Leonardo Gallotta, Cristianità n. 71 (1981)
La storia del più antico degli innumerevoli miracoli eucaristici attestatici dalla tradizione: il miracolo “di sangue” di Ferrara, risalente al 1171. La documentazione, i fatti, la collocazione storica e l’insegnamento di questo straordinario evento. La miracolosa conversione in vera carne delle specie del pane, nel corso della santa Messa pasquale del 28 marzo 1171. Una eloquente risposta di origine divina alle eresie che andavano diffondendosi in quei secoli contro il dogma della transustanziazione. Una ulteriore conferma dell’insegnamento della Chiesa sulla natura e la reale portata della Eucaristia. Un monito alle sempre più frequenti mancanze di rispetto e di raccoglimento – di fronte alla presenza reale di nostro Signore Gesù Cristo nella ostia consacrata – da parte di molti sacerdoti e fedeli, mancanze riprese di recente anche dal regnante Pontefice.
Nel santuario di Paray-le-Monial, in Francia, c’è una targa che enumera ben centotrentadue miracoli eucaristici, segnalati da tutto il mondo.
È tuttavia da sottolineare che nel nostro paese, in modo particolare (1), si sono certamente verificati i più importanti: si va dal miracolo di san Tarcisio, del 260, a quello delle Ostie miracolose di Siena, del 1730 (2).
I miracoli eucaristici sono dunque numerosi, ma se ci soffermiamo a considerare quelli più propriamente detti “di sangue” (3), il campo si restringe enormemente; e se quello di Bolsena, avvenuto nel 1263, è il più famoso, certamente di data più antica è quello di Ferrara: risale infatti al 1171.
La documentazione
Proprio l’antichità del miracolo ha indotto alcuni critici a porsi quesiti sull’effettivo accadimento in Ferrara del fatto prodigioso. Già storici locali si erano, in tempi passati, interessati dell’argomento (4), ma l’unico documento in nostro possesso che descrivesse il prodigio, risultava essere la bolla di Eugenio IV, del 7 aprile 1442, con la quale si concedevano sette anni e sette quaresime d’indulgenza in favore di S. Maria in Vado, la chiesa del miracolo.
L’originale di tale bolla, conservato nell’archivio arcivescovile di Ferrara, presentava parecchie parti largamente corrose, che, spesso erroneamente, furono completate da un paleografo del secolo scorso, Raffaele Garrucci S. J. (5). Si aveva tuttavia notizia di un altro precedente documento, la bolla del cardinale Giovanni Migliorati, nipote di Innocenzo VII, promulgata il 6 marzo 1404, di cui faceva menzione anche il maggior storico di Ferrara, Antonio Frizzi (6); tuttavia dell’originale non si aveva alcuna traccia.
Solo recentemente, nel 1975, per merito di don Carlo Lella, missionario del Preziosissimo Sangue, si è avuta la felice scoperta, presso l’archivio dei canonici lateranensi in Roma, della copia della bolla del cardinale Migliorati, della trascrizione completa della bolla di Eugenio IV, nonché di un altro importante documento, la Declaratio Miraculi del 1526, dell’umanista Celio Calcagnini. Da tale importante scoperta ha preso l’avvio una impegnativa ricerca sull’argomento da parte di un valente studioso di cose ferraresi, mons. Antonio Samaritani. Il suo ultimo saggio (7) supera senz’altro i pur validi studi apparsi nel 1971, in occasione dell’VIII centenario del miracolo eucaristico di Ferrara (8).
Con il ritrovamento della bolla del cardinale Migliorati si è dunque acquisita la più antica descrizione documentale del miracolo, nella quale, fra l’altro, troviamo un rimando alla testimonianza di persone degne di fede e a scritti ancora più antichi, “antiquarum scripturarum“. Tale rimando è molto importante per il fatto che, se gli scritti a cui fa cenno la bolla erano considerati antichi già nel 1404, dovevano necessariamente interessare molta parte del periodo che, a ritroso, va dal 1404 all’anno del miracolo, cioè al 1171 (9). Mons. Samaritani, nel suo saggio, mette inoltre in evidenza altri elementi che, pure se non sono testimonianze dirette tuttavia hanno notevole attinenza col fatto miracoloso.
Anzitutto, proprio nel periodo in cui avvenne il miracolo, aumentò il ministero pastorale di S. Maria in Vado con battesimi, penitenze, comunioni (10): chiaro indice di un crescente interesse dei ferraresi per la Chiesa del miracolo.
