Francesco Pappalardo, Cristianità n. 340 (2007)
Il 19 ottobre 2006, nel discorso al Convegno nazionale della Chiesa in Italia, svoltosi a Verona, Papa Benedetto XVI ha sottolineato come l’Italia rifletta in maniera esemplare l’ambiguità dell’Occidente contemporaneo, da un lato mostrando la vitalità delle proprie radici cristiane e dall’altro presentando nella sua cultura i tratti di una nuova ondata di laicismo, che esclude Dio dalla vita pubblica: “L’Italia di oggi si presenta a noi come un terreno profondamente bisognoso e al contempo molto favorevole per una tale testimonianza [cristiana]. Profondamente bisognoso, perché partecipa di quella cultura che predomina in Occidente e che vorrebbe porsi come universale e autosufficiente, generando un nuovo costume di vita. Ne deriva una nuova ondata di illuminismo e di laicismo, per la quale sarebbe razionalmente valido soltanto ciò che è sperimentabile e calcolabile, mentre sul piano della prassi la libertà individuale viene eretta a valore fondamentale al quale tutti gli altri dovrebbero sottostare. Così Dio rimane escluso dalla cultura e dalla vita pubblica, e la fede in Lui diventa più difficile, anche perché viviamo in un mondo che si presenta quasi sempre come opera nostra, nel quale, per così dire, Dio non compare più direttamente, sembra divenuto superfluo ed estraneo” (1).
Alla luce di queste considerazioni merita attenzione un documento dell’episcopato italiano, la lettera al clero su Il laicismo (2), del 25 marzo 1960, che a distanza di quasi cinquant’anni mostra un’attualità straordinaria.
1. Il contesto
Dopo la Seconda Guerra Mondiale (1939-1945) la Chiesa Cattolica sembra chiamata dalle circostanze a esercitare un ruolo di orientamento universale. Il mondo guarda con grande attenzione alla Sede Apostolica e la figura di Papa Pio XII (1939-1958) grandeggia in modo indiscusso nell’opinione pubblica internazionale. Anche la Chiesa italiana esce dal conflitto con una presenza autorevole e un prestigio elevato nella società. La trionfale vittoria elettorale anticomunista del 18 aprile 1948 e l’adesione tradizionale e massiccia della nazione al cattolicesimo sembrano aprire scenari molto favorevoli e senza dubbio mai, nella storia dello Stato italiano, i cattolici avranno la possibilità di svolgere un ruolo significativo come nei primi anni della Repubblica, nata nel 1946. Tuttavia, sotto l’immagine rassicurante dell’”Italia cristiana”, in cui gran parte del mondo cattolico continua a confidare, progressivamente cresce una frattura culturale, fra la Chiesa e la nazione, che porta alla scristianizzazione.
Se durante il periodo fascista il movimento cattolico aveva potuto operare alla luce del sole, anche se con non poche difficoltà, tuttavia fra le gerarchie ecclesiastiche e la base non era cresciuta nessuna élite integralmente cattolica o comunque dotata di una cultura politica adeguata. Ciò diventa evidente quando la Democrazia Cristiana, un partito dichiaratamente aconfessionale e collocatosi al centro dello schieramento politico italiano, assume di fatto il monopolio della rappresentanza politica del mondo cattolico. Il presidente del Consiglio Alcide De Gasperi (1881-1954) sceglie la via della collaborazione governativa con partiti non cattolici e proprio all’ombra dei governi guidati dalla Democrazia Cristiana l’Italia entra nella fase della “grande trasformazione” economica e sociale, con il passaggio da un’economia prevalentemente agricola a una incentrata sullo sviluppo del settore industriale e con il cosiddetto “miracolo economico”, in cui l’orizzonte della vita materiale prende il sopravvento.
