Giovanni Cantoni, Cristianità n. 88-89 (1982)
Nel corso dell’estate il Partito Socialista Italiano, attraverso una rapida crisi di governo, ha prodotto la introduzione nel programma del secondo ministero Spadolini di elementi della sua «Grande Riforma» che, a breve, permetteranno una nuova crisi ed elezioni anticipate a primavera e, in prospettiva, lo «sblocco della democrazia italiana», cioè l’ingresso dei comunisti al governo.
Dopo «la campagna di agosto» dell’on. Craxi
Il «golpe» socialcomunista freddo e strisciante
La marcia comunista verso il governo continua senza tregua, neppure estiva. Questo sembra il senso degli accadimenti di agosto, vissuti dalla opinione pubblica in modo – se possibile – ancora più distratto del consueto, perché occupata quasi unicamente dal problema di un adeguato «restauro» fisico, in vista della comunque inevitabile «stangata» fiscale di autunno (1).
Così, dunque, tutto è successo in una atmosfera ancora più indifferente del solito: il governo è caduto, il governo «si è rialzato», e anche taluni professionisti della vita partitica non hanno saputo, o voluto, vedere nel fatto niente di più di una «pagliacciata», oppure di una conferma della incapacità di governare, che sarebbe il senso vero della «ingovernabilità», da parte di loro avversari o concorrenti.
Ma credo si possa dire fondatamente che vi è poco da ridere. Infatti, la caduta del primo governo Spadolini, e la formazione del secondo, vanno viste e interpretate in un più vasto contesto, che è quello della versione italiana della Rivoluzione in Occidente, il cui problema e la cui meta consistono nel portare il comunismo al potere e al governo per via di «consenso», più o meno reale o manipolato, piuttosto che per mezzo della violenza, e, comunque, certamente non attraverso l’uso della violenza materiale, anche se non è assolutamente esclusa quella psicologica.
Ebbene, il potere conseguito dal comunismo sulla società italiana ha forse toccato il suo tetto, anche se non ovunque uniforme, perché condizionato dalla nostra storia e dalle caratteristiche della nostra nazione. Anzi, di tale potere, al momento, sono rilevabili non pochi sintomi di deflusso, sì che urge che esso sia coronato dal governo, cioè dalla titolarità del potere stesso, affinché le conquiste della «Rivoluzione nella libertà» siano il meno possibile esposte a erosione e a decadimento.
La marcia della Rivoluzione in Italia ha conosciuto una articolata periodizzazione, che va dal centrismo al centrosinistra, e da questo punta agli «equilibri più avanzati», noti anche come «terza fase». Il processo, nelle sue prime due fasi – seguite alla rottura del Comitato di Liberazione Nazionale, che, venuto meno il «pericolo fascista», sarebbe suonato apertamente «regime», così definendo lo Stato di una nazione retta da forze senza opposizione politicamente rappresentata -, ha visto protagonista incontrastata della vita politica la Democrazia Cristiana, che ha tentato, negli anni dal 1976 al 1979, di concludere anche la terza fase del programma strategico. Tale protagonismo è venuto calando, a partire dalla tornata elettorale del 3 giugno 1979, a vantaggio del Partito Socialista Italiano. La strategia socialista di «Grande Riforma» comporta il passaggio dal centro-sinistra – su cui l’establishment partitico ha ripiegato dopo tale data – alla «alternativa», che implica l’andata alla opposizione della Democrazia Cristiana, e, quindi, un suo ruolo oggettivamente subordinato nel quadro politico ufficiale, pena la trasformazione della situazione in «regime» visibile, con l’innesco di meccanismi reattivi, che possono così mettere in pericolo la strategia del «consenso» nella sua globalità (2).
Alla ipotesi – e alla realtà – del ridimensionamento del proprio protagonismo politico, la Democrazia Cristiana ha reagito con insofferenza e con quella enorme «perorazione» per i suoi meriti sovversivi, in cui si è risolto il suo XV congresso nazionale, autentica rivendicazione sindacale «corporativa» all’interno del personale dell’«Industria Rivoluzione» (3)!
