Massimo Introvigne, Cristianità n. 369 (2013)
1. Il viaggio: numeri straordinari
L’Anno della Fede spiegato ai giovani: così il Papa ha presentato il suo viaggio apostolico per la Giornata Mondiale della Gioventù (GMG) di Rio de Janeiro — la prossima, ha annunciato, si terrà a Cracovia, in Polonia, nel 2016 —, che lo ha portato in Brasile dal 22 al 28 luglio 2013. Di questo viaggio colpisce anzitutto il dato sociologico dei due milioni di persone presenti alla veglia di preghiera nella serata del 27 luglio, una cifra superata dai tre milioni della Messa di chiusura della GMG del 28 luglio. Non si tratta di un record assoluto — il beato Giovanni Paolo II (1978-2005) nel 1995 riunì cinque milioni di persone alla GMG di Manila, nelle Filippine — ma pur sempre della più grande riunione per numero di partecipanti nella storia del cristianesimo in Europa e nelle Americhe. Solo la Chiesa oggi è capace di riunire folle così sterminate — più dell’intera popolazione di Roma, o di quelle di Milano e di Torino messe insieme —, composte prevalentemente di giovani, e il dato non si spiega con la sola popolarità di Papa Francesco. Nella gravissima crisi insieme economica e di valori sono moltissimi a percepire la Chiesa come l’ultima istituzione credibile, l’ultimo porto di salvezza.
A ogni GMG assistiamo alla solita litania di commenti giornalistici secondo cui tutto questo non cambia niente: si va a vedere il Papa come una qualunque superstar della musica o dello sport; tornati a casa questi giovani continueranno a vivere da pagani, a non andare in chiesa e a infischiarsi della morale cattolica. Sono commenti vecchi. Trascurano decine di studi sociologici su come, particolarmente in Italia, la “generazione Giovanni Paolo II” — quella delle grandi GMG — abbia effettivamente invertito le statistiche e i numeri, frenando l’emorragia di presenze giovanili nelle chiese e regalando alla Chiesa un gran numero di giovani non solo presenti, ma impegnati (1). È certamente possibile che fra quei tre milioni di persone ci fossero dei semplici curiosi. Ma vi sono state anche migliaia di confessioni. Quanto alla possibilità che il giovane che a Rio ha pregato e si è confessato perseveri, questa — come sempre — non dipende dal Papa ma da chi, tornato a casa, lo accoglierà e lo accompagnerà nella fede.
Papa Francesco ha iniziato il suo viaggio apostolico in Brasile il 22 luglio con il discorso al Palazzo Guanabara, a Rio de Janeiro. La Provvidenza, ha detto il Papa, ha fatto sì che il primo viaggio fuori dell’Italia del nuovo pontificato — già programmato per la GMG — abbia portato il primo Pontefice latino-americano nell’Iberoamerica: “Dio ha voluto che il primo viaggio internazionale del mio Pontificato mi offrisse la possibilità di ritornare nell’amata America Latina, concretamente in Brasile” (2). Il Papa vi vede un segno della “benevolenza divina” (3) e ringrazia, ricordando lo scopo per cui i Pontefici viaggiano. Lo fanno per proseguire la “[…] missione pastorale propria del Vescovo di Roma di confermare i fratelli nella fede in Cristo, di incoraggiarli nel testimoniare le ragioni della speranza che scaturisce da Lui e di animarli ad offrire a tutti le inesauribili ricchezze del suo amore” (4).
“Ho imparato — ha detto Francesco, che conosce bene il Brasile — che, per avere accesso al Popolo brasiliano, bisogna entrare dal portale del suo immenso cuore; mi sia quindi permesso in questo momento di bussare delicatamente a questa porta. Chiedo permesso per entrare e trascorrere questa settimana con voi. Io non ho né oro né argento, ma porto ciò che di più prezioso mi è stato dato: Gesù Cristo!” (5). Il Papa è venuto per abbracciare tutto l’immenso Brasile, “dall’Amazzonia fino alla pampa, dalle regioni aride fino al Pantanal, dai piccoli paesi fino alle metropoli” (6).
Il 25 luglio Papa Francesco ha realizzato un suo desiderio, andando a visitare una delle favelas più problematiche di Rio, quella di Varginha. Il Pontefice è stato attento a sottolineare che avrebbe voluto visitare tutti i quartieri del Brasile, senza distinzioni, quelli in centro e quelli in periferia. “Avrei voluto bussare a ogni porta, dire “buongiorno”, chiedere un bicchiere di acqua fresca, prendere un “cafezinho” […], parlare come ad amici di casa, ascoltare il cuore di ciascuno, dei genitori, dei figli, dei nonni… Ma il Brasile è così grande! E non è possibile bussare a tutte le porte!” (7).
Il primo pensiero del Pontefice a Varginha è stato per il valore, molto brasiliano, dell’accoglienza. Il Papa in Brasile si è sentito accolto, “ed è importante saper accogliere; è ancora più bello di qualsiasi abbellimento o decorazione. Lo dico perché quando siamo generosi nell’accogliere una persona e condividiamo qualcosa con lei — un po’ di cibo, un posto nella nostra casa, il nostro tempo — non solo non rimaniamo più poveri, ma ci arricchiamo. So bene che quando qualcuno che ha bisogno di mangiare bussa alla vostra porta, voi trovate sempre un modo di condividere il cibo; come dice il proverbio [brasiliano], si può sempre “aggiungere più acqua ai fagioli”! E voi lo fate con amore, mostrando che la vera ricchezza non sta nelle cose, ma nel cuore!” (8).
Naturalmente, Francesco non è andato in Brasile solo per i brasiliani. Sono venuto — ha detto al Palazzo Guanabara — per la GMG, per incontrare giovani arrivati da ogni parte del mondo, attratti dalle braccia aperte del Cristo Redentore. “Essi vogliono trovare un rifugio nel suo abbraccio, proprio vicino al suo Cuore, ascoltare di nuovo la sua chiara e potente chiamata: “Andate e fate discepoli tutti i popoli”” (9).
Parlando ai giovani, Francesco sa di parlare a tutti: attraverso i figli, si è rivolto anche ai genitori. Il Papa ha ricordato l’espressione brasiliana secondo cui i figli sono la pupilla degli occhi dei genitori. “Come è bella — ha detto — questa espressione della saggezza brasiliana che applica ai giovani l’immagine della pupilla degli occhi, la finestra attraverso la quale la luce entra in noi regalandoci il miracolo della visione! Che ne sarà di noi se non ci prendiamo cura dei nostri occhi? Come potremo andare avanti? Il mio augurio è che, in questa settimana, ognuno di noi si lasci interpellare da questa domanda provocatoria” (10).
2. I giovani: chiamati alla fede per la missione
Attraverso la “finestra” (11) costituita dai giovani tutta la Chiesa è stata chiamata dalla GMG a guardare al futuro: al futuro della Chiesa che è anche il futuro del mondo. “La gioventù è la finestra attraverso la quale il futuro entra nel mondo, e quindi ci impone grandi sfide” (12). Gli adulti sono chiamati a non distogliere lo sguardo da questa finestra, cioè — fuori di metafora — a occuparsi adeguatamente dei giovani. “La nostra generazione si rivelerà all’altezza della promessa che c’è in ogni giovane quando saprà offrirgli spazio; tutelarne le condizioni materiali e spirituali per il pieno sviluppo; dargli solide fondamenta su cui possa costruire la vita; garantirgli la sicurezza e l’educazione affinché diventi ciò che può essere; trasmettergli valori duraturi per cui vale la pena vivere; assicurargli un orizzonte trascendente per la sua sete di felicità autentica e la sua creatività nel bene; consegnargli l’eredità di un mondo che corrisponda alla misura della vita umana; svegliare in lui le migliori potenzialità per essere protagonista del proprio domani e corresponsabile del destino di tutti” (13).
Ognuna di queste espressioni meriterebbe di essere meditata. I giovani — è un tema che il Pontefice riprende implicitamente dall’enciclica Caritas in veritate di Papa Benedetto XVI (2005-2013) (14) — cercano nella vita uno “sviluppo” (15) che è più del semplice successo materiale. Hanno bisogno di costruire su “fondamenta solide” (16) che presuppongono quei “valori duraturi” (17) su cui “vale la pena” (18) di giocarsi la vita. Ma valori semplicemente umani non sono sufficienti per costruire un mondo che corrisponda “alla misura della vita umana” (19). Come insegnava il beato Giovanni Paolo II, per essere a misura d’uomo il mondo dev’essere conforme al piano di Dio. Ecco allora la necessità di un “orizzonte trascendente” (20), il solo che può garantire la vera felicità.