“Stava lentamente scomparendo — osserva lo storico Francesco Malgeri — un’Italia fino ad allora legata ai ritmi, ai modelli, ai miti delle società rurali, con i suoi valori e le sue istanze, il risparmio, la morigeratezza dei costumi, la famiglia e la fede, che erano poi i pilastri ai quali anche la Chiesa si richiamava e sui quali intendeva fondare il suo progetto di rinascita cristiana” (3). Si tratta di un processo di crescita inatteso e turbolento, di cui nessuno inizialmente sa prevedere le conseguenze. L’Italia, come gli altri paesi occidentali, si caratterizza sempre più per un modo di vivere contrassegnato dal secolarismo e da quel fenomeno che il Magistero della Chiesa chiamerà “materialismo pratico” (4), per distinguerlo dal materialismo teorico e “scientifico” proprio della dottrina marxista, che penetra nel vissuto dell’Occidente e che trova la sua giustificazione ideologica in un laicismo che separa la fede dalla vita, la libertà dalla verità, il diritto naturale da quello positivo. La nuova classe dirigente, anziché condurre un’opposizione sistematica al comunismo e al laicismo, si limita ad occupare i posti del potere politico e in parte di quello economico, lasciando che i socialcomunisti penetrino nei gangli della società civile secondo la strategia del passaggio dall’egemonia sulla società alla conquista dello Stato elaborata dall’ideologo e uomo politico Antonio Gramsci (1891-1937), e che si crei un fronte comune fra la cultura marxista e quella laicista all’insegna dell’anticlericalismo.
La nascita della rivista della sinistra liberale Il Mondo, diretta da Mario Pannunzio (1910-1968), che dal 1949 rappresenta un riferimento per il laicismo nazionale, e nel 1955 quella del settimanale L’Espresso, fondato e diretto da Arrigo Benedetti (1910-1976), cui seguirà la fondazione del Partito Radicale, danno luogo, nel giudizio di uno dei protagonisti di quelle vicende, a “[…] un processo di aggregazione importante. Attorno a quelle due testate e a quel gruppo di persone si formò una “struttura d’opinione”.
“[…] Uso la definizione “struttura d’opinione” perché credo sia la più adatta a spiegare che cosa fu questo gruppo, al tempo stesso giornalistico, politico, culturale, editoriale. Noi riuscimmo […] ad aggregare intorno a noi l’opinione pubblica “liberal” del paese” (5).
Alla Santa Sede e alle gerarchie ecclesiastiche non sfugge il deteriorarsi della situazione, ma il più grande problema della Chiesa italiana in quegli anni — secondo il giudizio unanime dei suoi responsabili — è la persistenza del pericolo comunista, malgrado le severe misure adottate, a partire dalla scomunica del 1949. Per contrastarlo si rende necessaria, fra l’altro, l’intesa con le forze che assecondavano e favorivano la secolarizzazione stessa, a cominciare dai settori trainanti del mondo economico e finanziario, che diffondevano valori edonistici, consumistici e materialistici. Il nuovo avversario è tanto più insidioso quanto sconosciuto: non ha un volto politico e partitico, ma consiste in un modello di vita e in un costume, e per di più si accompagna a un progresso economico e sociale che non poteva che apparire positivo.
Nel gennaio del 1952, sotto la guida del card. Alfredo Ildefonso Schuster (1880-1954), si svolge a Firenze l’assemblea dei vescovi presidenti delle regioni conciliari d’Italia. La forza persistente del comunismo in Italia viene considerata sintomo di una situazione politica caratterizzata dalla presenza massiccia di un partito “cristiano” che denotava carenza di programmi, deficienza di uomini preparati e insensibilità verso alcuni problemi rilevanti che interessavano la vita cristiana. Il governo, per esempio, non era riuscito a far approvare dal Parlamento leggi come quella per la censura della stampa e per il contributo alla costruzione di nuove chiese per sopperire all’assenza di una struttura capillare ecclesiastica nelle zone di edificazione recente, dove le popolazioni provenienti dalla campagna e da un tipo di religiosità rurale perdevano contatto con la Chiesa: “La mancanza di Chiese, di case parrocchiali, di scuole materne lascia aperta la via alla propaganda sovversiva e alla immoralità più sfacciata. Così le stesse provvidenze del Governo (case popolari, divisioni di terre, ecc.) si tramutano in armi nemiche perché, mancando l’azione religiosa ed educativa del Sacerdote, le popolazioni crescono senza fede e di conseguenza senza disciplina civica. È necessario provvedere al più presto essendo già la situazione in non pochi posti compromessa, per il fatto che i sovversivi vanno occupando posti strategici” (6).
