne le conseguenze – potenziali e reali – alla luce della dottrina cattolica in merito.
Qual è, in primo luogo, il significato della consacrazione a Maria e, più in particolare, quella al suo Cuore Immacolato?
«Consacrare» significa «rendere sacro a Dio», cioè rendere riservato esplicitamente a Dio, appartenente esclusivamente a Lui qualche cosa o qualcuno: ciò avviene; per esempio, a proposito della persona dei religiosi e nel caso degli oggetti del culto divino, e, a questo riguardo, si parla di consacrazione di tipo «costitutivo», perché inerisce essenzialmente al suo oggetto. Non è questa l’unica modalità di consacrazione: ne esiste un’altra, che consiste nel dichiarare e nel riconoscere esplicitamente e volontariamente che qualcosa o qualcuno – noi stessi, per esempio – appartiene a Dio, in quanto Egli ne è il creatore e il provvidente reggitore, quasi restituendogli la persona o la cosa, affidandogliela e mettendola sotto la sua particolare protezione, al fine di maggiormente glorificarlo, facendone meglio risaltare la onnipotenza. Questa è la consacrazione di tipo «dichiarativo», atto e preghiera al tempo stesso, e di essa può essere termine Dio, il nostro Signore Gesù Cristo, unico mediatore per essenza tra Dio e gli uomini, o anche Maria, la santa Madre di Dio, costituita, per libera volontà di suo figlio dall’alto della croce (8), mediatrice di tutte le grazie tra lui stesso, capo del Corpo Mistico, e la Chiesa (9).
Si potrebbe obiettare: perché consacrare a Maria, che è pur sempre una creatura, e non direttamente a Gesù? L’alternativa è solo apparente: infatti, consacrare a Maria significa consacrare a Gesù per le mani di lei, che è stata chiamata «onnipotenza supplice» (10), dunque vuol dire unire a Gesù in maniera più rapida, facile e sicura, essendo la Madonna – in un certo senso – il primo scalino verso la Trinità nel presente tempo «ultimo», il tempo della Redenzione. Consacrare e consacrarsi al cuore della Immacolata, poi, equivale ad affidarsi alla essenza della persona di Maria, al luogo della sua ardente volontà di unione, cioè del suo amore, per Gesù: quindi, vuol dire farsi portare ancora più immediatamente e agevolmente al Cuore di Gesù.
Con la consacrazione dell’Italia del 1959 – che fu una consacrazione di tipo dichiarativo collettiva o «sociale» e, quindi, legittimamente pronunciata a nome della cristianità italiana dalle sue massime autorità religiose -, i vescovi intesero certamente operare in tale senso, riconoscendo il legame di dipendenza ontologico di tutto ciò che esiste da Dio, anche se si tratta di realtà storiche come le nazioni; intesero anche, più in particolare, riconoscere la dipendenza sostanziale della vita della nazione italiana dalla ininterrotta opera di mediazione di grazie che Maria svolge quotidianamente – mediazione che, si potrebbe dire, attualizza il legame di dipendenza di cui si è parlato -, restituirle l’Italia e riconoscere e accettare il suo regno misericordioso e benigno su di essa.
Tra le conseguenze sperate vi fu senza dubbio quella di vedere scorrere un più copioso flusso di grazie sul popolo italiano, almeno potenzialmente: le consacrazioni, infatti, in analogia con i sacramentali – benedizioni sacerdotali, ecc. -, agiscono ex opere operantis (11) e il loro frutto è strettamente dipendente dalle disposizioni di chi ne è soggetto.
Quale fu, infine, la causa prossima di questa impetrazione straordinaria di grazie fatta dai vescovi italiani? Come è noto, la consacrazione delle nazioni e degli Stati al Cuore Immacolato di Maria ha conosciuto un grande impulso in seguito al ciclo di rivelazioni iniziato a Fatima. Durante una sua apparizione, la Vergine chiese infatti espressamente la consacrazione della Russia al suo cuore purissimo e additò, in generale, nella consacrazione dei popoli il rimedio per allontanare o, almeno, per abbreviare il castigo storico di Dio sull’umanità peccatrice, quando nel luglio 1917 disse: «Se si ascolteranno le mie richieste, la Russia si convertirà e si avrà pace: diversamente diffonderà i suoi errori nel mondo, promuovendo guerre e persecuzioni alla Chiesa […]» (12).
Il motivo della consacrazione a Maria – come propiziatrice della conversione di un popolo e allontanatrice del castigo storico di esso, attuato mediante la instaurazione di regimi totalitari e atei, ultimamente definiti una «vergogna del nostro tempo» (13) – è indubbiamente alla base della decisione del 1959, ed è già presente agli albori dell’idea di consacrare l’Italia a Maria. Scriveva, infatti, nel 1898 il cardinale De Richelmy, arcivescovo di Torino e promotore del primo congresso mariano italiano: «[…] a me […] sorride l’idea di consacrare al Cuore Immacolato di Maria Santissima i cuori dei figli tribolati di questa povera Penisola, perché nel nuovo secolo che si avvicina, distrutti gli sforzi del moderno paganesimo, pieno e perfetto sia fra noi il trionfo di Gesù Redentore» (14).