Il Papa ha articolato in due passaggi il cuore del suo messaggio ai giovani della GMG. In primo luogo, i giovani sono chiamati a riscoprire la fede. In secondo luogo, una volta che l’hanno riscoperta e si sono formati, devono “uscire” — il verbo preferito di Papa Bergoglio —, incontrare i loro coetanei, partecipare alla nuova evangelizzazione.
Solo in Cristo i giovani “[…] possono saziare la fame di una verità limpida e di un amore autentico” (21). Ma subito da questo amore nasce la missione: non vi è, ha detto il Pontefice, “[…] energia più potente di quella che si sprigiona dal cuore dei giovani quando sono conquistati dall’esperienza dell’amicizia con Lui” (22), con Gesù. Cristo stesso “[…] ha fiducia nei giovani e affida loro il futuro della sua stessa missione: “Andate, fate discepoli”; andate oltre i confini di ciò che è umanamente possibile” (23). E per converso “[…] i giovani hanno fiducia in Cristo: essi non hanno paura di rischiare con Lui l’unica vita che hanno, perché sanno di non rimanere delusi” (24).
Naturalmente, questo cammino non è facile. Talora possono esserci momenti di scoraggiamento. Nell’omelia al santuario di Nostra Signora di Aparecida, del 24 luglio, Papa Francesco ha spiegato che lo scoraggiamento talora prevale perché “[…] oggi un po’ tutti, e anche i nostri giovani sentono il fascino di tanti idoli che si mettono al posto di Dio e sembrano dare speranza: il denaro, il successo, il potere, il piacere. Spesso un senso di solitudine e di vuoto si fa strada nel cuore di molti e conduce alla ricerca di compensazioni, di questi idoli passeggeri”(25). Gli adulti qualche volta causano o favoriscono la corsa agl’idoli dei giovani, ritenendo che abbiano “bisogno solo di cose” (26). Ma non è così: “hanno bisogno soprattutto che siano loro proposti quei valori immateriali che sono il cuore spirituale di un popolo, la memoria di un popolo” (27), e che in Brasile si possono “quasi leggere” (28) guardando alla storia mariana della nazione e al santuario di Aparecida.
Contro la tentazione degl’idoli, il Papa ha proposto l’approfondimento della fede. Anche ai giovani in un cammino di uscita dalla droga ha raccomandato l’enciclica Lumen fidei (29), di cui ha citato un passaggio: alla fine pure della loro “traversata lunga e faticosa” (30) brilla all’orizzonte “[…] un futuro certo, che si colloca in una prospettiva diversa rispetto alle proposte illusorie degli idoli del mondo, ma che dona nuovo slancio e nuova forza al vivere quotidiano” (31).
Dietro gl’idoli, si nasconde la più grande tentazione per i giovani: la “cultura del provvisorio” (32), che solo la fede consente di superare. Il 28 luglio, condividendo con i giovani la storia della sua vocazione sacerdotale, il Papa ha affermato che “Dio chiama a scelte definitive”(33). Se alcuni — ancora oggi, anche se percepire la chiamata di Dio si è fatto più difficile — sono chiamati al sacerdozio e alla vita religiosa, altri “[…] sono chiamati a santificarsi costituendo una famiglia mediante il Sacramento del matrimonio. C’è chi dice che oggi il matrimonio è “fuori moda”. È fuori moda? [No…]. Nella cultura del provvisorio, del relativo, molti predicano che l’importante è “godere” il momento, che non vale la pena di impegnarsi per tutta la vita, di fare scelte definitive, “per sempre”, perché non si sa cosa riserva il domani. Io, invece, vi chiedo di essere rivoluzionari, vi chiedo di andare contro corrente; sì, in questo vi chiedo di ribellarvi a questa cultura del provvisorio, che, in fondo, crede che voi non siate in grado di assumervi responsabilità, crede che voi non siate capaci di amare veramente” (34).
3. Aparecida: la dimensione mariana
Quello di Papa Francesco è un pontificato profondamente mariano, e il cuore mariano del Brasile è il santuario di Aparecida, dove il Pontefice ha voluto recarsi in pellegrinaggio il 24 luglio. Ad Aparecida ha voluto consacrarsi alla Madonna — ricordando che già si era affidato a Lei subito dopo la sua elezione, a Santa Maria Maggiore — con una formula commovente: “Prostrato ai Tuoi piedi, ti consacro la mia mente, perché pensi sempre all’amore che meriti; ti consacro la mia lingua perché sempre Ti lodi e diffonda la Tua devozione; ti consacro il mio cuore perché, dopo Dio, Ti ami sopra ogni cosa” (35).
Nell’omelia del 24 luglio il Papa è tornato su un altro tema a lui caro: la lotta tra la Madonna e il Drago, il diavolo. Partendo da una lettura della Messa, ha evocato “[…] una scena drammatica: una donna — figura di Maria e della Chiesa — viene perseguitata da un Drago — il diavolo — che vuole divorarne il figlio” (36). Eppure “[…] la scena non è di morte, ma di vita, perché Dio interviene e mette in salvo il bambino” (37). Il drago alla fine non può prevalere su Maria. Questa è la lezione per noi: le circostanze storiche, e anche il diavolo, ci mettono di fronte a tante difficoltà, ma “[…] per quanto grandi possano apparire, Dio non lascia mai che ne siamo sommersi” (38).
Occorre, però, che ci lasciamo sorprendere da Dio. Che “[…] in mezzo alle difficoltà, Dio agisce e ci sorprende” (39) lo dimostra appunto la storia di Aparecida, che il Pontefice ha voluto rievocare. In breve: “tre pescatori, dopo una giornata a vuoto, senza riuscire a prendere pesci, nelle acque del Rio Parnaíba, trovano qualcosa di inaspettato: un’immagine di Nostra Signora della Concezione” (40), malridotta e spezzata, ma che rimettono a posto con amore. “Chi avrebbe mai immaginato che il luogo di una pesca infruttuosa sarebbe diventato il luogo in cui tutti i brasiliani possono sentirsi figli di una stessa Madre? Dio sempre stupisce, come il vino nuovo nel Vangelo” (41). Anche oggi Dio continua a stupire, siamo noi che talora abbiamo perso la capacità di stupirci. Ecco allora che da Aparecida Dio, tramite sua Madre, “[…] chiede che noi ci lasciamo sorprendere dal suo amore, che accogliamo le sue sorprese” (42).
Una lettura più articolata dell’evento di Aparecida, definito cuore “perenne” (43) del Brasile cattolico, è quella che il Papa ha proposto ai cardinali e ai vescovi brasiliani incontrati nel palazzo arcivescovile di Rio il 27 luglio. Ad Aparecida vi sono dei pescatori che “hanno una barca fragile, inadatta; hanno reti scadenti, forse anche danneggiate, insufficienti” (44). Così, “nonostante gli sforzi, le reti sono vuote” (45). Ma Dio fa irruzione “nel suo mistero” (46). “Le acque sono profonde e tuttavia nascondono sempre la possibilità di Dio; e Lui è arrivato di sorpresa, forse quando non era più atteso” (47). I pescatori trovano una statuetta della Madonna. “Prima il corpo, poi la testa, poi il ricongiungimento di corpo e testa: unità” (48). I pescatori sono persone semplici ma “[…] non disprezzano il mistero incontrato nel fiume, anche se è un mistero che appare incompleto. Non buttano via i pezzi del mistero. Attendono la pienezza. E questa non tarda ad arrivare” (49): ricompongono una statua che li conquista con la sua bellezza.
Questa è una lezione fondamentale per la Chiesa brasiliana e per la Chiesa di tutto il mondo. “Noi vogliamo vedere troppo in fretta il tutto e Dio invece si fa vedere pian piano” (50). Noi “forse abbiamo ridotto il nostro parlare del mistero ad una spiegazione razionale; nella gente, invece, il mistero entra dal cuore” (51) attraverso la bellezza. “Solo la bellezza di Dio può attrarre” (52). Quando l’abbiamo incontrato, Dio “[…] risveglia in noi il desiderio di chiamare i vicini per far conoscere la sua bellezza. La missione nasce proprio da questo fascino divino, da questo stupore dell’incontro” (53). La Chiesa assomiglia alla barca dei pescatori di Aparecida. “Le reti della Chiesa sono fragili, forse rammendate; la barca della Chiesa non ha la potenza dei grandi transatlantici che varcano gli oceani” (54). E tuttavia “[…] il risultato del lavoro pastorale non si appoggia sulla ricchezza delle risorse, ma sulla creatività dell’amore” (55): “[…] la forza della Chiesa non abita in se stessa, bensì si nasconde nelle acque profonde di Dio, nelle quali essa è chiamata a gettare le reti” (56).