La Chiesa italiana, tuttavia, è condizionata dalla presenza della Democrazia Cristiana e dall’incapacità di trovare un’alternativa politica a essa. Le elezioni del 1953 vedono un ridimensionamento del partito di maggioranza relativa e una crescita delle destre: la vita politica e sociale del paese non sembra aver acquistato stabilità; perdurano la conflittualità sindacale e la precarietà dei governi; lo spazio politico del partito comunista e dei suoi alleati non appare logorato e si diffonde il malcostume.
L’assoluzione dei giornalisti de L’Espresso nel processo per le loro denunce, nel 1956, contro gl’intrecci fra le speculazioni edilizie a Roma e ambienti finanziari considerati vicini alla Santa Sede, e la vicenda del vescovo di Prato, mons. Pietro Fiordelli (1916-2004), nel 1958 querelato e condannato in primo grado — ma assolto con formula piena dalla Corte di Appello di Firenze perché il fatto non costituiva reato — per aver denunciato dal pulpito come concubini due coniugi, perché sposati con il solo rito civile, sono episodi emblematici che rivelano le difficoltà di convivenza fra le istituzioni e la nazione cattolica, anche su di un tema come il matrimonio che il Concordato sembrava aver protetto efficacemente dai tentativi di laicizzazione.
Alla fine degli anni 1950 si diffonde presso i cattolici italiani la sensazione che i propositi e le speranze di realizzare una nuova società cristiana, che avevano alimentato l’ultimo decennio, siano avviati al fallimento. Nel maggio 1958 L’Osservatore Romano in una serie di articoli non firmati sottolinea i gravi pericoli incombenti sulla vita cristiana del paese, sulla famiglia e sulla scuola cattolica in seguito all’emergere di un’“offensiva scristianizzatrice” (7), di una “campagna anticlericale condotta con tale antitesi di pensieri, acredine di parole, da darle essenza e aspetto […] di anticattolica e persino antireligiosa” (8).
2. Il documento
In questo contesto viene pubblicata la lettera dell’episcopato sul laicismo, la cui redazione era stata decisa nel corso della sesta riunione della CEI, la Conferenza Episcopale Italiana, nell’ottobre del 1959, e alla quale tutti i vescovi erano stati sollecitati ad aderire: “Il maggior frutto della lettera stessa e gli autorevoli suggerimenti che sono giunti a questa presidenza — aveva scritto il 19 marzo il cardinale Giuseppe Siri (1906-1989), presidente della CEI, inviando il documento ai presuli — fanno desiderare che tale lettera esprima il pensiero di tutti i vescovi, recando di tutti la sottoscrizione. Si ha motivo di credere che il corredamento della lettera con tutte le firme risponda anzi ad una necessità” (9).
Dopo la Presentazione, che mette a fuoco l’occasione e la finalità dell’intervento dell’episcopato, vengono sottolineate le constatazioni positive e le ansie riguardo alla vita religiosa della nazione (nn. 1-2), quindi sono illustrati la natura del laicismo (n. 13), i rapporti di questa ideologia con il laicato cattolico (nn. 11-12) e con il clero (nn. 16-25), e, al fine di delineare una linea di azione sacerdotale pratica, i rapporti con il mondo esterno laico (n. 14), i criteri di formazione del laicato cristiano (n. 15) e l’impostazione spirituale della vita personale dei sacerdoti (n. 16).