In secondo luogo è stata riscontrata, recentemente, una particolare facilitazione stradale di accesso a S. Maria in Vado nella norma dello statuto cittadino del 1287, che proibisce la lavorazione della corda nei pressi della stessa chiesa (11): indice dell’importanza che a più di un secolo dall’accadimento miracoloso aveva assunto S. Maria in Vado.
In terzo luogo va sottolineato il fatto singolare che la festa maggiore della confraternita dell’Annunziata dei battuti neri – avente sede a pochi passi dalla basilica di S. Maria in Vado – fosse detta del “Sangue del nostro Signore” e non anche del “Corpo” (12).
Oltre a ciò la corporazione dei drappieri, nel proprio statuto, designava la festa del Corpus Domini, con la stessa dizione della confraternita ricordata, e cioè: “festum sanguinis Xristi“, inconsueta nei testi statutari delle corporazioni, che conoscevano l’altra, normale, di “festum Corporis Domini” (13).
Tutti questi elementi ci dimostrano, dunque, come l’evento miracoloso avesse profondamente inciso sulla vita religiosa dei ferraresi. Non c’è quindi motivo di non ritenere valida e veritiera la descrizione del miracolo fatta dal cardinale Migliorati, tanto più che tutti i nomi in essa citati corrispondono perfettamente a quelli documentati da testimonianze scritte dell’epoca (14).
Occorre infine dire che, lasciate da parte le disquisizioni storiche, il più formidabile documento rimane pur sempre, ancor oggi, la volticina insanguinata, tangibile testimonianza dell’evento prodigioso di Ferrara. Il cardinale Migliorati non avrebbe, infatti, potuto scrivere una bolla su un miracolo avvenuto due secoli e mezzo prima, se in S. Maria in Vado non fosse stata presente una cappella con tutti i requisiti per sostenerne il racconto.
Il miracolo
Un’antica scrittura (15) dice che sulle sponde del fiume Ferraruolo, sin dal 454, si trovava un capitello con una immagine della beata Vergine, creduta dipinta dallo stesso san Luca. Nel 657 il capitello fu ridotto in una chiesa con fonte battesimale e, poiché tale chiesa fu fabbricata sul passaggio del fiume, prese il nome di S. Maria in Vado e il quartiere fu detto “Borgo Vado”. Proprio ai piedi dell’immagine della beata Vergine, detta di san Luca o di Costantinopoli, in quanto il dipinto è bizantino, avvenne il miracolo del Sangue.
Era il 28 marzo dell’anno 1171, giorno di Pasqua. All’altare celebrava la santa Messa padre Pietro da Verona, dei canonici regolari portuensi, assistito da altri tre padri e da molti chierici.
Alla presenza di numeroso popolo fedele, nel momento della fractio panis, il celebrante, e con lui tutto il clero, videro le specie del pane convertite in vera carne, da cui sprizzò un fiotto di sangue con una tale irruenza che ne rimase macchiato vistosamente il piccolo catino absidale. La notizia si diffuse rapidamente. Accorsero Amato, vescovo di Ferrara e anche Gherardo, arcivescovo di Ravenna, poiché la chiesa di S. Maria in Vado, affidata ai canonici portuensi, ravennati, dipendeva da lui (16); proprio da Gherardo furono concesse le prime indulgenze ai visitatori della chiesa. Da allora la devozione alla Sacra Volticina continuò per molto tempo e si accrebbe, ma la chiesa di S. Maria in Vado rimase delle stesse dimensioni, fino a quando Ercole I d’Este affidò al grande architetto ferrarese Biagio Rossetti il progetto della attuale basilica, la cui costruzione, iniziata nel 1494, terminò nel 1518. La Sacra Volticina fu spostata, nella nuova basilica, al lato destro della crociera, racchiusa in un tempietto costruito negli anni 1594-95. Così sistemata, e con sempre presenti e visibili le macchie di sangue, la possiamo ammirare e venerare ancor oggi.
Il tempo del prodigio
Il miracolo del Sangue di S. Maria in Vado ha un suo significato storico e dottrinale ben preciso. Esso accadde, infatti, in un periodo in cui la dottrina cattolica sull’Eucaristia veniva messa fortemente in discussione.
Nel secolo XI il principale negatore della presenza reale fu Berengario di Tours, vissuto negli anni dal 1000 al 1088. Anche se, dopo una lunga serie di condanne, ritrattazioni e assoluzioni, egli morì, almeno formalmente, in pace con la Chiesa, la sua azione, volta a sostenere che il pane e il vino eucaristici sono soltanto un simbolo del Corpo e del Sangue di Cristo e che non li contengono realmente, fu estremamente deleteria in campo dottrinale.