Qui Papa Francesco ha offerto una chiave di lettura del suo pontificato: annunciare la fede con semplicità. “A volte, perdiamo coloro che non ci capiscono perché abbiamo disimparato la semplicità, importando dal di fuori anche una razionalità aliena alla nostra gente. Senza la grammatica della semplicità, la Chiesa si priva delle condizioni che rendono possibile “pescare” Dio nelle acque profonde del suo Mistero” (57). Nell’omelia nel santuario di Aparecida è tornato, come ha già fatto altre volte, sulla V Conferenza Generale dell’Episcopato dell’America Latina e dei Caraibi, tenutasi ad Aparecida nel 2007, un’esperienza che ha spesso citato come esempio dei contenuti e anche dello stile che vorrebbe imprimere al suo pontificato. In quell’evento, ha detto, “[…] è avvenuto un fatto bellissimo di cui ho potuto rendermi conto di persona: vedere come i Vescovi — che hanno lavorato sul tema dell’incontro con Cristo, il discepolato e la missione — si sentivano incoraggiati, accompagnati e, in un certo senso, ispirati dalle migliaia di pellegrini che venivano ogni giorno ad affidare la loro vita alla Madonna” (58). Di Aparecida ha apprezzato “l’intreccio fra i lavori dei Pastori e la fede semplice dei pellegrini, sotto la protezione materna di Maria” (59).
I vescovi non si limitarono a parlare dei fedeli: parlarono con i fedeli, non quelli di qualche commissione pastorale ma il popolo quotidiano dei pellegrinaggi. Un popolo che anzitutto andava a trovare la Madonna. “La Chiesa, quando cerca Cristo bussa sempre alla casa della Madre e chiede: “Mostraci Gesù”. È da Lei che si impara il vero discepolato. Ed ecco perché la Chiesa va in missione sempre sulla scia di Maria” (60). E, nella stessa omelia, Papa Francesco ha reso omaggio a Benedetto XVI, che il 3 maggio 2007 venne a inaugurare la Conferenza di Aparecida, ricordando ai vescovi: “Il discepolo è consapevole che senza Cristo non c’è luce, non c’è speranza, non c’è amore, non c’è futuro” (61).
Ai vescovi del Consiglio Episcopale Latino-Americano (CELAM), il 28 luglio, il Pontefice ha ripetuto che Aparecida, “[…] la prima Conferenza dell’Episcopato Latinoamericano e dei Caraibi che si realizza in un Santuario mariano” (62), diede buoni frutti per “[…] l’ambiente di orazione generato dalla condivisione quotidiana dell’Eucaristia e degli altri momenti liturgici, dove fummo sempre accompagnati dal Popolo di Dio. D’altro canto, per il fatto che i lavori ebbero luogo nel sottosuolo del Santuario, la “musica funzionale” che li accompagnava furono i canti e le preghiere dei fedeli” (63).
4. “Metti fede”: solo Dio salva
Per i giovani — e non solo — il momento è drammatico, e il Papa pensa che “[…] questa civiltà mondiale sia andata oltre i limiti” (64), dotandosi “[…] di una filosofia e di una prassi di esclusione dei due poli della vita che sono le promesse dei popoli” (65): gli anziani e i giovani. Vi è una “eutanasia nascosta” (66) degli anziani, e “[…] c’è anche un’eutanasia culturale” (67) sia degli anziani sia dei giovani, che vuole escludere la fede ed emarginare chiunque si opponga all’omologazione a un pensiero unico dominante o porti in sé la memoria e la speranza dello scandalo cristiano. “La fede in Gesù Cristo — ha detto il Pontefice — non è uno scherzo, è una cosa molto seria. È uno scandalo che Dio sia venuto a farsi uno di noi. È uno scandalo che sia morto su una croce” (68). Anche i cristiani sono tentati di ridurre la loro fede, di sottrarsi allo scandalo, e il Papa li ha invitati: “Per favore, non “frullate” la fede in Gesù Cristo” (69), non diluitela con le idee del mondo.
Nella grande riunione notturna di Copacabana, il Pontefice ha salutato nei giovani “la bellezza del volto giovane di Cristo” (70), ripetendo con loro lo slogan di questa GMG: “Bota fé — Metti fede” (71), una formula — ha affermato — che si situa “nel cuore dell’Anno della fede” (72). Nell’omelia, ha ricordato che la grande riunione di giovani di tutto il mondo in Brasile non è una kermesse, un evento come gli altri: il suo senso è “essere qui insieme attorno a Gesù” (73). Occorre allora riflettere in profondità su che cosa significa il motto “Metti fede”. “Quando si prepara un buon piatto — ha spiegato Francesco — e vedi che manca il sale, allora tu “metti” il sale; manca l’olio, allora tu “metti” l’olio… “Mettere”, cioè collocare, versare. Così è anche nella nostra vita cari giovani: se vogliamo che essa abbia veramente senso e pienezza,[…] “metti fede” e la tua vita avrà un sapore nuovo, avrà una bussola che indica la direzione; “metti speranza” e ogni tuo giorno sarà illuminato e il tuo orizzonte non sarà più oscuro, ma luminoso; “metti amore” e la tua esistenza sarà come una casa costruita sulla roccia”(74).
Non possiamo certamente cambiare la nostra vita da soli. È Cristo che la cambia. “Per questo oggi vi dico con forza: “metti Cristo” nella tua vita e troverai un amico di cui fidarti sempre; “metti Cristo” e vedrai crescere le ali della speranza per percorrere con gioia la via del futuro; “metti Cristo” e la tua vita sarà piena del suo amore, sarà una vita feconda”(75). Papa Francesco ha proposto uno dei suoi consueti esami di coscienza: “in chi riponiamo la nostra fiducia? In noi stessi, nelle cose, o in Gesù? Noi siamo tentati di metterci al centro, di credere che siamo solo noi a costruire la nostra vita o che essa sia resa felice dal possedere, dai soldi, dal potere. Ma non è così” (76).
Il Papa non propone nulla di meno di “[…] una rivoluzione che potremmo chiamare copernicana, perché ci toglie dal centro e lo ridona a Dio” (77). Può sembrare una semplice formula devozionale. “All’apparenza non cambia nulla, ma nel più profondo di noi stessi tutto cambia” (78): “[…] la nostra esistenza si trasforma, il nostro modo di pensare e di agire si rinnova, diventa il modo di pensare e di agire di Gesù, di Dio” (79). Per cambiare, dice a ogni giovane, devi riconoscere in te “[…] le ferite del peccato. Non avere paura di chiedere perdono a Dio” (80). Per questo il Pontefice a Rio ha voluto personalmente confessare cinque giovani — fra cui una ragazza italiana —, richiamando tutti all’importanza di questo sacramento, e incontrare privatamente prima dell’Angelus del 26 luglio anche alcuni detenuti.
L’Angelus in Brasile si chiama “l’Ora di Maria” (81). Papa Francesco ha invitato i giovani a prendere l’abitudine di recitarla “[…] in tre momenti caratteristici della giornata che segnano il ritmo delle nostre attività quotidiane: al mattino, a mezzogiorno e al tramonto” (82). E il 26 luglio, festa dei santi Gioacchino e Anna, l’Angelus dei giovani ha ricordato due nonni: i genitori della Madonna, dunque i nonni di Gesù, nella cui casa è venuta al mondo ed è stata educata alla fede la Vergine Maria. Il Papa ne ha tratto occasione per ricordare “il valore prezioso della famiglia come luogo privilegiato per trasmettere la fede” (83), che la Madonna, invocata nella preghiera familiare, può davvero rendere “focolare di fede e di amore” (84). Il 26 luglio, proprio a causa dei santi Gioacchino e Anna, in Brasile e in altri Paesi si celebra la festa dei nonni. I nonni, ha detto il Pontefice, “[…] sono importanti nella vita della famiglia per comunicare quel patrimonio di umanità e di fede che è essenziale per ogni società” (85). I giovani della GMG dunque “vogliono salutare i nonni” (86): e “[…] li ringraziano per la testimonianza di saggezza che ci offrono continuamente” (87).