I presuli esprimono innanzitutto ai sacerdoti italiani il “profondo compiacimento” (n. 1) per le “testimonianze luminose di vita esemplare, di ardente zelo apostolico, di fervore instancabile di iniziative” (ibidem). “Realtà consolanti hanno preso sviluppo in seno alla vita religiosa della nazione: maggiore apertura ai problemi dello spirito; […] intenso sforzo di elaborazione di una dottrina sociale cristiana inserita nel tessuto vivo della realtà attuale; più consapevole adesione di larghi strati del nostro popolo alla propria fede, con partecipazione più viva alla vita liturgica e sacramentale;[…] risveglio del laicato cattolico per estendere il raggio apostolico della gerarchia e lievitare in senso cristiano dal di dentro i diversi campi dell’attività umana.
“[…] Non possiamo però chiudere gli occhi alle deviazioni di pensiero e di costume che accompagnano questo fremito di rinnovamento” (n. 2).
La mentalità del tempo viene descritta in questi termini: “È concessione a un edonismo sempre più esasperato; è sopravvalutazione esclusiva dei valori economici; è contagioso relativismo morale che affascina specialmente le giovani generazioni; è esteriorizzazione della vita così sbandata, che quasi spegne nell’anima la possibilità della riflessione sulle realtà più serie e decreta un assurdo trionfo alle realtà più effimere e banali” (n. 2).
a. Natura del laicismo
Alla radice di queste deviazioni vi è “[…] quella diffusa mentalità attuale che va sotto il nome di “laicismo”, […] l’errore fondamentale, in cui sono contenuti in radice tutti gli altri, in una infinità di derivazioni e di sfumature” (n. 3), poiché esso apre le porte a “[…] una concezione puramente naturalistica della vita dove i valori religiosi o sono esplicitamente rifiutati o vengono relegati nel chiuso recinto delle coscienze e nella mistica penombra dei templi, senza alcun diritto a penetrare ed influenzare la vita pubblica dell’uomo” (n. 4).
Non vi è soltanto un laicismo che s’identifica in pratica con l’ateismo, come nel caso del marxismo, ma anche “[…] un’espressione meno radicale, ma più comune, di laicismo” (n. 5) che riduce la fede a fatto privato. Se, infatti, la fede del credente “[…] tenta di tradursi in azione concreta e coerente per informare ai dettami del Vangelo anche la sua vita pubblica e sociale, allora si grida allo scandalo come se ciò costituisse una inammissibile pretesa” (n. 6) e si contesta alla Chiesa “[…] ogni diritto di intervenire nella vita pubblica dell’uomo, poiché questa godrebbe di una piena autonomia giuridica e morale, né potrebbe accettare dipendenza alcuna o anche solo ispirazione da esterne dottrine religiose” (ibidem).
Il laicismo “[…] affonda le sue radici in un contrasto sostanziale di principi. Non si esaurisce nel fatto politico contingente, anche se preferisce sviluppare soprattutto su questo terreno la sua quotidiana polemica contro la Chiesa. Nella sua accezione più conseguente, esso è una concezione della vita che è agli antipodi di quella cristiana” (n. 7). Preoccupa i presuli il fatto che, perseguendo una sottile corrosione dell’anima cattolica del paese “[…] evita generalmente gli atteggiamenti plateali e massicci del vecchio anticlericalismo ottocentesco […]. Più che aggredire direttamente preferisce l’insinuazione perfida e la critica sottile, più che la discussione diretta preferisce la battuta di spirito e lo scherno, più che l’attacco alle idee preferisce l’utilizzazione delle debolezze degli uomini, più che le spettacolari chiassate di piazza preferisce l’orpello d’una certa severità culturale” (n. 8). Inoltre, “[…] sfugge a posizioni dottrinali precise. Come tutti gli errori di oggi preferisce l’indeterminatezza e la vaporosità degli atteggiamenti. Fa leva soprattutto su impressioni, su sentimenti e risentimenti, su stati d’animo. Ciò è dovuto a volte alla superficialità delle sue idee, ma spesso obbedisce ad un preciso calcolo. Ama giocare sull’equivoco per raggiungere i propri scopi senza suscitare eccessive reazioni, soprattutto in quella parte dell’opinione pubblica ancora legata — in qualche modo — alla religione e alla morale cristiana” (n. 9).