La insofferenza democristiana ha, inoltre, prodotto tentativi di scavalcamento del Partito Socialista, per andare a contatto diretto con il Partito Comunista, che rimane il partner ideale da tutti ambito. Ne è nato un episodio parlamentare che, per opera di franchi tiratori democristiani, oppure di deputati socialisti assenti, ha permesso al Partito Socialista stesso di fare cadere il governo, e, quindi, di farlo rinascere «identico negli uomini, diverso nel programma e nello spirito» (4), cioè ormai inequivocabilmente teso, rebus sic stantibus, alla realizzazione della «terza fase» nella forma della «alternativa» e non in quella del «compromesso storico».
I termini della decisione sono inequivoci. La nostra, dice il sen. Spadolini, è «una democrazia bloccata» (5), cioè un regime democratico che si è «bloccato» sulla strada della sua completa realizzazione, che non è ancora diventato «democrazia compiuta» (6), perché dal suo governo sono stati, fino a oggi, esclusi pregiudizialmente i comunisti. Cadute tali «pregiudiziali sempre più anacronistiche» (7), la democrazia – afferma ancora il presidente del consiglio – può essere «sbloccata» e messa in movimento «anche con modificazioni istituzionali che favorendo la decisione, favoriscono il ricambio e l’alternativa» (8). Perciò, incalza l’on. Craxi, «tentando di gettare uno sguardo verso il futuro non riusciamo a intravedere vie diverse da quelle di un vero centro-sinistra o di una vera alternativa.
«Non potrebbe per il primo trattarsi della ripetizione di esperienze del passato, […] ma della ricerca di una nuova linea di incontro tra le istanze del centro politico e le istanze della sinistra.
«Né, d’altro canto una nuova alternativa non potrebbe in nessun modo riflettere una riedizione frontista ma semmai essere immaginata come una vasta articolazione di forze democratiche su presupposti non equivoci in alternativa al partito di maggioranza relativa» (9).
Ecco, dunque, chiaro il senso di quella che lo stesso on. Craxi – in preda, forse, a «furori» garibaldini se non napoleonici, come quelli del suo corrispondente di oltralpe – definisce «la campagna di agosto, (10): attraverso la pressione che il Partito Socialista ha potuto esercitare sul governo – e poco importa se sfruttando franchi tiratori altrui, o propri assenti -, nel programma della nuova compagine governativa sono stati introdotti elementi della «Grande Riforma» che, non realizzati e dopo un adeguato battage sulla «Riforma tradita» – analogo, anche se di minore durata, a quello che a suo tempo si svolse sul tema della «Costituzione tradita» -, permetterà una nuova crisi e il ricorso alle elezioni anticipate nella prossima primavera (11). Dalle quali è verosimile nasca un governo a guida socialista, caratterizzato dalla applicazione dell’articolo 92 della carta costituzionale, relativo alla autonomia del presidente del consiglio incaricato, nella scelta dei ministri, rispetto alle indicazioni dei partiti, così da permettere prima una compagine con ministri democristiani, «tecnici» comunisti e astensione comunista, quindi una formazione governativa con ministri comunisti, «tecnici» democristiani e astensione democristiana: il tutto per togliere la impressione del «regime», cioè di un governo, come ho detto, senza opposizione, e permettendo la realizzazione della «democrazia compiuta», cioè dell’Italia rossa (12).
Sicut erat in votis, mi pare di potere dire – a fronte della evidenza del «piano» -, di tutti quanti non si oppongono alla manovra, denunciandone le modalità e mettendo in guardia contro i suoi contenuti, che consistono nella perfetta realizzazione della «laicità della politica» (13), cioè nella sua totale autonomia dalla morale e, quindi, dalla verità.