Della Via Crucis del 26 luglio, “uno dei momenti forti della Giornata Mondiale della Gioventù” (88), il Papa ha voluto mettere al centro le parole del beato Giovanni Paolo II quando nel 1984 consegnò ai giovani la Croce dell’Anno Santo: “Portatela nel mondo come segno dell’amore di Gesù per l’umanità e annunciate a tutti che solo in Cristo morto e risorto c’è salvezza e redenzione” (89). In preparazione alla GMG la Croce ha percorso anche il Brasile per due anni, e il Pontefice — che è solito dividere molti suoi discorsi in tre parti — ha posto ai giovani tre domande: “Che cosa avete lasciato nella Croce voi […]? E che cosa ha lasciato la Croce di Gesù in ciascuno di voi? E, infine, che cosa insegna alla nostra vita questa Croce?” (90).
Ricordando l’episodio del Quo vadis, in cui Pietro — tentato di fuggire da Roma per sottrarsi alla persecuzione — vede Gesù che cammina nella direzione opposta e gli dice che va a Roma per essere crocifisso di nuovo, Papa Francesco ha risposto alla prima domanda affermando che Gesù ancora oggi ci incontra sulle nostre strade e carica sulla sua croce “le nostre paure, i nostri problemi, le nostre sofferenze, anche le più profonde” (91). Condivide i nostri drammi, si unisce alle vittime della violenza, della persecuzione, della droga, della fame, “[…] a tanti giovani che hanno perso la fiducia nelle istituzioni politiche perché vedono egoismo e corruzione o che hanno perso la fede nella Chiesa, e persino in Dio, per l’incoerenza di cristiani e di ministri del Vangelo” (92).
Secondo: in chi l’ha vista e toccata, la Croce “lascia un bene che nessuno può darci: la certezza dell’amore incrollabile di Dio per noi. Un amore così grande che entra nel nostro peccato e lo perdona, entra nella nostra sofferenza e ci dona la forza per portarla, entra anche nella morte per vincerla e salvarci” (93). Sull’esempio del Brasile, il cui primo nome fu “Terra de Santa Cruz”, il Papa ha esortato a piantare la Croce “nella storia” (94), a riconoscere con le parole del beato Giovanni Paolo II che solo nella Croce vi è salvezza.
Terzo: la Croce è un insegnamento e un invito. Entriamo nel dramma della Passione e lasciamoci insegnare che purtroppo anche noi possiamo“[…] essere come Pilato che non ha il coraggio di andare controcorrente per salvare la vita di Gesù e se ne lava le mani. Cari amici, la Croce di Cristo ci insegna ad essere come il Cireneo, che aiuta Gesù a portare quel legno pesante, come Maria e le altre donne, che non hanno paura di accompagnare Gesù fino alla fine, con amore, con tenerezza. E tu, come sei? Come Pilato, come il Cireneo, come Maria?” (95).
Nella notte fra sabato 27 e domenica 28 luglio i giovani della GMG hanno animato una grande veglia sulla spiaggia di Copacabana. Il Papa ha fatto leggere la narrazione dell’episodio di san Francesco (1182-1226), il quale sente la voce di Gesù che gli dice: “Francesco, va’ e ripara la mia casa”(96). La casa cui allude Gesù è la Chiesa. Il Pontefice ha riferito le parole del Signore a ognuno di noi, e certamente anche a se stesso. La veglia — poi spostata a Copacabana per il maltempo — doveva inizialmente svolgersi in un luogo chiamato Campus Fidei, e Francesco ha proposto l’omelia che aveva già preparato, ispirata a quel nome e ancora una volta divisa in tre parti: “la prima, il campo come luogo in cui si semina; la seconda, il campo come luogo di allenamento; e la terza, il campo come cantiere” (97).
Gesù nelle sue parabole amava usare l’immagine del seminatore e il vero “campo della fede” (98) dove vuole seminare è la nostra vita. Il Signore parlava dei semi caduti sulla strada, fra i sassi o fra le spine, che andavano sprecati. Anche noi forse “[…] siamo come la strada: ascoltiamo il Signore, ma non cambia nulla nella vita, perché ci lasciamo intontire da tanti richiami superficiali che ascoltiamo; o come il terreno sassoso: accogliamo con entusiasmo Gesù, ma siamo incostanti e davanti alle difficoltà non abbiamo il coraggio di andare contro corrente; o siamo come il terreno con le spine: le cose, le passioni negative soffocano in noi le parole del Signore” (99). Se vogliamo essere il terreno buono, dove il seme porta frutto, dobbiamo essere “non cristiani part-time, non cristiani “inamidati”, […] non cristiani di facciata, […] ma cristiani autentici” (100), cioè non schiavi dell’“illusione di una libertà inconsistente che si lascia trascinare dalle mode e dalle convenienze del momento” (101).
Secondo: il campo è il luogo dove ci si allena. In Brasile, ha detto il Papa, “[…] il calcio è una passione nazionale. […] Ebbene, che cosa fa un giocatore quando è convocato a far parte di una squadra? Deve allenarsi, e allenarsi molto!” (102). Lo stesso san Paolo ha proposto per la vita cristiana l’esempio dell’atleta (cfr. 1 Cor. 9,25) e Papa Francesco con un riferimento all’espressione “atleti di Cristo” (103), che in Brasile identifica soprattutto calciatori protestanti pentecostali, ha forse voluto proporre una cauta apertura a un dialogo con questi ambienti. “Gesù ci offre qualcosa di superiore alla Coppa del Mondo!” (104), ha aggiunto. Ci alleniamo attraverso la preghiera, i sacramenti, la carità “[…] per “essere in forma”, per affrontare senza paura tutte le situazioni della vita, testimoniando la nostra fede” (105), ma anche “per un futuro con Lui che non avrà fine, la vita eterna” (106).
Terzo: l’immagine del campo richiama un cantiere, dove “”si suda la maglietta” cercando di vivere da cristiani” (107), cercando di costruire la Chiesa non “[…] come una piccola cappella che può contenere solo un gruppetto di persone” (108) ma “[…] così grande da poter accogliere l’intera umanità” (109), e nello stesso tempo cercando di costruire “una società più giusta” (110). Sembra difficile, ma il primo cantiere siamo noi stessi. “Quando chiesero a Madre Teresa di Calcutta [1910-1997] che cosa doveva cambiare nella Chiesa, rispose: tu ed io!” (111).
5. La dimensione sociale e politica
Il viaggio in Brasile ha avuto anche una dimensione sociale e politica, che Papa Francesco ha voluto testimoniare attraverso un percorso nelle “periferie” dei più emarginati. Il percorso è iniziato nella serata del 24 luglio, quando il Pontefice ha incontrato i tossicodipendenti in via di riabilitazione all’Ospedale San Francesco di Rio de Janeiro. Nel commovente incontro, non si è limitato a un incoraggiamento generico. Ha preso una posizione forte e chiara sulle proposte di legge di liberalizzazione delle droghe cosiddette leggere di cui oggi si discute in Brasile e in altri Paesi latino-americani. “Non è con la liberalizzazione dell’uso delle droghe — ha detto il Pontefice —, come si sta discutendo in varie parti dell’America Latina, che si potrà ridurre la diffusione e l’influenza della dipendenza chimica. È necessario affrontare i problemi che sono alla base del loro uso” (112).
Per prendere davvero di petto questi problemi, ha aggiunto, è indispensabile dire la verità al tossicodipendente: che ha dei diritti, ma ha anche dei doveri. Che la Chiesa è disposta a fare di tutto per aiutarlo, ma che ogni sforzo sarà vano se non si aiuta da solo. “Troverai la mano tesa di chi ti vuole aiutare — ha detto il Papa rivolgendosi a ognuno dei pazienti —, ma nessuno può fare la salita al tuo posto” (113). Senza la volontà ferma di uscire dalla droga, nessuno si salva. Il Pontefice lo ha detto tante volte: “Non lasciatevi rubare la speranza!” (114). Ma qualche volta siamo noi a rubare la speranza a noi stessi: “Non rubiamo la speranza!” (115).