b. Le sue manifestazioni
Fra le più ricorrenti manifestazioni del laicismo vengono annoverate le seguenti:
“[…] a) critiche astiose per ogni intervento del magistero ecclesiastico, ogni qualvolta esso, dal piano dei principi, scende alle applicazioni pratiche […];
“b) insofferenza e diffidenza, se non aperta ostilità, verso tutto ciò che è espressione del pensiero e della vita dei cattolici nel paese […];
“c) compiaciuta pubblicità data ad episodi di immancabili deficienze e di presunti scandali nel clero e nel laicato cattolico organizzato […];
“d) compiacente appoggio dato ad ogni tentativo tendente ad introdurre nella legislazione italiana il divorzio e ad attenuare le vigenti disposizioni a tutela delle leggi della vita;
“e) isolati, ma chiari sforzi per rimettere in discussione il Concordato che pure fu accettato con quasi unanime riconoscimento nell’immediato dopoguerra ed inserito nella stessa Costituzione;
“f) aspri attacchi contro la vera libertà della scuola non statale e continue accuse ai cattolici di voler sabotare la scuola statale; opposizione tenace ad ogni richiesta di contributi, da parte dello Stato, alla scuola non statale e taccia alla stessa di mancare di libertà e di non educare alla libertà, in quanto al cattolico sarebbe preclusa la libertà d’indagine necessaria per il progresso e la cultura;
“g) scandalo e proteste per ogni partecipazione delle pubbliche autorità a manifestazioni religiose o ad atti di omaggio al vicario di Cristo, nel quale si vuol vedere soltanto il sovrano della Città del Vaticano, con cui trattare da pari a pari, pena l’umiliazione e l’abdicazione dello Stato alla sua dignità sovrana;
“h) incapacità a comprendere nel loro pieno significato religioso gli interventi della Chiesa e della sua gerarchia, intesi ad orientare i cattolici nella vita pubblica, a richiamarli — nel momento attuale — al dovere dell’unità, e a metterli in guardia contro ideologie che, prima di essere aberrazioni politiche e sociali, sono autentiche eresie religiose” (n. 10).
c. Le sue insidie
Segue un’analisi raffinata delle tentazioni della mentalità laicista nei confronti dei cattolici:
“[…] a) la tendenza, in nome di una ormai raggiunta maggiore età, a sottrarsi all’influenza ed alla guida della gerarchia e del clero […];
“b) la tendenza a rivendicare una totale indipendenza dalla Chiesa nella sfera del “profano”, non rendendosi conto come, dietro gli aspetti tecnici e contingenti dei problemi temporali, tante volte si agitano questioni di principio, su cui la dottrina cattolica non può rifiutare di pronunziarsi;
“c) la tendenza a sottovalutare o a mettere in dubbio la capacità del messaggio cristiano a risolvere i problemi sociali del mondo d’oggi, perché la Chiesa avrebbe una visione troppo trascendente dei problemi umani […];
“d) la tendenza a scivolare sul piano inclinato di un sottile naturalismo, svalutando l’azione magisteriale e sacramentale della Chiesa in ordine all’umano progresso e dando la precedenza, se non l’esclusività, a mezzi terreni” (n. 11).
