Nel bel mezzo di una congiuntura internazionale drammatica (danni economico-sociali della pandemia e guerra in Ucraina), la UE decide di ingerirsi nella decisione della Corte Suprema americana sulla Roe vs Wade. Un altro segno di delirio ideologico anti-umano
di Chiara Mantovani
No, non si tratta di un allarme di fronte alle cifre sempre più drammatiche di aborti consumati in tutti i modi, negli ospedali e nel privato delle case, nella solitudine della “pillolina”, nella leggerezza di una pastiglietta dopo un “rapporto a rischio”, nella due volte falsa sicurezza che non ci sia nulla da eccepire – né in chi la promuove, né in chi la usa – in una pratica banalizzata e standardizzata fino all’automatismo.
Forse gli europarlamentari europei, di fronte al dilagare della violenza, e sgomenti per il cumulo di morte procurata dalla pandemia e da una guerra nel cuore dell’Europa, hanno messo a tema delle loro preoccupazioni la morte silenziosa e senza eco causata da oltre un milione di aborti in un anno nel continente culturale che chiamiamo Europa?
No, a Strasburgo sono giunte voci – si badi, non ancora fatti, solo sussurri giornalistici – che forse la Corte Suprema americana, dopo quasi cinquant’anni, potrebbe smascherare la menzogna che il 22 gennaio 1973 la indusse ad emettere la sentenza che consentì di legalizzare l’aborto volontario in 46 dei 50 Stati dell’Unione. I media e i movimenti pro-life (intendendo con questo secondo termine una galassia molto composita e diversificata, accomunata dalla ferma convinzione del rispetto di ogni vita umana in ogni circostanza e stato di salute) sanno da molti decenni che all’origine di quella sentenza, che fece la storia, stava una bugia. Anzi, molto peggio, una manipolazione. Il ‘caso giudiziario’ «Roe vs Wade», riassunto in poche righe, partì da subito con parecchie ombre. Wade era il nome dell’avvocato dello Stato del Texas che difendeva la legge federale antiabortista allora vigente. Jane Roe, invece, era uno pseudonimo, non il vero nome di Norma McCorvey, una ragazza con la vita molto complicata, due figlie già date in adozione, incinta della terza che anche lei sarà data in affido, qualche problema di alcolismo e tossicodipendenza, accompagnata a uomini violenti. Non era vero che volesse battersi per il ‘diritto di aborto’, questione che invece stava molto a cuore all’avvocato Sarah Weddington, tanto da farne una eroina del fronte pro-choice. La convinse a mentire affermando di essere stata stuprata e sostenendo così il ‘caso pietoso’ tale da muovere la pubblica opinione, con le strategie comunicative che anche l’Italia ben presto avrebbe conosciuto. Chi fosse interessato a consultare a questo proposito una fonte ben informata, può ancora trovare in rete la testimonianza del dottor Bernard Nathanson, uno dei quattro fondatori del movimento abortista.
Dopo molti anni, vicissitudini e travagli personali, riavvicinatasi ad una confessione cristiana, Norma tornò davanti alla Corte Suprema nel gennaio 2005, seguita da altri avvocati e dall’attenzione delle televisioni, con una nuova mozione, «McCorvey vs Hill», che chiedeva di vietare l’aborto, raccontando i tanti aspetti negativi che lei aveva visto e compreso nella sua militanza abortista, e per dire che aveva cambiato prospettiva: «Una delle confessioni che devo fare è che nel 1973 ho mentito, dichiarando di essere rimasta incinta dopo essere stata violentata da una banda. Sarah Weddington ci basò buona parte della mozione, sapendo che gli americani sarebbero certo stati a favore dell’interruzione di gravidanza per una donna stuprata. Ma non era vero. Avevo mentito. La legge che ha ucciso milioni di vite era nata da una bugia». Norma McCorvey era nata il 22 settembre 1947, morì in una casa di riposo del Texas il 18 febbraio 2017.
Nel marzo 2006, l’allora governatore dello Stato del Sud Dakota, Mike Rounds, firmò una legge che vietava l’aborto con l’unica eccezione del caso di pericolo per la salute della madre: fu bloccata dal ricorso preparato da Planned Parenthood, che sostenne l’incostituzionalità di quella legge.
I precedenti, dunque, sono tali da indurre solo un leggero e molto cauto ottimismo sulla possibilità che oggi la Suprema Corte davvero cassi il ‘diritto’ di aborto.
In questo senso, l’alzata di scudi preventiva del Parlamento Europeo suona davvero minacciosa. Ciò che forse inquieta maggiormente è che si attacchi il diritto all’obiezione di coscienza: di fronte alla fredda ma efficace prova dei numeri, che ogni anno, puntualmente, dimostra che essa non costituisce alcun problema o inciampo alla legale – ma immorale – pratica abortiva, si continua a segnalarla come un pericolo all’esercizio di un ‘diritto’. E questo resta il punto: invocare il ‘diritto’ resta la foglia di fico con cui coprire l’intento di capovolgere il senso della vita e della morte, del giusto e dell’ingiusto, del degno e dell’indegno.
Eppure…potrebbe esserci un ‘ma’. Vuoi mai che questo accanimento contro ogni piccolo segnale di resipiscenza antiabortista sia una mascherata preoccupazione che qualche piccola crepa si stia aprendo nella diga che blocca le coscienze? Vuoi mai che il dolore, tremendo e silenzioso, di donne non ascoltate e facilmente licenziate con un ‘fai da te’, stia traboccando dalla sommità del muro ideologico? Vuoi mai che proprio oggi, quando molto di ciò che ci circonda parla di morte e di violenza, di scarto della sofferenza, di intolleranza dell’imperfetto, a più di qualcuno venga in mente di non rivendicare diritti inesistenti e di applicarsi a realizzare il maggior bene possibile?
Sabato, 11 giugno 2022