Nella favela di Varginha, a Rio de Janeiro, Papa Francesco ha affermato che “[…] il popolo brasiliano, in particolare le persone più semplici, può offrire al mondo una preziosa lezione di solidarietà, una parola […] spesso dimenticata o taciuta, perché scomoda” (116). Le ingiustizie sociali si combattono anzitutto facendo ognuno la propria parte. “Non è la cultura dell’egoismo, dell’individualismo, che spesso regola la nostra società, quella che costruisce e porta ad un mondo più abitabile, ma la cultura della solidarietà; vedere nell’altro non un concorrente o un numero, ma un fratello” (117).
Il Brasile oggi sta diventando una grande potenza economica mondiale. Ma nessun progresso economico “[…] sarà duraturo, non ci saranno armonia e felicità per una società che ignora, che mette ai margini e che abbandona nella periferia una parte di se stessa. Una società così semplicemente impoverisce se stessa, anzi perde qualcosa di essenziale per se stessa” (118). Il Brasile sta diventando un grande Paese? “La misura della grandezza di una società è data dal modo con cui essa tratta chi è più bisognoso, chi non ha altro che la sua povertà!” (119).
Ancora una volta — anche nella favela di Varginha — il Pontefice ha voluto ribadire che “[…] certamente è necessario dare il pane a chi ha fame” (120), ma “c’è anche una fame più profonda, la fame di una felicità che solo Dio può saziare” (121). Ai diplomatici, all’inizio del suo pontificato, il Papa aveva detto che “la povertà spirituale […] è quanto il mio Predecessore, il caro e venerato Benedetto XVI, chiama la “dittatura del relativismo”” (122). In Brasile ha ripetuto che “non c’è né vera promozione del bene comune, né vero sviluppo dell’uomo, quando si ignorano i pilastri fondamentali che reggono una Nazione, i suoi beni immateriali: la vita, che è dono di Dio, valore da tutelare e promuovere sempre; la famiglia, fondamento della convivenza e rimedio contro lo sfaldamento sociale; l’educazione integrale, che non si riduce ad una semplice trasmissione di informazioni con lo scopo di produrre profitto; la salute, che deve cercare il benessere integrale della persona, anche della dimensione spirituale, essenziale per l’equilibrio umano e per una sana convivenza; la sicurezza, nella convinzione che la violenza può essere vinta solo a partire dal cambiamento del cuore umano” (123).
E ai giovani delusi dalla corruzione e da politici “[…] che, invece di cercare il bene comune, cercano il proprio interesse” (124), il Papa ha ripetuto: “non scoraggiatevi mai, non perdete la fiducia, non lasciate che si spenga la speranza. La realtà può cambiare, l’uomo può cambiare. Cercate voi per primi di portare il bene, di non abituarvi al male, ma di vincerlo” (125). Ponendovi — non si è stancato di ripeterlo — sotto il manto della Madonna, “Madre di tutti i poveri del Brasile” (126) e Madre di tutti.
Nella Messa con i sacerdoti e i seminaristi il Pontefice ha nuovamente auspicato una “cultura dell’incontro” (127), perché “[…] si è fatta strada una cultura dell’esclusione, una “cultura dello scarto”” (128) che elimina l’anziano, “il figlio non voluto” (129), chiunque non corrisponde alla logica dei “due “dogmi” moderni: efficienza e pragmatismo” (130). Ai vescovi, anzitutto, il Pontefice chiede “[…] il coraggio di andare controcorrente” (131), di riproporre con umiltà ma con sicurezza verità che il mondo non vuole sentire.
Incontrando le autorità politiche, imprenditoriali e culturali del Brasile al Teatro Municipale di Rio de Janeiro, il Papa ha chiesto il “pieno rispetto dei principi etici fondati sulla dignità trascendente della persona” (132). Anche questo discorso è stato diviso in tre punti: “primo, l’originalità di una tradizione culturale; secondo, la responsabilità solidale per costruire il futuro; e terzo, il dialogo costruttivo, per affrontare il presente” (133).
Che cos’è la tradizione di una nazione? È, ha risposto, “il comune sentire di un popolo, le basi del suo pensiero e della sua creatività, i principi fondamentali della sua vita, i criteri di giudizio” (134). E la tradizione brasiliana è cattolica, “[…] ha ricevuto anche la linfa del Vangelo” (135). Ma la ricchezza di questa linfa deve essere pienamente valorizzata, come insegnò Benedetto XVI nel suo viaggio in Brasile del 2007, che il Papa ha voluto esplicitamente richiamare. La tradizione cattolica “unisce trascendenza e incarnazione; rivitalizza sempre il pensiero e la vita, di fronte alla delusione e al disincanto che invadono i cuori e si diffondono nelle strade” (136).
Dalla tradizione nazionale deriva una responsabilità sociale, che “[…] richiede un certo tipo di paradigma culturale e, conseguentemente, di politica” (137), per educare nuove generazioni che siano “ferme sui valori etici” (138) e attente alle esigenze drammatiche dei più poveri. Una vera classe politica si fa guidare dalla “responsabilità e dall’interesse per il bene comune” (139). Senza mai dimenticare che in politica “chi agisce responsabilmente colloca la propria azione davanti ai diritti degli altri e davanti al giudizio di Dio. Questo senso etico appare oggi come una sfida storica senza precedenti” (140).
Infine, anche ai politici Papa Francesco propone il “dialogo costruttivo”(141). “Tra l’indifferenza egoista e la protesta violenta c’è un’opzione sempre possibile: il dialogo” (142), da perseguire peraltro “rimanendo aperti alla verità” (143). Il dialogo esige un “forte contributo di energie morali” (144): la politica non può “[…] rimanere chiusa nella pura logica di rappresentanza degli interessi costituiti” (145). Ed è necessaria una “[…] laicità dello Stato, che, senza assumere come propria nessuna posizione confessionale, rispetta e valorizza la presenza del fattore religioso nella società, favorendone le sue espressioni concrete” (146).
Incontrando i vescovi brasiliani e invitandoli a “[…] rinforzare la famiglia, che rimane cellula essenziale per la società e per la Chiesa” (147), il Pontefice ha affermato che “[…] c’è una sola cosa che la Chiesa chiede con particolare chiarezza: la libertà di annunciare il Vangelo in modo integrale, anche quando si pone in contrasto con il mondo, anche quando va controcorrente, difendendo il tesoro di cui è solo custode, e i valori dei quali non dispone, ma che ha ricevuto e ai quali deve essere fedele”(148). Senza la verità sull’uomo che la Chiesa annuncia “la società si sfalda, le città sarebbero travolte dai propri muri, abissi, barriere. La Chiesa ha il diritto e il dovere di mantenere accesa la fiamma della libertà e dell’unità dell’uomo” (149).
In un’intervista alla radio diocesana di Rio de Janeiro il Papa è tornato sul contenuto dell’annuncio sociale della Chiesa, aggiungendo che “la famiglia è importante, è necessaria per la sopravvivenza dell’umanità. Se non c’è la famiglia, è a rischio la sopravvivenza culturale dell’umanità. La famiglia, ci piaccia o no, è la base” (150).
6. Una fede autoreferenziale diventa ideologica
Uno dei grandi temi del viaggio in Brasile è stato quello dell’”uscire” per evangelizzare, un tema centrale nel Magistero di Papa Francesco. Tutti — anche i giovani — devono essere missionari, ha detto. “Certo — ha confidato — molti di fronte a questo invito potrebbero sentirsi un po’ spaventati, pensando che essere missionari significhi lasciare necessariamente il Paese, la famiglia e gli amici” (151). Il Pontefice ha confidato che lui stesso da giovane avrebbe voluto recarsi come missionario in Giappone: ma poi si convinse che la prima missione era in patria. Dovunque si sia chiamati a operare, la chiamata alla missione vale per tutti: “essere discepoli missionari è una conseguenza dell’essere battezzati, è parte essenziale dell’essere cristiani” (152).
Il 28 luglio, nella grande Messa conclusiva dell’evento brasiliano, Papa Francesco ha voluto riassumere il senso del suo viaggio, della GMG, dell’Anno della Fede: confermare i giovani nella fede — che non è un vago sentimento, è la verità — perché possano “uscire” e portare la nuova evangelizzazione ai tanti che non hanno ancora incontrato la Chiesa o l’hanno lasciata. “Andate — senza paura — per servire” (153), ha invitato, analizzando ciascuna di queste tre espressioni.