Fra i motivi che ne favoriscono il successo vengono annoverati:
“[…] a) […] le conoscenze teologiche […] scarse, disorganiche e confuse, sommerse in una cultura profana a tinta laicista (purtroppo l’istruzione scolastica, nel nostro paese, si svolge ancora in un clima prevalentemente laicista);
“b) l’influsso della stampa, il cui orientamento è decisamente o almeno tendenzialmente laicista” (n. 12);
“[…] e) l’influsso della concezione democratica, che porta qualcuno a voler applicare indebitamente alla Chiesa gli schemi della sociologia umana, quasi che la determinazione della verità religiosa e l’esercizio dei poteri sacri dovessero essere sottoposti al consenso del laicato e al gioco delle maggioranze e delle minoranze” (ibidem);
“[…] g) le carenze di qualche membro del clero […];
“h) la carenza di soda formazione spirituale, la quale — se aggiunta all’aspro quotidiano confronto con un mondo che crede poco alle virtù cristiane profonde (umiltà, pazienza, veridicità, carità, giustizia, disinteresse, ecc.) — può determinare anche nel laicato cattolico uno stile mentale e pratico in contrasto col messaggio cristiano o da esso alieno, e portare a confondere la decisione con la violenza, l’intelligenza con l’astuzia e il calcolo, l’urgenza delle trasformazioni sociali con la rivoluzione, lo slancio ardente con l’impazienza ribelle, il regno di Dio col dominio della terra, il servizio della Chiesa con la pretesa di porre la Chiesa a servizio delle proprie idee ed interessi” (ibidem).
La mentalità laicista può infiltrarsi anche fra le file del clero, portando a deviazioni gravissime, quali “[…] a) la tendenza verso un umanesimo seducente nelle sue prospettive, ma ambiguo nelle sue articolazioni profonde […];
“b) la tendenza a ricercare, con esasperata sensibilità, i valori della propria personalità umana, della propria indipendenza ed autonomia di pensiero e di azione, a scapito dei valori insostituibili dell’obbedienza e dell’umiltà […];
“c) la tendenza ad anteporre, nell’impostazione del proprio apostolato, l’opera di redenzione umana a quella religiosa e morale nella convinzione che — nel mondo di oggi — l’azione più urgente sia, anche per un sacerdote, quella di riforma sociale o culturale o economica o politica;
“d) […] la smania di assimilarsi agli altri, ad attenuare il vigore del proprio messaggio, ad attutire il distacco tagliente espresso dalla propria veste, a dar posto ad un irenismo che vorrebbe presentarsi come amore del quieto vivere […];
“e) la conseguente tendenza a confondere il necessario aggiornamento — sul piano culturale e apostolico, nelle idee, nei metodi, negli strumenti — in bramosia fatua di cose nuove, in vana ricerca di modernità ad ogni costo, di soluzioni audaci e spericolate, assumendo di fronte agli uomini e alle idee del passato atteggiamenti di amara polemica, di sistematica e indiscriminata denigrazione, di fastidiosa sufficienza” (n. 13).
d. Linee di azione pratica
A fronte di questi pericoli vengono fornite alcune indicazioni pratiche di orientamento: ricuperare una fede capace di giudizio, formare un laicato cristiano maturo e riscoprire l’identità sacerdotale. “Innanzi tutto — dunque — procuriamo di acquistare una concreta e precisa conoscenza del fenomeno laicista.
“[…] Conoscere significa afferrare le radici filosofiche, storiche, ambientali, psicologiche del fenomeno, vedendone chiaramente i rapporti di parentela con le diverse eresie ed aberrazioni di ieri e di oggi.
“[…] Conoscere significa penetrare con chiarezza quel complesso di idee e di tendenze che il laicismo sviluppa nei diversi settori della vita (cultura, famiglia, scuola, Stato, assistenza, pubblico costume, ecc.).
“[…] Assumiamo una chiarezza di atteggiamento e una fermezza di vigilanza contro gli errori. Le posizioni equivoche non servono a nulla, aumentano soltanto il disorientamento in mezzo alla comunità cristiana. Nessun compromesso è possibile sul piano dei principi, nessuno spirito di acquiescente irenismo deve penetrare fra le nostre file, in un tempo in cui tutti i nemici della Chiesa sanno chiaramente cosa vogliono e perseguono senza debolezze e titubanze i loro fini.