Giovanni Cantoni
Note:
(1) La stagione della crisi, inconsueta per ogni manovra politica, sembra confermare la fretta della Rivoluzione, che ha certamente valutata la importanza del costante incremento dell’«Aventino di massa» (sul concetto cfr. il mio Un «Aventino di massa» per instaurare il regime socialista, in Cristianità, anno IX, n. 15-16, luglio-agosto 1981), rilevabile chiaramente, per esempio, dai risultati delle elezioni triestine di giugno, nelle quali, a fronte di una mobilitazione dell’establishment partitico straordinariamente articolata, in quanto presente con un ventaglio di ben quindici possibilità, il numero dei votanti è diminuito e sono aumentate le schede bianche e quelle nulle, facendo così passare la percentuale di chi non ha espresso il proprio voto al 12,4%, con un incremento medio, rispetto alle ultime due consultazioni sia comunali che provinciali, di circa 4 punti (cfr. Il Piccolo, 8-6-1982).
Mentre prosegue la lotta sui fronti consueti (cfr. il mio Il «programma socialista» contro il popolo italiano, in Cristianità, anno X, n. 84, aprile 1982), per impedire che questo «Aventino di massa» si risvegli, ed eventualmente si organizzi, è in pieno svolgimento una operazione che merita il nome di «sociallegria», dal titolo di un manifesto esposto alla Università di Napoli, con il programma dei festeggiamenti estivi promossi dal collettivo di sociologia di tale università. Espressione evidente di «sociallegria» sono stati i due «concerti», tenuti in Italia nel corso dell’estate dal complesso dei Rolling Stones: sul punto cfr. ALFREDO MANTOVANO, Rolling Stones da «demoni» ad «angeli» della Rivoluzione, in questo stesso numero di Cristianità.
(2) Cfr. il mio «Grande Riforma» e «alleanza riformatrice», in Cristianità, anno VII, n. 54, ottobre 1979.
(3) Cfr. il mio La «democrazia compiuta, ovvero l’Italia rossa grazie alla setta democristiana, ibid., anno X, n. 85, maggio 1982.
(4) Così il secondo governo Spadolini al dire dello stesso presidente del consiglio: cfr. il Giornale nuovo, 31-8-1982.
(5) La formula usata dal sen. Spadolini in sede di replica agli interventi sulle sue dichiarazioni programmatiche è desunta alla lettera da ALESSANDRO NATTA, Intervento sulle dichiarazioni programmatiche del presidente del consiglio, del 31-8-1982, in l’Unità, 1-9-1982.
(6) Il termine, che è stato il Leitmotiv dell’ultimo congresso nazionale della Democrazia Cristiana, è ripreso in CIRIACO DE MITA, intervento sulle dichiarazioni programmatiche del presidente del consiglio, del 31-8-1982, in Il Popolo, 1-9-1982. Non deve meravigliare la citazione dell’on. De Mita, dal momento che la sua opposizione al piano socialcomunista riguarda esclusivamente il «modo», che parzialmente lo esclude o lo mette in secondo piano, ma non il fine: cfr. il mio La «democrazia compiuta, ovvero l’Italia rossa grazie alla setta democristiana, cit.
(7) C. DE MITA, doc. cit.
(8) La Stampa, cit.
(9) BETTINO CRAXI, Intervento sulle dichiarazioni programmatiche del presidente del consiglio, del 31-8-1982, in Avanti!, 1-9-1982.
(10) Ibidem.
(11) «La questione istituzionale, che ha consentito al secondo governo Spadolini di nascere, probabilmente sarà anche la causa della sua fine, (GIANFRANCO PIAZZESI, Giochi sommersi, in La Stampa, cit.).
(12) Come si vede, se non si tratta del «governo diverso» a suo tempo proposto da Bruno Visentini e continuamente riproposto dal Partito Comunista, ne costituisce comunque premessa e indispensabile presupposto, che ha di mira «un autentico rafforzamento dell’esecutivo» (A. NATTA, doc. cit.) e che si affianca alla riforma delle leggi elettorali e delle istituzioni: «Dopo la vittoria del partito socialista francese grazie alle istituzioni golliste e dopo il successo di Papandreu in Grecia favorito da un sistema non proporzionale, perché dovrebbe continuare la timidezza istituzionale delle sinistre?» (PIERO PRATESI, Aspettando l’alternativa, in Paese Sera, 29-6-1982).
(13) C. DE MITA, doc. cit.