“Andate”. A Rio, ha detto Papa Francesco, avete incontrato la fede. “Ma l’esperienza di questo incontro non può rimanere rinchiusa nella vostra vita o nel piccolo gruppo della parrocchia, del movimento, della vostra comunità. Sarebbe come togliere l’ossigeno a una fiamma che arde. La fede è una fiamma che si fa sempre più viva quanto più si condivide, si trasmette!” (154). La nuova evangelizzazione non è facoltativa: “Gesù non ha detto: se volete, se avete tempo, ma: “Andate e fate discepoli tutti i popoli”” (155). Non è un consiglio, “è un comando, che, però, non nasce dalla volontà di dominio o di potere, ma dalla forza dell’amore”(156).
“Uscire” significa compiere un grande sforzo per raggiungere tutti. “Il Vangelo è per tutti e non per alcuni. Non è solo per quelli che ci sembrano più vicini, più ricettivi, più accoglienti” (157), va portato “[…] fino alle periferie esistenziali, anche a chi sembra più lontano, più indifferente” (158). Ricordando che “un grande apostolo del Brasile, il Beato José de Anchieta [S.J., 1534-1597] partì in missione quando aveva soltanto diciannove anni” (159), il Papa ha aggiunto: “Sapete qual è lo strumento migliore per evangelizzare i giovani? Un altro giovane” (160).
“Senza paura”. “Qualcuno potrebbe pensare: “Non ho nessuna preparazione speciale, come posso andare e annunciare il Vangelo?””(161). Questa paura l’avevano anche i profeti, anche i santi: e sarebbe giustificata se “uscissimo” da soli. Ma “quando andiamo ad annunciare Cristo, è Lui stesso che ci precede e ci guida” (162). Non ci lascia soli. Inoltre, non “usciamo” come singoli, come privati, ma nella “compagnia dell’intera Chiesa” (163), che garantisce il contenuto della nostra evangelizzazione.
Usciamo “per servire”. San Paolo affermava: “Mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero” (1 Cor. 9,19). Siamo credibili solo se chi ci incontra sperimenta per nostro tramite l’amore di Dio, la gioia della fede, la tenerezza della Vergine Maria.
Ripetendo concetti analoghi ai giovani argentini, Papa Francesco ha detto: “Spero che ci sia chiasso. Qui ci sarà chiasso, ci sarà. […] Però io voglio che ci sia chiasso nelle diocesi, voglio che si esca fuori, voglio che la Chiesa esca per le strade, voglio che ci difendiamo da tutto ciò che è mondanità, immobilismo, da ciò che è comodità, da ciò che è clericalismo, da tutto quello che è l’essere chiusi in noi stessi” (164). Si tratta sempre dello stesso tema: non ci sarà nessuna nuova evangelizzazione se rimaniamo chiusi in noi stessi, nelle nostre parrocchie, nei nostri movimenti, impegnati in riunioni, piani e chiacchiere senza fine, autoreferenziali, dove parliamo solo fra noi. “Le parrocchie, le scuole, le istituzioni sono fatte per uscire fuori” (165). Chi non esce fuori — è l’altro grande tema del pontificato — corre il rischio della mondanità spirituale, di fare tante opere anche buone solo per amore dell’applauso del mondo, o per amore dell’uomo, ma non — come dovrebbe essere — per amore di Dio. Per questo è obbligatorio che parrocchie e movimenti “escano” a evangelizzare chi è fuori. “Se non lo fanno diventano una ONG e la Chiesa non può essere una ONG” (166).
Che una fede autoreferenziale rischi di diventare ideologica, il Pontefice lo ha detto anzitutto ai vescovi brasiliani. “La Chiesa in Brasile ha ricevuto e applicato con originalità il Concilio Vaticano II […] pur avendo dovuto superare certe malattie infantili” (167): un’allusione a quel “progressismo adolescente” (168) di cui aveva parlato nella Messa del 12 giugno a Santa Marta.
Oggi, ha detto il Papa citando il beato John Henry Newman (1801-1890), “il mondo cristiano sta gradualmente diventando sterile, e si esaurisce come una terra sfruttata a fondo che diviene sabbia” (169). Il Pontefice non si fa illusioni: “[…] a volte, ci sembra di essere degli sconfitti, come chi deve fare il bilancio di una stagione ormai persa, guardando a coloro che ci lasciano o non ci ritengono più credibili, rilevanti” (170). Molti lasciano la Chiesa, per tante ragioni: la trovano “forse troppo fredda nei loro confronti, forse troppo autoreferenziale” (171).
Lamentarsi, però, non serve. “Serve una Chiesa che non abbia paura di uscire nella loro notte. Serve una Chiesa capace di intercettare la loro strada. Serve una Chiesa in grado di inserirsi nella loro conversazione”(172), il cui contesto oggi è quello della globalizzazione. Tanti sono innamorati della potenzialità della globalizzazione e in essa vi è qualcosa di veramente positivo. “Ma a tanti sfugge il lato oscuro: lo smarrimento del senso della vita” (173) e “i tentativi falliti di trovare risposte nella droga, nell’alcool, nel sesso, diventati ulteriori prigioni” (174). E tanti hanno “cercato scorciatoie” (175): non la Chiesa Cattolica, il cui ideale considerano troppo elevato per loro, ma “[…] almeno qualcosa, sia pure una caricatura, di quello che sembra troppo alto” (176), spiritualità facili che di fronte al dolore sono solo capaci di “anestetizzarlo” (177) per un momento.
Serve una Chiesa “[…] in grado di far compagnia, di andare al di là del semplice ascolto” (178); “[…] una Chiesa capace di decifrare la notte contenuta nella fuga di tanti fratelli e sorelle” (179), “[…] che si renda conto di come le ragioni per le quali c’è chi si allontana contengono già in se stesse anche le ragioni per un possibile ritorno” (180). Tutto questo non dev’essere letto in modo sentimentale. La Chiesa deve proporre le sue fonti: “Scrittura, Catechesi, Sacramenti, Comunità, amicizia del Signore, Maria e gli Apostoli… Siamo ancora in grado di raccontare queste fonti così da risvegliare l’incanto per la loro bellezza?” (181).
Il Papa ha parlato ai vescovi brasiliani anche del rapporto malato che oggi molti hanno con il tempo. “La ricerca di ciò che è sempre più veloceattira l’uomo d’oggi: Internet veloce, auto veloci, aerei veloci, rapporti veloci… E tuttavia si avverte una disperata necessità di calma, vorrei dire di lentezza. La Chiesa sa ancora essere lenta: nel tempo, per ascoltare, nella pazienza, per ricucire e ricomporre? O anche la Chiesa è ormai travolta della frenesia dell’efficienza?” (182). Dio non è oscurato nella gente che corre disperata nel secolo XXI: ma “manca chi riscaldi loro il cuore” (183). Il vero problema della Chiesa è la “[…] formazione qualificata che crei persone capaci di scendere nella notte senza essere invase dal buio e perdersi, […] di toccare la disintegrazione altrui, senza lasciarsi sciogliere e scomporsi nella propria identità” (184). Per questo “[…] bisogna avere il coraggio di una revisione profonda delle strutture di formazione e di preparazione del clero e del laicato” (185). “Non è sufficiente una vaga priorità della formazione, né di documenti o di convegni” (186) e “non è sufficiente la burocrazia centrale” (187) di una Conferenza Episcopale. Serve una formazione alla verità, e insieme alla misericordia “[…] per inserirsi in un mondo di “feriti”, che hanno bisogno di comprensione, di perdono, di amore” (188).
In termini ancora più articolati rispetto al discorso ai vescovi brasiliani, il Papa ha riproposto la stessa tematica ai vescovi del comitato di coordinamento del Consiglio Episcopale Latino-Americano (CELAM) in quello che è stato il discorso più impegnativo del suo viaggio. Negli ultimi decenni, ha rilevato, la realtà dell’America Latina è molto cambiata: una cultura prevalentemente “di base rurale” (189) si andava trasformando in una cultura dominata da megalopoli dove coesistono diversi “[…] immaginari collettivi che configurano “diverse città”” (190).
La parte centrale del discorso al CELAM è stata dedicata alle tre “tentazioni” (191) cui oggi è sottoposta la Chiesa: l’“ideologizzazione”(192), il “funzionalismo” (193) e il “clericalismo” (194). La Chiesa, ha detto il Pontefice, corre il rischio di quattro diverse forme di riduzionismo ideologico. La prima è il “riduzionismo socializzante” (195), che si fida eccessivamente delle scienze sociali e che in epoche diverse ha sostituito la dottrina sociale della Chiesa o con le “categorizzazioni marxiste” (196) o con il “liberismo di mercato” (197). Il secondo è l’“ideologizzazione psicologica” (198), che si manifesta soprattutto in corsi di spiritualità dove la fede è ridotta a mera psicologia. A braccio, il Pontefice ha fatto l’esempio di corsi tutti dedicati alla classificazione dei caratteri secondo il metodo — di origine esoterica — dell’enneagramma, dove poi ci si dimentica di quanto è specifico di una spiritualità cattolica.