“[…] Vogliamo richiamare l’attenzione soprattutto sui problemi della famiglia, della scuola e della pubblica moralità (stampa, spettacolo, ecc.), sui quali più duramente si sta oggi impegnando la lotta” (n. 14).
In secondo luogo: “ai laici nel senso deteriore del termine dobbiamo contrapporre i laici nel senso cristiano.
“[…] In questi laici curiamo innanzitutto una profonda formazione interiore, diamo ad essi una soda educazione ascetica che li porti al rispetto e alla pratica delle virtù cristiane fondamentali della fraterna carità, dell’umiltà, della docilità, dell’obbedienza, dell’abnegazione.
“[…] Curiamo, insieme con la formazione ascetica un’approfondita cultura religiosa, in modo che i nostri laici — soprattutto se membri di Azione cattolica o investiti di pubbliche responsabilità — abbiano una chiara e sistematica conoscenza dei termini teologici dei problemi attuali, con particolare riferimento alle difficoltà di ordine teorico e pratico poste dal laicismo. Tale chiarezza di idee si richiede, in modo particolarissimo, sulla dottrina sociale della Chiesa, ad evitare atteggiamenti e posizioni che si possano prestare ad equivoci ed incertezze” (n. 15).
Infine, occorre approfittare “[…] di questa dura stagione spirituale, nella quale siamo chiamati a vivere e ad operare, per riesaminare ciascuno il nostro sacerdozio e riportarlo, ove fosse necessario, a quella statura piena che Cristo e il mondo esigono da noi. Per tempi eccezionali si richiedono uomini e apostoli d’eccezione.
“[…] È sempre ardua la nostra missione, ma lo diventa soprattutto in queste circostanze, in cui la nostra parola deve affrontare problemi della vita temporale e nulla perdere della sua dimensione sacra, deve risolvere questioni contingenti e rimanere voce dell’eterno” (n. 16).
Francesco Pappalardo
Note:
(1) Benedetto XVI, Discorso ai partecipanti al IV Convegno nazionale della Chiesa in Italia, in L’Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, Città del Vaticano 20-10-2006.
(2) Cfr. Il laicismo. Lettera dell’Episcopato italiano al clero, del 25-3-1960, in Enchiridion della Conferenza Episcopale Italiana. Decreti, dichiarazioni, documenti pastorali per la Chiesa italiana, vol. I, 1954-1972, EDB. Edizioni Dehoniane Bologna, Bologna 1985, pp. 76-95. I riferimenti al documento contenuti fra parentesi rimandano alla suddivisione in paragrafi.
(3) Francesco Malgeri, La Chiesa di Pio XII fra guerra e dopoguerra, in Andrea Riccardi (a cura di), Pio XII, Laterza, Roma-Bari 1984, pp. 93-121 (p. 116).
(4) Cfr. Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et Spes, del 7-12-1965, n. 20; Giovanni Paolo II (1978-2005), Enciclica “Laborem exercens” sul lavoro umano, del 14-9-1981, n. 13; e Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2124.
(5) Eugenio Scalfari, Due parole su di noi, in L’Espresso. 1955-1980, Editoriale L’Espresso, Roma 1981, pp. 5-14 (pp. 12 e 14).
(6) Verbale dell’assemblea degli arcivescovi e vescovi presidenti delle regioni conciliari di Italia, 8-10/1/1952, in A. Riccardi, Il “partito romano” nel secondo dopoguerra (1945-1954), Morcelliana, Brescia 1983, p. 179.
(7) L’offensiva scristianizzatrice, in L’Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, Città del Vaticano 5-5-1958.
(8) “In necessariis unitas”, ibid., 23-5-1958.
(9) Nota di edizione a Il laicismo. Lettera dell’Episcopato italiano al clero, cit., p. 76.