Possiamo affermare oggi, a venticinque anni di distanza, che la consacrazione abbia ottenuto tutti i frutti di conversione impliciti in essa, e che la nazione italiana abbia saputo approfittare della messe di grazie storiche che le veniva offerta? La risposta non è difficile: mentre, da un lato, il «paese legale», lo Stato – che, peraltro, non fu consacrato assieme alla nazione nel 1959 -, sembra continuare a muoversi verso prospettive sempre più antitetiche rispetto a quelle indicate dalla dottrina sociale della Chiesa, cioè dalla morale sociale naturale e cristiana, dall’altro, la maggioranza del mondo cattolico italiano non ha saputo inserire nella vita religiosa e civile della nazione l’idea e la pratica della consacrazione, come dimostra anche la scarsa eco che questo venticinquesimo anniversario ha avuto all’interno del mondo cattolico (15). Tuttavia, si deve rilevare come la nazione italiana non sia stata ancora completamente conquistata dalle forze scristianizzatrici e demoralizzatrici in essa operanti, nonostante venga da esse sottoposta quotidianamente a una straordinaria pressione propagandistica e psicologica. Come non pensare, riguardo a ciò, a una particolare attenzione della Vergine per il nostro paese e non ipotizzare – davanti a questa apparentemente inspiegabile resistenza – la presenza di una Italia sommersa, di un patrimonio di grazie nascoste nell’anima del nostro popolo e come non ricollegare queste grazie – oltre che ai meriti dei nostri santi – alla consacrazione a Maria del 1959 (16)?
Al termine di queste considerazioni, non resta che auspicare che anche per l’Italia valgano le parole che la Vergine, a Fatima, il 13 luglio 1917, ha detto a proposito del Portogallo: «In Portogallo si conserverà sempre il dogma della fede […]» (17). La consacrazione ne è un presupposto importante: sta agli italiani approfittarne con la preghiera, con l’azione e con il sacrificio.
Oscar Sanguinetti
Note:
(1) GIOVANNI PAOLO II, Lettera a mons. Lorenzo Bellomi, vescovo di Trieste, in Vita Nuova, settimanale della diocesi di Trieste, n. 3256, 31-8-1984.
(2) Ibidem.
(3) Ibidem.
(4) Ibidem.
(5) Oltre al vescovo di Trieste, erano presenti alla cerimonia il segretario del consiglio permanente della Conferenza Episcopale Italiana mons. Egidio Caporello; l’arcivescovo di Gorizia, mons. Bonmarco, i vescovi: mons. Ravignani, di Vittorio Veneto, mons. Peressin, de L’Aquila; mons. Pizzoni, ausiliare di Udine; mons. Vigo, ausiliare di Catania; mons. Fanton, ausiliare di Vicenza e mons. Franzi, presidente del Collegamento Mariano Nazionale e ausiliare di Novara. Da Linz, in Austria, e da Lubiana, in Jugoslavia, sono intervenuti, rispettivamente, i vescovi mons. Maximilian Aichein e mons. Stanislav Lenich. Cfr. Il Piccolo, 10-9-1984.
(6) Hanno assistito alla cerimonia il ministro dell’Interno, on. Scalfaro – che è anche presidente della sezione italiana del movimento Apostolato Mariano di Fatima o Armata Azzurra – e, in rappresentanza del governo, il ministro della Sanità, on. Degan; al loro fianco, il presidente della giunta regionale, Comelli, quello della provincia, Marchio, e il sindaco di Trieste, Richetti. Cfr. Il Piccolo, cit.
(7) Anche in occasione di questo venticinquesimo, come pure avvenne per il decennale e per il ventennale, la eco sulla stampa nazionale è stato pressoché nulla: lo stesso quotidiano cattolico ufficioso ha confinato il resoconto della manifestazione nelle pagine interne e ne ha riferito in meno di una colonna di stampa.
(8) Cfr. Gv. 19, 26-27.
(9) Sul tema di Maria mediatrice di tutte le grazie, cfr. MONS. ANTONIO DE CASTRO MAYER, La Mediazione Universale di Maria Santissima, in Cristianità, anno VIII, n. 68, dicembre 1980.
(10) GREGORIO ALASTRUEY, Tratado de la Virgen Santissima, parte III; cap. 4, q. 5, cit. in MONS. A. DE CASTRO MAYER, doc. cit., p. 10.
(11) Cfr. DOM GREGORIO MANISE O.S.B., Sacramentale, in Dizionario di Teologia Morale, diretto dal card. Francesco Roberti con la collaborazione di mons. Pietro Palazzini, 4ª ed. riveduta alla luce del Concilio ecumenico Vaticano II, Studium, Roma 1968, sub voce, pp. 1455-1458.
(12) Cfr. ANTONIO A. BORELLI MACHADO, Le apparizioni e il messaggio di Fatima, 4ª ed. it., Cristianità, Piacenza 1982, p. 37.
(13) SACRA CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Istruzione su alcuni aspetti della «teologia della liberazione», in L’Osservatore Romano, 3/4-9-1984.
(14) Citato in STEFANO DE FIORES, SANTINO EPIS e GABRIELE AMORTH, La consacrazione dell’Italia a Maria. Teologia-storia-cronaca, Edizioni Paoline. Roma 1983, parte II, p. 68.
(15) La scarsa penetrazione fra i cattolici italiani della prospettiva legata alle rivelazioni di Fatima è rivelata, per esempio, della tutt’altro che straordinaria diffusione che ha trovato e trova nel nostro paese la pratica dei primi sabati del mese.
(16) Faccio mie, in questo contesto, le considerazioni di GIOVANNI CANTONI, Il «sorpasso» millantato e il nuovo «miracolo italiano», in Cristianità, anno XII, n. 112-113.
(17) Cfr. A. A. BORELLI MACHADO, op. cit., p. 38.