Il terzo riduzionismo è quello “gnostico” (199), tipico di “eredi della cultura illuminista” (200) che si ritengono portatori di una conoscenza superiore, l’unica aggiornata e moderna. Parlando a braccio, il Papa ha aggiunto che esempi di questo gnosticismo in “edizioni rivedute e corrette” (201) sono le lettere di chi, congratulandosi per la sua elezione a Pontefice, gli ha subito chiesto “che si sposino i preti, che si ordinino le suore e che si dia la comunione ai divorziati” (202) perché solo così la Chiesa diventerebbe davvero moderna.
Parallelo e contrario al riduzionismo gnostico è quello “pelagiano” (203), che in America Latina Papa Francesco vede presente “in piccoli gruppi, in alcune nuove Congregazioni Religiose, in tendenze esagerate alla “sicurezza” dottrinale o disciplinare” (204), dove s’insegue il sogno impossibile di tornare a un “passato perduto” (205) attraverso la “restaurazione di condotte e forme superate” (206). A braccio il Papa ha spiegato che, volutamente, ha dato una versione “caricaturale” (207), forse esagerata, di queste due tentazioni, un’utopia del futuro e un’utopia del passato: ma qualche volta anche le caricature aiutano a capire i rischi di vivere in un ipotetico futuro o nel passato, mentre le persone concrete da evangelizzare s’incontrano nel presente.
La seconda tentazione, il “funzionalismo” (208), che “[…] non tollera il mistero” (209) e crede solo nell’“efficacia” (210) e nelle statistiche, riducendo ancora una volta — è un’espressione che egli ha usato più volte — “la realtà della Chiesa alla struttura di una ONG” (211). Assomiglia alla “teologia della prosperità” (212) protestante, ed è un rischio — ha aggiunto a braccio — che oggi si manifesta tra l’altro nella “elefantiasi delle conferenze episcopali” (213).
Infine, la terza tentazione è il “clericalismo”, una “[…] complicità peccatrice: il parroco clericalizza e il laico gli chiede per favore che lo clericalizzi, perché in fondo gli risulta più comodo” (214). Un clero non clericale, ha concluso il Papa citando suoi precedenti discorsi, si riconosce dalla qualità delle omelie, non “lontane, astratte” (215), ma vicine all’esempio dei discorsi di Gesù nel Vangelo. E dev’essere guidato da vescovi che abbandonino la “psicologia da principi” (216) e dimostrino fra l’altro “austerità di vita” (217).
Il discorso al CELAM ha scontentato una certa “sinistra” – che Francesco ha definito “gnostica” – e una certa “destra”, ricondotta nel testo a un modello “pelagiano”. Il riferimento all’eresia di Pelagio (360-420) ha peraltro una storia in controversie degli anni 1990. Da queste controversie scaturirono prese di posizione dell’allora cardinale Joseph Ratzinger, il quale in seguito propose una distinzione fra due diverse forme di nuovo pelagianesimo. La seconda delle due forme era in effetti riferibile ad ambienti ultra-conservatori, i quali trattano anche la dottrina come un’opera ritenendo di avere meritato, quando hanno professato tutta e integra la verità, una sorta di diritto alla salvezza. Ma questa non deriva mai soltanto dai nostri sforzi — neppure da quelli intellettuali — e va accolta come dono gratuito di Dio, riconoscendoci peccatori (218).
Il cuore del messaggio che Papa Francesco dalla GMG ha lasciato alla Chiesa è il primato dell’evangelizzazione, compromesso da qualunque sguardo che — rivolto, anziché al presente, verso il passato o verso improbabili futuri — rischia di diventare ideologico e di chiudere in un’autoreferenzialità che impedisce di “uscire”. Quando poniamo la nostra fiducia nella nostra scienza e nel nostro sapere anziché nella dottrina della Chiesa siamo tutti gnostici, e quando pensiamo di salvarci con le nostre opere e le nostre certezze anziché ripetere a noi stessi tutti i giorni che solo la grazia di Dio salva siamo tutti pelagiani. Nell’uno e nell’altro caso, continueremo a parlarci addosso, a considerare fondamentali cose che interessano solo a noi e a pochi altri, mentre là fuori vi è tutto un mondo disperato da evangelizzare. Rimanendo nelle nostre conventicole autoreferenziali — non importa se rivolte al passato o al futuro — non riusciremo a “uscire”, che è quanto il Papa ci chiede. Il tempo del cattolico è il presente.
Solo chi profitta di questo tempo è gioioso, e solo la gioia è credibile. “Il cristiano è gioioso, non è mai triste” (219), ha detto il Pontefice ad Aparecida in un’omelia in cui pure ha evocato il diavolo. Il cristiano sa infatti che il diavolo, per quanto potente, è già stato sconfitto. “Il cristiano non può essere pessimista! Non ha la faccia di chi sembra trovarsi in un lutto perpetuo. Se siamo davvero innamorati di Cristo e sentiamo quanto ci ama, il nostro cuore si “infiammerà” di una gioia tale che contagerà quanti vivono vicini a noi” (220). “Abbiate […] il coraggio di essere felici” (221), ha detto Papa Francesco ai giovani. È la lezione più profonda della GMG.
Note:
(1) Cfr. Rodney Stark e Massimo Introvigne, Dio è tornato. Indagine sulla rivincita delle religioni in Occidente, Piemme, Casale Monferrato (Alessandria) 2003. Al di là dei dati statistici, sempre controversi e del resto in evoluzione nel tempo, mi sembra che le linee di fondo di quel lavoro rimangano valide.
(2) Francesco, Cerimonia di Benvenuto al Palazzo Guanabara di Rio de Janeiro, del 22-7-2013, in L’Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, Città del Vaticano 24-7-2013.
(3) Ibidem.
(4) Ibidem.
(5) Ibidem.
(6) Ibidem.
(7) Idem, Visita alla comunità di Varginha a Rio de Janeiro, del 25-7-2013, ibid. 27-7-2013.
(8) Ibidem.
(9) Idem, Cerimonia di Benvenuto al Palazzo Guanabara di Rio de Janeiro, cit.
(10) Ibidem.
(11) Ibidem.
(12) Ibidem.
(13) Ibidem.
(14) Benedetto XVI, Lettera enciclica “Caritas in veritate” sullo sviluppo umano integrale nella carità e nella verità, del 29-6-2009. Per un commento cfr. M. Introvigne e Piermarco Ferraresi, Il Papa e Joe l’idraulico. La crisi economica e l’enciclica Caritas in veritate, Fede & Cultura, Verona 2009.
(15) Francesco, Cerimonia di Benvenuto al Palazzo Guanabara di Rio de Janeiro, cit.
(16) Ibidem.
(17) Ibidem.
(18) Ibidem.
(19) Ibidem.
(20) Ibidem.
(21) Ibidem.
(22) Ibidem.
(23) Ibidem.
(24) Ibidem.
(25) Idem, Omelia alla Santa Messa nella Basilica del Santuario di Nostra Signora di Aparecida, del 24-7-2013, ibid. 26-7-2013.
(26) Ibidem.
(27) Ibidem.
(28) Ibidem.
(29) Cfr. Idem, Lettera enciclica “Lumen fidei” sulla fede, del 29-6-2013.
(30) Idem, Visita all’Ospedale São Francisco de Assis na Providência a Rio de Janeiro, del 24-7-2013, in L’Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, Città del Vaticano 26-7-2013.
(31) Ibidem.
(32) Idem, Incontro con i Volontari della XXVIII GMG nel Padiglione 5 di Rio Centro a Rio de Janeiro, del 28-7-2013, ibid. 29/30-7-2013.
(33) Ibidem.
(34) Ibidem.
(35) Idem, Omelia alla Santa Messa nella Basilica del Santuario di Nostra Signora di Aparecida, cit.
(36) Ibidem.
(37) Ibidem.
(38) Ibidem.
(39) Ibidem.
(40) Ibidem.
(41) Ibidem.
(42) Ibidem.
