di Maurizio Brunetti
Il 29 marzo ha terminato la propria vita terrena il grande compositore polacco Krzysztof Penderecki (1933-2020), uomo di profonda fede cattolica e amico personale di Karol Wojtyła (1920-2005) da molto prima che questi diventasse papa Giovanni Paolo II. In Italia la sua morte non è passata inosservata, anche se definire Penderecki come «l’autore delle colonne sonore di film quali Shining e L’esorcista», come hanno sbrigativamente fatto alcuni titolisti della grande stampa nazionale, è improprio.
Se è vero, infatti, che la musica di Penderecki è presente in almeno 32 tra documentari, film e serie televisive, alcuni dei quali certamente noti al grande pubblico ‒ i già citati Shining (1980) e L’esorcista (1973), ma anche Shutter Island (2010) e la serie “di culto” Twin Peaks (1990-1991, 2017) ‒, in quasi tutti i casi si tratta di brani composti in altri contesti: ovvero sinfonie e musica orchestrale d’altro tipo, concerti per strumento solista e musica corale, che sono stati poi utilizzati a supporto delle immagini per il carattere evocativo con il consenso del compositore e spesso eseguiti sotto la sua direzione.
La colonna sonora del pluripremiato Katyn (2007),scritto e diretto da Andrzej Wajda (1926-2016), rientra in questa categoria. Con una differenza, però. In questo caso tutte le musiche del film sono effettivamente di Penderecki, il quale, a quanto pare, concesse al regista di scegliere liberamente quali dei suoi brani inserire prima ancora che il film fosse girato.
Fra i molti altri pezzi, Wajda scelse molto opportunamente l’Agnus Dei, Lux Aeterna e Chaconne dal Requiem polacco. Quale musica, del resto, poteva rivelarsi più adeguata per un affresco storico-politico sul massacro di 20mila polacchi, soldati e civili, avvenuto nella foresta di Katyń, in Russia, per ordine del despota comunista sovietico Stalin (1878-1953) tra aprile e maggio 1940?
Il Requiem polacco per 4 voci soliste, coro e orchestra è un lavoro di grandi dimensioni – dura più di 100 minuti – stratificatosi nell’arco di venticinque anni. Il primo pezzo a venire alla luce è stato Lacrimosa, su commissione del sindacato Solidarność e scritto per commemorare le decine di operai uccisi nel 1970 presso i cantieri navali di Danzica, nel corso della feroce repressione militare degli scioperi ordinata dal regime comunista. L’Agnus Dei prese forma un anno dopo, sull’onda emotiva suscitata dalla morte del cardinaleprimate di Polonia, Stefan Wyszyński (1901-1981), che, peraltro, sarà presto beato. Penderecki poi aggiunse il Dies irae, dedicando la prima parte alle vittime della rivolta di Varsavia del 1944 contro i nazionalsocialisti e la seconda a san Massimiliano Kolbe (1894-1941). Entro il 1984 furono anche completati il Libera me, Domine e Lux Aeternam, composte proprio in memoria delle vittime di Katyń.
Il Requiem fu arricchito del Sanctus nel 1993 e, infine, ultimato con la Chaconne in memoria del [sic] Giovanni Paolo II composta subito dopo la morte del santo, avvenuta il 2 aprile di quindici anni fa. È il brano che nel film Katyń si ascolta nei titoli di testa.
La musica del compositore non è tutta di facile ascolto. Il suo stile ha subito nei decenni – soprattutto dalla seconda metà degli anni 1970 – un’evoluzione verso il recupero di forme e di sonorità più tradizionali. Negli anni 1960, infatti, Penderecki componeva facendo proprio lo sperimentalismo anche estremo proprio della cosiddetta “avanguardia”. Il suo uso di sirene, rumori, glissandi e cluster non era lontano dagli stilemi della Scuola di Darmstadt, un tipo di proposta musicale, nota il maestro Aurelio Porfiri, fortemente sponsorizzato in quegli anni da un certo mondo liberal e progressista al di qua della Cortina di Ferro.
«I compositori del secolo XX», avrebbe scritto Penderecki verso la fine del millennio, «nel rivoluzionare le esistenti fondamenta della musica, si ritrovarono a un certo punto in una sorta di vuoto. I postulati dell’individualismo radicale e della sperimentazione avevano determinato la frantumazione di qualsivoglia punto di ancoraggio e sostegno [condiviso con l’uditorio]. Mi sembra che il recupero di un linguaggio musicale universale, genuino e naturale sia possibile solo attraverso la purificazione e la trasmutazione di qualcosa che, però, già esiste».
La Chaconne rappresenta effettivamente una sorta di vertice formale di questa avvenuta purificazione: rispettando le regole armoniche proprie di questo tipo di danza seicentesca, il compositore polacco propone, secondo la musicologa Alicja Jarzębska, una sintesi della tradizione musicale europea.
Se san Giovanni Paolo II avesse avuto la possibilità di ascoltare questo pezzo in vita avrebbe probabilmente reagito con lo stesso entusiasmo dimostrato al termine del concerto tenutosi il 9 febbraio del 1979 nell’Aula Paolo VI a Roma: «Il mio pensiero si rivolge, poi, al Maestro Krzysztof Penderecki. Non è la prima volta che io partecipo all’esecuzione di una sua opera. […] Mai avrei potuto immaginare che mi sarebbe stato concesso di poter ospitare il signor Penderecki nell’aula “Paolo VI” in Vaticano nei primi mesi del mio pontificato. Sono profondamente commosso. […] Mi viene in mente una frase pronunciata, forse ancora prima della guerra, da un uomo d’arte a me ben noto: “Ogni grande opera d’arte è nella sua ispirazione e nella sua radice religiosa”. Penso che le grandi opere del Maestro Penderecki confermano questo principio».
Sabato, 4 aprile 2020