Nel secolo XII, inoltre, e precisamente nel tempo vicino al prodigio di Ferrara, l’errore berengariano fu ripreso dal Piacentino Ugo Speroni (17), che considerò la santa Messa soltanto un banchetto commemorativo dell’ultima cena.
Se l’eresia di Berengario, con ogni probabilità, rimase circoscritta nell’area dei dotti, ciò che invece costituì una vera e propria epidemia, fu l’eresia catara.
I catari, organizzati in sette dalle cento facce e dai cento nomi (18), si rivelarono un pericolo tanto più sottile e più tremendo, in quanto si presentavano sotto veste di purezza (catharòs in greco significa “puro”) e di pietà. In sostanza, partendo dal connubio tra gnosticismo e manicheismo, essi rigettarono, in genere, tutti i dogmi cattolici e non solo negarono il dogma della transustanziazione, ma esclusero anche la celebrazione della Messa, che avrebbe rinnovato, secondo loro, un sacrificio mai compiuto dal Salvatore se non simbolicamente, poiché egli aveva un corpo apparente.
Pure a Ferrara le dottrine eretiche si erano insinuate tra il popolo fedele; anche se non conosciamo esattamente l’entità del guasto da esse operato, sappiamo però con certezza che, essendo Crescenzio priore di S. Maria in Vado nel 1213 circa, in periodo di risveglio eucaristico, promosso da Innocenzo III e poi dal Concilio Lateranense IV, mentre era vescovo Uguccione, già maestro del Papa, gli eretici di Ferrara, contrari alla reale presenza, vennero obbligati dall’imperatore Ottone IV, il 25 marzo 1210, a sottomettersi al presule (19).
Il fatto che il prodigio del Sangue sia avvenuto in un periodo così denso di pericoli per la dottrina cattolica sull’Eucaristia, mentre anche e proprio in Ferrara si diffondevano concezioni eretiche, mostra chiaramente come l’intervento divino giunga sempre a proposito, al fine di richiamare la fede degli uomini intorno a una verità superiore.
Non a caso, quasi un secolo dopo l’avvenimento prodigioso di Ferrara e a un solo anno da quello assai più famoso di Bolsena, Urbano IV promulgò finalmente la bolla Transiturus, dell’11 agosto 1264, con la quale si istituiva la festa del Corpus Domini, già comunque in auge nella diocesi di Liegi e in tutta la legazione di Germania (20).
L’insegnamento del prodigio
A questo punto, passati più di otto secoli dal miracolo eucaristico di Ferrara e quasi sette secoli dalla istituzione della festa del Corpus Domini, urge una domanda: oggi, nella Chiesa cattolica, qual è l’atteggiamento dei sacerdoti e dei fedeli nei confronti dell’Eucaristia?
Spesso assistiamo a episodi di scarso rispetto, se non sacrileghi, nei confronti delle Sacre Specie, al punto che lo stesso regnante Pontefice ha sentito la necessità di richiamare clero e fedeli alle loro responsabilità.
Egli ha infatti ricordato (21) che bisogna “non dimenticare l’ufficio primario dei sacerdoti, che sono stati consacrati nella loro ordinazione a rappresentare Cristo Sacerdote: perciò le loro mani, come già loro parola e la loro volontà, sono diventate strumento diretto di Cristo. Per questo, cioè come ministri della SS. Eucaristia, essi hanno sulle Sacre Specie una responsabilità primaria, perché totale“.
Inoltre, dopo aver richiamato, nei casi gravi, la necessità della Penitenza prima di accostarsi alla Comunione, pena il considerare la santa Messa solo un banchetto, il Pontefice sottolinea: “[…] giungono voci su casi di deplorevoli mancanze di rispetto nei confronti delle Specie eucaristiche, mancanze che gravano non soltanto sulle persone colpevoli di tale comportamento, ma anche sui Pastori della Chiesa, che fossero stati meno vigilanti sul contegno dei fedeli verso l’Eucaristia“.
Contro questi “dolorosi fenomeni“, il miracolo eucaristico di Ferrara, assieme agli altri avvenuti in tutto il mondo, ci si propone dunque, proprio oggi, come forte e salutare richiamo al rispetto assoluto delle Sacre Specie, vero Corpo e vero Sangue di Nostro Signore Gesù Cristo. Chiunque si comportasse in modo diverso, oltre a dare scandalo, dimostrerebbe di non avere capito che l’Eucaristia “è il dono più grande che, nell’ordine della grazia e del Sacramento, il divino Sposo abbia offerto e offra incessantemente alla sua Sposa“.