(43) Idem, Incontro con l’Episcopato brasiliano nell’Arcivescovado di Rio de Janeiro, del 27-7-2013, ibid. 29/30-7-2013.
(44) Ibidem.
(45) Ibidem.
(46) Ibidem.
(47) Ibidem.
(48) Ibidem.
(49) Ibidem.
(50) Ibidem.
(51) Ibidem.
(52) Ibidem.
(53) Ibidem.
(54) Ibidem.
(55) Ibidem.
(56) Ibidem.
(57) Ibidem.
(58) Idem, Omelia alla Santa Messa nella Basilica del Santuario di Nostra Signora di Aparecida, cit.
(59) Ibidem.
(60) Ibidem.
(61) Ibidem.
(62) Idem, Incontro con i vescovi responsabili del Consiglio Episcopale Latino-Americano (CELAM) in occasione della riunione di coordinamento a Rio de Janeiro, del 28-7-2013, ibid. 29/30-7-2013.
(63) Ibidem.
(64) Idem, Incontro con i giovani argentini nella Cattedrale di San Sebastián, del 25-7-2013, ibid. 27-7-2013.
(65) Ibidem.
(66) Ibidem.
(67) Ibidem.
(68) Ibidem.
(69) Ibidem.
(70) Idem, Saluto alla festa di accoglienza dei giovani sul lungomare di Copacabana, del 25-7-2013, ibidem.
(71) Ibidem.
(72) Ibidem.
(73) Idem, Omelia alla festa di accoglienza dei giovani sul lungomare di Copacabana, del 25-7-2013, ibidem.
(74) Ibidem.
(75) Ibidem.
(76) Ibidem.
(77) Ibidem.
(78) Ibidem.
(79) Ibidem.
(80) Ibidem.
(81) Idem, Preghiera dell’Angelus Domini dal Balcone centrale del Palazzo Arcivescovile San Joaquim, del 26-7-2013, ibid. 28-7-2013.
(82) Ibidem.
(83) Ibidem.
(84) Ibidem.
(85) Ibidem.
(86) Ibidem.
(87) Ibidem.
(88) Idem, Discorso alla Via Crucis con i giovani sul lungomare di Copacabana, del 26-7-2013, ibidem.
(89) Cit. ibidem.
(90) Ibidem.
(91) Ibidem.
(92) Ibidem.
(93) Ibidem.
(94) Ibidem.
(95) Ibidem.
(96) Cfr. Idem, Veglia di preghiera con i giovani a Copacabana, del 27-7-2013, ibid. 29/30-7-2013.
(97) Ibidem.
(98) Ibidem.
(99) Ibidem.
(100) Ibidem.
(101) Ibidem.
(102) Ibidem.
(103) Ibidem.
(104) Ibidem.
(105) Ibidem.
(106) Ibidem.
(107) Ibidem.
(108) Ibidem.
(109) Ibidem.
(110) Ibidem.
(111) Ibidem.
(112) Idem, Visita all’Ospedale São Francisco de Assis na Providência a Rio de Janeiro, cit.
(113) Ibidem.
(114) Ibidem.
(115) Ibidem.
(116) Idem, Visita alla Comunità di Varginha a Rio de Janeiro, cit.
(117) Ibidem.
(118) Ibidem.
(119) Ibidem.
(120) Ibidem.
(121) Ibidem.
(122) Idem, Discorso al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, del 22-3-2013, ibid. 23-3-2013.
(123) Idem, Visita alla Comunità di Varginha a Rio de Janeiro, cit.
(124) Ibidem.
(125) Ibidem.
(126) Ibidem.
(127) Idem, Santa Messa con i Vescovi della XXVIII GMG e con i Sacerdoti, i Religiosi e i Seminaristi nella Cattedrale di San Sebastián a Rio de Janeiro, del 27-7-2013, ibid. 29/30-7-2013.
(128) Ibidem.
(129) Ibidem.
(130) Ibidem.
(131) Ibidem.
(132) Idem, Incontro con la classe dirigente del Brasile nel Teatro Municipale di Rio de Janeiro, del 27-7-2013, ibidem.
(133) Ibidem.
(134) Ibidem.
(135) Ibidem.
(136) Ibidem.
(137) Ibidem.
(138) Ibidem.
(139) Ibidem.
(140) Ibidem.
(141) Ibidem.
(142) Ibidem.
(143) Ibidem.
(144) Ibidem.
(145) Ibidem.
(146) Ibidem.
(147) Idem, Incontro con l’Episcopato brasiliano nell’Arcivescovado di Rio de Janeiro, cit.
(148) Ibidem.
(149) Ibidem.
(150) Idem, Intervista alla radio dell’Arcidiocesi di Rio de Janeiro “Radio Cattedrale”, del 27-7-2013, ibidem.
(151) Idem, Santa Messa con i Vescovi della XXVIII GMG e con i Sacerdoti, i Religiosi e i Seminaristi nella Cattedrale di San Sebastián a Rio de Janeiro, cit.
(152) Ibidem. Cfr. le aggiunte “a braccio” all’indirizzo <http:// www.news.va/ it/ news/ gmg-il-papa-ai-vescovi-promuoviamo-la-cultura-dell> (gl’indirizzi Internet dell’articolo sono stati consultati il 19-9-2013).
(153) Idem, Santa Messa per la XXVIII Giornata Mondiale della Gioventù a Rio de Janeiro, del 28-7-2013, ibid. 29/30-7-2013.
(154) Ibidem.
(155) Ibidem.
(156) Ibidem.
(157) Ibidem.
(158) Ibidem.
(159) Ibidem.
(160) Ibidem.
(161) Ibidem.
(162) Ibidem.
(163) Ibidem.
(164) Idem, Incontro con i giovani argentini nella Cattedrale di San Sebastián, cit.
(165) Ibidem.
(166) Ibidem.
(167) Idem, Incontro con l’Episcopato brasiliano nell’Arcivescovado di Rio de Janeiro, cit.
(168) Idem, Quel progressismo adolescente. Meditazione mattutina nella cappella della Domus Sanctae Marthae del 12 giugno 2013, ibid. 13-6-2013.
(169) Idem, Incontro con l’Episcopato brasiliano nell’Arcivescovado di Rio de Janeiro, cit.
(170) Ibidem.
(171) Ibidem.
(172) Ibidem.
(173) Ibidem. Cfr. le aggiunte a “braccio” all’indirizzo <http://www.news.va/it/news/il-discorso-del-papa-ai-cardinali-e-vescovi-brasil>.
(174) Idem, Incontro con l’Episcopato brasiliano nell’Arcivescovado di Rio de Janeiro, cit.
(175) Ibidem.
(176) Ibidem.
(177) Ibidem.
(178) Ibidem.
(179) Ibidem.
(180) Ibidem.
(181) Ibidem.
(182) Ibidem.
(183) Ibidem.
(184) Ibidem.
(185) Ibidem.
(186) Ibidem.
(187) Ibidem.
(188) Ibidem.
(189) Idem, Incontro con i vescovi responsabili del Consiglio Episcopale Latino-Americano (CELAM) in occasione della riunione di coordinamento a Rio de Janeiro, cit. Le aggiunte “a braccio” sono tratte dal video disponibile sul sito della Santa Sede all’indirizzo <http:// player.rv.va/ vaticanplayer.asp? language= it&tic= VA_S6HZ6H3W>.
(190) Ibidem.
(191) Ibidem.
(192) Ibidem.
(193) Ibidem.
(194) Ibidem.
(195) Ibidem.
(196) Ibidem.
(197) Ibidem.
(198) Ibidem.
(199) Ibidem.
(200) Ibidem.
(201) Ibidem.
(202) Ibidem.
(203) Ibidem.
(204) Ibidem.
(205) Ibidem.
(206) Ibidem.
(207) Ibidem.
(208) Ibidem.
(209) Ibidem.
(210) Ibidem.
(211) Ibidem.
(212) Ibidem.
(213) Ibidem.
(214) Ibidem.
(215) Ibidem.
(216) Ibidem.
(217) Ibidem.
(218) Sulla storia di queste controversie cfr. il mio Il segreto di Francesco, Sugarco, Milano 2013, Appendice II.
(219) Francesco, Omelia alla Santa Messa nella Basilica del Santuario di Nostra Signora di Aparecida, cit.
(220) Ibidem.
(221) Idem, Incontro con i Volontari della XXVIII GMG nel Padiglione 5 di Rio Centro, Rio de Janeiro, cit.