Leonardo Gallotta
Note:
(1) Anche la Francia conta alcuni importanti miracoli eucaristici: per esempio, quelli della Sorgue (1433), di Faverney (1608), della Sacra Famiglia di Bordeaux (1822).
(2) Una panoramica dei più rilevanti miracoli eucaristici viene fatta da ANGIOLA BROCCATI STRADELLA, I miracoli dell’Eucaristia, Paravia, Torino 1968.
(3) Cfr. ANTONIO PIOLANTI, s.v. Miracoli eucaristici, in Enciclopedia Cattolica, vol. VIII, pp. 1067-68
(4) Molti storici dedicarono attenzione, nelle loro opere, al prodigio eucaristico, ma solo due scrissero monografie sull’argomento. Si tratta di EUGENIO CIMATTI, Cenni storici intorno al Sangue miracoloso che si venera nella parrocchiale basilica di S. Maria del Vado in Ferrara, Capei, Ferrara 1857; e di GAETANO CAVALLINI, Monumenti storici – omaggio al Sangue miracoloso che si venera nella Basilica parrocchiale di S. Maria del Vado in Ferrara, Tipografia Arcivescovile Bresciani, Ferrara 1878.
(5) Solo molto recentemente si è appurato un grave errore di integrazione di padre Garrucci, consistente nella descrizione dell’apparizione, entro i confini dell’Ostia miracolosa, di uno sfolgorante bambino, cosa che non risulta nei documenti ultimamente acquisiti. L’errore è spiegabile col fatto che si trattava di un topos agiografico di tali narrazioni.
(6) Cfr. ANTONIO FRIZZI, Memorie per la Storia di Ferrara, 2ª ed., Abram Servadio, Ferrara 1848, II vol., p. 252.
(7) Cfr. ANTONIO SAMARITANI, Appunti su testi e dati riguardanti la storia del Miracolo Eucaristico di Ferrara del 28 marzo 1171, Spilia, Cesena 1979.
(8) Tali saggi sono raccolti nel volume Il prodigio del sangue a Ferrara, a cura del segretariato per la stampa dei missionari del Preziosissimo Sangue, Roma 1971.
(9) Cfr. MICHELE COLAGIOVANNI, Una storia in cammino, in Il prodigio del sangue a Ferrara, cit., p. 19.
(10) Cfr. A. SAMARITANI, op. cit., p. 14.
(11) Cfr. DANTE BALBONI, Anecdota Ferrariensia (II), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1977, p. 111.
(12) Così negli statuti del sodalizio del 1366.
(13) Cfr. A. SAMARITANI, op. cit., p. 31.
(14) Proprio da un documento dell’epoca sappiamo addirittura che davvero nel 1171 era priore di S. Maria in Vado il sacerdote nelle cui mani avvenne il miracolo. Cfr. M. COLAGIOVANNI, op. cit., p. 20.
(15) Cfr. Archivio dei Residui Beni Ecclesiastici di Ferrara, Capsula XV, Mazzo C. 2º, n. 1.
(16) Cfr. D. BALBONI, Esame critico del prodigio, in Il prodigio del sangue a Ferrara, cit., p. 38.
(17) Cfr. GIUSEPPE QUATTRINO, Il tempo che vide il prodigio, ibid., p. 48.
(18) In Italia essi si chiamarono catari o cazari e paterini; in Francia bougres (bulgari) o albigesi; in Germania ketzer; altrove si dissero pauliciani, bogomili, boni homines, ecc.
(19) Cfr. MICHELE MACCARRONE, Innocenzo III teologo dell’Eucaristia in IDEM, Studi su Innocenzo III, Antenore, Padova 1972, pp. 340-431 con riferimenti alle lettere del Pontefice indirizzate a Uguccione anche su errori eucaristici a Ferrara.
(20) Cfr. F. CALLAEY, L’origine della Festa del Corpus Domini, Rovigo 1958, p. 79 ss., in M. COLAGIOVANNI, op. cit., p. 18, n. 7.
(21) Queste, e le citazioni successive, sono tratte da GIOVANNI PAOLO II, Lettera Dominicae Cenae, del 18-3-1980, in L’Osservatore Romano, 19-3-1980.